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Autore: ShadowsOfBrokenGirl    26/12/2014    1 recensioni
Non riuscivo a smettere di guardarli, mi trasmettevano calore, speranza. Erano il qualcosa che cercavo. Erano l’unica bussola che potesse guidarmi verso un porto di pace. Un’ancora in quella tremenda tempesta che stava avvenendo intorno a me. Dentro di me.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chocola Meilleure, Houx, Pierre Tempête de Neige, Vanilla Mieux
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un’ancora nella tempesta

Pierre

La stanza degli specchi


Appoggiai le spalle alla porta dietro di me. Respirai profondamente. Una volta. Due. Tre.                             
Tirai un pugno contro la dura anta di mogano.  

Era strano che mi fossi rifugiato proprio lì. Nel luogo che avevo più temuto da fanciullo. La stanza da cui tutti si tenevano alla larga. La stessa che mi aveva, tanti anni fa, messo di fronte alla mia stessa codardia.

La stanza degli Specchi.

Avevo , durante il mio soggiorno sulla Terra, visto la foto di una sala che portava lo stesso nome nel sontuoso palazzo francese di Versailles. L’aspetto era simile; l’una piuttosto sembrava il negativo dell’altra. Quella francese ricoperta di ottone splendente, quella degli Orchi di marmo nero come la pece. Il soffitto decorato da eleganti dipinti era sostituito, nella stanza in cui mi trovavo,  da un’anonima tinta scura e lucida.
Tuttavia i lampadari che illuminavano le due sale erano gli stessi. Del resto anche la forma allungata, che le faceva somigliare ad enormi corridoi era la medesima. Entrambe le pareti erano poi coperte da lunghi specchi, circondati da grossi archi barocchi di marmo grigio con le rifiniture in oro.  
Immaginavo però che lo scopo di quelle superfici riflettenti, nei due castelli, fosse diverso.
Nella reggia francese le dame potevano grazie ad essi ammirare le loro larghe gonne, appesantite da fiocchi, veli e strascichi ballare insieme a loro e ruotare ad ogni volteggio. Gli uomini potevano controllare lo stato delle loro parrucche, allora tanto in voga, e dei loro vestiti. Insomma rappresentavano un eco della magnificenza e della gioia che esplodeva nel salone dorato. I gioielli splendevano di più, le risate risuonavano maggiormente, l’allegria tintinnava il doppio. Tutto grazie a quel riflesso.

Il loro ruolo nella Reggia degli Orchi era un tantino diverso.

Alzai il braccio e tutti i candelabri si accesero, creando una scia dorata in tutta quella oscurità. Potei vederli quegli specchi deformanti, ricoperti da uno spesso strato di polvere. Essi non mostravano il presente, ciò che veniva posto di fronte a loro. Facevano vedere gli scheletri nell’armadio, i tormenti che scuotono ogni uomo di notte. Ciò che cerchiamo invano di nascondere, scappando da noi stessi. 

Se Luigi XVI avesse potuto vedere riflessi i suoi errori piuttosto che i suoi riccioli e le sue gote rosee, la sua storia si sarebbe conclusa diversamente. Probabilmente.

Avanzai lentamente di qualche metro e mi fissai di fronte al primo specchio. Scrutai il quadro che si era aperto davanti a me. Mi rividi un po’ più giovane a girare come un avvoltoio intorno ad una Chocola praticamente adolescente. Il suo sguardo era duro, ma le sue labbra tremanti mostravano come stesse per cedere alle mie lusinghe. Le mie dita le accarezzarono la morbida pelle del viso, facendola sussultare. Si arrischiò a guardarmi per un istante ed i nostri occhi si incontrarono.

-Allora ci penserai?-

-Ma io non so se voglio essere la Regina degli Orchi…-

Le accarezzai il mento e le sorrisi dolcemente, chiedendole di nuovo di pensarci. Lei annuì imbarazzata e la sua immagine si dissolse.

Udii un grido disperato alle mie spalle. Mi voltai di scatto e all’interno della superficie verticale affissa alla parete, che distava da me un metro, la rividi. Doveva avere sempre la stessa età, ma il suo aspetto era decisamente diverso. Sconvolta e amareggiata, gridava disperata una sola parola.

Vanilla.

