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Autore: Momo Entertainment    18/03/2015    6 recensioni
[And... we are back on air.]
Unima, un anno prima degli eventi di Pokémon Nero 2 e Bianco 2.
Cinque bellissime ragazze sono state scelte, ma solo una di loro diventerà la nuova Campionessa della regione.
Insieme combatteranno e soffriranno, rideranno, piangeranno vivendo insieme l'estate della loro vita: la loro giovinezza.
Essere il Campione non significa solo lottare.
Significa anche vivere. Amare. Credere. Sognare. Proteggere.
Genere: Avventura, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri | Personaggi: Anemone, Camelia, Camilla, Catlina, Iris
Note: OOC | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Anime, Videogioco
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ESGOTH 3



A story by: Momo Entertainment
Main concept and characters: The Pokémon Company
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Early Summer Girls

Capitolo 3Risultato immagini per new png logo

Tempesta di sentimenti

 

Se sulle mani della nostra eroina dai capelli viola fosse comparso uno strumento per riportarla indietro nel tempo, di sicuro ne avrebbe usufruito senza alcun ripensamento.

Il tempo, nel quale Iris aveva riposto tutte le sue speranze, in quel momento la stava tradendo con lo scherzo peggiore che quella mistica entità potesse giocarle: passare, lasciando le cose terribilmente invariate.
Scorrendo lento, per farle assaporare ogni istante lungo, pesante ed infinito, si prendeva gioco dei suoi sentimenti.

Si era ripromessa che si sarebbe comportata da adulta.

E fino a quel momento aveva mantenuto alla lettera la sua promessa: da quando era lì non aveva mai riso, se non per compiacere le altre ragazze; si era limitata a sorridere come chiunque fingeva un'improvvisata spensieratezza d'animo che, giorno per giorno, invece di giovarle in modo da farla risultare una ragazza simpatica e amichevole, le si era ritorta contro, ferendola dentro tutte le volte che le ragazze non la guardavano.

Ecco ciò che spaventava Iris, che continuava ad essere ignorata, insieme ai suoi rimorsi i quali parevano invisibili agli occhi altrui.

Parlare con quelle era difficile non solo poiché erano di almeno due anni più grandi di lei (la frase di Camilla "sei la più piccola del gruppo", aveva perso il suo dolce significato originario, diventando la palese scusa per isolarsi), ma anche perché quelle erano quattro Allenatrici completamente diverse, sia per quanto riguarda l'aspetto fisico, sia per quello caratteriale.
Sapere cosa dire, parlando con ognuna, le risultava praticamente impossibile.

Tutto ciò le pareva strano: Iris Calfuray era sempre stata una ragazza aperta, estroversa, socievole. Così la descrivevano gli altri, ancora ai tempi in cui era bambina.

Ma da quando era lì, la paura dei giudizi, il panico che ogni suo movimento sbagliato le sarebbe stato rinfacciato a vita e il terrore di rimanere sempre l'ultima avevano zittito la sua voce squillante e paralizzato ogni suo movimento.

«Mi sento un'asociale. E non ha senso cercare di rimediare: le altre sanno il fatto loro. Sanno di sentirsi apprezzate, io no. Resterò sola tutto il tempo, sarà un incubo, io...»

E si interruppe lì, cercando un pensiero alternativo, o almeno di ascoltare le conversazioni per distrarsi da quella depressione che incombeva su di lei.

Ma non ci riuscì e, seguendole in silenzio, finse di stropicciarsi un occhio.

«Sarebbe davvero umiliante se mi vedessero piangere...»
Si disse per farsi forza, fallendo miseramente nel tentativo.

 

Se Iris non riusciva a distrarsi da sola, il fato aveva svolto il lavoro sporco per lei: durante l'allenamento era scoppiato un terribile temporale, conseguente ad un acquazzone che lavava le impurità della terra sotto un cielo di nuvole nerissime.

Ormai era sera. Per ripararsi Nardo aveva proposto loro di ristorarsi in casa sua e, intuitivamente, avevano tutte accettato (anche se si erano limitate a seguire il consenso della loro leader, che sembrava gioire all'idea).

Quindi, dopo la corsa più disperata sotto la pioggia battente che la ragazzina (e non solo) avesse affrontato, si era ritrovata lì, nella casa del suo mentore.

Nessuna delle giovani si aspettava un posto così.

