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Autore: megatempest    04/03/2015    0 recensioni
Tempest è una ragazza di 17 anni, che si diletta a suonare il basso elettrico.
Proprio grazie alla sua passione e ad uno strano incontro, fatto alla fine della scuola, entrerà del mondo della musica Metal, conoscendo i più grandi pilastri del Thrash, vivendo da vicino gli avvenimenti, i litigi e i traguardi di due grandi band: i Metallica e i Megadeth.
Protagonisti assieme a lei sono l'estroverso Dave Mustaine e il solare Cliff Burton.
Ringrazio tutte quelle persone che leggeranno la mia Fan Fiction, ma soprattutto ringrazio loro, i miei idoli, per avermi insegnato che ognuno di noi è unico nel suo genere e ha le potenzialità per diventare qualcuno di grande.
Stay thrash metalheads ♥
Genere: Malinconico, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Non-con
Capitoli:
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Super Collider
Capitolo II

Tempest's POV
Ci fu un forte suono, simile a quello della sveglia. La differenza era che questo significava libertà, gioia e… insomma, la fine della scuola!
Nello stesso istante in cui la campanella suonò, una trentina di teste si sollevarono all’unisono dai banchi, e altrettanti ragazzi e ragazze urlarono di gioia. Molti buttarono per terra quaderni, fogli e matite, altri saltarono sui banchi per raggiungere prima la porta dell’aula.
Una massa informe di gente cominciò a fuoriuscire dalla porta. Il mondo della gioventù, dell’anarchia e del frastuono collise con quello della tranquilla Los Angeles.
Uscii dall’aula fra gli ultimi, non mi piaceva ammassarmi per uscire. Nei corridoi c’era odore di tabacco, panini farciti e… erba. Decisi di non fermarmi e mi incamminai verso casa.
Le strade erano affollate da ragazzi di tutte le età che chiacchieravano e giocavano. Io invece ero da sola.
Camminavo guardandomi gli stivali rovinati, mentre la gente si chiedeva perché non fossi in giro con la mia compagnia a festeggiare un giorno così importante per gli adolescenti.
Entrai in casa e Joy, la mia sorellina, mi corse in contro e cominciò a raccontarmi come aveva vissuto l’ultimo giorno di scuola. Non ascoltai una parola di quello che diceva, figuratevi se mi interessavano le cazzate che una bambina di nove anni aveva da dirmi.
Presi dal frigorifero un panino, lo mangiai e andai su in camera. Attaccai all’amplificatore Bomber, il mio Precision della Fender, e lo accesi. Cominciai a suonare il mio repertorio, che comprendeva pezzi Jazz, Blues, Rock e del primo Heavy Metal.
Erano le 3 del pomeriggio quando decisi di uscire.
Salutai mamma, che era appena rientrata dal lavoro, presi qualche soldo, misi il mio chiodo in pelle nera, mi infilai gli stivali e uscii.
Camminavo da sola per le strade di Los Angeles. Il frastuono che circa tre ore prima infestava la città pareva non essere mai esistito. Aveva cominciato a soffiare un venticello fresco e sembrava quasi che il tempo si stesse fermando.
Si udì un suono grave. Un orecchio distratto non l’avrebbe quasi percepito. Ma io, che lo conoscevo bene, alzai la testa e cercai subito di individuarne la provenienza.
Non sembrava venire da nessuna casa che avevo intorno. Perciò cercai di seguirne la frequenza. Ci impiegai un bel  po’.
Stavo camminando in un vicoletto, quando mi accorsi che il suono proveniva da dietro un muro. Mi avvicinai e saltai su uno dei cassonetti posti li vicino. Mi alzai sulla punta dei piedi e guardai.
C’era un palcoscenico allestito, ed una band che stava suonando. La cosa che mi colpì all’istante però fu il loro bassista. Questo ragazzo aveva una chioma rossa, che sbatteva su e giù, a destra e a sinistra. Quello era l’headbanging. Però, non erano di certo i suoi bei capelli che mi attiravano quasi come una calamita. Era il modo in cui suonava il basso. Lo distorceva con un pedale wah wah, muoveva la mano destra come se fosse una macchina da corsa, e altrettanto faceva con la sinistra. Suonava il suo strumento quasi fosse una chitarra.
Rimasi incantata per qualche minuto. Poi mi baluginò un’idea: volevo vederlo da vicino.
Scesi dal cassonetto e cercai l’entrata del posto. Era una specie di palazzetto in una zona che conoscevo abbastanza bene, anche se lì non c’ero mai entrata. La sera doveva esserci una festa, ed era stato ingaggiato questo gruppo per suonare.
TRAUMA. La band si chiamava così. Erano di uno stile particolare, un misto fra Blues e Heavy Metal.
Entrai nel palazzetto e mi avventurai nel prato, dove era allestito il palco. C’era già molta gente, chi preparava la festa, chi cercava di scroccare del cibo, chi ascoltava la musica e chi era ai piedi del palco a guardare la band.
