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Autore: rossella0806    16/04/2015    2 recensioni
Piemonte, inizi del 1900.
Adele ha appena vent'anni quando è costretta a sposare il visconte Malgari di Pierre Robin, di quindici anni più vecchio, scelto in circostanze non chiarite dal padre di lei, dopo la chiusura in convento di Umberto, il ragazzo amato da Adele.
I genitori del giovane, infatti, in seguito ad una promessa fatta a Dio per risparmiarlo dalla tubercolosi, non ebbero alcun dubbio a sacrificare il figlio ad una vita di clausura, impedendogli di scegliere una strada alternativa.
Sono passati due anni dal matrimonio e dall'allontanamento forzato da Umberto, e Adele si è in parte rassegnata a condurre quell'esistenza tra Italia e Francia, circondata da persone che non significano nulla per lei, in balia di un marito che non ama, fino a quando, una sera di marzo, giunge a palazzo una lettera di Umberto, che le confessa di essere scappato dal convento di monaci e che presto la raggiungerà per portarla via.
Genere: Avventura, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago, Storico
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ADELE TTT La donna di fronte a lei aveva circa cinquant’anni, i capelli e gli occhi castani. Era piuttosto alta per gli standard dell’epoca, e magra, di un magro sano, tutto l’opposto di quello della ragazza.
La nuova venuta, un elegante abito amaranto ad avvolgerle la figura, rimase con la bocca sottile semiaperta, un’espressione di meraviglia sul volto privo di rughe, mentre un rossore improvviso prese a tingerle le guance.
“Adele …” riuscì solo a mormorare, mentre la giovane abbassò lo sguardo intimidito.
“Cercate … Umberto?” si sforzò di completare la frase Adele.
“S-sì. Mi fai entrare?”
L’altra annuì, facendosi da parte quel tanto che bastava per permettere alla donna di passare.
“Sei sola in casa?”
La giovane annuì, non riuscendo a sostenere lo sguardo di quella che avrebbe dovuto essere sua suocera davanti a Dio e alla Legge, se quel Dio che tanto la signora marchesa quanto il marito avevano pregato durante la tubercolosi che aveva colpito il secondogenito, non le avesse portato via il suo amore.
Sempre in piedi, Flora –questo era il nome della donna- sorrise amaramente e, rivolgendosi ad Adele ma guardando in direzione del camino, sentenziò con voce fredda e tagliente:
“Adesso ho capito perché Umberto è fuggito dal convento … sei stata tu la causa del suo allontanamento dall’Ordine. Avrei dovuto immaginarlo”
La ragazza lanciò un’occhiata di astio nei confronti della mancata suocera poi, accorgendosi di non aver spento il fornelletto sulla stufa, si apprestò in quella direzione.
“E’ lui che mi ha cercato, signora, e sono stata ben felice di poterci ricongiungere!” le rispose, il tono di voce che cercava di essere altrettanto glaciale e intimidatorio.
In quel momento, però, Adele era solo frastornata e incredibilmente stanca: pregò nella mente che il suo Umberto arrivasse al più presto, così come sperava che Maria continuasse a non accorgersi dell’ospite indesiderato, per non darle ulteriori preoccupazioni.
“Non ho motivo di dubitarne perché, purtroppo, so quale ascendente hai sempre avuto su mio figlio” continuò pungente la donna, lo sguardo fisso verso il caminetto.
“Comunque sia, adesso non ha più importanza. Si è rovinato la vita per te, ha abbandonato ciò che di più sacro esiste su questa Terra! Vive in una casa che è poco più di una capanna, e tutto questo lo ha fatto … per te
Non era arrabbiata, solamente amareggiata ed incredula, mentre le lacrime cominciavano a scendere da entrambi gli occhi.
“Umberto ha rifiutato qualcosa che non aveva scelto, che voi gli avevate imposto, senza tener conto dei nostri sentimenti o delle sue decisioni! Quando ci avete allontanato, io ho rinunciato a vivere, signora! Ho rinunciato ad essere felice, perché quello che più amavo, mi era stato tolto! E non capivo il perché! Anzi, ancora adesso, a ripensarci, mi chiedo che genitori siete stati!”
