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Autore: BrownRabbit    08/02/2015    2 recensioni
"Skinny love" viene usato per indicare un tipo di relazione fra due persone innamorate, o che hanno una cotta l'una per l'altra da tanto tempo, ma sono troppo imbarazzate per esprimere i propri sentimenti. La relazione è "skinny" perché devono ancora esternare e spiegare ciò che provano. Non vi è comunicazione, per questo non si può definire davvero come relazione.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Steve se ne stava seduto da solo in una delle tavolate situate nella zona mensa della Midtown High School mentre guardava il cellulare e muoveva su e giù la gamba. Erano passati cinque giorni dal pranzo a casa Stark ed aveva sempre cercato un modo per evitare di mandare il fatidico messaggio al giovane della villa, visto che la dolce e tenera Peggy s’era preoccupata di chiedere direttamente il numero ad Howard. Il biondo doveva soltanto scrivere l’ora ed il giorno e l’altro avrebbe risposto, a quanto diceva il signor Stark. Quel momento era stato rimandato il più possibile, l’avrebbe rimandato ancora se la professoressa non si fosse impuntata nel mettere una verifica di fisica il Martedì seguente. Così, al cambio dell’ora, estrasse il cellulare dalla tasca del giubbotto di pelle marrone e digitò un messaggio.
Stark, sono Steven Rogers. E premette il tasto “invio”, giusto per vedere se si ricordava della sua esistenza.
A distanza di tre ore, si rigirava l’oggetto rettangolare tra le mani, chiedendosi se avesse dovuto aggiungere qualcosa tipo, appunto, l’ora ed il giorno che preferiva. Poco sopportava il non sapere in cosa sperare, se in un completo gesto di indifferenza o in una risposta concreta. Non aveva cambiato idea su Tony Stark, non voleva passarci del tempo insieme, ma non voleva portare a casa un altro voto negativo in quella maledetta materia; cosa che sarebbe sicuramente successa se avesse provato a studiare da solo.
«Ehi, posso sedermi accanto a te, bel tenebrone solitario?» Una ragazza dai capelli rossi, lunghi fino alle spalle, era arrivata alla schiena del biondo, talmente concentrato sullo smartphone che quasi cadde dalla panca, procurando una risata alla studentessa che si stava sedendo accanto a lui.
«NATASHA.» Steve si portò la mano destra a livello del cuore, cercando di regolarizzare la respirazione.
Aveva perso il conto di tutte le volte che la sua amica si era divertita così: lui aveva sempre qualcosa per la testa e lei sembrava una spia da quanto era silenziosa. Era abbastanza sicuro che quella sarebbe stata la ragione della sua morte prematura.
«Che succede qui?» James Buchanan “Bucky” Barnes, un ragazzo dai capelli marroni e con la giacca della squadra di football, si sedette di fronte a Rogers con il suo sacchettino marrone. «Ho sentito una donzella urlare.»
«Ehi, non preoccuparti, non potrei mai rubarti il ruolo.» Bucky rispose facendo il verso al biondo, causando la risata dei due ragazzi che stavano seduti davanti a lui.
L’attenzione di tutti venne poi attirata dal vibrato del cellulare di Steve, capace di far crollare la scuola. Il proprietario guardò lo schermo, storcendo la bocca nel leggere “Stark” in parte al simbolino della busta. Il momento era arrivato, ed iniziò a sperare che ci fosse scritto un bel “non ho tempo” e finita lì.
Oggi alle tre.
Veloce e conciso aveva distrutto le speranze di Steve, che si trovò a buttare il telefono in mezzo al tavolo. L’oggetto poco amato venne afferrato da una mano appartenente ad un ragazzo di colore che si sedette accanto a Barnes, sotto gli occhi della rossa e del ragazzo castano, i quali stavano cercando di capire perché l’amico avesse compiuto quel gesto improvviso.
«Amico, che ti metterai per l’appuntamento?» Disse il nuovo arrivato, con una punta di ironia ed un sorriso beffardo stampato sul volto.
La sua frase attirò l’attenzione del suo vicino, il quale si sporse verso di lui per leggere i messaggi. «Appuntamento?»
«Allora eri serio su Stark.» Poi c’era Natasha, alla quale non serviva niente di più che un paio di frasi ed uno sguardo al comportamento di Rogers per comprendere di cosa si trattasse veramente.
