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Autore: Holly Rosebane    11/12/2014    9 recensioni
«Ritroveremo la tua ispirazione. E sai che quando mi punto, devo riuscirci» concluse. Scossi la testa, stancamente.
«Non questa volta, riccio. Ti stai imbarcando in qualcosa di troppo grande per te».
«Yasmin, non ho altra scelta. Il mio tempo qui è limitato, e non so con esattezza quanto avrò a disposizione» disse, sedendosi sul tavolo, poggiando i gomiti sulle cosce e fissando il pavimento. «Se non ti sbrighi a scrivere la conclusione del libro e a rimandarmi nel mio mondo… morirò».

~
Pensai di avere le allucinazioni, di essere ancora nel più assurdo dei miei parti onirici.
E invece no.
Perché Harry Styles, il personaggio della storia che stavo scrivendo, era appena uscito fuori dal computer.
Letteralmente.
E mi fissava sorpreso dall’altra parte della stanza.
Iniziai a sentire le vertigini.
Genere: Commedia, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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VII.
La Quinta Voce

 
 





 
“Genio e follia hanno qualcosa in comune: entrambi vivono in un mondo diverso da quello che esiste per gli altri…”
ARTHUR SCHOPENHAUER
 



 
 
Arrivammo in garage giusto in tempo per l’ennesima prova dell’ultima canzone che avevano scritto qualche tempo fa. Si chiamava “They Don’t Know About Us” e l’intro prevedeva l’uso di un pianoforte. Liam era l’unico in grado di suonarlo, ma per comodità avevano registrato le prime note con l’iPhone di Niall. Quindi, ogni volta facevano partire quella, al posto dello strumento vero. E sì, era sempre il mio ragazzo a cantare la seconda parte di quella canzone.
«See, this love is only getting stronger, I don’t wanna wait any…»
«No, frena, frena, frena!»
Harry fece irruzione nella stanza, praticamente urlando. I ragazzi cessarono di suonare all’istante, guardandolo perplessi.  Zayn mi lanciò un’occhiata interrogativa, alla quale risposi con una misera alzata di spalle. In casi simili, meglio fingere indifferenza. Si avvicinò a Niall, sorridendo amabilmente. Perché potevo sentire l’eco di una catastrofe imminente?
«Ascolta, amico…» esordì, sfilandogli il microfono dalle mani. Il biondo lo fissò allibito. Mi coprii gli occhi con una mano. Non volli guardare.
«La prendi troppo alta. Vi sto sentendo da quando avete iniziato le prove, e devo dirvi che non siete affatto male» continuò il riccio. Mi arrischiai ad aprire un solo occhio, spiando fra gli spazi delle mie dita. Harry fissò il microfono con un sorrisetto impertinente, conscio dell’avere l’attenzione di tutti puntata addosso. Ti prego, non fare una cretinata…
«Ma, se continuate così, non andrete da nessuna parte. Vi manca qualcosa» concluse. Louis ridacchiò, avvicinandosi leggermente.
«E sarebbe?» Chiese, ironico. «Illuminaci, grande saggio del Maine».
Harry lo fissò, alzando un sopracciglio. Poi, si scompigliò i riccioli con una mano, lo sguardo acceso da una strana luce. Oh, no.
«Ridatemi la base» ordinò. «Presta molta attenzione, Tomlinson» lo apostrofò, prendendo il posto di Niall. Il mio ragazzo lo squadrò con freddezza, e poi prese il suo iPhone, schiacciando play e lasciando che le note del pianoforte riempissero la stanza. E poi… Harry iniziò a cantare.
Non ricordavo di aver mai precisato da nessuna parte che avesse una voce da Dio. Però era una cosa che avevo sempre voluto, per lui. Cantava come un angelo. Quel tono profondo e particolare, che di americano non aveva niente, mi stava ipnotizzando. Era tutto nel suo modo di pronunciare le “s”, di porsi verso gli altri… l’espressione che assumeva mentre modulava acuti o toni bassi a seconda del ritmo e delle parole. Sembrava nato per quello, e anche i ragazzi se ne stavano accorgendo. Lo guardavano increduli, e Niall stava perfino sorridendo. Hana mi diede di gomito.
«Tuo cugino è una vera bomba. Oltre ad essere strafigo, sa pure cantare» commentò, a mezza voce. Annuii, incapace di riuscire a staccargli gli occhi di dosso. Avrei dovuto rammentare che non era un ragazzo come tutti gli altri. Avrei dovuto tenere presente che nelle sue vene scorreva inchiostro. Avrei dovuto sapere che presto se ne sarebbe andato per sempre, nelle pagine del mio libro.
Eppure, faticavo a credere possibile che quell’angelo bruno con la voce celestiale potesse non esistere davvero. Mentre eseguiva l’ultima parte del ritornello, piantò le sue iridi verde acqua nelle mie, fissandomi intensamente. Sembrava volermi dire: “vedi? Sono bravo in qualcosa che non ti saresti mai aspettata”. E aveva maledettamente ragione. Quando i ragazzi smisero di suonare, calò un breve ma pregno silenzio. Poi, Louis urlò.
«Woah!» Gorgheggiò, rompendo l’incantesimo con zelo eccessivo. «Ragazzi, che voce!» Esclamò, infilandosi il plettro fra le labbra e precipitandosi a stringere la mano ad Harry, strattonandogli con entusiasmo il braccio su e giù. Questi scoppiò a ridere di gusto. Quella scena mi parve fin troppo surreale, per tutta una serie di motivi. Zayn, che durante l’esibizione si era spostato accanto a Niall, lo fissava ammirato e Liam aveva piantato le bacchette a terra per poi alzarsi, avvicinandosi alla postazione del cantante.
In breve tempo, riversarono su Styles una pioggia di complimenti, non riuscendo a trattenersi dal fare altrimenti. Perfino io ero estasiata da come quel timbro basso e corposo riuscisse a fondersi bene con la melodia. Era innegabile, come il sole che sorgeva sempre ad est. Impossibile non notarlo.
«Insomma, capito? Devi prenderla così, non alzare troppo il tiro. E poi come ti poni, baby, il segreto è proprio lì, nella postura…» continuò Harry, gesticolando e parlando a velocità raddoppiata, galvanizzato dall’ottimo esito della sua performance, buttando nel discorso qualche parola con sguaiato -e, a mio parere falsissimo- accento americano.
«Sei proprio sicura, eh?» Mi chiese Hana, dandomi di gomito, mentre i ragazzi ciarlavano animatamente di questioni tecniche come “diaframma” e “apnea”. Mi voltai verso di lei, guardandola interrogativamente.
«Sicura di cosa?»
«Che fra qualche settimana dovrà andar via!» Sospirò, riempiendosi gli occhi della visione di Liam ed Harry che fraternizzavano, come se fossero stati amici da sempre. Annuii, impassibile.
«Già», convenni. «Deve proprio».
 
