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Autore: Eynieth    13/04/2015    0 recensioni
In un mondo dove gli dèi influiscono sulla vita di tutti i giorni, scendono sulla terra e manovrano la vita dei comuni mortali, Amy Lee è il nulla. Figlia prediletta del dio della Guerra, si è rivoltata contro il padre e combatte per la pace di un mondo che forse non la merita. O forse è Amy Lee a non meritare quel mondo? Amy Lee con il suo candore sporco, macchiato dagli omicidi commessi che l'hanno sempre colorata di un colore che non le è mai appartenuto. Il rosso.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La riunione durò ancora poco, e nessuno, fortunatamente, si accorse di quello che era andata a rivangare Amy Lee, nessuno si era accorto del suo stato d'animo, se così si poteva definire. Alla riunione decisero solo la suddivisione delle materie, almeno in parte. Lerisse scelse magia, Evelyn geostoria, e così rimaneva fuori solo le lezioni pratiche e quelle di strategia. E rimaneva fuori Reo. La semin aveva detto al drago di decidere, che per lei era indifferente, ma quello aveva mosso la mano svogliatamente, senza neanche guardarla, così si era limitata a dirgli di darle una risposta prima della fine della Cerimonia.
La ragazza, dopo aver finito la riunione con gli altri presidi, tornò nella sua stanza.
Si avviò su per le scale della torre ovest dell'Accademia, lì dove c'era la sua camera. Era stata lei a richiederla, così da poter vedere ogni giorno il tramonto. Quanti ricordi che aveva da condividere con quei colori, con quei momenti. 
Le migliori battaglie si combattevano alla luce del tramonto, quanto, nell'ultimo attimo di luce del giorno, si capiva chi sarebbe andato avanti. Chi sarebbe morto e chi avrebbe continuato a vivere. Chi era resistito un altro giorno, e chi non ci era riuscito, chi aveva perso la partita della vita. Nella luce del tramonto si scopriva chi era il più forte. E Amy Lee continuava a guardare la luce del tramonto, giorno dopo giorno. Resistendo a tutto, e ricordando. Tutte quelle giornate tinte di rosso, gli ultimi raggi del sole visti con gli occhi chiusi, sapendo che su di lei risplendeva il rosso scarlatto di vite infrante, fingendo di colorarsi di un colore che non le apparteneva, mascherandosi con emozioni che non provava.
E i migliori ricordi, nonostante tutto, li aveva con Iroth. 
Iroth che le era sempre stato accanto, nonostante tutto. Le aveva insegnato tutto quello che sapeva e non l'aveva abbandonata, in tutti quei secoli, lui c'era sempre stato. Per aiutarla, la maggior parte delle volte per sgridarla, ma c'era stato.
Ma nonostante tutto, non si criticava per tutte quelle vite infrante, non piangeva per i ricordi. Guardandosi allo specchio, non provava ribrezzo, dispiacere, senso di colpa perchè non poteva. Nonostante tutto, non ci riusciva. Era stata cresciuta col sangue e aveva giocato con la polvere delle arene, quello era il suo sostentamento quotidiano. Anzi, ricordando, le dispiaceva per non aver infranto una vita in più. Se lo avesse saputo non si sarebbe rammaricata per aver versato altro sangue. Il sangue di una semin in più. Ma ormai era tardi, non poteva farci più niente, aveva sprecato la sua opportunità.
Ma quel giorno era presto per guardare il tramonto e ricordare. Non era ancora tempo. Il sole era alto nel cielo e i ricordi erano lontani.
La stanza era semplice, anonima. Non vissuta. Proprio come la sua vita. Una stanza rotonda con al centro un letto meticolosamente fatto, così come le aveva insegnato la ferrea disciplina di Son. Un armadio ordinato contenente una schiera di vestiti candidi e una scrivania ricoperta di fogli bianchi.
La semin si spogliò buttando i vestiti ormai inutilizzabili in un angolo. Si avvicinò all'armadio e prese dei pantaloni comodi e un top. L'unica cosa che la faceva sentire relativamente bene, era allenarsi. E per allenarsi aveva bisogno di Iroth. E quindi, doveva fare pace con il dio.