Adele, il volto in fiamme e la voce rabbiosa poco più udibile di un sibilo mormorato a denti stretti, si era inconsciamente avvicinata alla donna che, prontamente, prese a guardarla e a ribattere ad alta voce:
“Tu osi domandarmi che genitori siamo stati?! Noi amavamo nostro figlio, lo abbiamo sempre amato e lo amiamo ancora adesso! Cosa ne puoi sapere? Non puoi capire l’angoscia e la disperazione che ci hanno attanagliato in quei sei lunghissimi mesi in cui non sapevamo se Umberto sarebbe sopravvissuto! Dimmi, Adele, tu riesci a immedesimarti in una madre? Tu sai cosa significhi essere una MADRE?!”
Era troppo, non avrebbe sopportato oltre quella falsa ramanzina: di nuovo quella fitta insistente e fastidiosa al ventre, piegò la ragazza in due.
Traballante, si diresse verso la porta, nello stesso istante in cui veniva aperta: Umberto, il maglione nero di due giorni prima, i pantaloni color mattone e gli stivali sbiaditi al posto degli scarponcini, entrò radioso, ma il sorriso si spense all’istante quando vide le due donne fronteggiarsi a pochi passi da lui.
“Mamma … cosa ci fate qui?”
La donna apostrofata sorrise amaramente poi, con voce bassa e incrinata dalle lacrime che cercava di trattenere, gli rispose:
“Mi chiedi cosa ci faccio io qui … e tu, Umberto, cosa ci fai qui? E lei? Lei, cosa ci fa qui? Queste domande invece non te le poni, vero?!” e, senza aspettare che il figlio ribattesse, avvicinandosi, continuò:
“Ero venuta a trovarti. Forse una madre non può? Dopo che ci siamo visti la scorsa settimana, non ho fatto altro che pensarti: avevo nostalgia di te, della passeggiata che abbiamo fatto nel querceto, delle parole che io credevo sincere, e che invece mi hai falsamente propinato riguardo il tuo improvviso abbandono del convento!”
“Mamma, smettetela, per favore!” ringhiò il giovane, prendendo per mano Adele, immobile e pallida.
“Ti sei umiliato con tuo padre, Umberto” proseguì l’altra imperterrita “hai elemosinato la parte di eredità che un tempo ti spettava! Non guardarmi con quell'espressione smarrita, perché quel giorno in cui sei venuto a palazzo, ho origliato ogni parola sussurrata tra di voi, ogni negazione che hai dovuto subire! E adesso ho capito! Ti sei venduto al diavolo, hai rinunciato all’Ordine, solamente per lei! Per una donna sposata che non potrà mai, MAI, essere veramente tua!”
Di nuova la fitta insistente e fastidiosa al ventre tornò a farsi sentire: Adele, impietrita fino a quel momento, si gettò oltre la porta lasciata aperta e, in un angolo del muro, vomitò l’anima, vomitò il male che abbondava dentro di lei e il bene che stentava a fuoriuscire, vomitò la rabbia, il dolore, la tristezza, contrapposti alla gioia e alla felicità che l’avevano invasa fino a mezz’ora prima.
Poi, la mano del giovane, le sfiorò la vita:
“Adele … cosa ti succede? Se è per le parole che ha detto mia madre, non devi preoccuparti, non darle ascolto!”
“Vattene via!” biascicò la ragazza, piangendo e smettendo di vomitare a vuoto “ non voglio che tu mi veda così! Per favore, rientra in casa!”
Umberto cercò di ribattere, ma lei fu irremovibile.
Quando se ne fu andato, Adele respirò a fondo, passandosi il dorso di entrambe le mani sulla bocca asciutta: le lacrime si mischiarono alle goccioline di saliva che non riusciva a trattenere dalla labbra, non più carnose ora, ma solo un ricordo sbiadito di quelle rosse e lucide di un tempo.
Si sentiva svuotata, atterrita, impotente a cambiare la situazione in cui si trovava: si rendeva conto che, forse, era arrivato il momento di rivelare ad Umberto ogni cosa, di confessargli che era incinta.
Mentre stava riflettendo sul modo migliore di dirglielo, udì dei passi dietro di lei: la mancata suocera stava uscendo dalla casa della stiratrice, il fruscio dell’abito color amaranto sulla terra battuta.