Un'enorme magione, costruita interamente in legno e carta di riso, rispecchiava l'antico ma mai antiquato stile giapponese, che nella regione di Unima non sembrava poter in alcun modo dominare sull'architettura tipicamente occidentale.

Porte scorrevoli, pavimenti foderati e lampade di carta rendevano quell'ambiente davvero inusuale ma altrettanto piacevole, con la sensazione di star camminando tra le stanze e i corridoi di un misterioso e affascinante passato, che spaziava tra quadri rappresentanti tipici paesaggi nipponici, come fiumi e montagne, ideogrammi dipinti raffinatamente con inchiostro nero opaco su porte e stipiti.

«Ho sentito dire che nel giardino della casa del Campione sia presente un onsen, il tipico bagno caldo giapponese, realizzato interamente in pietra, come uno di quelli più antichi.»
Aveva detto loro Camilla, per rendere l'atmosfera più conviviale.

Nonostante la situazione fosse stata leggermente rovinata dal penoso aspetto delle ragazze, completamente fradice e spettinate, Nardo cercò di trattarle con quanta più ospitalità possibile, per ottenere la loro fiducia.

Conoscendo in anticipo le loro intenzioni, porse loro un enorme borsa bianca di lino.

«Siete bagnate dalla testa ai piedi. Toglietevi i vestiti, per favore.»

Subito però le ragazze, data la loro mente giovane e aperta, furono in grado di delineare il doppiosenso in quella frase.

«N-Nardo, non pretenderai che ci spogliamo sotto i tuoi occhi?!»
Disse in rimando Catlina con tono scioccato e imbarazzato, ma pur sempre contenuto.

L'uomo scoppiò a ridere fragorosamente, rendendo quella situazione anche più strana di quanto non fosse. Poi se ne andò, lasciando la borsa ai suoi piedi.

Iris non si chinò a guardare nella borsa, aspettando che fossero le altre ragazze a scoprirne il contenuto.

«Sono... kimono?!»

Fu l'analisi abbastanza stupita di Anemone, che non si aspettava un tale trattamento da parte di un uomo che conosceva da poco più di una settimana.

La ragazza dai capelli rossi sentì una mano appoggiarsi sulla sua spalla.
Indubbiamente fu quella di Camilla, che aveva già estratto i vestiti e li mostrava alle ragazze.

«Più precisamente sono degli yukata. Si riconoscono per la particolare fascia sotto il petto che serve a legarli. Sono anche famosi poiché, a differenza di altri tipi di kimono, non necessitano alcuna misurazione per le spalle e il petto. Quindi non esiste una taglia, ma si possono indossare a proprio piacimento.»

Quel bel discorso pronunciato dalla giovane donna fece viaggiare Iris con la mente, trasportandola in un universo alternativo, reso così affascinante dall'antichità come un vino che matura il suo sapore pungente con anni ed anni di quiescenza.

Le donne dovevano essere piuttosto importanti, realizzò, in quella società così lontana dalla sua; le femmine lì meritavano lunghe maniche, una copertura decorosa abbinata ad un tessuto morbido e confortevole adornato da motivi colorati e fantasiosi: un capolavoro di vestiario.

La moda della regione di Unima di certo non poteva vantare nulla di così raffinato, anche se si sforzava non riusciva a proiettare la stessa idea di dignità e bellezza espressa da un tradizionale kimono su cose furiosamente occidentali come jeans stretti e maglie attillate.

«Capito? - Iris sprofondò nella vergogna quando Camelia le rivolse uno sguardo di commiserazione - Fanno addirittura dei kimono per le sfigate come te. Che pena, scommetto che non ti servirà neanche la cintura...»

E terminò con il classico tono derisorio.

Iris sospirò. Ignorare era così difficile se si metteva in ballo il suo orgoglio. Avrebbe voluto controbattere, o almeno poter ordinare al suo Axew di tagliarle la gola e sentire che commenti quell'insensibile aveva al riguardo...

«Aspetta, da quando mi interessa possedere un paio di tette?!»

...e realizzò quanto fosse caduta in basso.

Si allontanò da Camelia che si godeva soddisfatta la frustrazione crescente.

La spiegazione semplice e professionale della leader aveva catturato l'attenzione di Iris, la quale desiderava indossarne uno più che mai, dato che, non avendo taglie, il problema di essere la più piccola sperava che non sarebbe riemerso, in teoria.

