Questo capitolo è stato… un parto. Davvero, davvero un parto.
Ho avuto tanti, troppi problemi. Partendo dall’ispirazione, che sembrava avermi lasciata, e dalla voglia di proseguire questo lavoro. Ho quasi desiderato abbandonarlo. Ho quasi detto “Perché continuarla? È una stupidata!”.
E poi mi son detta: no. Non posso. Non lascerò mai una fan incompleta. E non questa.
Ma… ma… ma, Dio santo, vi toccherà attendere per il finale. Perché, essendo la mia ispirazione ormai vacua, ho deciso di terminare tutto con il prossimo capitolo. Spero capirete le mie scelte.
Chiedo perdono, in ogni caso, ma, come mi ha fatto notare Elisa nel suo commento, il capitolo precedente non era nei miei soliti standard. Ed è così. Peccando d’ispirazione, non ho potuto scrivere qualcosa di meglio.
E me ne vergogno profondamente.
Devo questo capitolo a chi mi ha incitata a scrivere, e a tutti voi che ancora mi seguite. E a Breaking Dawn, terminato il 31 ottobre, di sera, inconsapevole fonte d’ispirazione, da cui è tratta la frase iniziale.
Spero vi piacerà. A dopo! */*
Because
of you
Capitolo 20 – Un
gioco da ragazzi
“Accidenti”, ruggì, baciandomi famelico lungo il profilo del mento.
“Abbiamo un sacco di tempo per allenarci”, gli ricordai.
“Tutta l’eternità”, mormorò.
“Mi sembra convincente”.
E poi continuammo a occuparci beati di quella parte piccola, ma perfetta, della nostra eternità.
Breaking Dawn, capitolo 39, Felici e contenti
L’aveva
chiamato.
Scioccamente,
non aveva neppure considerato che, magari, suo padre avrebbe potuto adirarsi. Anzi, in verità lei
aveva creduto
che avrebbe allargato le braccia, conciliante, e le avrebbe dolcemente
sorriso,
domandandole poi del suo viaggio. Aveva desiderato
che fosse così.
E,
Dio, solo ora si rendeva conto che
poteva aver sbagliato.
Aveva
osservato il padre voltare il capo avanti ed indietro, a destra e a
manca, in
una frenetica ricerca, e si era accucciata dietro Kagome, stringendo
con dita
esitanti la maglia dell’amica – l’avrebbe
potuta difendere?
In
fin dei
conti, lei non era fuggita. Lei
–
come Sango, del resto – era stata inviata.
La missione di Kagome era motivo di vanto per lei e per la sua
famiglia. Ma suo
padre?
Come
l’avrebbe presa?
Dannazione.
Sferrò
un
debole – ed inutile – calcio al pavimento lucido, e
alzò gli occhi al cielo,
mentre la voce del padre, roca per l’emozione, la chiamava.
Era… era
preoccupato?
Si
sporse un
po’, notando gli occhi paterni umidi osservarla con
circospezione. Non era un
ordine, era una richiesta. Una dolce
richiesta.
Doveva
aver
temuto molto per la vita della sua unica figlia, e Rin si
sentì cattiva. Se
n’era andata lasciando solo
un bigliettino, tra l’altro non indirizzato a lui ma a tutti
gli abitanti del
castello.
Diavolo,
era
stata avventata.
“Rin?”.
Preso
un
profondo respiro, piegò le labbra in un surrogato di sorriso
e avanzò – “Ciao,
papà”.
“Ciao,
tesoro”. L’uomo ricambiò il mezzo
sorriso della figlia, e le si avvicinò, per
passarle una mano tra i capelli. “Ti sei
divertita?”.
“Eh?”.
“Voglio
sapere se questo periodo di viaggio ti è
piaciuto”, spiegò Takemi, scrollando
le spalle.
Rin
persisteva ad osservarlo stupito. Possibile che non la richiamasse?
“Rin,
sei
ancora qui?”.
“S-Sì.
Ma non
credevo che saresti stato così tranquillo,
se devo essere sincera. Stavo già progettando la mia lapide
in giardino, sai
com’è”.
“Molto
ottimista”, ridacchiò l’uomo. Sembrava
così stanco,
però. Le profonde occhiaie che gli segnavano il volto
pallido gli conferivano
un’aria malata, in un
certo senso, e
Rin si preoccupò.
La
situazione
stava dunque degenerando?
Il
conflitto
stava divenendo invitabile?
Probabilmente
sì. Almeno, era ciò che quell’aria
afflitta le comunicava. Strinse il labbro
inferiore in una morsa, passandosi automaticamente una mano tra i
lunghi
capelli neri – erano secchi. E sfibrati. Avrebbe avuto
bisogno di un bagno
rilassante, e di taaaanto shampoo.