Mi feci strada e mi sedetti vicino al palco. Cominciai a fissare il bassista. Lo stile in cui suonava mi aveva catturato. Suonava passaggi non semplici mentre continuava a muovere quei capelli leggermente crespi, che fluttuavano con il venticello che soffiava.
Ad un certo punto, i miei occhi e i suoi si incrociarono per un istante. Uno solo, ma che fu più potente di una scarica elettrica. Il ragazzo sapeva che io ero lì per lui.
Stetti al palazzetto fino alle 7.30, ora in cui i ragazzi staccarono e andarono a mangiare. Fui tentata di andare a complimentarmi con il misterioso bassista ma, un po’ per la timidezza, un po’ per la fame che cominciava a venirmi, decisi di andarmene.
Uscendo, la mia attenzione venne attirata dal cartellone posto sul cancello d’ingresso, dove avevo letto il nome della band. Oltre a quello, c’era scritto anche l’orario dell’inizio del concerto, le 9 di sera.
Pensai che quella sera sarei tornata lì per vedere la band in azione. Dopotutto, non suonavano così male.
Entrai in un pub lì vicino e, dopo aver avvisato mia madre con il telefono del posto che sarei tornata sul tardi, mi sedetti al bancone.
<< Vorrei del Jack Daniel’s… >> dissi mentre ripensavo a quanto mi era capitato prima.
Mentre stavo per dare i soldi al barista qualcuno mi interruppe.
<< Lascia stare, pago io stasera >> disse Dave, il ragazzo che la mattina mi aveva quasi investita.
Io sgranai gli occhi, incredula. Di tutta risposta lui si mise a ridere di gusto.
<< Piacere, sono Dave Mustaine >> disse porgendo la mano.
<< Tempest Jackson, il piacere è tutto mio >> risposi io, ancora visibilmente scossa per la comparsa improvvisa del ragazzo.
<< Sono entrato qua e ti ho vista. Ho pensato di farmi perdonare per stamattina, visto che i miei compagni non me ne hanno dato la possibilità >>.
Cominciammo a parlare. Scoprii che Dave suonava in una band da poco formata, i Metallica, composta da James Hetfield (il ragazzo biondo), Lars Ulrich (il ragazzo più giovane) e un certo Ron McGovney. Si dilettavano a suonare qualche loro composizione, aggiungendo alcune cover, visto che il loro repertorio era ancora piccolo. Dave era il chitarrista solista, e aveva quasi 21 anni.
Mangiammo qualcosa, e parlammo dei nostri gruppi preferiti. Come me, Dave amava gli Iron Maiden. Gli piacevano molto anche i Mötör Head, ma era in fissa con i Budgie. Io li avevo solo sentiti nominare.
Posai per sbaglio l’occhio sull’orologio posto sopra il bancone del bar.

Cliff's POV
Quando salii sul palco finalmente mi sentii a casa. Quello era il mio spazio, il mio territorio, il mio campo di battaglia.
Non ero certo uno di quei tipi definibili come “animali da palcoscenico”, ma quando avevo puntati addosso gli occhi della gente ci davo sotto. E così facevo anche quando suonavo.
Il mio Rickenbacker 4001 vibrò lievemente appena gli amplificatori si accesero, il che mi caricò ulteriormente: avrei picchiato duro.
Cominciai a suonare i patterns delle varie composizioni della mia band, i Trauma. Facevamo musica che univa sonorità Heavy Metal con quelle Blues, adatte soprattutto ad un basso solista, cosa che io facevo piuttosto bene. Non me la tiravo per questo. Non mi facevo figo solo perché me la cavavo piuttosto egregiamente a suonare il basso o per la mia propensione a suonare e scrivere musica. Non amavo vantarmi. Davo il meglio di me sotto ai riflettori, poi scollegavo lo strumento e tornavo a livello terra, dove ero perfettamente uguale a tutti gli altri.
Premetti il pedale wah wah collegato al mio basso e ascoltai l’effetto psichedelico che aggiungeva al suono: quello per me era adrenalina pura.
Iniziai a muovere in avanti e indietro la testa. Lo facevo molte volte, soprattutto per tenermi rilassato e non sovraccaricarmi eccessivamente, sennò avrei cominciato a saltellare come una molla in giro per il palco, cosa che preferivo non fare, visto la quantità immensa di cavi e amplificatori.
Dunque, iniziai a sbattere la mia chioma di capelli rossi, suscitando l’ammirazione dei ragazzini che erano ai piedi del palco.
Spesso, mentre suonavo, mi divertivo ad osservare le persone che si avvicinavano curiose e a guardare le loro facce. Mi sembrava una cosa parecchio interessante, visto che detestavo cominciare a scrutare un punto fisso all’orizzonte per rimanere concentrato. Amavo anche fissare tutta quella gente negli occhi. Forse, quelli erano lo specchio dell’anima? Sicuramente quello non lo sapevo, e francamente non mi interessava. Mi piaceva e basta.
