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Autore: KeyLimner    15/03/2015    1 recensioni
"Ore 23:32.
Silvia lascia ricadere i suoi cinquantasei chili esausti sul materasso. Ha i capelli ancora umidi. Ha studiato fino alle 23:17 e si è infilata sotto la doccia alle 23:20. Non aveva neanche più le forze per finire di asciugarli.
Le coltri sembrano così soffici. Non le pare vero di potersi finalmente abbandonare al loro abbraccio. È stata una giornata stancante: se l’è meritato quel riposo. Domani finalmente si leverà di torno quella fottuta interrogazione di italiano, poi avrà tutto il pomeriggio per rilassarsi e per cominciare a studiare il copione che le ha dato Stefano, e la sera potrà andare al diciottesimo di Ilenia tranquilla e riposata. Non sa ancora cosa mettersi, ma non è un problema, troverà sicuramente qualcosa. Chissà, forse conoscerà anche un ragazzo interessante. Sta già immaginando la sua faccia. I suoi lineamenti, il suo sorriso… le sue braccia forti che le cingono la vita quando la invita a ballare…
Cullata da quei pensieri, sta per sprofondare nell’abbraccio di Morfeo, quando all’improvviso…
Sobbalza.
Un rumore sommesso, ma inconfondibile. Proviene dalla camera di Matteo, proprio accanto alla sua.
Suo padre che russa..."
Genere: Comico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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“Lei era imperdonabile”.
Una frase insignificante. Imbarazzantemente insignificante. Imperdonabilmente insignificante - se consentite il gioco di parole.
Ogni sillaba di quei tre insulsi vocaboli le infondeva un profondo senso di fastidio. Per non parlare del tratto irregolare, sbilenco che le sottolineava, così diverso dalla striscia netta con cui lei soleva marcare tutti i suoi libri…
Un sorso di camomilla.
Poteva scorgere con tutta la precisione di un ricordo mai avuto la sagoma della sua mano mentre si avvicinava alla pagina, il polso esile che accompagnava il movimento delle dita serrate con insufficiente saldezza attorno alla penna blu. Una penna.
Una penna, maledizione!
Mai… mai Cristina avrebbe osato avvicinare la punta di una penna alle sacre pagine di un libro. E la cosa peggiore non era la portata del sacrilegio in sé, ma la leggerezza, l’imperdonabile leggerezza con cui esso doveva essere stato commesso. Sapeva che, se le avesse detto una cosa del genere, lei avrebbe probabilmente alzato gli occhi al cielo, liquidando in tal modo quella che non avrebbe avuto difficoltà a considerare una semplice stravaganza dell’amica.
“Quanto la fai lunga…”.
Il tratto incerto della penna aveva lo stesso colore di quella voce: acuto, squillante. Un po’ stridulo.
Insopportabile.
Un altro sorso di camomilla.
Era davvero incredibile, pensò Cristina. Era incredibile la sua capacità di soffermarsi proprio sulla cosa più futile, quando aveva a disposizione un così vasto ventaglio di possibilità. Sfogliando le pagine del romanzo, più volte Cristina aveva dovuto resistere all’impulso di immortalare un prezioso frammento di una spettacolare descrizione, di un raffinato ritratto psicologico. Tutte quelle frasi meravigliose erano state brutalmente ignorate da lei. Poteva vedere con dolorosa precisione i suoi occhi scorrere rapidamente attraverso intere sezioni dal sapore indimenticabile, e infine fermarsi proprio lì, dove campeggiava con fierezza sorniona una frase che conteneva in modo sintetico… scarno… privo di qualunque valore artistico… il concetto così mirabilmente espresso nelle pagine precedenti.
Emily era così.
Non è che non cogliesse la bellezza: ma la coglieva sempre in ritardo, quando era già finita. Si perdeva tutto il preambolo. Quello senza il quale il resto non aveva alcun senso.
Come quella frase. “Lei era imperdonabile”.
Ciò che la mandava in bestia era… che era proprio quello il punto! Quella frase era un riassunto perfetto di pagine e pagine di narrazione appassionata. Ma per uno sfortunato caso, era anche quella che sicuramente lei non avrebbe mai scritto, e men che meno sottolineato. Perché se nello scrivere c’era qualcosa di inconsapevole - un po’ meno colpevole, insomma… che poteva essere facilmente perdonato -, sottolineare quella piccola rozzezza era infinitamente peggio: era una deliberata mancanza di buon gusto.
Un altro sorso di camomilla.
Era già abbastanza brutto, per Cristina, essere costretta a leggere un libro non suo, su cui non poteva fare orecchie, non poteva lasciare un proprio segno da recuperare in seguito per rintracciare la parte di lei che ve l’aveva lasciato. Ma peggio ancora era dover vedere il segno indecente del passaggio di qualcun altro.
Perché aveva chiesto ad Emily di prestarle il libro? Sarebbe stato di gran lunga meglio andare in libreria e comprarselo. Molto più pulito e indolore. Il suo atto doveva essere stato dettato da una forma di insano masochismo.
Un altro sorso di camomilla.
Il liquido caldo le scese faticosamente giù lungo la gola, come uno stuolo di rospi viscidi.
Era davvero disgustoso.
Lanciò un’occhiata alla tisana, e constatò ancora una volta, quasi divertita, il contrasto che esisteva tra il suo colore vivace, giallognolo, lievemente aranciato quando era particolarmente forte, ma che sul fondo assumeva una sfumatura vicina al verde… e il suo sapore intollerabile.
Ogni sorso le appariva come una sorta di autopunizione. Poteva ripercorrerne il cammino giù lungo l’esofago fino alla bocca dello stomaco, dove lo sentiva espandersi per raggiungere tutti i suoi più remoti anfratti. Come si muoveva, avvertiva gli spostamenti di quella massa gorgogliante che la colmava interamente. Quella sensazione accresceva il suo ribrezzo.
Tutto, pur di riuscire ad addormentarsi.
Era disposta a trangugiare litri di quell’orrida brodaglia nella speranza di conquistare un solo brandello del tanto agognato sonno. Non l’aveva neanche zuccherata per cercare di migliorarne il sapore: sarebbe stato ridicolo. Una presa per i fondelli.
Ma non stava funzionando.
Aveva preso fra le mani il libro sperando di suscitare in sé stessa un po’ di stanchezza tramite la lettura, così aveva lasciato scorrere pigramente gli occhi attraverso le righe di testo, senza un reale interesse per ciò che leggeva. Ma ad ogni minuto che passava, cresceva la sua irritazione. I suoi pensieri vagavano, sfuggendo impertinenti al tracciato in cui cercava di costringerli. Giungeva in fondo a una pagina rendendosi conto di non aver afferrato un accidente del suo contenuto. Quando poi si trovò di fronte a quella frase maledetta, i suoi occhi vi si inchiodarono e parvero non essere più in grado di andare avanti. L’insofferenza aveva ormai raggiunto l’apice.
Un altro sorso di camomilla.
Al diavolo.
Cristina abbandonò il libro sul comodino. Non si preoccupò di segnare il punto dove era arrivata. Tanto era inutile.
Fissò il soffitto senza più cercare di ingannarsi. Ormai rassegnata, lasciò che il tempo fatto scorrere inutilmente le penetrasse sotto la pelle come un morbo silenzioso, colmandola del suo aroma pestilenziale, del suo soffocante senso di impotenza.
Un’altra notte insonne.
  
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