Ma si prese ancora un attimo. Si sedette sul letto e srotolò la fasciatura che si era fatta in presidenza. Il taglio non era poi così profondo, non aveva neanche bisogno dei punti. Prese delle garze da un cassetto e si rifece la fasciatura, disinfettando la ferita. Sorrise tristemente. Ecco una nuova cicatrice per la sua magica collezione. Si passò le mani sulle braccia, e sentì le piccole e grandi increspature della pelle. I suoi unici trofei di guerra. Ferite, cicatrici. Ma a lei era andata bene, lei era ancora lì. Era solo un piccolo prezzo da pagare per la vita duramente vinta. Inoltre, se mai fosse tornata a Son, mostrare tutte quelle cicatrici, non avrebbe fatto che aumentare la sua fama. Le cicatrici erano un must per i semin, più cicatrici si mostravano più si era forti, voleva dire che si era riusciti a superare un altro giorno, un altro combattimento, anche con ferite più o meno gravi. Voleva dire che non ci si era arresi alla fine, a una fine troppo facile.
Fece un respiro profondo e uscì dalla camera, avviandosi verso il tempio dell'Accademia. Era una grande stanza al centro della scuola e aveva un altare per ogni divinità della Dimora Celeste. Gli altari più grandi erano dedicati a Idril e Elros, ovviamente. Ma ad Amy Lee non interessavano. Non quel giorno. Si avvicinò a uno più piccolo, completamente rosso. La ragazza si inginocchiò davanti all'altare e prese lo stiletto dalla pietra verde. Facendo un profondo respiro, si fece un profondo taglio sul palmo sinistro e fece gocciolare il sangue sull'altare di Iroth. Sapeva quanto amava il sangue.
-Divino Iroth, invoco il Vostro perdono...- sussurrò Amy Lee stringendo il pugno, facendo cadere le ultime gocce di sangue scarlatto. Guardò per un attimo la luce tenue delle candele far risplendere il suo sangue, poi si alzò in piedi e uscì dal tempio.
Camminò per i corridoi fino ad arrivare alla palestra.
Quando vi arrivò, appoggiato alla parete più lontana, c'era il dio che la guardava con un ghigno beffardo.
-E così... adesso hai bisogno di me?- chiese guardandosi le unghie.
Amy Lee strinse le mani, affondando le unghie nel palmo ferito. Certo che aveva bisogno di lui, il dio lo sapeva e si vantava per questo. Ne godeva.
Iroth rise sguaiatamente.
Si era cambiato, adesso indossava dei pantaloni comodi e una maglia, tutto nero. Si avvicinò alla ragazza che aveva raggiunto il centro della palestra. Guardandoli, si poteva pensare alla magia bianca e alla magia nera. Così diversi eppure uniti. Nessuno veramente ne malvagio ne buono. Forse, dopo tutto, anche il dio era trasparente, proprio come lei.
Fece per accarezzarle una guancia con un sorriso, ma Amy Lee gli fermò la mano. Non si era fatta male e non si era inginocchiata a lui per poi essere presa in giro. Voleva combattere, sentire quel dolore fisico che tanto l'appagava. Quella scarica di adrenalina che le faceva sembrare di essere viva.
Iroth sorrise ancora di più e si mise in posizione, la ragazza fece lo stesso.
Amy Lee sapeva di non avere la minima speranza di vincere, non l'aveva mai avuta, e non le era mai interessata. 
Il dio cominciò ad attaccarla. Per un po' riuscì a difendersi, parando e attaccando a sua volta, ma il taglio sulla mano aveva ricominciato a sanguinare e la ferita sul braccio le bruciava ogni volta che tendeva il muscolo. E Iroth si divertiva perchè, anche se dal viso della ragazza non traspariva nessuna espressione di dolore, sapeva che stava soffrendo. Ma non gli avrebbe dato anche quella soddisfazione.
Il dio le diede un calcio tra le scapole, togliendole il respiro e facendola cadere in ginocchio. Amy Lee si portò una mano al petto, cercando di riprendere fiato. Chiuse un attimo gli occhi, poi si alzò di nuovo rimettendosi in posizione. Sentiva tutti i muscoli bruciarle, tendersi e farle male, ed era proprio quello che aveva cercato.
Iroth fece un gesto con la mano e si allontanò dandole le spalle. -Direi che per oggi basta, non vorrei umiliarti troppo...- disse guardandola da sopra la spalla ridacchiando.