Kagome
giunse
al suo fianco, imitata prontamente da Inu-Yasha – lui aveva
incrociato stretto
le labbra, ed osservava con diffidenza l’uomo davanti a lui.
Era abbastanza
alto da sovrastare il sovrano, ma lasciò ugualmente
scivolare una mano per
afferrare il polso di Kagome tra le dita. La sua espressione,
tutt’altro che
amichevole, sembrava però rivolta ai giovani
della scorta del re di Yoshi.
La
ragazza
ridacchiò, lui si limitò ad un debole ringhio
infastidito.
“Signore,
è
un vero piacere rivederla”, esordì Sango,
raggiungendo a passo sostenuto le
amiche ed inchinandosi. Da persona coscienziosa, aveva subito ricordato
le
regole del galateo, e aveva
salutato
perfettamente l’uomo.
Imbarazzata,
anche Kagome accennò un inchino, mentre Rin si copriva le
labbra con una mano,
per nascondere la sua ilarità.
“Il
piacere è
mio”, rispose tranquillo lui, abbozzando un sorriso.
“L’altro giorno ero giusto
stato al tempio Higurashi, e tua madre, Kagome, mi ha inviato dei
regali per
te. Ed anche per te, Sango”.
“Oh.
Grazie!”.
“Grazie
mille”, biascicò incerta la miko. Come Rin poco
prima, anche lei aveva intuito
che c’era qualcosa di strano,
nell’aria del sovrano, e non vedeva l’ora che
questi le dicesse il problema. O
che lo riferisse ad Inu-Yasha – interrogarlo dopo, per
ottenere le informazioni
necessarie, sarebbe stato divertente. Ghignò al solo
pensiero.
“Salve”.
Tutti
trasalirono, quando udirono la profonda voce del padrone
di casa.
Come
un
aforisma di Eraclito, così l’espressione di
Sesshomaru era indecifrabile per i
più – ma non per loro. Le sopracciglia leggermente
aggrottate, e le labbra
serrate, lasciavano trapelare una certa preoccupazione. Doveva aver
intuito
anche lui che qualcosa non andava.
E
il desiderio di scoprire se la guerra con il regno di Asu era infine
giunta
doveva corrodere profondamente il suo animo.
“Salve
a lei,
Sesshomaru no Taisho. Immaginavo che l’avrei
incontrata…”. Takemi sembrava in
imbarazzo, e si prese un attimo per riordinare le idee, prima di
procedere. “ma
non credevo sarebbe stato così
presto.
In fin dei conti, però, è meglio così.
Aspettavo solo di potermi accordare con
il re, e con il nuovo capo delle guardie”.
Sesshomaru
annuì in trance, Inu-Yasha carezzò svogliatamente
i capelli corvini di Kagome,
senza tuttavia distogliere lo sguardo dal volto cereo
dell’uomo.
In
fin dei
conti, il loro primo interesse era combattere.
E una guerra avrebbe loro fornito tutte le attenuanti.
“Come
forse
avrete immaginato, il re di Asu sembra… interessato
ad allargare i suoi confini nei nostri.
Ha già attaccato la parte settentrionale del mio regno, ma
abbiamo retto. E
siamo riusciti a rimandarli a casa”. Sorrise, forse
ricordando qualche punto
importante di quella lotta così eccitante
– nel suo sguardo trapelava tutto il divertimento che una
battaglia può portare
ad un membro del sesso maschile.
“E
il nostro regno?”,
domandò Inu-Yasha con
rabbia.
“Ha
attaccato
i vostri confini orientali. Naturalmente ho fatto del mio meglio per
difenderli, e tutt’ora vi sono delle truppe a sorvegliare
ogni possibile
ingresso”.
Rasserenato,
l’hanyou si lasciò sfuggire un debole sospiro di
sollievo, mentre Sesshomaru
assottigliava gli occhi – “I confini sono ancora in
pericolo, però”, commentò
con sdegno.
“Beh,
sì.
Quel bastardo m’ha
inviato più e più
lettere in cui mi domandava di lasciare il vostro territorio, ma non ho
prestato ascolto a ciò che mi ha richiesto. Spero che non vi
sembri abuso di
potere”.
“No”,
asserì
atono Sesshomaru.
“Bene”.
Rin,
al
fianco del padre, iniziò ad agitarsi, richiamando
l’attenzione di Kagome.
Sorpresa,
la
ragazza tirò la coda di cavallo della giovane principessa,
facendole cenno di
avvicinarsi e esprimersi a parole.
“Secondo
te,
la situazione è grave?”, mormorò dunque.
Kagome
abbassò gli occhi al suolo, torturandosi le dita affusolate.
“Sì. Penso che…
che sia piuttosto difficile, quantomeno. Perché, beh,
l’aria di tuo padre è
particolarmente affranta, e Sesshomaru ha abbandonato quella patina di
superiorità che ha sempre in favore di un espressione
più consona”.