Il giorno seguente il pranzo non s’era risparmiato nel dire quanto poco sopportasse il figlio di Howard Stark e quanto l’avesse irritato quel pomeriggio. I suoi amici non l’avevano mai visto così restio verso qualcuno, perciò Sam –l’ultimo arrivato- si divertiva un mondo a lanciargli delle battutine appena poteva. Dal canto suo, la rossa preferiva starsene a guardare le scenette, a volte ridacchiando, a volte scommettendo con Bucky su quanto avrebbe resistito ancora Steve prima di serrare un pugno a Wilson.
Il biondo si allungò per strappare dalle mani dell’amico il suo cellulare e rispondere al messaggio del moro con un semplice “Okay.”
«Fingi un male improvviso appena arrivi là.» Suggerì Bucky, con mezzo panino in bocca.
«Oppure chiamalo poco prima dicendo che sei caduto dalle scale e ti sei slogato una caviglia.» S’intromise Sam.
«Ragazzi, la vostra maturità mi disarma ogni volta.» Li riprese la Romanoff, per poi tornare a concentrarsi sull’amico al suo fianco. «Steve, vai per oggi e quando vedrai Peggy le dirai che non ti sei trovato bene, capirà sicuramente.»
Per tutta risposta ricevette un “Hm.” seguito dal suono della campana che segnava la fine della pausa pranzo e la ripresa delle lezioni. Bucky ingurgitò ciò che restava del suo panino; Sam tracannò il succo alla pesca e Natasha roteò gli occhi per poi essere la prima ad alzarsi.
«Il professore di spagnolo odia i ritardatari. Andiamo, Rogie?» L’interpellato annuì e si alzò, voltandosi verso gli altri due per salutarli, trovandoli presi in una sfida a chi arriva ultimo al cestino. Si voltò verso l’amica, la quale alzò le spalle e scosse la testa in segno di resa.



Tony aveva la testa appoggiata al pugno sinistro e cercava di vincere la lotta contro Morfeo, poco contento del fatto che il ragazzo fosse stato sveglio fino a notte inoltrata nel laboratorio di casa. Se poi si metteva in conto che la lezione era di Storia non aiutava. Era la materia più noiosa che avessero potuto inventare, secondo Tony; un susseguirsi di cause ed effetto sempre uguali che non portavano niente di buono, mai. Forse per quello che dopo soli dieci minuti il moro si arrese, dando la partita al dio del sonno ed accasciandosi sul banco.
Avrebbe dormito per chissà quanto ancora, se non fosse stato per la vibrazione improvvisa alla gamba che lo fece sobbalzare. Ebbe giusto il tempo di leggere l’orologio ed alzarsi, accompagnando il tutto con un “cazzo”, per poi mettersi a correre nei corridoi con i fogli che rischiavano di cadere dal libro. Arrivò giusto due secondi prima del professore di Chimica, sedendosi accanto ad un ragazzo dai capelli corvini e degli occhiali da vista.
«Siamo a cinque su cinque, Tony.» Si era messo a contare quante volte tardava alla lezione della seconda ora, il che corrispondeva a calcolare quante volte Stark si addormentava durante la prima.
«Lo so che sono una persona interessante, ma non dovresti essere così ossessionato da me, Bruce.» Banner scosse la testa ed aprì il libro di Chimica in mezzo al bancone.
Le ore di quella materia attivavano il cervello di Tony come poche, avrebbero dovuto metterla alle prime ore, così non avrebbe rischiato di arrivare tardi, o di addormentarsi ogni mattina dopo neanche cinque minuti. Senza contare che si divertiva a finire l’esperimento prima della fine della spiegazione del professore, giusto per entrare nelle sue simpatie. Ogni volta alzava la mano, mentre Bruce se la portava sulla faccia chiedendosi perché mai avesse accettato di essere il suo compagno di laboratorio. Si sforzava di sorridere al professore, come per dire che lui non c’entrava niente, ma durante le interrogazioni era chiaro che non servisse a tanto.
Tra una cosa e l’altra, il tempo passò in fretta e all’ora di pranzo si trovarono ad un tavolo della mensa insieme a Clint Barton, un ragazzino dai capelli biondo cenere e la strana ossessione per freccia, arco e pistole.
«Rhodey?» il biondo osservo i due ragazzi con in mano un panino che poteva fare invidia al signor McDonald.