Come se potesse umiliarla. Come se ci riuscisse. Come se in lei esistesse quel sentimento, la vergogna, l'umiliazione. E Iroth lo sapeva, lui l'aveva fatta diventare quello che era. Un mostro bianco.
Amy Lee si passò una mano tra i capelli macchiandoli di rosso, guardò per un attimo Iroth e poi tornò nella sua torre. Buttò in un angolo anche quei vestiti e si fece un bagno. 
L'acqua, prima di scendere nello scarico, si tingeva di rosa. Non rossa. Rosa. Tutto quello che passava su di lei, perdeva qualcosa, diventando più tenue, più trasparente. Emozioni, colori... Tutto. Tutto diventava insignificante addosso a lei.
L'intenzione era quella di fare un bagno veloce, ma rimase per chissà quanto tempo a fissare un punto imprecisato del muro, senza pensare a niente, solo facendosi scorrere l'acqua fredda sul corpo.
Alla fine si costrinse a uscire. Si fasciò il palmo e il braccio e prese dall'armadio una gonna bianca e lunga con una camicia bianca. Indossò una cintura con i suoi pugnali e lo stiletto. Raccolse i capelli ancora umidi in una treccia disordinata e scese dalla sua torre, sapendo che sarebbe tornata solo per guardare il tramonto.
All'Accademia l'aspettavano i nuovi allievi per la loro prima lezione. Probabilmente arrivò con alcuni minuti di ritardo, perchè quando entrò nell'aula trovò il caos. Tutti che urlavano e che giravano per la classe e nessuno parve notarla.
Amy Lee si avvicinò alla cattedra e battè un palmo contro il legno. -Silenzio!- disse debolmente. Ma nessuno la sentì.
Si passò una mano tra i capelli. Non era proprio giornata, non aveva voglia di urlare, discutere, era stanca e ferita e stanca di nuovo. No, non aveva cominciato per niente bene.
-Ho detto silenzio!- ripeté più forte. Ma nessuno le diede retta. Esasperata sbatté il palmo ferito sulla cattedra forte, producendo un rumore sordo, riaprendo la ferita che tinse di rosso la fascia bianca. -Silenzio!- urlò. Il suo urlo fu come il tuono nella calma. Forte, potente, ma vuoto. Nella sua voce non si sentiva collera o rabbia. Era calma e vuota, il che, forse era anche peggio. La rabbia si può capire, calmare, ma il nulla... come si fa? 
Il silenzio scese sull'aula. La preside stava per presentarsi, quando sentì qualcuno parlare. Esasperata, prese un pugnale dalla cintura e lo lanciò verso il ragazzo dell'ultima fila che l'aveva ignorata apertamente. L'arma si conficcò nel muro dietro al ragazzo. Il silenzio era totale, si sentiva solo lo stiletto che vibrava nella parete di legno.
Il ragazzo la guardò gonfiando le guance, ferito nell'orgoglio. Si girò, prese il pugnale dal muro e lo lanciò contro Amy Lee. La ragazza lo vide arrivare e aveva intenzione di spostarsi all'ultimo minuto. Ma quando fu a pochi centimetri dal suo viso, il pugnale, inspiegabilmente si fermò e cadde per terra. Nessun'altro nella stanza poteva vederlo, ma Iroth si era messo davanti alla ragazza e aveva fermato il pugnale. 
Amy Lee guardò negli occhi il ragazzo che non riusciva a capire quello che era successo. Si inginocchiò e prese il pugnale dal pavimento, cominciando a giocarci. Probabilmente fu una cosa a effetto, perchè Iroth rideva divertito in un angolo. Fece vagare lo sguardo sulla sua nuova classe. Si potevano distinguere varie razze. Umani, semin, elfi. Nell'aula c'erano anche alcuni draghi e alcune sirene. E tutti la guardavano. Ed era normale, visto che comunque era l'insegnate. Ma non volle soffermarsi troppo sulle loro espressioni, non voleva scoprire cosa stavano pensando. Anche se Iroth le sussurrava in un orecchio tutti i pensieri dei ragazzi. 
Ammirazione. Paura. Meraviglia. Stupore. Orrore... e paura ancora. Paura per qualcosa che non potevano vedere, capire. Terrore.