Lei e le altre Allenatrici li osservarono uno per uno, scambiandosi qualche volta dei consigli, per far sì che anche una banale situazione come quella divenisse un momento per socializzare, come delle "amiche" farebbero.

A favorire tutto ciò fu proprio il carattere così dolce e aperto di Camilla.

«Anemone - attirò la sua attenzione con successo - dovresti prendere questo azzurro. Si intona perfettamente con i tuoi occhi.»

Lei si girò, un po' confusa per l'affermazione e per il fatto che... Avesse notato i suoi occhi.

«Sì… Hai ragione. Grazie!»
Le sorrise la giovane, rispondendo, un poco imbarazzata alla gentilezza dell'amica, che glielo stava infilando partendo dalle braccia.

Intanto Iris e Catlina continuavano a guardare gli altri abiti, passandosi fra le dita quel tessuto morbido e delicato, come fosse fatto di petali di rosa.

Gli yukata rimasti erano tre: uno bianco latte, uno rosa pesco molto tenue e uno viola chiaro, quasi lilla. Quello attirava maggiormente la ragazzina.

Il colore si abbinava perfettamente ai suoi capelli e, mentre si rigirava il kimono violetto fra le mani, si chiedeva chi potesse aver cucito o dove Nardo avesse comprato quegli indumenti.

«A proposito, perché Nardo dovrebbe possedere degli abiti femminili?»
Domandò a Catlina, che sembrava indecisa su quale dei due vestiti scegliere.

«Forse perché non sono suoi.» Le rispose con tono calmo la ragazza.

«Cosa intendi?» Insistette la ragazzina in viola.

Le mostrò chiaramente lo sguardo più perplesso che riusciva a fare.

«Che non appartengono a lui, forse.»

«Grazie genio, ti farò un monumento per questa risposta illuminante!» Si disse Iris sottovoce.

Poi, sapendo benissimo di non sapersi comportare da ragazzina sarcastica, cercò di immaginare come mai le risposte di quella giovane dagli occhi spenti fossero così vaghe.

Iris non fece in tempo a girarsi che vicino a lei era apparsa Camilla.

«Non dovresti giudicare Catlina così presto.»

Beccata. Una ragazza più grande di lei aveva sentito le sue private osservazioni, facendola sentire talmente in imbarazzo, che non riuscì a trattenere la sua indole repressa di bambina imbarazzata e dispiaciuta allo stesso tempo.

«Scusa, io... Non intendevo offenderla, per favore, dimentica ciò che ho detto... Scusa, scusa ancora!»

«Stai calma, non hai offeso nessuno... Catlina è una brava ragazza. Ti basterà poco tempo per accorgertene.»

E, come al solito, le sorrise con aria gentile, dimostrandole di averla perdonata.

Iris continuava a rimuginare se fidarsi o no dell'affermazione di Camilla. Sperava, in cuor suo, che Catlina fosse davvero una brava ragazza, ma che prima dimostrasse di provare emozioni, come una vera ragazza.

Era rimasta in piedi, tenendo in mano l'ultimo kimono rimasto: era viola. Questo colore, come si può evidentemente notare, sembrava essere stato dipinto da Dio sulla tela del mondo solo per rappresentare quella ragazza, l'innocenza e il fiore dal quale aveva preso il nome: l'iris; la fascia che lo legava presentava dei piccoli e raffinati disegni di fiori dai petali piccoli come chicchi di riso.

Si chiedeva se il più brutto fosse stato lasciato a lei, dato che era rimasto per ultimo, per via della sua lentezza nello scegliere un colore.

Era quello il suo colore? Il colore dell'abbandono? Un colore ormai sfiorito ed ignorato?

Lo guardò un attimo come fosse un dono intoccabile, irreprensibile.

Avrebbe voluto rimanere lì ad ammirarlo e basta, solo toccarlo sembrava darle l'impressione di scombussolare un qualche equilibrio antico, il primo yukata che vedeva in vita sua.

«Non vi spogliate?»

Queste parole scossero la psiche di Iris.
Le parve uno scherzo sporco al sentirlo così d'improvviso.
Ma dopo essersi voltata capì che era davvero un incito.

Tenendo fra le gambe lo yukata giallo acceso, abbagliante come un lampo, Camelia si era già tolta i vestiti bagnati di pioggia; indossava solo l'intimo, che si stringeva contro il suo corpo umido e perfetto.

Il resto delle ragazze la guardarono sbigottite: dovevano ammirare il suo coraggio o vergognarsi della sua impudicizia?

