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Autore: Holly Rosebane    13/12/2014    7 recensioni
«Ritroveremo la tua ispirazione. E sai che quando mi punto, devo riuscirci» concluse. Scossi la testa, stancamente.
«Non questa volta, riccio. Ti stai imbarcando in qualcosa di troppo grande per te».
«Yasmin, non ho altra scelta. Il mio tempo qui è limitato, e non so con esattezza quanto avrò a disposizione» disse, sedendosi sul tavolo, poggiando i gomiti sulle cosce e fissando il pavimento. «Se non ti sbrighi a scrivere la conclusione del libro e a rimandarmi nel mio mondo… morirò».

~
Pensai di avere le allucinazioni, di essere ancora nel più assurdo dei miei parti onirici.
E invece no.
Perché Harry Styles, il personaggio della storia che stavo scrivendo, era appena uscito fuori dal computer.
Letteralmente.
E mi fissava sorpreso dall’altra parte della stanza.
Iniziai a sentire le vertigini.
Genere: Commedia, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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VIII.

Punti di Vista

 
 




 
“Ci si mette a scrivere di lena, ma c'è un'ora in cui la penna non gratta che polveroso inchiostro, e non vi scorre più una goccia di vita, e la vita è tutta fuori, fuori dalla finestra, fuori di te, e ti sembra che mai più potrai rifugiarti nella pagina che scrivi, aprire un altro mondo, fare il salto. Forse è meglio così: forse quando scrivevi con gioia non era miracolo né grazia: era peccato, idolatria, superbia. Ne sono fuori, allora? No, scrivendo non mi sono cambiata in bene: ho solo consumato un po' d'ansiosa incosciente giovinezza. Che mi varranno queste pagine scontente? Il libro, il voto, non varrà più di quanto tu vali. Che ci si salvi l'anima scrivendo non è detto. Scrivi, scrivi, e già la tua anima è persa.”
ITALO CALVINO

 
 
 

 
 
Il mattino seguente fui la prima a svegliarmi. Ancora con gli occhi semichiusi, mi volsi con indolenza verso la sveglia silenziosa sul comodino e poi trasalii, in un accesso di lucidità post-sonno. Mezzogiorno e mezza. Tardissimo. Sì, dovetti riconoscere a me stessa che, la sera precedente, Zayn ed io avevamo finito di rendere la casa presentabile non prima delle cinque, aiutati anche da Harry. E che poi ci eravamo stancamente trascinati a letto con la stessa voglia di vivere di due zombie reduci dall’apocalisse, privi di ogni linfa vitale, comunicando a mugugni e monosillabi. Ero crollata prona sul letto senza nemmeno infilare il pigiama. E non ricordavo di essermi messa sotto le coperte. Eppure, mi ero svegliata con un caldo plaid appoggiato sulle spalle, chiedendomi quale anima pia avesse avuto la prontezza di spirito di mettermelo addosso.
Mi sollevai a sedere con una velocità di riflessi degna di un bradipo in letargo, passandomi stancamente una mano sul volto, patendo le molte ore di sonno arretrate. Da due giorni a quella parte, faticavo sempre un po’ a rendermi conto che, nella nostra casa, albergava una terza persona. Che poi, definirla “persona” era un termine piuttosto riduttivo, ma almeno in apparenza lo sembrava a tutti gli effetti. A volte mi chiedevo se fosse tutto reale o parte di un grande evento onirico, ma poi ricordavo che anche mio fratello e i suoi amici vedevano e parlavano con Harry, e che quindi non poteva essere tutto frutto della mia mente sbadata.
Ripensai anche alle parole che mi ebbe rivolto prima di intrufolarsi in camera di Zayn, sugli episodi e la caratterizzazione dei personaggi. Mi resi conto, per la seconda volta, quanto potessi aver trascurato le mie creazioni, da indurle perfino ad uscire da un computer in una notte di pioggia. Il mio sguardo corse al vecchio pc inutilizzabile, che giaceva senza vita in un angolo della scrivania come un reliquiario, o un tempio in cui nessuno metteva più piede. Poi, mi scossi e decisi di dare un senso alla mia giornata. Cambiai i vestiti che avevo indosso, sostituendoli con una tuta slargata molto più comoda e mi legai i capelli in una coda alta, calandomi appieno nella perfetta mise da casa e scesi al piano terra.
Passando, notai che la porta della camera di Zayn era semichiusa e intravidi mio fratello dormire ancora profondamente, in una posizione improbabile e piuttosto sbragata, avendo calciato via perfino coperte e cuscino. Trattenni una risata e mi avventurai oltre la rampa di scale, per poi scoprire che anche l’ambiente inferiore era deserto. Non avevo visto Harry da nessuna parte e cominciai a domandarmi dove fosse. Finché non notai un biglietto appeso al frigo grazie ad una calamita, che conteneva poche righe vergate a mano, in una calligrafia stretta, sottile ed elegante, prettamente maschile.
 