«Ancora malato. Ha proposto una serata all’insegna di videogame a casa sua.» Rispose Stark, mentre masticava un pezzo di carne che aveva preso al self service della mensa. «Dio, per fortuna è una scuola privata, non voglio sapere come siano i cibi delle pubbliche.»
«Sei abituato ad un altro tipo di cucina, Tony, non è tanto male.» In risposta a Bruce, Clint emise una leggera risata e scosse il panino davanti al ragazzo senza occhiali, il quale mosse la testa di lato prendendo seriamente in considerazione l’idea di portarsi il cibo da casa. «Comunque, io ci sto. Un po’ di tranquillità non guasta, una volta tanto.»
«Vada per il torneo di Call of Duty.» Barton alzò la bottiglia di plastica, per poi portarsela alle labbra e berne un sorso.
Nel mentre, l’attenzione di Stark era stata riservata al cellulare che aveva tirato fuori dalla tasca dei jeans. Si era completamente dimenticato del messaggio di qualche ora fa, e avrebbe voluto continuare a fingere di non averlo visto dopo averlo letto. Tolto il dente tolto il dolore, no? E quello era il giorno perfetto: Venerdì pomeriggio Barton andava con il padre al poligono di tiro ed era l’unico giorno che quello di Banner gli permetteva di scendere nei laboratori. Quindi, gli rispose con meno lettere possibili e, successivamente, riportò l’attenzione ai suoi amici rendendosi conto che lo stavano fissando.
«Allora, ci stai o no?»
«Sì, perché non dovrei? Sapete quanto amo umiliarvi in certi giochi.» Gli altri due scossero la testa e ridacchiarono.
Per molti il suo comportamento era insolente e presuntuoso, ma loro avevano imparato a conoscerlo ed a sopportare ogni sua minima battuta. Alla fine non era così male averlo intorno, per non parlare delle scenette alle quali si poteva assistere –che divertivano più Clint e Rhodey che Bruce, ma erano dettagli.
Difficilmente Tony avrebbe ammesso a voce alta quanto si ritenesse fortunato ad avere quei tre ragazzi intorno. Non ricordava esattamente il momento nel quale erano entrati nella sua vita, ma sapeva che vi erano da diversi anni e non se n’erano ancora andati nonostante il suo essere dannatamente Anthony Edward Stark. Per lui erano più che semplici migliori amici, erano una certezza. L’unica certezza che aveva e, senza dubbio, la migliore.










A Steve era capitato poche volte di poter prendere in mano la macchina, sua madre ne necessitava per andare a lavorare, riusciva ad utilizzarla alcuni Venerdì sera e le Domeniche pomeriggio, per il resto della settimana se la cavava a passaggi da uno degli altri tre o optava per i mezzi pubblici. Per questo, quando seppe che il nuovo lavoro della madre includeva anche l’essere scorrazzata in giro da un’autista di Stark si mise quasi a saltare per il salotto; Peggy aveva dovuto fargli ripetere almeno tre volte a cosa ed a chi doveva stare attento.
Quattro giorni dopo quell’avvenimento, stava piano piano cambiando idea, con le dita che tamburellavano sul volante ed i clacson che risuonavano tra le file di macchine. Diede un’occhiata veloce all’orologio segnante le 2:50 del pomeriggio; era nello stesso punto da più di cinque minuti, se fosse andato avanti così sarebbe arrivato alla villa con quaranta minuti di ritardo. Chissà perché non aveva pensato al traffico.
Iniziò a guardarsi intorno alla ricerca di stradine alternative trovandone una poco più avanti, bastava solo che il semaforo si decidesse a diventare verde per la sua corsia e sarebbe riuscito ad allontanarsi per un po’ da quell’inferno.
Steve Rogers portò lo sguardo sulla luce rossa assottigliandolo come se, se si fosse concentrato abbastanza, ne avesse potuto controllare il funzionamento. Esultò con un “finalmente” appena la luce divenne verde e nel giro di qualche secondo riuscì ad imboccare la stradina sulla destra; curvò diverse volte, cercando di non investire alcune persone disprezzanti del marciapiede, sbucando sulla strada che avevano percorso la Domenica passata. Salvo imprevisti, non avrebbe fatto tanto tardi.



«Signorino Stark?» Tony era così preso dal sistemare i suoi vecchi appunti di fisica e chimica che sobbalzò nel sentire la voce di Edwin Jarvis dietro di lui.
