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Autore: Padmini    10/04/2015    3 recensioni
Una mente che non risposa, mille pensieri che si accavallano e che combattono tra di loro per la vittoria. Sacrificare la propria vita per una nobile causa o seguire i propri intimi sogni?
Charles Xavier si era trovato davanti a quel dilemma più di una volta, ma quella notte, avvolto dalle tenebre e dal silenzio, aveva preso la sua decisione. Avrebbe dato tutto se stesso per il suo sogno, lo avrebbe fatto davvero ... ma era ancora troppo presto. Quella notte, Charles scelse di essere egoista e di tornare dall'unico uomo che aveva mai amato.
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1. Tornare a respirare



New York, giovedì, ore 23.00

La luna era piena quella notte e illuminava alla perfezione il cammino di Charles. Se all'inizio aveva avuto dubbi circa ciò che stava facendo, mentre camminava a passo spedito lungo il sentiero che lo stava portando rapidamente verso la strada, cominciava ad avere più fiducia in se stesso e nel suo desiderio. Si sarebbe mosso a piedi o per lo più con mezzi rubati, ma avrebbe raggiunto la sua meta, di quello era assolutamente certo. Poteva prendersela con calma, nessuno dei suoi studenti sarebbe mai riuscito a rintracciarlo dal momento che non era un mutante, ma almeno quella notte avrebbe dovuto riuscire ad allontanarsi il prima possibile dalla scuola.

Dopo un'ora di cammino raggiunse la strada asfaltata e vide subito ciò di cui aveva bisogno. Parcheggiata fuori da un locale molto rumoroso c'erano parecchie moto. Senza perdere tempo entrò nel locale, dove una trentina di motociclisti stava guardando la partita alla televisione. Non fu difficile per un uomo magro come lui farsi strada tra quegli omoni giganteschi e rubare un mazzo di chiavi in bella vista nella tasca dei jeans di uno di loro, in quel momento troppo impegnato a sbraitare sul risultato per rendersi conto di qualcosa. Restò nel locale qualche altro minuto e ordinò perfino da bere, tanto per non destare sospetti, prima di uscire e iniziare a cercare, tra le tante, la moto alla quale appartenevano quelle chiavi. Fu sfortunato, gli ci vollero parecchi tentativi prima di trovare quella giusta ma alla fine, attenendo il momento in cui tutti avevano iniziato a gridare, la mise in moto. Pochi secondi viaggiava lungo l'autostrada, in direzione dell'aeroporto. Aveva con sé abbastanza denaro per prendere un aereo, ma non poteva e non voleva farsi riconoscere con il suonome. Arrivò a destinazione molto presto, ma attese riposando le ore che gli avrebbero permesso di controllare i suoi poteri per manipolare la mente degli assistenti di volo, soprattutto per poter imbarcare il suo bagaglio a mano, con una quantità di liquidi molto superiore a quella consentita. Cercò una delle sedie a rotelle dell'aeroporto e vi si addormentò.

Erano le cinque del mattino quando si svegliò, non sentendo più le gambe ma percependo alla perfezione i pensieri dei passeggeri, delle hostess, dei piloti e dei baristi.

 

 

Parigi, venerdì, ore 11.00

Nel frattempo, nel suo appartamento nel centro di Parigi, Erik Lensherr stava studiando alcuni documenti riservati. Aveva seguito con molta apprensione l'evolversi della carriera di insegnante di Charles e soprattutto le sue attività a favore della causa mutante. Nonostante il rancore che ancora covava nei confronti degli umani gli facesse pensare che i metodi del suo vecchio amico fossero troppo deboli, doveva ammettere che erano efficaci. Non aveva tutta la fiducia che Charles riponeva nelle persone che li odiavano e, anche se i risultati erano ormai evidenti sotto i suoi occhi, preferiva tenersi pronto a qualsiasi evenienza. Tutto ciò che importava, almeno per il momento, era la crescente indipendenza dei mutanti, non più costretti a nascondersi, liberi di esprimere se stessi e i loro poteri in serenità.