 
Visto che questo posto assomiglia di più alla reggia della bella addormentata che ad una casa, vado a farmi due passi nel circondario, finché dura il bel tempo. Ho preso le chiavi di Mister Simpatia, spero che non si offenda per quest’affronto (non una parola sul libro o rimpiangerai di avermi creato). Non divertirti troppo in mia assenza, soprattutto se si tratta di cose che potrebbero piacermi!
A dopo, mon amour.
H”
 
 

 
Che poesia. Soprattutto la velata minaccia e le due spicciole parole in francese. Non ricordavo di aver mai precisato che sapesse parlare più lingue, ma magari in più di cent’anni di vita qualcosa si dovrà pur fare, per passare il tempo.
Ad ogni modo, dopo aver fatto una parca colazione in completa solitudine, decisi di occupare abusivamente il tavolo della cucina e avvalermi di quei preziosi momenti di quiete per ridare un’occhiata a tutto il lavoro di stesura de “L’Angelo Caduto”, sapendo di poterlo analizzare sotto occhi nuovi. Fortunatamente, avevo salvato tutti gli ultimi progressi su diverse pennette USB, in caso di sfortunati eventi. Così, mi appropriai del laptop di Zayn e, inforcati gli occhiali da lettura, cominciai ad ispezionare il materiale. Lavorai ininterrottamente per ore, cancellando e riscrivendo parecchi passaggi, incorporando modifiche, plasmando le azioni su quello che sarebbe stato il vero carattere di Harry, modificando situazioni e variando più parti della trama. Copiai anche le poche pagine che ero riuscita a buttar giù nel parco il giorno prima, riuscendo finalmente a sbloccare quell’insormontabile ostacolo della frase lasciata a metà e il terribile horror vacui della pagina bianca al di sotto. Mi sentii ampiamente soddisfatta di me stessa, forse potevo intravedere la luce alla fine del tunnel.
Tuttavia, lo squillo acuto del telefono di casa mi fece sussultare, distraendomi dalla mia full immersion nel mondo di Harry Styles. Mi precipitai a rispondere, augurandomi di far presto.
«Sì?»
«Buongiorno, principessa» mi salutò una cordiale e calda voce dallo spiccato accento irlandese, scatenando il portentoso effetto di dipingere un sorriso sulle mie labbra. Mi appoggiai al ripiano della cucina, arrotolandomi il filo attorno al dito. Sarei rimasta ad ascoltarlo parlare per ore. Aveva un tono talmente placido, morbido e melodioso, che non avrei mai smesso di udire. Come la canzone alla radio per cui avrei alzato sempre il volume.
«Ora sì che è buono» commentai, sentendolo ridere dall’altro capo del filo.
«E potrebbe anche migliorare».
«Come?»
«Hai da fare?» Chiese, con leggerezza. Quelle tre semplici parole ebbero il potere di sconvolgere tutti i miei piani. Sicuramente mi avrebbe proposto di uscire e a me non sarebbe certo dispiaciuto. Ma poi lanciai un’occhiata allo spartano portatile di mio fratello, ancora aperto alla pagina su cui stavo lavorando, ricordandomi il fortuito colpo di ispirazione che mi aveva colto come il canto di una musa.
Interrompere la scrittura sarebbe stato come troncare a metà il busto di una piantina che stava lentamente ricrescendo. E, improvvisamente, l’immagine di due profondi occhi di un limpido verde acqua mi rimandò uno sguardo accusatorio dal retro della mia mente. Harry. Il cui tempo non era infinito, sulla Terra. Non potevo abbandonarlo così. Andare a divertirmi sarebbe stato per me gravoso come bigiare scuola per scorrazzare nell’Harrods più vicino. Mi parve una terribile mancanza di rispetto e un dovere disatteso nei suoi confronti.
«Yasmin? Sei ancora lì?» Domandò Niall nuovamente, allarmandosi lievemente. Mi riscossi dal turbinio di pensieri che aveva investito la mia mente, battendo le palpebre.
«Ehm, sì…» cincischiai. «In realtà, sarei occupata, in questo momento» dissi, per nulla convincente.
«A far che?» S’interessò lui, incredulo. Strinsi gli occhi, racimolando quel poco di capacità di mentire che avevo guadagnato nel corso degli anni, il che era paragonabile al livello del mare. Ovvero zero.