Non dissero nulla. L'ennesimo loro silenzio, l'ennesima nuvola sotto quella pioggia battente. Si limitarono a seguirla.

Iris le guardò sfilarsi i pantaloni, togliersi gli indumenti fino alla semi nudità, nei loro occhi increduli e vuoti.
Lei si sarebbe chiaramente rifiutata, se solo avesse avuto un briciolo di autorità. Si conoscevano da poco e non ancora non avevano avuto una vera conversazione.

Quando comprese che anche lei avrebbe dovuto mostrare a quelle donne il suo corpo di bambina provò il più forte imbarazzo della sua vita.

Qualcosa violava la sua dignità, e le pareva di sentire le risate commiserevoli e crudeli di Camilla, Anemone e Camelia alla vista del suo corpo: Iris ripensò ai loro grandi seni, alle loro curve perfette e alla loro pelle diafana. Loro non si vergognavano di certo.

Aveva quindici anni, quest'ambizione non l'aveva mai sfiorata, ma volle porsi un obiettivo ulteriore alla vincita del titolo di Campione:

«Quest'estate voglio diventare sexy.» Bisbigliò a se stessa, mentre si infilava lo yukata.

Camilla capì, e le sorrise.


 

L'ospitalità di Nardo non aveva più freno: l'uomo si era offerto di preparare loro una cena speciale, per premiarle della pazienza e tolleranza dimostrata in quei giorni, soprattutto durante gli ardui allenamenti a cui le sottoponeva.

A vedere il risultato di quell'atmosfera eccessivamente forzata, Iris si sentì come estranea a quel posto, a quella regione o anche all'intero universo.

L'uomo fece accomodare le ragazze, che dimostravano parecchio entusiaste in quell'aria nuova ed estranea.

La cena era in perfetta sintonia con l'ambiente tipico orientale. Un buon assortimento di piatti deliziosi, non esageratamente ricchi o pesanti, era imbandito su un tavolo a gambe basse, con cinque cuscini disposti intorno.

Con gli occhi bassi ed un falso sorriso sulle labbra Iris si arrese al suo stesso isolamento.
Aveva mangiato poco, il suo stomaco le sembrava essersi riempito e poi svuotato più volte durante quella lunga serata.

Era seduta accanto alle sue compagne, ma nonostante ciò percepiva un'inviolabile distanza fra se stessa e tutto quello che in quel momento la riguardava.

Era zitta, immobile. Si limitava ad ascoltare Anemone, Camelia, Catlina e Camilla conversare; parlavano del loro lavoro di Allenatrici professioniste, delle loro lotte, delle loro vittorie, ridendo e interagendo senza alcuna difficoltà l'una con l'altra, mentre lei, inabile di intromettersi in una semplice conversazione per via dell'infinita paura che provava, contribuiva al suo stesso isolamento.

Inginocchiata lì, in quel posto che le pareva alieno, indossando abiti non suoi, Iris si sentiva bloccata dal terrore inconfondibile della solitudine.

Continuava a guardarsi intorno, cercando un'ipotetica via d'uscita da quell'incubo di volti sconosciuti ed orribili sensazioni che trasalivano lungo il suo corpo.

«Voglio morire...» Si ripeteva nella sua testa, quasi pensando che le altre la potessero leggere nel pensiero in quella situazione terribilmente imbarazzante. Ma non sarebbe successo, si augurò in maniera pessimistica.

A quelle ragazze non importava minimamente di lei, non vedevano quanto lei stesse soffrendo a causa loro e della loro indifferenza: come tutti i vincenti, dovevano essere spietate ed egoiste, ignorando chi era inferiore a loro.

Ancora Iris le vedeva ridere, scherzare e, ormai del tutto disinteressata alla loro conversazione, nutriva un misto di odio e disprezzo nei loro confronti, il quale si mescolava alla sua tristezza e vuotezza interiore.

E mentre il mondo girava vorticosamente, andava avanti, lei era paralizzata in quegli istanti infiniti, dolorosi come se li stesse passando all'inferno, sentendo la solitudine roderle le viscere e spaccarle il cuore, lei... Si sentiva sola.

Per una delle poche volte in tutta la sua vita Iris provava un sentimento maggiore del suo precedente orgoglio.

Voleva sparire da quel mondo, sparire e tornare a casa, per non commettere quel suo fatalissimo errore: di aver creduto in sé stessa in maniera così tracotante.