La ripeteva con quanta voce aveva. Delle voci maschili la invitavano a più riprese ad arrendersi, ma lei gridava sempre più forte.

Vanilla. Vanilla. 

Alla fine i singhiozzi che aveva trattenuto fino a quel momento ebbero la meglio e la ragazza tacque. Si inginocchiò sull’asfalto scuro, coperto da un sottile strato di neve e cominciò a piangere a dirotto.


Quella scena mi distrusse più di quanto avrei potuto immaginare. Avevo sempre agito senza badare troppo alle conseguenze e adesso, invece, avevo visto quanta sofferenza avesse provocato una mia semplice decisione. Mi coprii le orecchie con le mani : non volevo udire le sue grida, la sua rabbia e disperazione. C’era una voce che tuttavia non ero capace di zittire, per quanto premessi i palmi contro le orecchie.

La mia coscienza.

Mi biasimava, mi accusava senza ritegno, mi chiedeva con quale coraggio riuscissi a sostenere di amarla.
Continuai a vedere la sua immagine per alcuni minuti, che mi parvero interminabili, fin quando non rividi solo una piastra scura.

Esitai, prima di muovere i piedi in avanti e affrontare il prossimo specchio. Ingoiai il groppo, che mi chiudeva la gola e respirai profondamente. Alla fine procedetti.

La prima cosa che mi colpì, nell' immagine riflessa dal passato indefinito, fu lo sguardo audace e coraggioso di Chocola. Non capii cosa sussurrassero le sue labbra, intento com’ero ad osservare il suo viso giovane e bello, illuminato da due smeraldi splendenti. Quando vidi comparire anche me stesso, riuscii a riconoscere la scena.

Mi vidi imprimere il mio dito contro le sue labbra e zittirla. Lei strabuzzò gli occhi e mi fissò sorpresa ed irritata, poiché avevo interrotto la sua tiritera contro di me. Le avevo detto che se ci avessero scoperto sarebbe stato un problema per me quanto per lei e l’avevo invitata a seguirmi in un luogo più tranquillo.
L'avevo presa allora per mano e condotta attraverso un passaggio nel muro in una serie di corridoi bui ed umidi fino alla torre. Durante tutta la nostra passeggiata lei si era guardato intorno con circospezione e sospetto, temendo che la stessi conducendo in una terribile trappola. Alla fine eravamo arrivati alla biblioteca circolare e l’avevo esortata ad accomodarsi su una poltrona impolverata e a dire quello che voleva. Le avevo offerto anche da bere, ma mi aveva rimproverato per la mia falsità. Aveva allora cominciato a  gridarmi contro un mucchio di parole di cui riuscii ad afferrarne solo alcune.
“Malvagio” “Vanilla” “Liberare”.


Ricordai che quel giorno ero particolarmente pensieroso. Glace difatti mi aveva detto, senza giri di parole, che una volta terminata la missione avrei dovuto sacrificarmi. Per quanto non avessi mai apprezzato particolarmente la mia vita, tuttavia mi era dispiaciuta l'idea di doverla abbandonare.

“Pierre, hai la stoffa del leader e nel mio futuro regno non c’è posto per due capi. Un solo sovrano può guidare gli Orchi e quello sono io. Devo necessariamente ucciderti, lo capisci? Tu e la tua ambizione mi sarebbero d’intralcio.”

Avevo annuito e me ne ero andato. Sarebbe stato inutile supplicarlo di cambiare idea, rassicurarlo che non avrei condotto alcuna rivolta. Sarebbe stato solo umiliante. Mi ero limitato ad inchinarmi e a rintanarmi nella mia stanza, dove avevo sferrato un pugno contro il muro per sfogare la mia frustrazione. Avevo ripensato a quando mi avevano accolto, istruito. A come avessero corrotto il mio animo immacolato di fanciullo con la nociva pece, propria solo dei peggiori criminali. Tutto questo solo per potermi usare e terminata l’opera, sbarazzarsi di me. Avrei voluto gridare e distruggere tutto e ancora adesso che ci ripensavo, la rabbia mi sconvolgeva. Tuttavia Chocola e la sua furia erano piombate nella stanza.