Si portò una mano al cuore guardando male il maggiordomo da dietro la spalla; era talmente silenzioso che nemmeno alle tre di notte lo si poteva sentire camminare tra i corridoi vuoti e Tony era una di quelle persone che troppo spesso si estraniavano dal mondo, e da qualsiasi suo rumore, concentrandosi su qualcosa di più interessante. “Morirò prima di te, se continui così” gli aveva detto una volta, ma sembrava non importare più di tanto al maggiordomo.
«E’ arrivato il signorino Rogers, lo faccio accomodare?»
«No, lascialo fuori, sono curioso di vedere quanto tempo è disposto ad aspettare.» Disse lanciando un’occhiata all’orologio. Le 3:15, alla faccia della puntualità. Certo, se fosse arrivato anche solo due minuti prima avrebbe dovuto aspettare che Tony finisse di radunare i suoi appunti, ma questo Steve non lo sapeva.
«Non penso sia una cosa carina da fare, signorino.» Jarvis era ancora lì, dietro di lui, con le mani unite dietro la schiena. Alla sua frase il proprietario della camera si diede un leggero colpo in fronte con il palmo della mano, per poi voltarsi verso il signore dai capelli grigi.
«Era ironia, Jarvis!»
«Oh, scusi, non sono ancora molto pratico con questa forma di comunicazione.» Era sempre stato difficile per lui comprendere quando i due Stark usavano quel modo di parlare, aveva provato a cercare sul dizionario sperando di riuscire a farcela, ma alla fine si era arreso e continuava ad optare per sottolineare quanto assurdo fosse ciò che veniva chiesto.
«Jarvis, fallo entrare!» Il maggiordomo non s’era mosso di una virgola prima di quel richiamo perché era ancora indeciso su quali fossero le vere intenzioni del signorino. Una volta uscito dalla stanza, Stark scosse la testa e radunò i suoi appunti tra le mani, per poi uscire dalla camera.



«Mi scusi per l’attesa, Signorino Rogers.» Jarvis aprì il portone della villa, sistemandosi di lato per dare la possibilità all’invitato di entrare senza difficoltà. «Spero non abbia preso freddo.» Allungo le braccia verso il nuovo arrivato. «Vuole darmi il giubbino, signorino?»
«Oh, non si preoccupi, il freddo non mi dà così fastidio.» Steve si tolse ciò che il maggiordomo aveva chiesto e glielo porse. Non era abituato a questo genere di attenzioni, ed aveva paura di offendere qualcuno se avesse rifiutato quell’offerta. «Grazie.» Come risposta ebbe un sorriso, dopo il quale Edwin sparì in uno stanzino poco più avanti. Una specie di guardaroba, pensò Steven.
«Quindici minuti di ritardo. Allora non sei perfetto, Rogers.» L’attenzione di quest’ultimo si spostò dallo stanzino alle scale, dalle quali stava scendendo un giovane Tony Stark in uniforme scolastica e tanti –troppi- fogli tra le mani.
«Ognuno ha i suoi punti deboli. Non penso ci sia qualcuno di perfetto.» Seguì per tutto il tempo il moro chiedendosi quanto ancora ci sarebbe voluto per far cadere qualche foglio.
«Già, ed io sono l’eccezione che conferma la regola.» Il moro era arrivato davanti a Steve, un po’ troppo vicino per i gusti di questo, che aveva fatto un passo indietro. La cosa fece inarcare un sopracciglio a Tony. «Sta calmo fustone, non ho intenzione di mangiarti.» Si voltò e fece un paio di passi avanti, per poi fermarsi e girare il volto per quel che gli era concesso. «Non per ora, almeno.» Terminò quella frase con facendo l’occhiolino al biondo, per poi fargli segno di seguirlo nella stanza accanto.
Erano passati forse cinque minuti da quando divideva la stessa stanza con Stark e aveva già desiderato chiudergli il becco per tre volte in maniera poco educata; non era sicuro di poter restare con lui per un’ora senza tirargli qualcosa addosso.
«Da cosa vuoi iniziare: fisica o chimica?» Tony iniziò a sistemare i fogli sia sulla lunghezza che sulla larghezza del tavolo a seconda di argomento e materia. Se Jenna, la signora delle pulizia, l’avesse visto in quel momento avrebbe sicuramente chiamato il 911.
«Avrei una verifica di fisica Martedì, preferirei concentrarmi su quella.» Steve superò il ragazzo indaffarato e si posizionò due sedie più in là, dando per scontato che l’altro appoggiasse il proprio fondoschiena sulla sedia dietro esso.
