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Autore: Jump And Touch The Sky    12/01/2015    0 recensioni
-"Per cui, che aveva fatto? La prima cosa che le era venuta in mente, la cosa più intelligente che avrebbe potuto fare... Aveva scritto una letterina a Babbo Natale."-
Uno scherzo cretino. Una studentessa disperata. Una reputazione da salvare. Una strana letterina di Natale. Una serie di fortunate coincidenze. Il Natale di Jared forse non sarà tranquillo come spera...
Genere: Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo II


20 dicembre, Parigi

Jared aprì lentamente gli occhi. Davanti a lui trovò solo le lenzuola immacolate sotto le quali era sprofondato. Sbadigliò e si tirò su stiracchiandosi. La stanza di quell’albergo parigino in cui alloggiava era così ordinata, quando era arrivato... Fiori freschi in un vaso sul tavolinetto al centro della stanza, non un capello fuori posto, asciugamani puliti impilati ai piedi del letto...
E adesso era quasi il caos.
La valigia aperta sul pavimento, parecchi vestiti ripiegati alla meglio ammucchiati sul tavolo, fogli sparsi in giro. E per fortuna che quella notte l’aveva passata dormendo, altrimenti sarebbe stato molto peggio.
Si mise a sedere sulla sponda del letto, stropicciandosi gli occhi.
Stupido jetlag maledetto...
Almeno per quel giorno avrebbe potuto riposarsi. Era arrivato apposta in anticipo, per avere una giornata libera e potersi godere Parigi. Anche se era dicembre e faceva dannatamente freddo. A Los Angeles sembrava primavera. Era sempre così quando viaggiava d’inverno, sempre.
Ma in fin dei conti, il freddo non gli aveva mai impedito di fare quello che voleva. Era sopravvissuto al tour mondiale con la band... In Russia sì che faceva freddo, eppure i concerti erano stati sempre eccezionali. E non solo quelli.
Quando uscì dall’albergo, si accorse con suo grande sollievo che era meno freddo di come si aspettava.
Si avvolse attorno al collo la sua sciarpa a righe e s’incamminò lungo l’ampio viale dove si trovava l’hotel.
Pranzò in un bistrot lungo la strada. Stranamente quella mattina nessuno lo riconobbe, a parte un paio di Echelon che gli chiesero una foto per strada. Sì, era proprio una bella giornata.
Il suo umore cambiò immediatamente, appena si accorse che fuori aveva iniziato a piovere.
Pagò il conto e corse fuori dal bistrot, dirigendosi il più velocemente che poteva verso l’albergo.
Purtroppo per lui, a metà strada lo prese un acquazzone micidiale.
Imprecando in tutte le lingue che conosceva, Jared si riparò sotto il tendone di un negozio, indeciso sul da farsi. Aspettò per qualche minuto che la pioggia si placasse, ma la quantità d’acqua che veniva giù dal cielo era sempre maggiore.
Qualcuno ce l’aveva con lui. Sì. Era per forza così.
-Ma porc...- Fu allora che Jared vide un taxi che si avvicinava. Non ci pensò due volte: saltò fuori dal suo riparo e fermò la vettura agitando le braccia come un naufrago che vede arrivare una nave dopo dieci giorni. Il taxi accostò e lui salì di corsa.
–Piove, eh, monsieur?- fece il tassista, che sembrava alquanto divertito. Al contrario di Jared, zuppo dalla testa ai piedi.
-Che spirito di osservazione... oserei dire che non le sfugge niente, mon ami.- borbottò lui, acido, stringendosi nel cappotto bagnato.
Mentre lo portava a destinazione, il tassista non faceva altro che fargli domande, alle quali Jared rispondeva a mezza bocca, troppo impegnato a pensare al freddo che sentiva, bagnato come un pulcino. Si sentiva umide persino le ossa. Cominciava quasi a pentirsi di essere andato a Parigi, tutto il suo buonumore era scomparso.
-Siamo arrivati, monsieur!- Jared accolse quella frase come una benedizione. Pagò il tassista e fece per scendere. Aveva magicamente smesso di piovere, adesso che era arrivato a destinazione in taxi. Ovviamente.
Fece per scendere dalla macchina, quando gli venne in mente che forse un passaggio avrebbe potuto fargli comodo anche la mattina dopo, specialmente in condizioni meteo avverse.
–Quanto vuole per venirmi a prendere domattina verso le dieci proprio qui davanti?- chiese.
Il tassista si voltò. –Del prezzo parleremo domani. Alle dieci in punto sarò qui.
Aveva un’espressione bonaria, un che di familiare.
-Ci siamo già visti da qualche parte?- fece Jared, esitando a scendere.
L’uomo si grattò la folta barba bianca con aria pensierosa, scrutandolo. –Non credo proprio, monsieur.- rispose. Jared accennò un sorriso di cortesia, salutò e finalmente scese, chiudendosi dietro la portiera ed entrando il più in fretta possibile nell’albergo. Doveva asciugarsi, cambiarsi e trovare qualcosa da fare. La sua bella giornata libera era rovinata.