Mi ero accorto solo dopo, mentre Chocola in piedi nella biblioteca mi stava descrivendo il suo rinnovato coraggio, che le nocche della mia mano sinistra erano macchiate di sangue. Avevo scrutato la mano con attenzione e notato un taglio piuttosto profondo sul dito medio. La ragazza di fronte a me si era allarmata e aveva strappato prontamente un lembo della manica della sua veste per potermi bendare la mano. Avevo fissato i miei occhi nei suoi e allora avevo capito. Se c’era stato qualcosa sempre capace di rasserenare le folte tenebre che opprimevano la mia vita quella era lei.
Se c’era una persona capace di strapparmi sempre un sorriso, quella era lei.
Chocola con la sua goffaggine , con il suo enorme orgoglio e la straordinaria energia.
Avevo dunque ricordato quando trascorrevo a scuola la pausa pranzo a fissarla dalla finestra del mio salottino privato. Solo per poterla vedere gridare contro chiunque le capitasse a tiro, soprattutto il famiglio della sua amica. Avevo ripensato a quando avevo sperato che Glace scegliesse lei come nuova Regina perché il palazzo così scuro si sarebbe colorato di mille colori allegri, con la sua sola presenza. Ma forse gli Orchi avrebbero demolito il suo spirito.
Avevo riflettuto sul potere che avevo conferito a Glace : non avevo alcun potere decisionale, nemmeno sulla mia vita.
Data l’assurdità della cosa, avevo deciso di ribellarmi e prendere il controllo della mia esistenza.
Avevo allora zittito Chocola e le avevo chiesto di scappare insieme.
Via da Extramondo, dalle responsibilità, dalle paure, dall’infelicità.
Il tutto naturalmente preceduto e seguito da una lunga serie di smancerie.
Ebbene, doveva essere davvero terrorizzata all’idea di essere incoronata sovrana l'indomani (o follemente innamorata di me) perché accettò prima di quanto mi aspettassi.
Ci eravamo messi d’accordo con grande entusiasmo riguardo alla nostra fuga, fissata per la mattina successiva. Le avevo anche promesso che avrei liberato la sua amica, anche se in realtà non contavo di farlo. Volevo solo scappare. E della sorte di Vanilla non mi interessava nulla.

Perché non mi presentai?  

Questo mi chiesi, mentre mi voltavo e mi preparavo ad assistere alle immagini proiettate in un nuovo specchio. Tutto quello che vidi tuttavia, con mia grande sorpresa, fu il mio viso e la stanza in cui mi trovavo. Cominciai a domandarmi cosa avesse di sbagliato quello specchio e perché si comportasse … insomma da specchio! 
All’improvviso vidi apparire alle mie spalle un’indistinta sagoma in posizione supina, avvolta in un largo mantello. Mi voltai indietro e constatai che non c'era nessuno nella sala con me.
-Deve essere un'illusione dello specchio!- dissi, continuando a fissare quella figura.
L’invisibile mano di un pittore impressionista colorò l’oscurità retrostante con tante piccole macchie verdi, dando vita ad una rigogliosa foresta. L’immagine si chiarì progressivamente e divenne più nitida e quella donna misteriosa si rivelò essere Chocola. La vidi piangere lacrime amare e coprirsi il viso con le mani. La causa di tanta tristezza la conoscevo bene : non mi ero presentata all’appuntamento, dopo averle promesso di fuggire insieme.
Perché non mi ero presentato? Perché non avevo nemmeno preparato il bagaglio? Capii che non avevo mai creduto davvero di poter fuggire, non sapevo neppure se lo desideravo. Quel progetto era stata la follia di un attimo, scaturita da un momento di smarrimento. Nulla più.
Un’illusione che a lei però avevo descritto come realizzabile.

Mentre vedevo la sua frustrazione sullo sfondo, potevo osservare le ripercussioni che il senso di colpa provocavano sul mio viso, rimasto sempre in primo piano. Le scrutai con attenzione, fino a dover ammettere che erano nulle. La mia faccia era immobile quanto quella di una statua di marmo.
Come era possibile? Sentivo il mio cuore attanagliato dal senso di colpa, mi odiavo … eppure all’esterno sembrava che non mi importasse nulla!
Inorridito da quella scoperta, mi passai nervosamente una mano tra i capelli.
Finalmente la proiezione si dissolse e mi lasciò da solo di fronte a quell’uomo che ripeteva i miei gesti, ma non esprimeva le mie emozioni.
Mossi i miei piedi verso le ultime due prove e solo allora mi accorsi che un tremito mi scuoteva il corpo. Compii i gesti meccanicamente ed in un attimo mi ritrovai a rivivere un nuovo ricordo.