Il suo pensiero fisso non era però solo il destino dei suoi simili. La persona alla quale pensava quasi costantemente era proprio Charles.

Non da giorni, non da mesi … da anni. Esattamente dal momento in cui i suoi occhi erano sprofondati nei laghi cristallini che erano quelli del telepate, la sua mente non era riuscita a liberarsi di lui. All'inizio ne era felice perché era piena dei suoi sorrisi che gli illuminavano il viso, ma dopo l'incidente di Cuba era tutto cambiato e la sua mente e le sue notti avevano iniziato a popolarsi di immagini da incubo. Gli occhi di Charles, umidi di lacrime, il suo viso teso per il dolore, fisico e psichico, erano onnipresenti quando chiudeva i suoi e lo guardavano accusatori.

Durante i dieci anni rinchiuso nella cella al Pentagono aveva cercato di dimenticare e in qualche modo ci era riuscito, anche se i sensi di colpa erano ancora presenti, anche se silenti … e infatti erano esplosi quando lo aveva visto di nuovo, distrutto dal dolore e dalla rabbia. Non era riuscito a sostenere il suo sguardo, anche se aveva ostentato sicurezza, quegli occhi erano penetrati nella sua anima come un pugnale.

Aveva dunque cercato di ignorare a sua voltai la sofferenza e aveva riversato tutta la sua energia nella vendetta nei confronti degli umani, coloro che, a suo avviso, avevano rovinato tutto. Era stato così occupato a pianificare il suo piano perfino da dimenticarsi di lui fino a quando non lo aveva visto, sporco di polvere e ferito tra le braccia di Hank. Non aveva capito come si fosse ritrovato in quello stato, non si era reso conto di ciò che gli aveva fatto né del perché il suo elmetto fosse a terra. Lo aveva raccolto e aveva salutato il suo vecchio amico, incontrato uno sguardo diverso. Mentalmente si era convinto che fosse tornata la pace tra di loro e non aveva indagato oltre, per non dover scoprire che invece non era così.

Erano passati diversi mesi da quel giorno e lui, forse pentito dal suo passato comportamento, aveva cercato di non perdere mai di vista il suo vecchio amico. Sapeva tutto di lui, come si erano evolute le cose alla scuola, di come era riuscito a rinunciare al siero per camminare, di come stava aiutando tanti mutanti a trovare un posto dove stare, al sicuro da coloro che ancora non li capivano o li temevano. Lo stimava profondamente per tutto ciò, ma non aveva ancora avuto il coraggio di dirglielo. Il dubbio di aver perso per sempre il rapporto di amicizia che lo legava a lui lo aveva spinto a chiudersi in se stesso e, anche se lo teneva d'occhio costantemente, non avrebbe mai fatto il primo passo per verificare di persona cosa Charles pensasse di lui.

Ormai si era rassegnato a trascorrere la vita in solitudine, a parte i rari mutanti che decidevano di collaborare con lui per qualche operazione clandestina pro mutanti.

Ogni tanto gli capitava di soffermarsi su quei pensieri, ma erano momenti passeggeri, che riusciva a scacciare sempre più facilmente. Posò i documenti e li ripose al sicuro, nel cassetto della scrivania. Guardò l'orologio, mancava ancora molto all'ora di pranzo, ma lui aveva fame, una fame nervosa dovuta a quei pensieri che lo avevano distratto dal suo lavoro.

Si alzò e si stiracchiò uscendo dall'ufficio per raggiungere la cucina. In frigorifero c'erano ancora i resti della frittata che si era preparato la sera prima e un'insalata in sacchetto ancora aperta. Fece a fette la frittata fredda e la mescolò con le foglie d'insalata e le carote in una terrina, condì il tutto e uscì nel terrazzo. La giornata era soleggiata e le nuvole erano sospinte delicatamente da una fresca brezza nel cielo azzurro … come gli occhi di Charles. Ancora lui, il telepate si insinuava nei suoi pensieri anche senza volerlo. Infilzò una manciata di foglie con un pezzo di frittata e insalata e lo mise in bocca, vano tentativo di porre fine a quei pensieri. Finalmente però il gusto del cibo ebbe la meglio e riuscì a rilassarsi.