 

La notte era giunta portando con sé, oltre ad un cielo nero e tetro, ancora un terribile acquazzone, che continuava a scagliare le gocce di pioggia contro i vetri con il tipico frusciare sordo e gemente, mentre i tuoni irrompevano nel silenzio con i loro frastuoni.

Cinque stuoie, tipiche nei dormitori d'oriente, erano state stese sul pavimento di una grande stanza da Nardo, per dare un posto in cui dormire alle sue ospiti.

La stanza non era del tutto buia: dalla finestra penetrava la luce dei lampi che illuminava per pochi istanti le pareti e poi scompariva nell'oscurità.

Uno di quei bagliori fulminei aveva raggiunto il viso di Iris, rivelando delicati riflessi bianchi lungo la sua pelle: la ragazza sentiva il cuscino bagnarsi sulla guance, mentre la sua mente era caduta nel baratro della tristezza; e dopo che un altro tuono aveva scatenato il suo poderoso boato, a stento aveva trattenuto un grido di disperazione.

Non ce la faceva più.

Sentiva che il momento di mollare tutto e tornare sui propri passi era giunto, anche se ormai si sarebbe dovuta rassegnare agli scherzi sadici del tempo.

«Essere un Campione non significa solo lottare...»

Lei aveva provato a lottare, con tutto il suo impegno e tutte le sue forze.
Ma aveva perso. Aveva perso sia le lotte Pokémon che quelle della sua vita: non c'era più speranza che una come lei potesse diventare Campionessa.

A quel punto ad Iris Calfuray non restò che piangere.

Mentre le lacrime scendevano leggere e allo stesso tempo dolorose lungo i suoi occhi presi dallo sconforto, le capitò di sentire una strana sensazione: non era una bella sensazione, ma le impresse uno stimolo per distrarla da questa depressione.

E appunto in quel momento Iris sentì qualcosa sfiorarle, anzi battere, sulla sua mano.

Girandosi si accorse che i suoi non erano gli unici occhi a brillare alla luce dei lampi nel buio di quella stanza: un paio di occhi grandi, color azzurro cielo, la fissavano con un'espressione sorridente, contrapposta al suo viso angosciato e depresso.

Le ci volle poco per realizzare chi avesse di fronte, nonostante la sorpresa iniziale. Le fu comunque gradito incontrare occhi del colore di cielo limpido in una notte di pioggia battente.

«Non riesci a dormire, vero?»

Le domandò sottovoce Anemone, avvicinandosi a lei.

«N-No...» Si limitò a risponderle la ragazzina, che cercava di nascondere, per ragioni di integrità, le lacrime che poco prima scendevano copiose sul suo viso.

«Neanche io.» Le arrivò in risposta.

Iris si sentì sorpresa a sentire ciò, ma non aveva alcuna intenzione di auto-illudersi e ferirsi involontariamente come aveva fatto fino a quel momento.

O forse sarebbe stato meglio... parlare? Finché stava zitta Iris si era procurata solo dolore.

“Chi tace acconsente, sorridi e stai zitta, fai come fanno gli altri” erano diventati i suoi nuovi precetti e non le procuravano altro che dolore - se proprio doveva andarle bene anche umiliazione - e solo in quel momento aveva finalmente capito che continuare a sorridere innocentemente e ad assecondare tutti riusciva solo a far si che tutti ignorassero i suoi veri sentimenti.

Non era felice, era depressa e disperata, odiava quel posto e desiderava soltanto tornare a casa, in un'atmosfera che non fosse gelida come il ghiaccio e tra volti amici, che avrebbero certamente dato importanza ai suoi stati d'animo silenziati dall'imbarazzo.

Ora che sapeva ciò che voleva, le serviva un modo per sfogare tutta quella frustrazione su quella ragazza che aveva osato rivolgerle la parola.

«A te piace stare qui?»

Sì, così poteva funzionare. Era casuale e niente favorisce il discorso più del caso.

La ragazza tirò un mezzo sospiro e si lasciò andare con la testa contro il cuscino.

«Diciamo che mi ci devo abituare. Mi piacciono le novità, anche se ce sono tante in poco tempo. Gli allenamenti... Sì, sono un po' duri, ma penso di cavarmela.»

Iris non sapeva cosa rispondere anche se dopo qualche secondo Anemone ricominciò a parlare.