«Domani avrei una verifica di letteratura inglese… e sono rimasta indietro con la lettura di Cime Tempestose» mentii, sentendomi tre volte bugiarda: la prima, perché quel romanzo lo avevo già letto e riletto; la seconda, perché l’indomani non avrei avuto alcuna verifica e la terza perché non rimanevo mai indietro, con la lettura.
«Potrei aiutarti io! L’epoca vittoriana era il mio forte, saresti in buone mani» si offrì, molto conciliante. Mi coprii gli occhi con la mano, sentendomi un essere spregevole.
«Si è già offerto Harry… nel Maine sono arrivati alla Lettera Scarlatta». Quelle parole furono come una coltellata, per il povero Niall. Rimase in silenzio per alcuni istanti, incamerando il colpo. Avvertii il senso di colpa per ogni secondo che passava senza rispondermi.
«Se così stanno le cose…» si limitò a dire, piuttosto freddamente. Sospirai, molto a malincuore.
«Mi spiace, Niall. Prometto che mi farò perdonare» contrattai, pregando che non se la prendesse più del dovuto.
«Certo. Ci riesci sempre» commentò, incolore. Mi morsi il labbro, maledicendomi per la mia pochezza di spirito.
«Ti chiamo più tardi» provai, come ultimo tentativo di stipulare un trattato di pace. Mi rispose con un secco “mh-mh” e riattaccò. Sospirai, posando la cornetta con una tal flemma da stupirmene. Ripensandoci, da parte sua, una reazione simile mi sembrava eccessiva. Avevamo passato tutta la scorsa serata insieme, senza separarci mai. Forse, la radice del problema risiedeva nella figura di Harry.
Mi strinsi nelle spalle, mentre riprendevo posto dinanzi al pc. Non era colpa mia se lui era geloso del “cugino del Maine”. Avrebbe dovuto riporre fiducia nelle mie buone intenzioni e nell’affetto parentale, al posto di sentirsi istigato senza motivo. E, quasi come se avesse sentito il rumore dei miei pensieri, udii l’inconfondibile suono di una chiave che girava nella toppa, vedendo la porta d’ingresso aprirsi e riversare nell’ingresso un Harry intirizzito, con la punta del naso arrossata e un’aria estremamente gioiosa.
«Buongiorno!» Mi salutò con brio, appendendo le chiavi di Zayn al loro solito posto e sfilandosi il cappotto.
«L’ultima volta che mi è stato detto, poi è finita male» commentai, con involontaria acredine. Infatti il riccio mi riservò un’occhiata contrariata e insieme interrogativa, raggiungendomi in cucina. Si sfregò le mani intirizzite dal freddo, scostando una sedia con il piede.
«Mi dispiace, tesoruccio», disse conciliante, mentre si sedeva senza compostezza. «Ma sono troppo felice per lasciarmi rovinare la giornata dal tuo malumore», aggiunse.
«Come mai quest’allegria improvvisa?» Domandai, incuriosita da un simile sfoggio di brio.
«Non lo so, dimmelo tu» rispose, piantando un gomito sul tavolo e fissandomi con espressione maliziosa. Il che, sul suo volto pittoresco e angelico, ebbe lo spiacevole effetto di provocare una piccola rincorsa al mio cuore, imporporandomi le guance. Ma cosa…?
«Io? Che intendi?» Cincischiai, nascondendomi dietro il pc.
«Qualche ora fa, ho provato la meravigliosa sensazione di rinascere magicamente. Mi sentivo riposato, fresco, come se qualcuno mi avesse risistemato tutte le ossa del corpo con un massaggio, per intenderci» spiegò. «Hai fatto qualcosa al romanzo», suppose, con certezza. Annuii, meravigliata.
«Ho riscritto alcuni passaggi, ricordandomi di ciò che mi avevi detto ieri. E la storia ha ripreso a fluire».
«Splendido!» Esclamò, levandosi in piedi con impeto e schioccandomi un sonoro bacio sulla guancia. M’imbarazzai ancor di più. «Ecco perché mi sento così bene», ragionò, cominciando a camminare avanti e indietro distrattamente.
«Non pensavo che gli effetti potessero essere così immediati», riflettei, più per me stessa che per farlo sapere a lui. Fece un cenno affermativo col capo, senza fermarsi, lasciando che i riccioli ondeggiassero armoniosamente seguendo i suoi movimenti.
«Ogni progresso che tu fai per la storia, è un passo avanti verso la strada di casa» disse. «Anche se, pensandoci bene, questo mondo è il più bello che io abbia mai visto».
«Perché?»