 

 

Parigi, sabato, ore 01.45

Nove ore di volo erano trascorse più lentamente di quanto si fosse aspettato. Non era riuscito a dormire a causa del mal di testa causato dalla quantità di pensieri che attraversavano il suo cervello ogni minuto e in più sentiva di non poter più attendere. Aveva preso quella decisione in pochi minuti, eppure l'ansia per l'attesa era enorme, come se aspettasse quel momento da secoli.

Respirare l'aria della notte di Parigi era stato di grande conforto dopo tutto quel tempo trascorso al chiuso, ma non aveva perso tempo e, sempre usando i suoi poteri, aveva convinto un taxista a portarlo in città senza pagare. Si era fatto lasciare quasi in centro e lì, seduto in una panchina, schermato per precauzione da sguardi indiscreti, si era iniettato la seconda dose.

Sapeva già dove abitava Erik, lo aveva saputo da fonti informate, perciò non sarebbe stato necessario usare la sua telepatia per cercarlo in quel mare di menti. Guardò l'oe di nottera e vide che ormai era molto tardi. Avrebbe potuto prendere una camera d'albergo, ma proprio non ce la faceva ad attendere e magari il suo vecchio amico sarebbe stato più vulnerabile se colto nel sonno … sempre che riuscisse a dormire.

Attese qualche minuto, giusto per essere certo che le gambe lo avrebbero sostenuto, e si alzò in piedi e si avviò verso l'edificio dove sapeva c'era il suo appartamento.

 

Erano quasi le due di notte, ma era dalle undici che Erik tentava e ritentava di dormire, senza riuscirci. Non sapeva spiegarsi come, ma una strana sensazione gli faceva presagire che qualcosa di strano sarebbe accaduto.

Guardò l'orologio e vide che le due erano passate da qualche minuto, quando suonò il campanello.

Non aspettava visite, perciò quell'ospite inaspettato lo sorprese negativamente. Era sempre stato preparato alle cose più inaspettate, perciò prese la pistola, pronto ad usarla in caso di incontri poco gradevoli. Fece scattare il chiavistello e aprì lentamente la porta di pochi centimetri, prima di spalancarla e affacciarsi.

“Chi diavolo ...”

La prima cosa che vide fu il viso di Charles. Gli venne spontaneo allungare la mano per attirare a sé il suo elmetto, ma qualcosa lo frenò. Il braccio con cui reggeva la pistola si abbassò lentamente e si adagiò sul suo fianco e la mano cominciò a tremare. Non poteva crederci, assolutamente no, eppure non c'era dubbio.

Charles Xavier si trovava di fronte a lui, con la barba incolta, in piedi, e gli sorrideva con aria di sfida.

“Charles … perché … come?” chiese, guardando prima il suo viso e poi, quasi senza rendersene conto, fissando lo sguardo sulle sue gambe.

“Sono qui senza poteri, completamente inerme al tuo cospetto. Ho preso il siero non per poter camminare, ma per poterti dimostrare che non voglio utilizzarli davanti a te. Voglio che tu ti fidi di me, ma finché penserai che ho i miei poteri non potrà mai accadere.”

La borsa al suo fianco era un chiaro segno delle sue intenzioni e ad Erik non servì altro per potersi fidare. Non disse nulla. Senza guardare posò la pistola sul mobile in entrata e attirò a sé Charles, afferrandolo per il bavero. Lo guardò negli occhi solo pochi istanti, poi non ce la fece più e, prima che l'altro potesse parlare, lo zittì con un lungo e passionale bacio.

Charles non si aspettava quell'accoglienza, ma lasciò cadere il borsone e ricambiò l'abbraccio e il bacio.

I loro corpi e le loro labbra non si incontravano da tanto, troppo tempo, e sentivano entrambi la sensazione che si prova quando si trattiene il fiato. Stavano tornando a respirare, a vivere, ognuno tra le braccia dell'altro, finalmente uniti, come avrebbe dovuto sempre essere.

   
 
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