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Autore: slytherin ele    04/01/2015    0 recensioni
Tyler Delarto è un poliziotto, cinico nei confronti della vita. Poi tutto cambia, il licenziamento lo colpisce come uno schiaffo e inizia la sua nuova vita forse migliore o forse... semplicemente diversa.
Storia partecipante al contest a turni: "Hell's Writing Kitchen" indetto da gufetta 1989.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tyler Delarto era una cattiva persona… anche prima.

Era stato fin troppo semplice convincere Jack ad aiutarmi, tanto che per un po’ di tempo pensai che volesse incastrarmi.

Con il passare dei giorni capii che non sarebbe successo: quel ragazzo sembrava avere una totale devozione nei miei confronti, forse persino una cotta. Ci volle poco ad ammettere a me stesso che, in una situazione differente, mi sarei divertito volentieri con lui; non misi mai in atto quel pensiero, c’era troppo in ballo e non potevo rischiare.

Gotti fu molto felice di aver trovato il suo personale infiltrato al 14 e cominciò a trattarmi come se stessi lì da sempre, come uno dei più fidati, come un membro della famiglia.

Il fatto mi fece piacere e paura al tempo stesso: non era sicuro di voler rimanere per sempre dall’altra parte, il Bel Paese e i racconti di mio padre mi mancavano, ma non ero certo che il miglior modo per emularli fosse far parte della Mafia.

Era inutile farsi domande complicate, che non avrebbero avuto risposta, le cose andavano bene in quel momento, il minuto dopo il pavimento avrebbe potuto sgretolarsi sotto i miei piedi, senza che io potessi far nulla per salvarmi. Chissà, un giorno a Gotti non sarei più piaciuto…

Lo stupore che provo è qualcosa di assimilabile alla paura, quando uno degli scagnozzi di Gotti mi si para davanti e dice: “Il capo ha chiesto di te.” Tono freddo e ghigno fin troppo audace per uno che sa che potrei ucciderlo con due mosse.

È il 12 febbraio o sbaglio? Forse, quella bottiglia di Rum intera… è stata troppo anche per me!

Di per sé non è una circostanza anomala, il capo mi fa chiamare in continuazione senza preavviso, però… solo ieri mi ha detto di non presentarmi la mattina del lunedì.

Inquieto e un po’ impaurito, mi stringo nel cappotto lungo nero e sistemo la pistola nei pantaloni, dal taglio economico, neri anch’essi. Passo davanti a una piccola vetrina, separato da una distanza esigua dal picciotto: i capelli sono cresciuti parecchio in questi pochi mesi, il taglio ordinato da accademia militare li ha abbandonati e ora mi arrivano quasi alle spalle, neri come la pece, sono da sempre una caratteristica della mia famiglia; gli occhi, blu come la notte, sono gli stessi di mia madre. Tendo a non guardarmi spesso allo specchio: vedrei un connubio delle due persone che più amavo, entrambe morte troppo presto.

Quando arriviamo in Mott Street sono ormai le dieci e il mio accompagnatore non ha detto una sola parola sul perché io sia qui, non ha aperto bocca dalla frase iniziale a pensarci bene, ma forse è meglio così. Inizio quasi a chiedermi se Gotti non ami giocare dei brutti tiri ai suoi sottoposti per farsi due risate…

Capisco che non può essere, quando vengo portato in una stanza al terzo piano, invece che nello studio del pian terreno, di solito adibito ai ricevimenti.

“Siedi, Tyler.” È Gotti il primo a palare, appena entro nella camera. Come prevedibile, è l’unico ad essere seduto, dietro una sontuosa scrivania, dietro di lui ci sono due uomini: il suo consigliere, che ho imparato a conoscere pur non sentendone la necessità e un tale, Fabian forse, guardia del corpo come me. In più c’è un altro uomo: mi è stranamente familiare, anche se non saprei dire il perché. Devo fissarlo un attimo di troppo, poiché ghigna maligno, lanciando uno sguardo alla sedia che si trova proprio davanti al capo.

“Non sei qui per essere accusato di nulla, non avere paura, Tyler.” Gotti riprende a parlare, mentre mi accomodo, rigido sulla sedia e abbozzo un sorriso accondiscendente che, ne sono consapevole, esce tirato e finto. “Vogliamo solo capire.” Il tono con cui il capo dice l’ultima frase mi fa passare un brivido freddo lungo la schiena.

Non so ancora come né perché ma potrei morire da un momento all’altro!

Taccio, non sapendo da cosa difendermi; quale accusa grava sulla mia testa?