 
Dopo quella fortuita collaborazione, decisi che Harry poteva benissimo cavarsela da solo insieme al resto della band, e salii di sopra insieme ad Hana. Trascorremmo il pomeriggio a chiacchierare del più e del meno, cercando nel mentre anche di studiare; visto che il weekend non contemplava l’opzione “procrastinazione”, in ambito scolastico. Spesso, sentivamo qualche schitarrata, un assolo di batteria, o più prove di voci congiunte. Il che scandiva piacevolmente il tempo, come un calmo e ovattato sottofondo musicale. All’imbrunire, scendemmo di nuovo in garage, per chiedere ai ragazzi se avessero voluto restare a cena. E capitammo in un momento piuttosto decisivo.
«Allora, qualcuno vuole…»
«Quindi è deciso, che ne dite?»
La voce di Zayn si frappose alla mia, oscurandola e facendo in modo che si perdesse nell’aere. Non si erano neanche accorti che eravamo lì con loro. Zero. Hana ed io rimanemmo ferme accanto all’entrata, con entrambe le fronti corrucciate. Di che cosa stavano discutendo quei cinque squinternati? Ed era così importante da non voler nemmeno sapere che avrei potuto anche cucinargli la pizza fatta in casa?
«Assolutamente sì. Sarebbe un crimine fare altrimenti», convenne Liam, roteando distrattamente una bacchetta con le dita. Oh, amavo quel giochetto. Quando nessuno poteva vedermi, in camera, ci provavo spesso con le penne biro anch’io. Inutile dire che, a differenza di Payne, le povere malcapitate finivano in aria descrivendo una parabola, per poi schiantarsi a terra con soddisfazione. Avrei dovuto farmelo insegnare, un giorno.
«Grandi ragazzi, così mi piacete. Verrei lì a darvi un bacio appassionato ciascuno» aggiunse Louis, strofinandosi le mani deliziato e arricciando le labbra con charme. Emisero tutti dei versi di disgusto, simulando brividi e imbastendo delle smorfie d’orrore. Hana ed io scoppiammo a ridere. Quello lì era veramente suonato, poche storie.
«Puah, fratello, resta dove sei e non provarci nemmeno», lo rimbeccò Niall. Tomlinson mise su un’espressione da cucciolo ferito e si strinse nelle spalle, lagnandosi di “amore sprecato” e “dov’erano gli anni di Woodstock”.
«Bene!» Esclamò Zayn, battendo le mani. «Mi sembrano tutti a favore… giusto?» Chiese, occhieggiando il biondo irlandese alle sue spalle, che alzò un pollice in alto come segno affermativo. Mio fratello gli sorrise, approvando.
«Perciò… Harry, sei nella band».
 