“Beh”,
biascicò Sango, voltandosi verso di loro. “Se non
sono ancora riusciti a
penetrare nei nostri confini – almeno non per ora –
non penso ci sia di che
preoccuparsi. E attribuisco quelle facce scure a ben altro: a mio
parere, il re
di Asu sta facendo pressioni. Forse, è già pronto
a dichiarare guerra. Se ciò
avvenisse…”, serrò le labbra, cercando
i termini adatti. “Se ciò avvenisse, non
oso pensare alla portata devastante di questa guerra”.
“Sarebbe
così
grande?”, chiese Rin,
stupita.
Sango
annuì.
“Più di quel che immagini. Noi siamo forti, certo,
ma il regno di Goshinboku
deve ancora riprendersi, e certamente l’esercito del regno di
Asu è
addestrato”.
“Ma
possiamo
farcela, vero?”.
La
risposta,
appena mormorata, arrivò da Inu-Yasha –
“Non vedo perché no”.
“Sbruffone”,
commentò Kagome, tentando di abbozzare un sorriso.
“Conti troppo su te stesso”.
“E
tu sei
troppo pessimista”, ridacchiò lui.
“Siamo così forti, Kagome, che non abbiamo
nessun motivo di preoccuparci. Appena mi vedranno, correranno via,
spaventati.
Non hanno speranze!”.
L’atmosfera
cupa della sala di smorzò, e si udirono persino dei
risolini, e delle battute
divertite sul loro nuovo Sbruffone.
Ogni individuo lì presente iniziò nuovamente a vivere, quasi dimentico della
preoccupazione precedente. I bambini,
prima stretti al petto delle loro madri, ora erano in un angolo, e
decidevano,
tramite la morra cinese, chi avrebbe dovuto contare e chi nascondersi.
Anche
Kagome
si ritrovò a sorridere, seguita a ruota da Sango.
“Scusatemi”.
Sbattendo
le
palpebre, tutti fecero nuovamente scorrere lo sguardo su Takemi, meno
gioioso
degli altri.
“Dovremmo
mettere in piedi una linea di difesa – o offesa, sta a voi
decidere se
preferite attaccare o difendervi. In ogni caso, avrei bisogno di un
colloquio
privato con voi, Sesshomaru, voi, Inu-Yasha, e anche voi, Miroku.
Naturalmente,
se ciò non crea alcun disturbo”.
Lo
youkai
fece un debole cenno col capo. Diversamente, Inu-Yasha
lasciò trapelare il suo
fastidio dal “Sì”
borbottato, e
Miroku si limitò a fare spallucce, come a dire “Non c’è problema”.
Rin
fece un
passo avanti, chiaramente intenzionata a seguirli, ma
l’occhiata penetrante che
sia Sesshomaru che suo padre le rivolsero la fece desistere dal suo
proposito,
mentre un broncio di rabbia compariva sulle sue labbra.
E
così erano
nuovamente sole…
Si
osservarono, prima di sospirare in sincrono – dannazione. Era
noioso, starsene lì.
Starsene lì e attendere.
Rin
si
sedette per terra, facendo cenno a Kirara di avvicinarsi, e prese a
carezzare
il soffice pelo della gattina. “Ho sonno”,
borbottò ad un tratto, tentando di
contenere uno sbadiglio nel palmo della mano.
“A
chi lo
dici…”, sbottò a sua volta Sango. In
effetti, avevano bisogno tutte di dormire.
Contrariamente agli youkai, i ningen non erano capaci di sostenere
periodi
troppo lunghi senza riposare.
“Io
esco in
giardino”.
Quando
vide
le amiche annuire soprappensiero, Kagome sbuffò, e
spalancò l’enorme
portafinestra che dava su quella parte del giardino adibita alla
coltivazione
delle rose. Un piccolo paradiso dalle tinte tenui, e pregno di un
delicatissimo
odore.
Passeggiò
lentamente tra le piante, chinandosi di tanto in tanto per sfiorare
qualche
petalo più dedicato, e continuò a rimuginare su
quanto stava accadendo.
Dannazione, se non si fosse lasciata
andare, durante la missione, sarebbe stato tutto
più semplice,
probabilmente. Sarebbero arrivati molto prima, e avrebbero avuto
più tempo per
preparare una linea difensiva. A causa sua, e del suo sciocco amore, i
loro
regni si trovavano in pericolo.
Sospirò.
Era
proprio una calamità vivente.
“Vi
sto dicendo che… Bah, ascoltatemi!”.
Inarcò
un
sopracciglio. Quella – non poteva sbagliarsi – era
la voce di Inu-Yasha.
“Inu-Yasha,
ti stiamo ascoltando, ma
dovresti essere meno irruento e più coscienzioso”.