«Tu?» Glielo chiese come una domanda qualsiasi, ma Iris era comunque zitta, senza alcuna parola da proferire.

Quella domanda le aveva ridato la sensazione di piangere.

«E’ difficile da spiegare... N-Nel senso che... N-Non sono brava a socializzare con persone più grandi di me, scusa.»

E si voltò dall'altro lato, per nascondere il pianto che stava sfogando su di lei, senza farglielo però capire.

«Lo so, ho visto che sei un po' timida... Ma mica tutti possono essere socievoli ed aperti, è questione di personalità. - La rossa si scostò i lunghi ciuffi ribelli e spettinati che continuavano a caderle sul viso ogni volta che si distendeva. - Esempio pratico: sono ancora arrabbiata con Camelia per avermi dato della stracciona. Ci sono rimasta male, devo averla presa sul personale...»

«Non dovresti lasciarti insultare così...» Le rispose lei, a bassa voce.

Senti chi parla, la ragazza che aveva subito passivamente tutti gli insulti fino a quel momento di pianto, si commiserò lei stessa.

«Ho intenzione di perdonarla.»

Anemone esibì un flebile sorriso. Incredibile.

Iris sapeva che non lo avrebbe mai fatto. Se la sarebbe legata al dito, se lo sarebbe ricordato per sempre, avrebbe aspettato paziente la sua vendetta, lasciandosi rodere dall'interno.

Non farlo era puro scandalo, a suo parere.

Che razza di problemi aveva quella là, quella che prima le parlava solo per poi farle la morale.

«Perdoneresti qualcuno che ti ferisce e ti fa sentire sola?»

La ragazzina si domandò se stesse parlando della sua situazione o di quella della compagna.

«Tra compagne si fa così. È difficile, ma io vorrei avere tutte voi come amiche. Non so tu.»

A quel punto Iris aveva capito che anche Anemone, sebbene fosse circondata dalle attenzione delle altre, si sentiva un po' sola, di quella solitudine che si prova quando ci si sforza di compiacere gli altri, risultando estranei perfino a se stessi.

Doveva pensarci lei a tirarla su, nel suo piccolo poteva farlo.

«Ho solo tolto il sorriso falso dal viso, tanto non è più carino. Non ho ragione di tenerlo segreto. Non farmi sentire triste e ridammi le mie lacrime...»
La rossa fissava il soffitto, concentrata in ciò che diceva.

Iris non poté trattenere un sorriso.

«Anemone?» Attirò la sua attenzione

«Sì?» La ragazza si girò verso di lei.

«Perché il tuo serissimo monologo è il testo di una canzone?» Iris sogghignò.

«O-Oh mio Dio, la conosci anche tu?!» Anemone si illuminò d'improvviso, spaventando quasi la sua interlocutrice.

Non credeva davvero di avere gli stessi gusti musicali di qualcuno, e ciò la rese felice.

Non doveva farsi manipolare come una marionetta vuota, per una volta: essere se stessa era il premio più grande che il suo interesse nei confronti della ragazzina poteva darle.

Entrambe scoppiarono a ridere: con una risata, condividendo per pochi istanti la felicità di un'intera vita, era possibile avvicinare una persona lontana mille metri, superare qualsiasi ostacolo e gettare le basi per una solida amicizia.

«Zitta, che se le altre ci beccano, ci ammazzano!»
La cercò di zittire la rossa, che a stento si tratteneva.

«E come pensi che lo facciano?! Sono in coma totale, non mi sorprenderei se domani non si svegliassero.» Le ribatté Iris.

«Ti sfido a toccare Camilla senza che si svegli.»

«Okay, ci proverò nella mia prossima vita!»

Dopo un poco la loro conversazione volse disinibita mente su altro.

«Secondo te chi di noi è fidanzata? Me lo chiedevo poco fa.» Sussurrò la più giovane.

«Iris, è mezzanotte passata e abbiamo parlato fino ad adesso di anime, manga, idol, che taglia di reggiseno possa portare Camilla e che cosa mangeremo domani per pranzo. Davvero c'è bisogno di chiederselo?»

«Lo sapevo. Ma magari, non è che tu stai con...»
Cominciò lei, per scusarsi di aver fatto una domanda così sciocca solo perché aveva esaurito gli argomenti.

«Non mi interessano i maschi.»
Le rispose con tono serio e pacato Anemone, scostandosi un altro ciuffo rosso dal viso.