 
Incredibile come l’entusiasmo maschile sia difficoltoso da contenere. Appena dopo l’ufficiale ammissione del riccio nel gruppo, mi parve di esser finita in uno stadio di football, tanto fu il fracasso che fecero. Riuscii a farmi notare soltanto dopo dieci interminabili minuti di urla, salti, abbracci fraterni ed esclamazioni in raffazzonatissimo slang americano, ottenendo di dover preparare un quantitativo decisamente indefinito di pizza per cena. Così, Hana ed io ci rimboccammo le maniche, abituate come di consueto ai regimi delle cene in casa Malik. Tenendo sempre ovviamente conto di triplicare la razione di margherita, perché a Louis erano state donate una S di taglia, una XS di cervello e una XXXL di stomaco, con relativa fame atavica a sottolineare il tutto.
Ad ogni modo, fu una serata relativamente tranquilla, in cui Harry ostentò ai massimi livelli il suo essere “l’umano cugino del Maine”. O almeno, fino al momento in cui anche l’ultimo degli ospiti non ebbe lasciato la casa, e lo ritrovai steso in terra fissare il soffitto, beato. Non avevo fatto in tempo nemmeno a chiudere la porta, che l’avevo sentito tirar fuori un sospirone così corposo che sembrava gli fosse uscita perfino l’anima, dai polmoni. Mi ero voltata, e l’avevo visto sul pavimento, con le braccia placidamente aperte e le dita intrecciate sotto il capo, in atteggiamento di completo relax.
«Voglio supporre che la tua posizione sia opera dal libero arbitrio…» commentai, lanciandogli un’occhiata indagatrice, mentre lo vedevo annuire sorridendo. Spostai un paio di bicchieri di plastica con il piede, facendomi strada attraverso il parquet minato di residui alimentari della serata appena trascorsa.
 «E non solo! A tenermi ben fermo qui, c’è una cosa fantastica chiamata “gravità”. La quale, in questo mondo, funziona splendidamente», rispose, stiracchiandosi in pace con se stesso.
Raggiunsi il divano, sprofondandovi sopra e ondeggiando per qualche istante, lasciando che le molle cigolassero per protesta. Il salotto era un perfetto esempio di località reduce da una calamità naturale, con piatti sporchi in ogni dove, posate, bicchieri e bottiglie di birra nei posti più improponibili. Da seduta, il lerciume spiccava ancor meglio. Già sentivo la disperazione di dover ripulire tutto. Zayn aveva ingegnosamente deciso di accompagnare Niall a casa, lasciandomi da sola alle prese con le macerie domestiche. Che sarebbero rimaste lì ancora per un minuto o due. Chiusi gli occhi per protesta, distendendomi sullo schienale del divano. Era stata già una giornata decisamente lunga.
«Sai» riprese Harry, il che mi fece spalancare nuovamente le palpebre, per prestargli la dovuta attenzione. Guardava il soffitto, il volto semi nascosto dai riccioli color cioccolato, il profilo orizzontale del suo corpo, le gambe lunghe e slanciate. Riflettei che la mia fantasia aveva fatto proprio un bel lavoro, nel tirarlo fuori. «Non mi divertivo così da una vita».
«Beh…» fui per dargli ragione, ma poi mi ricordai di alcuni episodi fondamentali, bloccandomi e riservandogli un’occhiata contrariata. «Ma scusa, e la festa di Amber? È stata lo sballo più assoluto della scuola, hai fatto di tutto!» Protestai, indignata. Mi ero così tanto impegnata per quel passaggio, da dedicare più ore alla cura di due pagine di Word che alla scuola.
«Per niente», proferì lui, lapidario. Poi, si voltò s’un fianco, puntellando il gomito sul pavimento e fronteggiandomi faccia a faccia, mentre raccoglievo le ginocchia al petto e già mi preparavo a difendere i miei diritti.
«Ascolta, c’è una cosa fondamentale che devi capire» esordì, piantando quei suoi due occhioni verde acqua nei miei, con un’espressione così sorprendentemente seria che mi stupì alquanto. «Noi personaggi abbiamo un’identità» disse, premendosi una mano sul petto, enfatizzando il concetto. «O almeno, è ciò che otteniamo se il nostro creatore è particolarmente dotato. Quello che sto cercando di dirti, è che se il nostro carattere è plasmato secondo dei parametri particolari, alcune cose potrebbero non piacerci. Mi segui?» Chiese. Annuii, curiosa di sapere dove sarebbe andato a parare, nonostante l’evidente inappuntabilità del discorso.
