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Autore: Adeia Di Elferas    10/02/2015    3 recensioni
Cesare arriva in Egitto per recuperare Pompeo, un tempo alleato ed amico, ora traditore in fuga. Quello che trova, una volta giunto alla corte di Tolomeo XIII, però, è tutto fuorché ciò che avrebbe voluto. L'ira ed il desiderio di vendetta lo fanno propendere per una risoluzione drastica della situazione. Tuttavia un incontro inaspettato con la sorellastra di Tolomeo porterà Cesare a cambiare i suoi piani in modo radicale, trascinandolo in scelte che spesso lo costringeranno a rimettere in dubbio alcune delle sue certezze. [Avvertenza: pur essendo basato su personaggi realmente esistiti e fatti storici accertati, il racconto è ovviamente stato romanzato, per rendere la lettura più gradevole e la vicenda più interessante]
Genere: Drammatico, Erotico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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~~ “Mi raccomando, mia regina, non uscire finché non sarai certa di essere completamente sola con lui.” stava dicendo Apollodoro, con voce febbrile, mentre cominciava ad arrotolare il tappeto attorno a Cleopatra.
 “Finché non saremo soli, lo so, non preoccuparti.” lo rassicurò lei: “Adesso l'importante è che tu svolga il tuo compito al meglio, amico mio, del resto si occupa la sottoscritta.”
 Soffocando un sospiro di agitazione ed incertezza, Apollodoro finì di avvolgere la sua regina nel tappeto e prese la cinghia. “Dimmi se ti faccio male.” fece, mentre assicurava la cinghia con cautela.
 Siccome Cleopatra non disse nulla, Apollodoro capì che stava andando tutto bene e quindi si affrettò a chiamare due servi, per poter cominciare davvero a mettere in atto il piano.
 
 Cesare stava guardando una serie di scartoffie che parlavano di conti confusi e leggi poco chiare e si diede dello stupido per non essere intervenuto prima.
 L'Egitto versava in una condizione pietosa, amministrativamente parlando, e la guerra che i due figli di Tolomeo XII si erano mossi di certo non aveva migliorato la situazione. Era assurdo: due ragazzini governavano uno stato del genere. Tolomeo XIII, Cesare aveva ben avuto modo di vederlo, era poco più che un bambino che faceva la voce grossa, ma che poi aveva paura della sua stessa ombra. Mentre quella che chiamavano Cleopatra VII doveva avere... Quanti anni? Diciotto? Venti?
 Cesare scosse il capo. Era una donna, era giovane e si diceva fosse anche molto impulsiva. Come aveva fatto a cavarsela fino a quel momento, era un mistero per lui.
 Conosceva le donne di quell'età. Si ricordava com'era la sua Giulia, a vent'anni. Anche se nelle fattezze era un'adulta, sotto molti aspetti non era ancora abbastanza matura, per fronteggiare il mondo. Di certo questa Cleopatra di cui tutti parlavano non poteva essere molto diversa.
 Aveva avuto fortuna, quello era probabile. Magari aveva dei consiglieri che erano stati in grado di farla restare a galla, nella speranza, un giorno, di averla come unica regina e di poterla manovrare a loro piacimento.
 Il potere che viene dato, rende schiavi. Quello che si prende con le proprie forze, invece, permette più libertà.
 Con un gesto stizzito, Cesare gettò parte dei documenti in terra e si passò una mano sugli occhi stanchi. Nulla, in quella terra, era di suo gradimento. Era una tortura. Se non fosse stato il portavoce di Roma, sarebbe tornato a casa subito.
 E invece era un uomo potente. E forse, ragionò, il potere rende comunque schiavi, sia che venga dato sia che venga preso.