LoCascio prende la parola: “Ti abbiamo fatto seguire in questi mesi, Delarto. La sicurezza della famiglia prima di tutto, lo sai.” Mi lancia un’occhiata, tutt’altro che rassicurante, prima di iniziare a camminare per la stanza. Gotti annuisce, mesto, e scuote la testa più volte.

“Clark Velio ci ha riferito di alcuni tuoi strani movimenti.” Il consigliere fa un cenno all’uomo in piedi, vicino a me; io lo squadro e lui sembra diventare piccolo piccolo nel tentativo di scomparire sotto l’occhiata inceneritrice che parte dai mei occhi.

La consapevolezza di essere a conoscenza di quello che stanno insinuando si espande veloce in tutto il mio essere. Ora capisco perché quell’uomo non mi era nuovo!

Deve aver preso la lettera… rifletto tra me e me, pensando ad una scusa da propinargli.

Non voglio metterli in pericolo, non è colpa loro. Ragiono veloce ma nulla mi viene in mente: raccontare la verità sembra la prospettiva migliore, forse quella che può salvarci tutti e tre, in realtà quattro, dalla morte.

“Ci puoi spiegare per quale motivo, ogni 11 del mese, mandi dei soldi a una certa Mary Oldein e al figlio Christian.” Chiusi gli occhi, espirando forte: sapevano già tutto o quasi. Forse quel quasi era persino peggio, dalle loro facce si può intuire che cosa pensino: tradimento, tentativo di distruggerli dall’interno.

Prendo un respiro. “Ho ucciso il marito.” Sputo fuori, facendo più orrore a me stesso che a loro: è la prima volta che lo ammetto ad alta voce, senza sconti o giri di parole, solamente per ciò che è successo.

Gotti sbarra gli occhi, poi sorride compiaciuto. Io sento di odiarlo in quel momento. Ho distrutto una famiglia e lui ride.

Continuo a raccontare, accorgendomi che aspettano senza voler intervenire. “Quando ero ancora in polizia, ci fu una sparatoria. Ne rimase coinvolto… per caso.” La pausa che faccio non convince me, figurarsi gli altri quattro uomini, abituati a mentire, più di quanto mai lo sia stato il sottoscritto. LoCascio mi squadra, intimandomi di continuare e per un attimo mi sembra quasi di sentire la fodera di una pistola venir sbottonata, dietro di me.

“In realtà no. Mi stava cercando, era convinto che avessi messo incinta la moglie e cercava la rissa, trovò la morte, mettendosi in mezzo tra la pattuglia e alcuni criminali che stavano rapinando una banca.” Sospiro, appena finisco di parlare, come se una minima parte di un macigno si fosse disciolta in quell’istante. Nessuno di loro sembra soddisfatto e io non capisco.

“Di chi?” chiede Gotti, domandando quello che tutti e quattro sembrano chiedersi.

“Cosa?” mi esce naturalmente come un’esclamazione, quasi con un tono aggressivo. Sto per scusarmi, ma il capo non fa una piega e riprende a parlare.

“Se non è tuo, di chi è? Il bambino. Perché era convinto che fossi tu la persona che cercava?”

Incrocio gli occhi di Gotti e, per la prima volta, mi sento suo pari e, pur non sapendo il perché, non ho più paura.

“Mio fratello. Uno stronzo che torna solo quando ha bisogno.”

“Vi assomigliate?”

“Fisicamente.” Dico quella parola con un enorme disprezzo. Odio essergli paragonato.

Gotti sorride, poi ghigna e infine scoppia in una fragorosa risata. Rimango basito ma resto immobile, chiedendomi che cos’abbia quell’individuo al posto del cuore.

“Quella povera donna: marito morto, un figlio di soli quattro anni e un bastardo in arrivo.” Si alza dalla sedia e mi viene in contro. M’irrigidisco, quando mi batte una mano sulla spalla e dice ancora: “Sei generoso ad aiutarla! In fondo, però, quel bimbo sarà anche parte della tua famiglia: tuo nipote!” Sforzo un sorriso in risposta, mentre intorno a me l’atmosfera diventa sempre meno fredda.

 

“Ti direi di tornare a casa, ma già che sei qui… parliamo del Distretto 14 e di che cosa può fare per noi il tuo amico.” Rabbrividisco per il tono che utilizza e li vedo sghignazzare tutti in contemporanea.

E mi pento di aver messo di mezzo Jack e capisco che devo essere disposto, ora più che mai, a dargli qualcosa in cambio.

 

 

   
 
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