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Autore: Sheylen    31/12/2014    0 recensioni
A tutti è capitato di scegliere la strada sbagliata, di credere ad una menzogna, di seguire la massa per convenienza. Anche Ras ha fatto questi errori, quando aveva 21 anni e viveva nel suo Paese. Ma il rimorso e l'Esercito l'hanno costretto a scappare, prima verso il Congo ed ora in Sudan. Sono passati sette anni dal suo grave errore, ma il destino è un ciclo: ti ripresenta le tue paure proprio quando credevi di essere fuggito abbastanza lontano da non rivederle mai più...
Prima classificata al contest "AAA Protagonista cercasi" di Miriam_Kasinaga
Vincitrice dei premi "Miglior Film" e "Migliori effetti speciali" al contest Oscar EFPiani 2015 di Frandra
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il cammino del deserto.
 



La voce di Labaan era così profonda da risultare spesso difficile da capire e il suo accento del Nord di certo non aiutava. Non aveva mostrato nessun dispiacere alla notizia della morte di Ghali, anzi mi aveva rimproverato per esserci fatti scoprire dai miliziani. Aveva subito chiesto notizie del denaro, e sapere che anche il Quad si era rotto doveva averlo seccato parecchio. Non si era però arrabbiato troppo, dopotutto era solo una vettura rubata e malmessa. La cosa che più lo indispettiva era non avere ancora tra le mani il suo mezzo milione di dollari.
Chiusi la telefonata con un’insopportabile emicrania, mentre Amin di avvicinava interdetto.
‒ Forza, vuoi salire da solo o devo caricarti su di peso? ‒ gli domandai, facendogli cenno di sbrigarsi.
Il ragazzino si arrampicò ubbidiente per prendere posto dietro la mia schiena, mentre mettevo in moto il Quad.
‒ Sei sicuro di riuscire a guidare con una sola mano? ‒
‒ Alla velocità a cui andremo non dovrebbe essere un problema, a meno che a qualcuno non venga in mente la geniale idea di buttarsi sulla sabbia… ‒ risposi indispettito, notando un timido sorriso sul viso di Amin.
L’espressione del ragazzo mutò rapidamente quando si accorse della direzione in cui stavo andando.
‒ Abbiamo sbagliato strada, Khartoum è nella direzione opposta… ‒
‒ Non andiamo più a Khartoum.‒
‒ Ma Labaan… ‒
‒ Labaan pensa che torneremo tra minimo due giorni, crede che il Quad sia rotto e che siamo costretti a percorrere il sentiero a piedi. E deve fidarsi della mia parola perché nella fretta di procurarci un mezzo per farsi consegnare i soldi non ha pensato di attaccare il solito microchip alla carrozzeria. ‒
Amin rimase in silenzio per qualche, elaborando le informazioni che gli avevo fornito.
‒ Andiamo al deposito, vero? ‒
Annuii.
Durante il primo tragitto sul Quad, Amin si era lasciato sfuggire di aver guardato dentro ad una delle tante casse che Labaan custodiva nei garage e di aver trovato enormi confezioni di barrette di cereali.
Da quel momento avevo iniziato a ricostruire i pochi dati che avevo: consegne settimanali, cibo a lungo conservazione di scarsissima qualità, quantità spropositate di denaro in pagamento.
Labaan era uno dei coordinatori dei mercanti di uomini. Spedivano fuggiaschi verso la Libia, fornendogli quel po’ di cibo necessario per la sopravvivenza e inadeguati mezzi di trasporto in cambio di altissime cifre.
Viaggiammo tutto il giorno e buona parte della notte grazie alle taniche di benzina che ci eravamo portati dietro dalla Jeep.
Ci fermammo verso le quattro del mattino per una breve sosta.
Ero confuso, non stavo a sentire i discorsi che proponeva Amin, ma quando gli chiesi di passarmi una bottiglia d’acqua mi immobilizzai.
Il ragazzino mi stava tendendo l’acqua, aspettando che la prendessi, e mi guardava.
Mi persi nei suoi occhi. Neri, profondi come un pozzo, con le ciglia un po’ troppo lunghe per un maschio.
Mi mancò il respiro.
Le ultime tesserine di un puzzle che mai avrei immaginato si sistemarono, mentre notavo per l’ennesima volta la strana smorfia delle labbra di Amin.
Ricordai la propaganda razzista che si era diffusa nella mia etnia, le lunghe arringhe degli estremisti, la droga che girava e le menti che si spegnevano, mentre ci tramutavamo lentamente in bestie. Ricordai uno ad uno i Tutsi che avevo ucciso con il mio machete. Ricordai quell’uomo che contraeva le labbra in una strana smorfia, che mi infastidiva e su cui avevo infierito anche dopo che il suo cuore aveva smesso di battere. Ricordai la fuga dal Ruanda quando ero tornato in me, quella fuga che mi aveva condotto prima nella Repubblica Demostratica del Congo, da Ghali, e poi lì in Sudan, da quel ragazzino che non smetteva un attimo di parlare e che aveva quella smorfia che attirava la mia attenzione.
Rimasi immobile, mentre nella mia mente di sistemava l’ultima tessera del puzzle.
Avevo già visto gli occhi di Amin, tanti anni prima, e li avevo amati.
‒ Che ne è stato di tua madre? ‒
Il ragazzino esitò qualche istante, spiazzato da quella domanda a bruciapelo.
‒ L’hanno uccisa a bastonate, dopo che era riuscita a buttarmi in un fiume e a mettermi in salvo. Sai ogni tanto sento ancora la sua voce che mi chiama, che mi dice che andrà tutto bene… ‒ mi confidò.
Era morta. La bambina con gli occhi da cerbiatta era morta. E io le avevo ucciso il marito. E suo figlio mi stava passando una bottiglia d’acqua.
 
 
◊◊◊◊
 
Camminavo nel deserto da quando Amin si era addormentato. Gli avevo lasciato un biglietto, che avrebbe letto quando sarei già stato lontano.
Inspirai l’aria del deserto, rendendomi conto che ormai faceva parte di me. Funziona così nel Sahara, o impari a diventare un po’ come lui, o lui ti prende con sé, come aveva fatto con Ghali.
Sapevo che Amin era abbastanza sveglio da capire l’uso che avrebbe dovuto fare di tutti quei soldi. Dopotutto, erano sette anni che se la cavava da solo. Aveva viaggiato per centinaia di chilometri per scappare dal nostro Paese, e il destino aveva voluto che incrociasse la strada dell’assassino di suo padre.
Soffocai una risata amara.
Avevo augurato tutto il bene del mondo a quella donna, e lei lo aveva avuto. Poi il razzismo, l’invidia e la droga mi avevano convinto a distruggere la sua felicità, per sempre.
Sì, Amin avrebbe usato bene quei soldi. Sarebbe riuscito a scappare dal Sudan, raggiungere la Libia e magari l’Italia e poi l’Europa.
Non avrebbe lavato via le mie colpe, come l’acqua non avrebbe lavato via il sangue di Ghali dalla sabbia del deserto. Ma quando si è solo uomini, bisogna fare quello che si può. Che sia battere il ritmo su un bongo costruito con vecchi rifiuti, raccontare la propria storia in mezzo al deserto, o permettere a un ragazzino di scappare con mezzo milione di dollari.
Pensai a come avevo sentito suonare il bongo da Amin, e sorrisi.
“ Non preoccuparti: è in buone mani” pensai, rivolgendo al mio migliore amico il mio ultimo pensiero.
  
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