Riconobbi all’istante in quale giorno mi avesse catapultato lo specchio : la data del matrimonio di Chocola. Mi osservai sedermi sulla poltrona e rialzarmi dopo pochi istanti. Camminare nervosamente per la stanza e non trovare pace. Ricordai i pensieri che mi scuotevano il petto allora.
Avevo mentito per anni a me stesso, dicendomi quanto poco valesse per me quella ragazza e ripetendomi che era un capriccio, un capriccio nulla più.
In quel giorno però avevo dovuto ammettere che la amavo.
Perché ero così turbato altrimenti al pensiero che stava per essere data ad un altro? Che mai più sarebbe stata mia?
Mossi il capo in segno di assenso, mentre l’uomo allo specchio sussurrava incredulo e affranto : “Come è possibile?”.
Lo vidi afferrare la giacca dalla sedia e uscire a gran velocità dalla stanza.

Mi voltai e osservai l'ultima piatta superficie. 

Chocola mosse alcuni passi, si avvicinò a me. Mi fissò così intensamente che mi chiesi se potesse davvero vedermi.
Capii solo dopo un po’ che il mio specchio comunicava con quello appeso nella stanza di Chocola. Pensai che fosse un modo privilegiato , seppur singolare, di osservare la scena.

Quando fece qualche passo più indietro potei vedere i suoi fianchi stretti da un bustino che la stringeva fino a coprirle i seni e che lei, come dimostrato da suoi innumerevoli tentativi di allentarne i lacci, non riusciva a tollerare. Si voltò e osservò il suo abito da sposa con un sospiro triste.
Pensava a sua madre che non poteva essere presente il giorno delle sue nozze? Le mancava la sua migliore amica?
Vanilla infatti, in un’altra situazione, sarebbe stata seduta lì sul materasso a ridere e piangere insieme a lei, esprimendo a parole le emozioni che la sposa non riusciva ad esplicitare : gioia, trepidazione ed eccitazione.
Ma in quella stanza non c’era posto per la gaiezza e la commozione, solo per i tormenti ed i rimpianti.

Forse pensava a me?

Afferrò il suo vestito da sposa e ne osservò il corpetto bianco, decorato da decine di ricami dorati che lo coprivano quasi completamente e la larga e lunga gonna bianca. Infilò le gambe in quel mare di tulle e appoggiò il corpetto sul suo petto tenendolo fermo con il braccio. Fece infine vagare la sua mano per tutta schiena alla ricerca della zip, che le sembrava però irraggiunbile.
Mentre stava imprecando contro se stessa per non aver richiesto l’aiuto di nessuna domestica, sentì una mano poggiarsi sulla sua e guidarla fino alla cerniera. Con grande calma quel pilota invisibile la aiutò a chiudere il vestito.
Chocola, che alla comparsa di quella presenza misteriosa era sbiancata, si voltò e lanciò un’occhiataccia al suo visitatore.
-Che ci fai qui, Pierre?-
-Volevo congratularmi con la sposa, non potevo?-

Notai che sfacciataggine e parlantina non mi erano mai mancate.