«Io sono un tipo poliedrico, misterioso, per nulla serio e oscuro, questo te lo concedo» specificò, con una certa dose di autocelebrazione. «Ma, dannazione, non farmi fare scherzi stupidi ad una mediocre festa liceale, come se fossi il Puck1 di turno. Sono un angelo caduto, non il folletto della regina delle fate. Non me ne frega un cazzo di mettere il sale nel punch, di nascondere i preservativi a Neil O’Connor e di giocare al Bravo Illusionista con Fiamma. A quella non gliene importerà mai un fico delle mie abilità» seguitò, sfogandosi con franchezza. «Non è detto che ciò che la tua fantasia costruisca secondo la tua idea di accettabile, lo sia veramente anche per i tuoi personaggi».
«Eppure, mi sembrava che il tuo carattere si prestasse bene al plot originale di quella festa».
«Perché tu hai voluto imbrigliarlo a tutti i costi. Obiettivamente, come sarebbe possibile per un pluricentenario trovare divertenti certe cretinate da ragazzini? Non hanno stile, non si sanno divertire» esclamò, puntualizzando.
Il suo discorso finì per sconvolgermi nuovamente. Per la seconda volta nell’arco di quarantottore, il mio stesso personaggio, che avevo plasmato con la mia mente, dipinto con le mie mani parola dopo parola, mi stava dimostrando che non lo conoscevo minimamente. Avevo finito per appiattire il suo carattere, stereotipandolo in quello di un giovane adulto con l’umorismo di un bambino di sette anni, che si divertiva a dar sfoggio della propria dubbia perfidia con scherzi idioti e inutili prove di abilità. Me ne accorgevo solo in quel momento, aveva maledettamente ragione. Avevo faticato così tanto per dargli uno spessore considerevole, un’anima, per poi assottigliarla alla prima occasione. Ero senza parole.
«Io… non me ne sono mai accorta», commentai, cercando di contenere la costernazione che doveva essersi impossessata del mio volto. Harry si strinse nelle spalle con fare noncurante, abbassando lo sguardo e giocherellando con una forchetta di plastica abbandonata nei suoi pressi.
«Eri distratta. Non vedevi l’ora di concludere il capitolo e liberarti di quel passaggio che già t’aveva annoiata. Lo sentivo, battitura dopo battitura. Ma non avrei mai potuto protestare, dal fondo della pagina» disse, con fredda ironia, senza alcuna inflessione nella voce. «Nessuno conosce la propria scrittura e i propri personaggi bene quanto gli autori stessi. Eppure, a volte sembrano smarrire i punti fissi che hanno costruito con tanta fatica, cadendo in ovvie banalizzazioni e uscendo fuori da quello che invece sarebbe potuto essere il vero svolgimento della trama» spiegò. E finì per sollevarsi a sedere, stiracchiandosi per la seconda volta, sbadigliando in modo così libero e sguaiato che temetti una slogatura di mascella, per lui. Poi, si passò una mano fra i riccioli, scompigliandoli e mi rivolse un sorriso.
«Non prenderle come critiche o accuse, nei tuoi confronti. Solo… era giusto che lo sapessi» aggiunse, accarezzando il mio ginocchio con fare fraterno. Ricambiai il suo sorriso con poca convinzione, mentre lui si alzava e mi dava un buffetto affettuoso sulla guancia.
«E adesso, prima che Mister Simpatia torni e cominci a farti la ramanzina per tutto il disordine, vado a sfilare un testo dalla sua libreria. Ha una fantastica enciclopedia del rock, che sto puntando da ben due giorni. Capiscimi, è adesso o mai più» commentò, un ghigno dispettoso dipinto il volto e l’aria malandrina nello sguardo. «Mi raccomando… acqua in bocca» m’intimò, lanciandomi un ammiccante occhiolino e sparendo su per le scale, mentre annuivo alzando le mani in segno di resa. Nonostante la sua assenza e il salotto che urlava per essere rimesso a posto, non potei fare a meno di pensare e ripensare a ciò che Harry mi avesse detto poco prima, per tutta la notte.
 