La mia attenzione venne attirata da una ragazza che si era seduta vicino al palco, che aveva preso a fissarmi con interesse. Aveva dei lunghi capelli castani che le ricadevano ordinatamente sulle spalle, arrivandole quasi fino alla vita. Per un momento il mio sguardo incontrò il suo. Quello che sentii fu indescrivibile. Potente come una scarica elettrica e distruttivo come un uragano.
Mi osservò per il resto delle prove, finché non scenderemmo dal palco, verso le 7.30. La vidi alzarsi e andarsene in silenzio e senza farsi troppo notare, come quando arrivò.
Mi domandai chi fosse per un po’, poi lasciai perdere. Avevo visto tantissime ragazze come lei. Eppure, anche se cercavo di convincermi con quell’idea, in cuor mio sapevo che lei era in qualche modo diversa, diversa da tutte le altre. Chissà, pensai, magari un giorno l’avrei incontrata di nuovo? L’unica cosa certa era che se avrei dovuto rincontrarla sarebbe stato il destino a decidere per noi.

Dave's POV
Gironzolavo da metà pomeriggio senza una meta ben precisa. Avevo fumato un bel po’ di erba a casa di Ron e stranamente nessuno aveva scassato, cosa rara in una band come la mia.
Mentre guardavo distrattamente le persone che camminavano sul lato opposto del marciapiede, notai una ragazza con dei capelli molto più lunghi del normale. Mettendo a fuoco bene... era quella che la mattina avevo rischiato di investire, e che mi aveva tenuta impegnata la testolina per un tempo piuttosto discreto (considerato che amavo provarci con le ragazze ed ero un tipo piuttosto lunatico).
Entrò in pub irlandese; sapevo che lì si beveva della buona birra così pensai di provare ad attaccarci bottone.
Entrai poco dopo di lei, in tempo per sentirla chiedere al barista del Jack Daniel’s. Mi intromisi con disinvoltura.
<< Lascia stare, pago io stasera >> dissi buttando qualche dollaro sul bancone prima che lei tirasse fuori i suoi.
Di tutta risposta, si girò e mi guardò allibita, spalancando i suoi occhi castano-verde contornati da una linea di matita nera. Risi di gusto. Mi piaceva il suo faccino. Soprattutto quando riuscivo a coglierla di sorpresa.
Dopo aver smesso di sghignazzare, le porsi la mano: << piacere, sono Dave Mustaine >>.
<< Tempest Jackson, il piacere è tutto mio >> mi rispose timidamente. Rimasi colpito dal suo nome, veramente strafigo.
<< Sono entrato qua e ti ho vista. Ho pensato di farmi perdonare per stamattina, visto che i miei compagni non me ne hanno dato la possibilità >> le dissi io, cercando di fare il ragazzo gentile e premuroso.
Ci sedemmo ad un tavolo e cominciammo a parlare.
Osservai prima il suo viso. Era indubbiamente una ragazza molto carina: si truccava bene per valorizzarsi gli occhi, anche se forse esagerava un po’ con la matita, aveva un naso leggermente all’insù e una bella bocca. La forma delle labbra era perfetta, a parer mio: fosse stata una groupie e me la sarei limonata più che volentieri.
Notai poi che doveva avere anche un bel sorriso. Non mi pareva però sorridesse spesso; si limitava ad alzare leggermente gli angoli della bocca ogni tanto...
Ma non mi soffermai troppo sui dettagli.
I lunghi capelli lisci e color castano scendevano delicatamente sulle sue spalle, ma non coprivano la parte che in quel momento mi interessava vedere. Il chiodo che indossava aveva una scollatura centrale, che mi permetteva di lustrarmi bene gli occhi: doveva avere quasi una quarta, anche se non ne ero completamente sicuro (ci sapevo fare, ma delle taglie non sapevo molto).
Intanto, le parlai dei Metallica: le illustrai la line up e dei brani che eseguivamo.
Scoprii che Tempest era una bassista e che aveva 17 anni. Rimasi abbastanza stupito. Ora che l’avevo vista da vicino sembrava molto più grande. Però alla fine 4 anni non erano tanti; non mi sarei fatto molti problemi a tirar storia con una minorenne, anche se avrei dovuto prestare un po’ più di attenzione.
Ascoltava più o meno la mia stessa musica: le piacevano molto i Mötör Head, e gli Iron Maiden erano la sua band preferita. Conosceva di nome anche i Budgie, una band poco conosciuta che però mi aveva fatto impazzire.
All’improvviso scattò in piedi. Sembrava si fosse dimenticata di qualcosa. Con velocità mi salutò.
<< Hey hey, aspetta un secondo! Mi verrai a vedere una volta a suonare? Mi piacerebbe vederti fra il pubblico! >> dissi in fretta, sperando di trattenerla ancora un po’.
Mi promise di si. Le diedi il mio numero di casa, pensando che almeno il giorno dopo mi avrebbe richiamato.
Poi uscì dal locale e scomparve nel buio della notte.
Diamine, me l’ero lasciata scappare.
   
 
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