Adele non si voltò, non la degnò di uno sguardo, non potendo vedere che l'altra le lanciava un’occhiata mista di compatimento e di rabbia.
La ragazza avvertì solo le ruote della carrozza -distante un centinaio di metri- che aveva intravisto quando era uscita per vomitare, rotolare sul selciato, per poi allontanarsi di gran carriera.


“Umberto, ti devo parlare …” esordì la giovane, quando un minuto dopo rientrò.
“Bevi un po’ d’acqua prima, sarai stremata” la incitò lui, mentre le porgeva un bicchiere.
Lei bevve avidamente, gli occhi arrossati ormai stanchi di piangere, il volto ancora più pallido rispetto gli attimi precedenti la decisione che aveva preso.
“Come ti senti?” s’informò il ragazzo, accompagnandola a sedersi su di una sedia.
“Maria non è scesa?”
“No: sono andato da lei per vedere se aveva bisogno, ma è ancora intenta a stirare. Le ho detto che c’era mia madre, così non ci disturberà, se è questo che ti preoccupa ... ”
Adele annuì seria, il bicchiere ancora tra le mani, prima di appoggiarlo definitivamente sul tavolo.
“ C’è una cosa che devo dirti … però promettimi che non mi riporterai indietro, che mi farai parlare!” preavvisò la ragazza, appoggiando d’impeto le mani fredde su quelle grandi e calde di lui.
“Indietro da tuo marito? Certo che no, Adele! Se siamo qui adesso, è perché entrambi abbiamo rinunciato alle nostre vite passate!” e, baciandole i palmi, assicurò “ti ascolto, puoi dirmi qualsiasi cosa che io ti ascolterò e ti capirò”
“Sono incinta” disse semplicemente, senza aspettare nemmeno che lui potesse immaginare il motivo di quel discorso così misterioso.
“In-cinta …?!” Umberto si mosse infastidito sulla sedia, impallidendo contemporaneamente: era come se volesse alzarsi, ma non trovasse il pulsante per comunicare alle sue gambe di eseguire il comando.
“Sì: è successo la notte in cui avremmo dovuto incontrarci, quel mattino in cui ci eravamo dati appuntamento al mercato. Ho ricevuto la tua lettera solo il giorno dopo, così avevo stupidamente creduto che tu non volessi più vedermi, che non ti fossi presentato all’appuntamento perché avevi capito che era tutta un’immensa pazzia! Invece non sapevo che Maria avesse la polmonite e …”
“Basta! Basta, Adele! Smettila, non voglio più sentirti!” la pregò alzandosi di scatto dalla sedia, passandosi le mani nei capelli.
“Ma tu mi avevi promesso che mi avresti ascoltata, che mi avresti capita!” pretese lei, alzandosi a sua volta e cercando di trattenerlo per una spalla, mentre Umberto passeggiava avanti e indietro.
“Mi hai appena detto che aspetti un figlio da un altro! Cosa c’è da capire?!” cercò di farla ragionare, scuotendola per le braccia.
“Io … io sono stato uno stupido a pensare che avremmo potuto davvero recuperare le nostre vite! Ma il tempo non torna, né possiamo modificare il passato! Avrei dovuto capirlo mesi fa, quando Anna mi ha spedito il tuo indirizzo e ho lasciato il convento, stordito da una passione infantile e malata!”
“Io ti amo, Umberto! Ti ho sempre amato! Sei tu quello che ho sognato, che ho desiderato in questi due maledetti e lunghissimi anni di matrimonio! Sei tu che, quella notte, sognavo di stringere, di baciare! Come fai a non capirlo?! Io voglio stare con te, solo con te!”    
“Dio mio, Adele! Il sacrificio che ho fatto per te non è servito a nulla! Tu hai rovinato tutto! Per che cosa poi?! Per una sensazione, per un capriccio, per un tuo stupido pensiero infantile?! Come hai potuto anche solo per un secondo dubitare del mio amore, della mia fedeltà?!”