 




1. Personaggio di "Sogno di una Notte di Mezza Estate" di William Shakespeare. Spiritello dei boschi al servizio del Re delle fate, specializzato in scherzi dal sapore anche grottesco.



 
Nota: sono passati due anni. DUE, santo cielo. Non mi ero proprio accorta di tutto questo scarto di tempo. Credo forse che sia opportuno spendere qui due parole in merito a tutta questa vicenda. In corso di pubblicazione, ci sono stati un bel po' di problemi riguardo a questa storia.
Proprio come Yasmin, anche io non riuscivo più a proseguire, come se ogni più insignificante parola che aggiungessi, fosse inutile e scialba. E ciò ha richiesto per me un lungo periodo di riflessione, nel quale sono successe tante cose. Io sono cresciuta, ho avuto la possibilità di fare esperienze che hanno cambiato il mio modo di scrivere e il mio stile è maturato. Ho rimesso mano a questa storia quando ho capito che potevo essere pronta per farlo. Non vi chiedo di perdonarmi questa attesa improponibile, perchè so già che non è possibile. Vorrei soltanto che questa long non ne risentisse, perché ci sono estremamente legata e andando avanti nella lettura capirete anche il motivo del mio allontanamento.
Ho letto ognuna delle vostre recensioni e dei numerosissimi messaggi in cui m'invitavate a riprendere in mano le fila del discorso e perdonatemi se sono stata in grado di farlo solo adesso. Però... meglio tardi che mai, no?
Voglio augurarmi che il mio cambiamento di stile non sia per voi un problema, mi sono sforzata il più possibile di rendere godibile e scorrevole il testo, pur non potendo evitare lo scarto dall'inizio del capitolo (scritta due anni fa) e la fine (scritta di recente). Prendete questi nuovi capitoli come un tardivo ma riconciliante regalo di Natale e non pensiamo più al passato! Ed ora, lasciatemi fare i miei dovuti ringraziamenti a chi leggerà oggi la storia, a chi già lo faceva, ma soprattutto a chi ha avuto lo spirito di aspettarmi, quando nessuno -nemmeno la sottoscritta- avrebbe scommesso sul mio ritorno. Vi ringrazio davvero di cuore, ciascuno di voi . Holly è qui.
   
 
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