-Ok, ora che mi hai fatto gli auguri puoi anche andartene, no?- esclamò lei, dandomi le spalle e continuando a truccarsi.
Passò il rossetto sulle labbra nervosamente, continuando a fissare la mia immagine nello specchio e attendendo una risposta che non arrivò.
Quando tornò a guardare il suo riflesso notò le sbavature vermiglie intorno al labbro inferiore ed imprecò.
Io allora mi avvicinai e le offrii un mio fazzoletto di merletto per potersi ripulire. Lo guardò con sospetto ed esitò a prenderlo.
-Mi sorprende la tua gentilezza dato che nel nostro ultimo incontro non ce ne è stata traccia. Anche se forse definirlo incontro è una parola grossa, dato che non ti sei nemmeno degnato di venire.-
-Mi dispiace- sussurai, abbassando il capo.
-Cosa?- chiese allibita.
-Sono pentito. Ora sono davvero pentito. Adesso che penso che tra qualche minuto giurerai di amare Houx, che questa notte sarai sua, che sto per perderti per sempre…io…divento pazzo di gelosia!-
-Se tu avessi compiuto scelte diverse, forse adesso mi starei preparando per sposare te!-mi rimproverò.
Io le accarezzai la guancia e mi avvicinai a lei e al suo viso. -E tu lo avresti preferito?-
Scuotè il capo, ma non mi impedì di avvicinarmi a lei e baciarla. Le sue labbra tremanti non ci misero molto a ricambiare il bacio e le sue braccia mi cinsero i fianchi. La sollevai e la feci adagiare dolcemente sul letto. Le ricoprii di baci la fronte, le guance, il collo, ribadendo ogni istante quanto dolcemente e sinceramente la amassi. Le sue gote si bagnarono di lacrime dolci amare. Tra un’effusione e l’altra mi lasciai scappare delle parole troppo impegnative, eccessivamente vere seppur macchiate di falsità.

-Vorrei poterti portare via con me…-

-Perché non lo fai allora?Cosa te lo impedisce?-

I suoi occhi fissarono i miei intensamente, scrutandone ogni sfumatura alla ricerca dei pezzi della mia anima. Ma le mie pupille proprio come la mia bocca erano mute e impenetrabili.

-Sai Pierre, fino ad oggi credevo di essermi illusa, di esserti indifferente. Oggi ho capito che tu mi corrispondi, ma che sei troppo codardo per prendere una decisione in merito. Mi ami tanto da impazzirne, ma non abbastanza da dimostrarmelo. Non è così?-

Mi afferrò il colletto della camicia e lo scosse, attendendo una reazione da parte mia che non arrivò. Mi alzai e farfugliai che era arrivato il tempo di andare.

-Non puoi lasciarmi così. Non puoi venire qui a dichiararmi il tuo folle amore e poi lasciarmi. Come pretendi che io possa scendere a sposarmi con Houx adesso? Perché sei venuto oggi? Perché non mi lasci in pace una volta per tutte? Perché ogni volta che mi sento sicura, vieni qui e fai crollare le mie certezze?-

Le promisi che non avrebbe ricordato nulla del nostro incontro e le feci un incantesimo della memoria, mentre mi fissava stranita. Due istanti dopo era di nuovo di fronte allo specchio a meravigliarsi delle sbavature del rossetto e a pulirsi con un fazzoletto che non aveva mai visto.
Nessuno poteva raccontarle di quanto era accaduto, eccetto il mobilio che la circondavano. Se solo quegli oggetti lavorati avessero avuto il dono della parola, le avrebbero gridato di fermarsi, mentre con in mano un bouquet di rose rosse usciva dalla porta e scendeva al piano di sotto.


La superficie dell’ultimo specchio era tornata scura e vuota, eppure non c’era in me nemmeno una traccia del sollievo che credevo sarebbe derivato da questo tormento. Le luci dei candelabri si spensero l’una dopo l’altra, un silenzio tombale precipitò.
Restai inginocchiato in quella grande sala vuota a fissare il nulla, mentre le parole di Chocola mi rimbombavano nella testa. E i sensi di colpa mi uccidevano. Infilai la mano in tasca e ne tirai fuori un sacchetto di velluto viola da cui estrassi un pugnale. Ne osservai il manico riccamente decorato e la lama lucida. Ricordai così la ragione che mi aveva spinto a rifugiarmi in quella sala.
“Questo bambino che sta per arrivare è vista come una speranza agli occhi del popolo di Extramondo e ogni luce di ottimismo deve essere annientata. Lo ucciderai. Appena sarà nato lo ucciderai.”
Questi erano stati gli ordini di Glace.
Io, che avevo già inflitto tanto dolore a Chocola dovevo ora darle quello più tremendo. La morte di un figlio.
Impugnai l’arma con la mano tremante e la strinsi forte. Una lacrima cadde sulla lama. Ne traccio l’intera lunghezza e poi si asciugò sul pavimento.

But please believe when I said that I love you
 

Buon Natale...anche se in ritardo... come il capitolo xD Spero che i miei lettori siano ancora vivi e che possano apprezzare questo capitolo... spero che sia valsa la pena di aspettare. :D Alla prossima!

 
 
  
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