“Scusami, scusami, scusami! Ti supplico, Umberto, perdonami!” s’inginocchiò la giovane, cominciando a singhiozzare e a piangere  “farò qualsiasi cosa, ma ti imploro! Non riportarmi da lui, non riportarmi nella mia prigione! Se lo farai, morirò, lo capisci?!”
Il ragazzo scosse la testa disperatamente, un groppo in gola che cominciava a premergli per uscire: avrebbe voluto stringerla, rassicurarla, baciarla, dirle che tutto si sarebbe sistemato, che non gli importava e non gli sarebbe importato se lei aspettava un figlio da un altro, però … però non era pronto, non era sufficientemente forte da perdonarla, non ancora almeno.
“Non posso, Adele, non posso. Devo riportarti da lui, è giusto così!”
“Umberto, per favore, non farmi questo! Non potrei sopportarlo!”
“Io non ho altra scelta!”
La giovane sposa si alzò dal freddo pavimento di cotto e, strofinando le mani sul grembiule che ancora indossava, abbassò lo sguardo.
Poi avanzò in direzione della traballante scala di legno: era indecisa se salire per salutare Maria, l’unica persona che, oltre alla signorina Felicita, aveva voluto aiutarla nel realizzare il suo sogno d’amore, ora infranto.
Ma non ebbe il coraggio di fare quei pochi passi che la separavano dalla donna, non avrebbe retto all’ennesimo addio nella stessa giornata.
Fece dietrofront e, dirigendosi verso il tavolo al centro della stanza, slegò le cocche del grembiule per appoggiarlo sullo schienale di una sedia.
Si avviò, senza voltarsi indietro, oltre la soglia della porta lasciata socchiusa.
“Dove stai andando?!” la apostrofò preoccupato Umberto, correndole dietro.
“Non lo so ancora … “ la giovane continuò a camminare lentamente, oltre lo spiazzo di terra battuta davanti alla casa della stiratrice, in direzione del querceto poco distante.
“Adele, torna subito indietro! Non sei nelle condizioni adatte per andare in giro da sola!”
Il ragazzo l’aveva raggiunta e l’aveva presa per un braccio, cercando di arrestare la sua folle passeggiata.
“Perché adesso ti preoccupi per me? Mi hai detto di non volermi più, così mi allontanerò per sempre da te. Non ti cercherò, non ti darò fastidio, se è questo che vuoi” ribatté stancamente, lo sguardo perennemente abbassato.
“Per favore, Adele, non fare la vittima! Io ti amo più della mia vita, te lo giuro! Farei qualsiasi cosa per te, ma non puoi chiedermi di separare il figlio che aspetti da suo padre! Non sarebbe giusto, lo capisci?”
Umberto cercò di stringerla a sé, in un abbraccio che sapeva di perdono e di scuse al contempo.
“Non voglio che tu lo compatisca, non se lo merita! Se tu mi amassi come dici, accetteresti la mia condizione!”
Poi, allontanandosi da quel contatto di cui non riusciva a reggere la vicinanza, prese a picchiare l’uomo che credeva tenesse veramente a lei: indirizzò le mani strette a pugno contro il petto del giovane, contro le spalle, le braccia e, infine, gli lanciò uno schiaffo, un altro, un altro ancora, fino a quando si accasciò sul terreno brullo, piangendo e singhiozzando.
“Adele, tirati su! Non devi umiliarti fino a questo punto …” Umberto s’inginocchiò e, sorreggendola per i gomiti, l’aiutò a rialzarsi.
“Vieni, andiamo …” la invitò con voce bassa e delicata.
Ripercorsero la decina di metri che li aveva allontanati dalla casa della stiratrice, l’andatura traballante della ragazza, e quella curva e colpevole di lui.




NOTA DELL'AUTRICE

Ciao a tutti! Spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se le cose per Adele non stanno andando tanto bene.
La sua sincerità l'ha tradita, così come la fiducia che nutriva nei confronti di Umberto.
Lui dice di essere ancora innamorato, quindi che cosa prevarrà? Il senso del dovere oppure l'amore incondizionato per Adele?
La riporterà indietro oppure no?
Vi aspetto con il prossimo capitolo rivelatore!
Grazie a chi legge e recensisce! Vi adoro!!!!
A presto!
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