Si stupì di aver detto ad alta voce una cosa del genere.

«Devo averla spaventata... - pensò silenziosamente - lei non è come me.»

E Anemone infine scoppiò a ridere, anche se Iris la fissò incerta.

Ma ben presto la sua simpatia e la sua dolcezza la catturarono in quella risata.

Le due passarono una buona oretta a chiacchierare, a ridere, e perfino a confidarsi in quella stanza scura, in quella notte tetra, in quel mondo turbolento.

«Anemone.»

Iris attirò sottovoce la sua attenzione; la ragazza era distesa sul fianco sinistro, con una mano sotto i capelli rossi che li scostava dal cuscino. Il kimono le si era tutto stropicciato e il nastro che glielo legava in vita si era snodato, mostrando la scollatura ed il reggipetto che stringeva il seno della ragazza.

«Tu hai un obiettivo in particolare? Se capisci... Un qualcosa in cui... credi fermamente e faresti di tutto per realizzare.»

Iris si distaccò un attimo da quella confessione azzardata.
Pensava che lei non capisse. Ma il risultato fu contrario: Anemone si avvicinò a lei e le accarezzò i capelli.

Una ragazza più grande di lei di due anni, a cui aveva attribuito i peggiori pregiudizi, che aveva giudicato crudele e insensibile ed escluso dalla sua vita senza alcuno scrupolo, le accarezzava i capelli e stava per confidarsi con lei pur conoscendola da pochi giorni.

Iris sentì il cuore spezzarsi nello stomaco e le lacrime che prima aveva versate per via della solitudine adesso voleva destinarle al rimpianto del suo egoismo.

Dopotutto non era lei la vittima.

«Sì. Penso che tutti ne abbiano uno. - Le sussurrò Anemone, con tono di assoluta fiducia - Io però non sto lottando per un qualcosa destinato a me. A me non spetta niente»

Iris a quelle parole si sconvolse a tal punto da interrompere la ragazza nel mezzo del parlare.

«Ma che dici?! Sei un'Allenatrice bravissima, bellissima e molto dolce... - e, sentendo il rimorso della sua crudeltà, aggiunse quasi in lacrime - tu ti meriteresti molto più di tutti...»

Anemone le sorrise compassionevole e si alzò per abbracciarla.
La ragazza dai capelli rosso scarlatto non si era mai sentita tanto compresa.

Le pareva strano: nessuno, nessuno tranne quella bambina aveva mai apprezzato il suo altruismo; forse la sua indole gentile non le aveva solo arrecato danni incurabili, forse un giorno le avrebbe giovato più sull'animo che in senso materiale.

Tutto ora pareva più chiaro anche a lei: quella ragazzina dalla pelle caramello come la sua era speciale. Non in senso di forza o di talento.

Speciale perché sapeva vedere il mondo con gli occhi più puri che il cielo avesse mai aperto: gli occhi di una bambina timida e sensibile.

«Vedi cara, - le sembrò opportuno approfondire la faccenda - mio nonno gestisce da tempo una piccola compagnia aerea, ma ora sta fallendo. Siamo pieni di cambiabili non pagate e di debiti che crescono come montagne ogni giorno. Se diventassi Campionessa... Con tutti i soldi che guadagnerei riuscirei non solo a pagarli... Ma anche a trovare una pensione adeguata per il nonno.»

Iris provava un misto di comprensione e tristezza pensando alle nobilissime intenzioni di Anemone.

«Lo spero tanto! S-Se non dovessimo essere una contro l'altra farei il tifo per te di sicuro!»
Le disse sorridendole, asciugandosi con la manica del kimono due lacrime che le erano uscite dall'occhio sinistro.

«Vuoi molto bene a tuo nonno, vero?» Aggiunse Iris, essendo curiosa a proposito delle origini della pilota rossa.

«Ovvio. È parte della mia famiglia. Credo che tu possa capire comunque, è lo stesso bene che puoi volere tu a tua mamma e tuo papà, no?»
Le rispose, poi chiuse gli occhi, per cercare di addormentarsi.

«S-Sì, ma credo sia un po' diverso...» Ma lasciò perdere, visto che l'altra non la stava più ascoltando.

Iris, prima di decidersi finalmente a dormire, rifletté un attimo: come si spiegava la gentilezza di Anemone? Davvero ha obiettivi così toccanti?

Non la stava forse illudendo con parole dolci per poi attaccarla alle spalle? Che c'entrava suo nonno?
Iris non lo sapeva.