«Non c’è una motivazione precisa. È tutto così meravigliosamente reale, genuino. Non mi sono mai sentito così vivo. Il profumo del pane appena sfornato e dei cornetti caldi nei bar. Il freddo sulla pelle, il crepitio delle foglie secche sotto i piedi e i loro colori tanto forti, palpitanti» elencò, con un’espressione di così sincera fascinazione negli occhi da lasciarmi senza parole. Come un bambino che veda per la prima volta il parco giochi, o un cieco che riacquisti la vista e veda quanto è bello ciò che lo circonda.
Il suo entusiasmo ingenuo mi provocò una strana stretta allo stomaco. Qualcosa di molto simile ad un affetto che andava oltre la mia stessa comprensione. Era lì, con le iridi lucide, le guance accaldate, il sorriso pieno e brillante, i tratti distesi. Non avrei mai potuto creare una cosa simile neanche impegnandomi per una vita intera.
«Come se avessi per la prima volta scoperto tutte le sfumature dell’arcobaleno, in una vita di grigio» aggiunse, appollaiandosi sul tavolo della cucina e lasciando ciondolare le gambe avanti e indietro.
«Harry, ma anche io ti avevo donato un mondo come questo», non potei esimermi dal fargli notare. Ma lui mi riservò un’occhiata così eloquente e carica di significati nascosti, da farmi rimpiangere di averglielo detto.
«Rispondi a questa semplice domanda, Yasmin», disse, semiserio. «Per quale ragione scrivi?», chiese. Così. Semplicemente. Diretto, senza fronzoli, giri di parole.
«Perché me lo stai chiedendo…»
«Rispondi e basa».
Ci ragionai un momento. E forse anche più d’uno. Per quale ragione continuavo a riempire pagine e pagine di caratteri neri, che, presi singolarmente non significavano nulla? Quale oscura ragione mi spingeva ad assemblare parole come fossero giocattoli o fili di una grandissima e variopinta tela di ragno?
«Perché mi piace», sparai, su due piedi. Ricevetti un’occhiata incolore.
«È davvero una motivazione stupida», commentò Harry. «Puoi fare di meglio, concentrati. Come per la mela».
Mi presi altri due minuti di mutismo. Non sapevo forse fornire una risposta migliore di quella?
«Okay, ascoltami», m’interruppe lui, sollevandomi il mento con due dita, avendo abbassato il capo per concentrarmi meglio. Mi costrinse a focalizzare tutta l’attenzione su di lui e sul suo volto, che esprimeva una maturità del tutto inedita. «Non mi sorprende che tu mi abbia detto quella… cosa», scandì con disgusto, «la prima volta. È proprio questo il punto. Il vero motivo per cui tu non riuscivi ad andare più avanti con il romanzo, non era la mancanza d’ispirazione. Anche, forse. Ma non in maniera determinante». Seguitai ad osservarlo senza interromperlo, mentre lui mi spostava dal viso una ciocca sfuggita all’elastico.
«La vera causa del tuo blocco, è la perdita del concetto di scrittura. Tu scrivevi per abitudine. Lo si nota benissimo nelle ultime due pagine prima di quella famosa frase troncata a metà. La mancanza di descrizioni, il corpo scarno basato solo su azioni e dialoghi, la perdita di quella freschezza e prontezza di battute. Paradossalmente, non te ne fregava più molto di narrare la storia. T’interessava di più finirla, per levarti un peso» e fece una pausa, soppesando bene le parole. «La scrittura è un piacere, prima di tutto. Non è mai un dovere. Nessun tipo di arte è un dovere. E tu dovresti saperlo bene. Avevi perso quella solita cura per il dettaglio, l’amore per i particolari, la finezza stilistica. Ho visto letteralmente desertificare il mio mondo, passando da un’accettabile riproduzione del reale ad una landa piatta e incolore. La mia vita, qui» sottolineò, battendo le nocche sul tavolo, «è corposa e pregna, ma non è reale. Il mio mondo è nel libro, ma si è indebolito così tanto da finire per sputarmi fuori. La tua era una vista speciale, perché riusciva a cogliere l’essenza delle cose e a trasferirle sulla carta. Ma poi hai perso tutto lungo la strada. Ti sei abituata ad osservare senza vedere. Il mondo va guardato ogni giorno con gli occhi di un bambino e la saggezza di un adulto. Altrimenti non riuscirai mai a scrivere delle belle storie. Mai».