Voleva tapparsi le orecchie, per smettere di sentire quel fiume di parole. Tutte quelle emozioni che lei non avrebbe mai provato.
Fece un profondo sospiro, giocando con il pugnale, passandoselo da una mano all'altra e infine lo conficcò nel legno della cattedra, dove rimase a tremare nel silenzio più assoluto.
-Bene... Benvenuti all'Accademia. Io sono Amy Lee, una delle vostre presidi, più avanti sarò o la vostra insegnante di difesa oppure quella di strategia.-
La ragazza si sedette sulla cattedra e accavallò le gambe. Nessuno fiatava nell'aula. Forse aveva sbagliato. Anzi, la risata di Iroth le diceva che aveva sbagliato. E probabilmente la maggior parte dei ragazzi avevano paura di lei, adesso. Ma lei di certo non era una persona che intimava paura. Almeno, non coperta di sangue.
 
La lezione finì presto. Precisando: nessuno aveva fiatato. Per un’ora nessuno aveva aperto bocca e non era volata una mosca. D’altronde Amy Lee non poteva spiegare, infatti avevano deciso di non torturare gli studenti. Almeno fin dopo alla Cerimonia. Poi, sarebbe cominciato tutto.
Non sapeva che impressione aveva fatto agli studenti. Sicuramente non positiva. Almeno, da quello che le aveva detto Iroth. Aveva infuso timore. Terrore. Il terrore è ghiaccio. Il ghiaccio è bianco. Lei è bianca.
Sperava che quella piccola lezione, che alla fine era stata offerta dal dio, bastasse per tenerli calmi fino alla fine della scuola. Non le piaceva ripetersi. Nessuno l’aveva mai vista ripetersi. Certo, anche Iroth avrebbe potuto lasciarla fare, ne sarebbe stata capace. Poteva spostarsi, o prendere il pugnale, non sarebbe stato difficile, ma ovviamente il dio si voleva sempre intromettere. Voleva divertirsi. Beh, almeno uno dei due si divertiva.
Al suono della campanella gli studenti erano usciti in perfetto silenzio, in fila indiana, senza fare rumore. La semin ghignò appena. Un po’ le piaceva incutere timore. E se incuteva timore con un semplice trucco, neanche suo, chissà come avrebbero reagito nel vederla coperta di sangue durante una delle tante battaglie che aveva combattuto nel passato. Tutta rossa, colorata di un sentimento caldo che non le apparteneva, forse poteva essere uno spunto per Iroth. La prossima volta poteva farla vedere completamente rossa, con un ghigno sul viso, proprio come era poco più di una cinquantina di anni prima. Era cambiata molto. Era maturata, in un certo senso. Aveva abbandonato la guerra, ma non aveva rinunciato a combattere, aveva solo deciso di cambiare versante. Prima era con la guerra, adesso era contro. Ed era riuscita a portare dalla sua parte anche Iroth, anche se non lo sapeva nessuno. Amy Lee non ne capiva ancora il motivo, ma sicuramente tutto quello faceva parte di una tessera nel grande puzzle di Iroth. Nei secoli in cui avevano vissuto assieme, la ragazza aveva capito che il dio non faceva mai niente per niente. Come le aveva insegnato, tutto era una strategia, come sul campo di battaglia, ogni mossa comportava una contromossa e tutto era pianificato. Quindi, doveva solo aspettare la mossa successiva già pianificata nella mente di Iroth.
Aspettare. Aveva l’eternità davanti a sé, aspettare non la preoccupava minimamente.
Al secondo suono della campanella entrarono gli alunni della seconda classe. Tutti in rigoroso silenzio. Con loro si era già fatta conoscere l’anno precedente, non aveva bisogno di altro.
-Fate quello che volete in rigoroso silenzio.- disse a bassa voce. Ma non ci fu neanche bisogno di dirlo, sapevano già come era Amy Lee e non avevano bisogno di farselo ripetere due volte. Iroth le si avvicinò e le sussurrò quello che i ragazzi sapevano. Gli alunni erano venuti a sapere che erano rimaste scoperte solo le cattedre di strategia e di pratica. Molti si chiedevano cosa fosse peggio. Avere Amy Lee nelle lezioni pratiche o in quelle di strategia? Forse non sapeva rispondere neanche lei. In tutte e due le discipline l’aveva addestrata Iroth, quindi… se la cavava. E poi, ammettendolo anche con se stessa, era dura durante le lezioni. Soprattutto durante i test. Era praticamente impossibile copiare o farsi suggerire, soprattutto grazie agli interventi di Iroth, ma comunque era impossibile.