L'ultima ed unica certezza che ebbe modo di constatare prima di cadere fra le soporifere braccia di Morfeo fu che la pioggia stava ancora scrosciando rumorosa, disegnando nervature cristalline sui vetri.

Sapeva inoltre di essere stanca, di aver un serio bisogno di dormire e di aver provato troppe, troppe emozioni diverse in un giorno solo.

 

 

«Iris, forza, svegliati!»

«...Che ore sono?»

«Le dieci!»

«Non possiamo stare a letto altri cinque minuti?»

«Se magari moltiplichiamo un paio di volte il cinque arriviamo fino a mezzogiorno? Siamo in terribile ritardo! Alzati, scansafatiche! Nardo ci pesta...»

«Anemone... hai l'orologio al contrario.»

«Ah, scusa. Oh, guarda, sono le... Quattro e mezzo di notte...»

«Dimmi subito: "Scusa, torna pure a dormire" e ti perdono.»

«Sì. Scusa, torna a dormire e ripetimi che sono bellissima.»

«Ma c'era proprio bisogno di lanciarmi un cuscino in faccia?!»

«"Scusa, torna a dormire" non l'ho ancora sentito.»

 

 

Behind the Summery Scenery #3

1. Inizialmente i capitoli avrebbero dovuto avere dei titoli in inglese basati su giochi di parole ed allusioni, come succede nei titoli per versione anglo-americana nell'anime Pokémon: 

1)      Destinies, dreams and desires (tutti e tre i nomi iniziano con la lettera D)

2)     When everything is new, even yourself (il verso di una canzone riadattato)

3) Feelingstorming (inserendo la parola inglese per "sentimenti" nella parola "brainstorming", si crea la vera e letterale 'tempesta di sentimenti').

Ho dovuto cambiare i miei piani ed utilizzare titoli in lingua italiana dopo la scioccante scoperta che ora l'inglese non fa più così tanto figo. Come cambiano le mode, eh?

2. Inizialmente Camelia non ci sarebbe dovuta essere in questo capitolo, per seguire la sotto-trama che la lega con Corrado. Ho voluto inserirla per darle l'ulteriore possibilità di prendere Iris in giro, posticipando così il proseguire di quel filone narrativo che interessa la mora.

3. L'idea di riunire le ragazze sotto un solo tetto mi è stata dettata dai numerosi anime ecchi-harem che ho visto: ho notato che le ragazze si trovano più volentieri a conoscersi meglio se sono costrette a vedersi sempre più spesso.

4. Penso sia utile ricordare che questo microcosmo pseudo-giapponese in cui le ragazze si ritrovano a vivere sia una specie di metafora per indicare un distacco dalla fremente e intricata società anglo-americana che si fa sempre più padrona del mondo, un distacco che porta le ragazze in un ambiente più semplice e umile, in cui sono i valori morali e non quegli estetici a far da padroni. 
E, seconda ragione, non vorrete dirmi che ho studiato il giapponese per niente!

5. Uno degli antichi valori orientali a cui accennavo prima è il rispetto reciproco che è bene intercorra fra giovani ed anziani, ma anche fra persone di età leggermente differenti.

Anemone ed Iris dovrebbero rappresentare questo perfetto equilibrio.

La loro "coppia" ho deciso di denominarla ChocolatShipping per il fatto che si tratti di un'amicizia basata sul rispetto e gentilezza reciproca ma comunque aperta onestà, rispecchiando la dolcezza del cioccolato al latte e l'amarezza di quello fondente, vista dal lato simbolico. Dal lato pratico siccome Iris ed Anemone sono le uniche allenatrici di colore del gruppo, trovo un modo molto più carino e decisamente meno equivoco descriverle come “le ragazze dalla pelle color cioccolato”. 

8. Il nuovo spaziatore fra i vari paragrafi è, oltre alla nostra beneamata ondina e la sua gemella perduta, un fiore. Come mai? Sono sicura che potete arrivarci, è una questione etimologica... okay, nell'update 3.5 i fiori se ne sono andati, quindi ve la posso pure spoonfeedare io la spiegazione, pikoly angyely miei owo.

I nomi delle ragazze sono actually tutti nomi di fiori! Abbiamo l'iris, la camelia e l'anemone, l'orchidea del tipo cattleya e i fiori della shirona, o white-fruited nandina. Grazie Wikipedia!

  
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