«Grazie di avermi avvertito prima, così da evitare la fatica nel cercare gli appunti vecchi di chimica.» Tony riunì le prime due righe di fogli e sistemò la pila a lato del tavolo.
«Ricordo perfettamente di non averti mai chiesto i tuoi appunti.» Disse l’altro, mentre tirava fuori dalla tracolla nera tutto l’occorrente, non accorgendosi dell’occhiataccia lanciatagli dal ragazzo poco distante da lui.
«Se devo fare una cosa cerco di farla al meglio, ed indovina un po’ chi ha il massimo dei voti tra noi due? Si usano i miei appunti.» Andava particolarmente fiero dei suoi appunti di fisica, erano ordinati e comprensibili, senza dimenticare che erano anche gli unici senza disegnini poco apprezzati dai professori ai lati del foglio. «Dunque, dove siete arrivati?» Riportò la sua attenzione sui vari gruppettini di fogli davanti a lui pronto a prendere quello più consono alla riposta. Risposta che non arrivava. «Rogers?» Quasi gli venne istintivo darsi un altro colpo in faccia con la mano destra, perché –davvero- non poteva credere che quel ragazzo stesse girando le pagine del libro e del quaderno senza fermarsi. Poco faticava a capire come mai non fosse arrivato alla sufficienza.
La verità era che Steve si sentiva terribilmente sotto pressione da quando aveva visto la divisa della scuola. Maglioncino blu scuro con i lembi ornati da strisce color del bronzo ed una “R” –sempre in bronzo-  ricamata sul taschino in alto a sinistra; il leggero scollo a U permetteva di vedere il colletto della camicia bianca e la cravatta –smollata da Tony per essere più comodo-, la quale richiamava gli stessi colori del maglione; il tutto si concludeva con braghe beige e scarpe blu oltremare. Sì, l’aveva immaginato che Stark frequentasse una dannata scuola privata, ma non la Revenclaw High School. Avere sei in quella scuola corrispondeva ad avere almeno sette nelle altre private e otto in quelle pubbliche, in più erano avanti in tutti i programmi, svelato il mistero della miriade di fogli per entrambe le materie.
Steve era anni luce indietro confronto a Tony, poco ma sicuro; riusciva già a sentire le battutine di quello sulla sua patetica situazione. Sapeva di non poter fingere ancora per molto tempo di cercare l’argomento, in più sentiva addosso lo sguardo dell’altro ragazzo, il quale stava perdendo la pazienza poco a poco.
Il biondo chiuse il libro e si lasciò andare con la schiena alla sedia e, consapevole di non poter fingere più di tanto, sputò fuori la risposta. «La forza ed il lavoro.»
Ci volle qualche secondo prima che Tony comprendesse ciò che l’altro aveva detto con troppa velocità, poi si voltò in silenzio verso gli appunti e prese il primo pacchettino.
«Hai intenzione di stare lì o pensi di avvicinarti?» L’interpellato sbatté un paio di volte le palpebre sorpreso dal non aver ricevuto qualche commento sarcastico di rimando. «Okay, se la montagna non va da Maometto, Maometto va dalla montagna.» Detto quello, superò una sedia ed avvicinò quella dopo alla postazione del biondo, il quale aveva un sopracciglio alzato e rimuginava su ciò che aveva sentito.
«Sono sicuro sia il contrario, sai?» Nessuna arroganza nella sua voce, era come la prima volta che Tony l’aveva sentito parlare. Con quell’espressione dipinta in viso, poi, ricordava molto un bambino troppo cresciuto che cercava di capire quale passaggio del gioco si era perso.
Per la prima volta, Steve vide Tony sorridere per qualcosa di diverso dall’autocompiacimento.
«Contento di vedere che non hai perso l’uso della parola. Iniziamo?»













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Note dell'autrice: Buonsalve! <3
Chiedo venia per l'attesa, ma ho avuto problemi sia con il computer che con internet. çç
Btw, ecco il nuovo capitolo! Lo so che manca un biondone all'appello, ma ci sto lavorando, giuro. Non posso lasciar fuori il mio semidio preferito. <3
Un saluto ed un ringraziament anche ai nuovi seguaci, e fatemi spere che ne pensate, se vi va.
Baciotti&Biscotti. <3

   
 
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