Amy Lee prese lo stiletto e cominciò a giocarci, a farlo passare tra le dita, a farlo girare sulla cattedra. Iroth si sedette sul ripiano e fermò lo stiletto con una mano.
-Come fa a piacerti tutto questo?- chiese indicando l’aula. La ragazza guardò la stanza con tutti i ragazzi che ormai conosceva. Non sapeva se le piacesse, ma le sembrava di fare qualcosa di giusto, giusto dopo tutto il male che aveva seminato, era come un riscatto. Il suo. Magari qualcuno, in futuro, avrebbe avuto un bel ricordo di lei. Non che le interessasse, ma essere ricordata solo come il Mostro non era il massimo. Non poteva dire di essere di più, di essere meglio, ma rendersi utile, in qualche modo, faceva sistemare i conti con le vite che aveva tolto. Ogni persona che salvava, era una vita in meno dall’elenco di Nèsme.
Suonò anche la terza campanella. Per quel primo giorno di scuola avevano deciso di fare solo due ore, poi bisognava preparare tutto l’occorrente per la Cerimonia, cosa a cui Amy Lee non avrebbe partecipato.
Si alzò lentamente dalla sedia e si sistemò la gonna. Prese lo stiletto dalle mani del dio e se lo sistemò nella cintura, poi uscì dall’aula. Qualche alunno la salutò, ma la preside non ricambiò il saluto. Non lo faceva per maleducazione, solo che non le piaceva salutare. E non le piaceva sentire la sua voce, cercava di usarla il meno possibile e solo nei momenti indispensabili, per il resto, stava zitta, sperava che gli alunni non ci rimanessero male.
Salì le scale della torre e si chiuse la porta alle spalle. Ancora qualche minuto e la luce rossa del tramonto entrò in camera. Amy Lee sorrise con gli occhi chiusi. Solo lì, nella solitudine della sua stanza, si permetteva di sorridere. Un sorriso stanco, ma pur sempre un sorriso. Le guance tirarono, le labbra si allargarono sui denti candidi. Un sorriso. Un ghigno. Un ghigno alla vita. Gliel’aveva fatta ancora per un giorno. Si sedette sul davanzale e osservò i colori del tramonto. Chiuse gli occhi. Sarebbe facile. Facile perdere l’equilibrio e cadere giù. Cosa le costerebbe? Chi piangerebbe la sua morte? Forse nessuno, forse tutti. Forse. Ma tanto non sarebbe accaduto. Nessuno avrebbe mai pianto per lei e lei non avrebbe mai perso l’equilibrio. Non si moriva così. Si moriva sul campo di battaglia, per mano del nemico, quella sarebbe stata solo una morte vigliacca, una morte per mettere fine a una vita troppo lunga. Lei non era una dea, nessuno la venerava. Lei non era una moglie, nessuno la amava. Lei non era una madre, nessuno la chiamava. Lei non era nessuno. Lei era il mostro di cui le madri premurose raccontavano la notte per tenere i figli lontani dai pericoli. Lei era il terrore. Il bianco. La paura. Il mostro. Il mostro che viveva solo coperto dal colore di altri. Il mostro che viveva solo al tramonto per morire con il calare della sera.
Amy Lee aprì gli occhi solo quando non sentì più il caldo rosso sulle palpebre. Scese dal davanzale. Ancora un giorno.
La ragazza si tolse il cinturone e lo appese al suo gancio, prese solo lo stiletto e lo appoggiò sul letto. Poi si tolse anche la gonna e il top, li ripiegò e li sistemò nell’armadio, in perfetto ordine, in perfetto silenzio.