Non potei ribattere nulla, perché non avevo la forza. Quell’essere di carne e inchiostro sembrava avermi affondato le dita nell’anima e giocato con i fili, riparando quelli sfilacciati e intessendo un intreccio nuovo. Diceva la verità, dalla prima all’ultima sillaba e io non potevo far altro che ascoltare in silenzio, perché non avevo alcun diritto di replicare. L’avevo danneggiato a tal punto da costringerlo a venire nel mio mondo per darmi una sonora strigliata.
«L’abitudine è la nemica dell’arte, Yasmin», mi disse, allungando una mano e accarezzandomi dolcemente una guancia. Chiusi gli occhi, abbandonandomi a quel tocco confortevole e alla sua voce roca, desiderosa di riavvolgere il nastro del tempo per poter evitare tutti gli errori che avevo commesso. «Ma non è finita. Puoi recuperare ogni mancanza, e al meglio. Sono qui per aiutarti e la mia permanenza sta dando i suoi frutti. Oggi sono riuscito finalmente a provare sensazioni fisiche. Riesco a sentire la tua pelle fresca, morbida e liscia sotto i miei polpastrelli» aggiunse, ritirando la mano con dolcezza, costringendomi ad aprire le palpebre. «Ed è tutto grazie alla nuova cura che stai mettendo al romanzo».
«Quindi mi stai dicendo che… più scrivo e meglio… più tu riuscirai ad acquistare umanità?» M’informai, incuriosita da quei nuovi sviluppi. Lo vidi annuire, con seguente ondeggiare di riccioli scuri e sorrisetto furbo.
«Vuoi farmi sentire cosa si prova con un bacio vero?» Chiese, con malcelata malizia.
«Non nella mia cucina», sentenziò la voce di Zayn, che si era appoggiato allo stipite della parete ad arco e ci guardava con cipiglio autoritario.
«C’è sempre un uomo che mi rovina la festa, non importa in quale universo mi trovi», borbottò Harry sbuffando. Scese dal tavolo con un agile balzo, agguantando una mela dal ripiano della frutta poco lontano e sparendo in salotto. Non prima di avermi lanciato il consueto occhiolino e mimato un “ne riparliamo dopo” in labiale. Mio fratello gli rispose con un verso di puro sarcasmo, passandosi una mano fra i capelli e facendosi strada verso i fornelli.
«Da quanto sei qui?» Gli chiesi, stiracchiandomi sulla sedia.
«Abbastanza da aver sentito tutto» rispose, armeggiando con il bollitore per prepararsi un tè.
«E… cosa ne pensi?» M’informai, sfilandomi gli occhiali da lettura e salvando gli ultimi progressi su Word. Zayn si prese qualche momento per riflettere, prima di rispondermi.
«Credo che abbia ragione. Alla fin fine, è lui che vive nei racconti che crei, non io. Immagino che ciò che dica sia nei suoi interessi, ma soprattutto nei tuoi» disse, aprendo una bustina di Twinings e lasciando a mollo il sacchetto nell’acqua. «Sai, quel demone riccioluto è molto più intelligente di quello che sembra. Non ci avrei scommesso nemmeno mezzo pound, però».
«Grazie!» Esclamò un’impertinente voce conosciuta dal salotto, con evidentissimo sarcasmo. Scoppiammo entrambi a ridere, colti dall’ironia del momento.
«Ehi, credevi che me li costruissi stupidi? Con quest’esempio magistrale che ho per fratello?» Gli domandai, mentre mi alzavo per stringerlo in un abbraccio.
«I tuoi esempi sono molto discutibili, Yasmin! Ti suggerirei di cercarne altri più efficaci!» Inveì nuovamente Harry, intromettendosi ancora nella conversazione.
Zayn ridacchiò, cingendomi la vita con le braccia e appoggiando il mento sul mio capo.
«Hai proprio ragione, sorellina. Come sempre».
 

 


Nota: Eccoci all'ottavo! Devo annunciarvi che ci stiamo approssimando alla fine, non manca ormai molto. In questo capitolo è molto facile rintracciare tutte le motivazioni che mi hanno spinta a posticipare la pubblicazione del seguito di questa storia, quindi prendetelo come il modo migliore di cui disponevo per spiegarvi tutto. Vi ringrazio infinitamente per l'accoglienza e per aver continuato a seguire l'intera vicenda! Ma soprattutto, il mio ringraziamento va a chi, vecchio o nuovo che sia, abbia avuto la costanza di arrivare a leggere fin qui (e magari mi avesse lasciato anche la sua opinione in merito, non so se possa andar tutto bene come prima o abbiate notato cose sulle quali ci sia da rimostrare, ecco)! Alla prossima e aspettatevi dei nuovi lavori in arrivo... molto molto presto
   
 
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