“Sei
uno sciocco, hanyou. Se il tuo solo
desiderio è difendere quella ningen,
puoi andare via”.
“Sesshomaru,
tu sei l’ultimo che può
condannarmi per voler difendere Kagome”.
La
mora si
alzò sulle punte, e si sporse sul davanzale.
All’interno della stanza,
Inu-Yasha discuteva animatamente con Sesshomaru, sotto gli sguardi
attoniti di
Miroku e Takemi. Sarebbe stata una scena esilarante,
in un momento differente.
Un’enorme
cartina colorata troneggiava nel centro della stanza, lasciando
intendere le
motivazioni della rabbia dell’hanyou – Sesshomaru,
probabilmente, desiderava
attaccare l’esercito nemico nel pressi della reggia,
desideroso di distruggerlo
nel territorio che desiderava conquistare.
Inu-Yasha,
invece, sembrava assolutamente contrario. “Cazzo, sarebbe
pericoloso!”.
“No,
in
realtà no…”, biascicò
Miroku, osservando la cartina con sguardo critico. “Anzi,
potrebbe essere vantaggioso, in un
certo senso. Saremmo nel nostro territorio, Inu-Yasha. In caso di
pericolo,
potrebbero accorrere alcuni soldati nascosti nel bosco, per esempio.
Pensaci
bene”.
“Ci
ho
pensato, Miroku, ma mi sembra tutto falso.
Se dovessimo essere battuti, per
esempio? Cosa faremmo?”. Inu-Yasha sospirò. Era
fastidioso, per lui, valutare una
simile eventualità. Ma
c’era, e non capiva perché tutti non la
prendessero in esame.
Fu
Takemi a
rispondere, tentando di usare il tono di voce più
conciliante possibile.
“Inu-Yasha, capisco perfettamente ciò che intendi.
Sono le mie stesse
preoccupazioni. Ma concordo con Miroku e Sesshomaru: attaccarli nel nostro – e, bada, se verrete
sconfitti
voi anche il mio regno dichiarerà la resa –
territorio potrebbe essere
vantaggioso, in un certo senso. Potrebbe portare dei vantaggi. Il
popolo
potrebbe spalleggiarci, e…”.
“E
morire”,
concluse Inu-Yasha lugubre.
“Non
necessariamente”, borbottò in imbarazzo Takemi,
indeciso su come continuare.
“Permettimi
di dirlo, Inu-Yasha”. Miroku sorrise, sporgendosi verso di
lui – Kagome,
d’istinto, si alzò maggiormente sulle punte,
fissando in trance il viso del suo uomo.
“Prima hai accusato Kagome di
essere pessimista, ma, ora, sei anche peggio di lei. Non ti
vergogni?”.
L’hanyou
assunse una delicata sfumatura rossastra. Beh, Miroku aveva ragione.
Aveva
peccato
di spavalderia, convincendo tutti della loro vittoria.
Ora non poteva tirarsi indietro, e di certo non poteva
comportarsi come un bambino. Sospirando, si voltò verso la
porta. “Ok. Fate
come volete. Ma se dovesse accadere qualcosa a qualcuno…”,
sottolineò la parola con un teatrale gesto della mano.
“Ve
la farò pagare cara…”.
Miroku
deglutì, mentre Takemi sorrideva.
Kagome
si lasciò scivolare al suolo,
tremando.
Erano pronti.
*\* Potete uccidemi.
Sì, potete, nessuno ve lo vieta.
Il capitolo è orrendo. Ho aspettato mesi, e vi ho ugualmente presentato un capitolo tremendo. Dèi, mi vergogno.
Ve lo giuro, avrei voluto scrivere qualcosa di meglio, ma, in questo periodo, il mio cervello è "out for lunch". -.-'' E temo non ritornerà...
Ho anche deciso di indire un mio concorso - per informazioni, chiedere su msn. E di aderire ad un altro. E di... Bah, insomma, mi sto rovinando con le mie stesse mani.
Probabilmente, molti di voi non commenteranno, adirati con me: spero che non sia così, sinceramente.
Vi chiedo - molto gentilmente - di non sottolineare il mio ritardo: ho avuto molti casini. Oltre all'ispirazione, anche in famiglia ci sono stati dei problemi. Insomma, questo è un pessimo periodo.
Come precedentemente detto, con ogni probabilità, per il prossimo aggiornamento di potrà volere un po'. Anche se ne dubito, dato che ho già abbozzato il prossimo capitolo - il finale, per la cronaca.
Ebbene sì, la storia è giunta al termine.
In ogni caso...
RINGRAZIO:
crilli
inufan4ever
Isy_264
kaggychan95
Michiyochan
lara27
mikamey
Bchan
kaggy95
ryanforever
AvinPhi
kirarachan
saphira86
Grazie a tutti, e scusate il ritardo.
Baci!