***
20 dicembre, Italia

Valentina chiuse la valigia e la rimirò con le mani sui fianchi, soddisfatta. Non era da lei riuscire a chiuderla così facilmente. Significava o che aveva finalmente imparato a piegare decentemente i vestiti o, più probabile, che l’aveva riempita troppo poco.
A giudicare dal peso, però... forse aveva imparato a piegare i vestiti.
La trascinò in soggiorno e l’abbandonò davanti alla porta.
-Ghe fai?- chiese Aurora, che si era appena alzata, uscendo dal bagno ancora intenta a lavarsi i denti.
-Parto.
-E dofe fai? In Alafka, alla fine ti fei defifa?
Valentina le lanciò un’occhiata dall’alto in basso, altezzosa. Aurora la guardò storto, continuando a spazzolarsi i denti.
-Vado a Parigi, mia cara!- annunciò la prima, in tono teatrale.
La sorella non fece una piega. –A fare ghe?
-A catturar... cioè... partecipo a uno stage di francese.
-Stage di franfefe? E v’è bifogno ghe gi vai fino a Parigi?
Valentina sbuffò, controllando l’ora sul display del cellulare.
-Senti- disse, ficcandoselo di nuovo in tasca e infilandosi la giacca a vento: -è la mia unica occasione per salvare la mia reputazione e per avere il piacere di sapere che i miei ex-amici ricattatori si mangeranno il proprio fegato spalmato sui crostini per il pranzo di Natale. Non posso sprecarla.
Aurora la guardò perplessa, con lo spazzolino in bocca.
Valentina sbuffò di nuovo.
-Jared è a Parigi. Io vado a Parigi.
-Aaaah, ora capifco...- esclamò Aurora, annuendo. L’altra mise su un’espressione compiaciuta, contenta di essere stata compresa. -...e gome penfi di gonvingerlo a venire qui?- proseguì la prima, tranquillamente.
La faccia di Valentina si fece immediatamente scura. –Non ne ho idea, ma in qualche modo farò! Dopotutto, tutti gli uomini hanno un prezzo, lui ce l’avrà sicuramente!- rispose, seccata.
Aurora abbozzò un sorrisino.
-Peccato che con tutti i foldi che ha il fuo preffo farebbe ficuramente troppo alto per te...
-Senti- Valentina divenne paonazza per l’indignazione: -le prossime vacanze di Natale col cavolo che le passo a casa. Hanno fatto bene mamma e papà, che si sono andati a fare un viaggetto. Adesso ci vado anche io e tu resti a casa da sola, gne gne gne, ti sta bene!- sbottò, tirando su di scatto la lampo della giacca e puntualmente prendendocisi in mezzo i capelli.
Aurora si fece seria e la minacciò con lo spazzolino, grondante dentifricio.
-Okay, fai quello che ti pare. Ma! Uno, non metterti nei guai. Due, non finire sul lastrico. Tre, non provare a stirarti le camicie da sola, non sei in grado.
-Da quando in qua sono le sorelle minori a fare le raccomandaz...
-Con una sorella maggiore come te, è inevitabile.
Valentina si morse un labbro, senza replicare.
Aurora tornò in bagno. –Bon voyage, e che Santo Tomo sia con te!- esclamò, col rumore dell’acqua corrente come sottofondo.
Fu così che Valentina partì. Aveva trovato un volo “last-minute-low-cost” per Parigi senza fatica, si era prenotata una stanza in un albergo –economico- in centro e se qualcuno avesse chiesto lo scopo del viaggio, avrebbe tirato fuori la scusa dello stage –al quale non aveva tuttavia nessunissima intenzione di partecipare.
Il viaggio fu tutt’altro che tranquillo. O meglio, lo sarebbe stato, se solo la mente di Valentina non fosse stata costantemente tormentata dal pensiero dell’impresa impossibile a cui stava andando incontro.
Prima doveva trovare Jared, poi doveva avvicinarlo, poi doveva riuscire a parlarci, poi doveva convincerlo a seguirla... infine doveva prepararsi alla sconfitta e prenotare un volo per l’Alaska.
Però, almeno si sarebbe fatta un viaggetto a Parigi.
E avrebbe parlato con Jared. Forse avrebbe anche dovuto rapirlo, ma dettagli.
Arrivò a destinazione quella sera. Una sera molto piovosa.
Non è che ho sbagliato volo e sono finita a Londra? pensò Valentina, in piedi fuori dall’aeroporto con il trolley a fianco e il bagaglio a mano a tracolla.
-Taxi!
I taxi erano costosi, ma non aveva altra scelta. E forse, con un pizzico di fortuna, avrebbe raccolto qualche informazione utile. Salì in macchina, indicò la destinazione al tassista, poi iniziò una specie di terzo grado. Purtroppo per lei, il tassista non sapeva niente di niente.
Che ti aspetti da un francese smilzo che puzza di fumo, col pizzetto, e dotato di un alquanto strano senso dell’umorismo, dopotutto?
Si disse, mentre pagava la corsa, per consolarsi.
Appena il taxi fu ripartito, Valentina si voltò verso l’albergo dove avrebbe alloggiato. Meglio di tanti altri in cui era stata spedita in gita scolastica durante la sua gloriosa carriera di liceale. Lanciò un’occhiata all’altro lato della strada, dove, quasi a mo’ di presa in giro, sorgeva un elegantissimo hotel a cinque stelle e le scappò una risata. Forse, in un universo parallelo, avrebbe potuto permettersi una cosa del genere, e chi lo sa, magari non avrebbe neppure dovuto faticare tanto per trovare Jared.
Tutto sommato quello che le era toccato non era male, lei era una che sapeva accontentarsi. E poi, in quel momento le interessava solo la sua missione.
Fece due chiacchiere con la ragazza alla reception, con le cameriere... Fortunatamente per lei il francese non era un problema. Era sicura al cento per cento che almeno una di loro sapesse qualcosa. D’altra parte, pettegole erano pettegole, con tutta probabilità erano anche informate.
-Ah, quell’americano! Certo che lo so!
Al sentire quelle parole, gli occhi di Valentina s’illuminarono. C’era ancora una speranza.
-Meraviglioso! Sai, sono una sua grande ammiratrice, sarei contenta d’incontrarlo, anche solo per un autografo. Tu mi capisci, no?- spiegò l’italiana, fingendo comunque una certa indifferenza.
La cameriera, una tipetta bionda che avrà avuto su per giù la sua età, ridacchiò con aria lievemente stupida.
-Certo... siamo tutte sulla stessa barca, noi fan!- rispose. Valentina si sforzò di ridacchiare a sua volta, ma aspettava con impazienza di sentire quello che la cameriera aveva da dirle.
-Una mia cara amica, Corinne... sai, ci siamo conosciute a scuola, che lavora presso l’hotel qui di fronte...- attaccò quella. Valentina si sforzò di ascoltarla, ma già dopo venti secondi di digressione dall’argomento Jared all’argomento Corinne, il suo cervello aveva smesso di registrare le sue parole, catalogando il tutto come “non importante”.
-...il signor Leto dovrebbe trovarsi domattina verso le undici presso lo studio fotografico di Jean Paul, che è il cugino di una carissima amica del ragazzo di sua sorella, che si è trasferita in Germania da un paio d’anni e...- Solo allora il cervello di Valentina riprese a funzionare. –Ah, ma davvero? Potresti darmi l’indirizzo? Sai, sono anni che aspetto quest’occasione... non vorrei perdermela!- tagliò corto, con un sorriso a tremila denti, tirando fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni.
Adesso che conosceva il luogo, il giorno e l’ora in cui trovarlo, non se lo sarebbe lasciato scappare per niente al mondo. Era la sua unica possibilità di salvezza.
Quella notte, l’italiana la passò a rimuginare su come convincere quello che era stato per quasi tutta l’adolescenza (ed era ancora, a dirla tutta) l’uomo dei suoi sogni che le serviva assolutamente la sua presenza in Italia il giorno di Natale.
La mattina dopo, quando la sveglia avrebbe suonato, alle sette in punto, Valentina sarebbe stata sicuramente uno straccio. E non avrebbe nemmeno saputo che fare, probabilmente. Però era determinata. Non avrebbe fallito.
 