Tutte le pareti libere avevano uno specchio, almeno un piccolo, e il letto era al centro. Dal centro della sua camera poteva vedere tutto, caso mai qualcuno fosse entrato, lo avrebbe visto dagli specchi, ma il più grande era vicino all’armadio e la ragazza si avvicinò a quello. Sulla superficie argentata si rifletté una ragazza che poteva dimostrare al massimo vent’anni, non di più. Era minuta, non superava il metro e settanta, aveva lunghi capelli candidi come la neve, mossi come le onde del mare, le arrivavano fino ai fianchi e coprivano il seno piccolo, cadendo sulla pancia piatta e scolpita. Aveva un fisico asciutto privo di grasso, gambe scolpite come nel marmo, così come le braccia, asciutte ma forti. Mano a mano che si avvicinava allo specchio, si riuscivano a vedere nuovi dettagli. La luce della luna piena, che arrivava dalla finestra aperta, faceva risplendere centinaia, migliaia, di cicatrici, grandi e piccole, lievi e profonde. Si guardò da vicino. Non sarebbe stata neanche da considerare brutta, se non fosse stato per tutte quelle cicatrici. Ma solo perché non era a Son, lì forse sarebbe stata considerata bella, anche se nessuno le si sarebbe mai avvicinato dopo aver capito chi era, l’avrebbero guardata da lontano con un misto di timore e curiosità negli occhi. Forse doveva tornare a Son, anche solo per un giorno, forse le avrebbe fatto bene. Si avvicinò ancora di più allo specchio. Adesso riusciva a vedere il viso. Due grandi occhi verde chiaro la guardavano, occhi come quelli del padre, ma vuoti e freddi. Un piccolo naso dritto e delle labbra grandi e carnose. Ecco la maschera con cui si copriva ogni giorno. Non era niente di speciale. Non dopo aver visto gli dèi della Dimora Celeste e aver vissuto con loro. No, non era niente di speciale. E, anche se si volesse guardare la sua parte interiore, non si sarebbe scorto molto. Un muro alto e invalicabile, un accecante bianco, segreti oscuri e bugie. Niente di buono. Per questo non si stupiva di essere ancora sola dopo duecento anni.
-Ma tu non sei sola…- sussurrò ghignando Iroth posandole una mano sulla spalla. Amy Lee chiuse gli occhi e posò una mano su quella del padre. Ripensò a quello che avevano passato assieme, alle guerre, alle battaglie, al sangue. E improvvisamente gli prese la mano, si girò su se stessa, lo ribaltò per terra e posò un piede sulla sua gola. Ci era riuscita.
-Non voglio che entri in camera mia.- sussurrò dura. Il dio scomparve e riapparve a pochi metri di distanza. La guardò male, gli occhi pieni di rabbia. Lui sapeva cosa voleva dire la rabbia. Il dolore. La vendetta. Lui era il dio di quei sentimenti e Amy Lee si chiedeva come era potuta uscire lei che era proprio l’annullamento di tutto quello. Lei era diversa da tutti gli altri figli del dio, tutti mossi dalla bramosia del sangue, della vendetta, dalla rabbia. Lei invece era spinta solo dalla forza del mondo, andava avanti per inerzia, solo con la spinta della vita. Amy Lee guardò Iroth negli occhi, sapeva che avrebbe pagato per quello che aveva fatto, Iroth non dimenticava. Glielo diceva con i ricordi e con gli occhi. Iroth non perdonava. Nessuno. Lo dicevano le guerre scoppiate solo per un suo capriccio, una sua vendetta, una sua ripicca. Tutti lo sapevano. Il dio della guerra non dimentica. Glielo disse un’ultima volta e poi scomparve.
Amy Lee sospirò e si sedette sul letto. Prese gli altri pugnali e si mise a pulirli e lucidarli. Quando ebbe finito appoggiò lo stiletto sul cuscino e indossò una maglia larga, si sdraiò per terra e cominciò a fare i suoi esercizi. Addominali, flessioni, tutto quello che serviva per tenerla in forma. Amy Lee praticava piccoli riti quotidiani che, giorno dopo giorno, tenevano in vita lei e il suo corpo. La salvavano dagli attacchi repentini dei ribelli, di Iroth e anche dai suoi attacchi. Dai suoi ricordi.
Perché era nei sogni che si colorava e che indossava la sua peggior maschera. La maschera della morte. Sua e di tutti gli altri.
Quando ebbe finito, sistemò lo stiletto sotto al cuscino, al sicuro e a portata di mano e chiuse gli occhi.
 
   
 
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