 Apollodoro Siciliano stava sudando copiosamente, mentre saliva i pochi gradini che lo separavano dalla parte più delicata del suo piano – almeno, per quanto lo riguardava strettamente. La parte più difficile, di certo, spettava a Cleopatra.
 In spalla portava il grande tappeto arrotolato e chiuso da una cinghia, dentro al quale, nessuno l'avrebbe mai potuto dire, si nascondeva la regina.
 “Fermo lì! Chi sei? Cosa vuoi?” chiese un soldato romano, scattando in avanti e sguainando il gladio.
 Apollodoro alzò istintivamente una mano e per poco non fece cadere il tappeto: “Sono un servo. Devo portare un dono a Cesare. Da parte della regina Cleopatra VII. Si tratta di un tappeto.” disse piano Appolodoro, ostentando un latino molto farraginoso e con un forte accento.
 “Lo vedo anche io che è un tappeto!” ribattè la guardia, infastidita. Con lo sguardo chiese appoggio all'altro soldato che presidiava l'entrata. Questi sporse in fuori il labbro e buttò lì: “Un tappeto non può fare nulla di male.”
 Allora la prima guardia rimise la spada al suo posto e disse: “Bene, servo, ti porto agli alloggi di Cesare, dove potrai lasciare il dono della regina.”
 Apollodoro ringraziò la sua buona sorte e chinò un po' la testa in segno di rispetto. Seguì la guardia lungo il corridoio, cercando di non sballottare troppo la sua regina e di non suscitare in alcun modo eventuali sospetti nel romano che gli cammainava davanti, mettendo una gamba storta davanti all'altra a ritmo di marcia.
 Quando finalmente furono agli alloggi di Cesare, la guardia si accertò che il console fosse presente e poi dichiarò: “C'è un servo della regina d'Egitto con un tappeto in dono.”
 La voce di Cesare, che arrivò ovattata, permise l'ingresso alla guardia e ad Apollodoro.
 Il romano non era visibile, dall'ingresso. Era dietro ad una tenda, forse tirata tra la sala e la zona in cui era solito riposare. Di lui si intuiva solo il profilo. Non sembrava molto alto, doveva avere pochi capelli ed un naso abbastanza importante.
 Apollodoro ebbe un vago fremito di indecisione, quasi non fosse conscio del fatto che ormai non poteva più tirarsi indietro. Doveva consegnare il tappeto con dentro Cleopatra e basta. Andarsene, portando via quello che era stato annunciato come un dono sarebbe stato impensabile.
 “Lascia lì il tappeto.” disse Cesare, sempre senza mostrarsi: “E poi lasciatemi solo, non ho voglia di compagnia.” concluse.
 La guardia, allora, condusse fuori Apollodoro, dopo che egli ebbe sistemato il tappeto in un angolo della stanza, con una cura che – ad un occhio più acuto di quello del soldato dalle gambe storte – avrebbe potuto sollevare dei dubbi.
 Cleopatra credeva di essere prossima a soffocare, dentro a quel tappeto. Aveva voglia di tossire, ma sapeva che era cruciale presentarsi al meglio ed al momento giusto.
 Attese di sentire i passi dell'amico e della guardia allontanarsi e poi si prese ancora del tempo, tanto per vedere, o meglio, per cercare di intuire quale fosse l'atteggiamento di Cesare nei confronti dei regali.
 Cesare scostò la tenda e diede uno sguardo distratto al tappeto. Non gli sembrava nulla di che. Ne aveva avuti di migliori, ne aveva visti di eccezionali. Questo era un tappeto ordinario. Un regalo ben scarso, visto che arrivava da colei che pretendeva di essere la regina d'Egitto.
 Fece uno sbuffo e si ridiede ragione da solo: quella ragazza doveva essere ancora una bambina inesperta della vita e del mondo, se sperava di comprarlo con così poco.
 Svogliatamente, andò alla luce della torcia più grande e ricominciò a leggere un resoconto che non lo aveva convinto.
 Cleopatra sentì che il momento era arrivato. Apollodoro le aveva spiegato come srotolare il tappeto nel modo corretto, sì da far scattare la cinghia e liberarsi in modo leggiadro.
 Cesare alzò gli occhi e fece un passo indietro, quando vide il tappeto muoversi. In un lampo di lucidità, afferrò la spada che aveva appoggiato al muro e la puntò verso quel movimento che non capiva.
 Cleopatra, accaldata e tesa, riuscì finalmente a liberarsi dal tappeto e quello che vide di fronte a sé era diverso da quello che si era aspettata.
 Cesare aveva passato i cinquant'anni, ma il suo fisico era ancora asciutto, nascosto da una tunica chiara che lasciava scoperte le braccia ancora forti, il collo pulsante e parte delle gambe, che parevano in tensione e pronte allo scatto.
 Le puntava contro una spada e il suo respiro era accelerato, i suoi riflessi pronti e Cleopatra era certa che alla minima mossa falsa, l'avrebbe attacata.
 Il suo volto era un insieme di incredulità e sospetto, i suoi occhi cercavano in lei qualcosa, facendola sentire improvvisamente nuda. Quel romano emanava una forza che Cleopatra non si sarebbe aspettata. Era una forza che andava oltre la politica e la guerra, era la forza di un uomo che la guardava come nessuno aveva mai osato fare.
 Cesare era senza parole e non capiva. Malgrado tutto, non riusciva a staccare gli occhi dalla donna che era uscita dal tappeto.
 Non sapeva cosa pensare. Era una schiava, era lei il dono vero? Era una spia? Un'assassina?
 Cesare sapeva solo che quella donna indossava l'abito più stretto e trasparente che lui avesse mai visto e tutti i monili e le pietre più preziose che si potevano trovare in Egitto. Nulla era lasciato all'immaginazione, eppure nulla era chiaro, come se qualcosa gli avesse offuscato la mente...
 Lentamente, come in un sogno, la donna si mosse verso di lui e lui abbassò piano la punta della spada, fino a farle toccare terra.
 Non era bella, no, non era affatto ciò che uno scultore avrebbe definito come modello di perfezione. Però c'era qualcosa... Era come se in lei si fossero unite tutte le etnie del mondo e anche quelle degli Dei.
 Aveva qualcosa di... Era come se dalla sua persona si alzasse uno strano calore, un qualcosa che riempiva la stanza, permeava ogni angolo e colmava la testa di ebbrezza.
 Un fascino quasi rude, in quegli occhi scuri e affusolati, quasi crudele, in quel naso imporante e in quelle labbra piene, quasi selvatico, in quei capelli mossi come un mare in tempesta che le lambivano le spalle nude... Era un fascino contro cui non si poteva far altro se non arrendersi senza aver nemmeno provato a lottare.
 “Chi sei?” chiese Cesare, in latino. Cleopatra sorrise, mostrando grandi denti bianchi e si avvicinò ancora un po'. Strinse una mano attorno all'elsa della spada di Cesare e l'uomo gliela lasciò prendere.
 Cleopatra impugnò con forza la spada e sussurrò, con la voce resa roca dal lungo silenzio: “Io sono la donna che aspetti da tutta la vita.”

   
 
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