 
 
 
 
 
-Note dell’autrice-
Rieccomi, dopo pochissimi giorni, col secondo capitolo di questa folle storia.
Mi è bastata una rapida occhiata al mio diario di scuola per capire che, se non volevo che questo capitolo fosse pubblicato a luglio, dovevo agire subito, perciò eccolo qua.
Premetto che non sono mai e poi mai stata a Parigi (con mio sommo rammarico *sigh*), per cui tutti i luoghi che sto descrivendo me li sono inventati di sana pianta... al massimo ho dato un’occhiata a Google Maps tanto per farmi un’idea. In più, mi fa anche strano, in un certo senso, scrivere di questa bellissima città dopo i tragici eventi di questi giorni. Mi vengono i brividi se ci penso. Orrendo.
Okay, la smetto di divagare e concludo.
Spero che anche questo capitolo vi piaccia e che il terzo arrivi non dopo Pasqua.
Se dovesse accadere, colpa del liceo, prendetevela con lui.
Ah, ho seri problemi con i codici html, per cui l'editor mi scrive tutto in corsivo. Spero che riusciate a capire da soli quali parti di testo sono i pensieri dei personaggi... almeno finché non trovo il modo di collaborare coi codici, o non cambio modalità per scrivere i pensieri ^^" chiedo venia.
MarsHugs a tutti,
Valentina
   
 
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