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Autore: HeartRain    28/04/2015    1 recensioni
|IN REVISIONE|
«Ib, sai perché hai gli occhi scarlatti?»
Un incontro tra La Donna in Rosso e Ib, farà aprire gli occhi a quest'ultima su una verità che lei non conosceva di se stessa. Sarà, pur contro la sua volontà, costretta ad accettarla, ma non tutto è come sembra.
Questa é la mia prima Long-Fic, perciò spero tanto che possa piacervi!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Garry, Ib, Lady in Red, Mary
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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(Fanarts by  ニノツキ and Eli-san)


 
Scarlet Eyes



Capitolo 1
Promessa










 
l nostro passo rimbombava nello stretto e poco illuminato corridoio che eravamo costrette ad attraversare. Senza sapere cosa ci aspettasse alla fine di quel percorso, io e Mary avanzavamo a passi piccoli e insicuri; un insolito fischio risuonava nelle mie orecchie. Il cuore premeva forte contro il mio petto. Quel posto mi sembrava così vuoto… ai miei occhi si era svuotato dal momento in cui avevo varcato la soglia della porta che mi aveva separato da Garry. Tutto si era annebbiato quando quelle rampicanti di pietra ci avevano divisi, e quando comprendemmo che non avremmo più potuto tornare indietro il buio aveva completamente oscurato lo spazio attorno a me.
In quel momento avevo voglia di gridare il nome di Garry, come se tutto quello che avevamo intorno non esistesse più. Se lui avesse potuto sentirmi attraverso le spessissime pareti avrebbe trovato la sovrannaturale forza di oltrepassare quella pianta di marmo e sarebbe venuto in mio soccorso. Sì… lui c’era sempre. Ma quella volta sarebbe stato impossibile, per lui, sentire la mia voce. Nulla sarebbe successo. Lui non avrebbe frantumato con le proprie mani quelle rampicanti, non avrebbe forzato la porta per sconfiggere il manichino che la teneva chiusa, non mi avrebbe teso la mano per salvarmi e portarmi via.
Ero rimasta a vagare con Mary, ma l’assenza di Garry non era una cosa così semplice da digerire. Pareva che fosse il contrario per Mary - non sembrava preoccupata, né tantomeno si sarebbe detto che avesse vissuto qualcosa di ciò ch’era successo. Ma non potevo leggere i suoi pensieri… forse, con la sua allegria, cercava solo di nascondere la sua paura. E se avesse notato quanto il mio morale fosse a terra e stesse solamente cercato di ripararlo?
Non sembrava affatto sentire la sua mancanza, però. Era per questo che non riuscivo proprio a capire quali fossero le sue intenzioni… Era come se tutto il tempo durante il quale Garry era stato con noi lui fosse stato solo un peso in più da sopportare – di cui, adesso che eravamo da sole, ci eravamo liberate. Non aveva mai dato prova di provare simpatia nei suoi confronti, forse era impaurita da lui, che fino a poco tempo prima reputava uno sconosciuto. Io non le sembravo una minaccia, per la mia giovane età, era per questo che era così sollevata di essere solamente con me? Eppure Garry l’aveva accolta così gentilmente… Mi pareva davvero strano che ignorasse la sua assenza anche in quel caso. Si comportava come se non avesse ancora realizzato che stavamo lasciando indietro il nostro compagno per proseguire senza alcuna certezza sulla nostra meta, potendo solamente sperare di trovare una via d’uscita e ritrovare soprattutto lui sano e salvo.
Mary… lei era davvero stravagante, si poteva dire che fosse lo spirito spensierato del gruppo – ma non mi era indispensabile come Garry lo era diventato per me. Lei era il vero labirinto, il vero enigma – decifrare i suoi pensieri era più complesso che trovare il passaggio per tornare al mondo reale.
«Ehi Ib...» mi chiamò Mary, interrompendo bruscamente i miei pensieri. «Posso farti una domanda?»
Alzai lo sguardo e annuii.
«Garry è... tuo padre?»
Colta alla sprovvista da quell’insolita domanda, risposi solo dopo una breve pausa: «No».
«Mm, quindi tuo padre è qualcun altro...» borbottò, «Capisco».
Ripresi a camminare normalmente, un po’ distratta dai mormorii incomprensibili di Mary.
«Sai perché hai gli occhi scarlatti, Ib?», mi sorprese di nuovo, all’improvviso, la sua voce.
Sarebbe potuto sembrare strano ma, sentire il mio nome pronunciato così, sempre con lo stesso tono stridulo ─ quasi come se si trattasse dell’audio di un disco che ripeteva infinite volte lo stesso punto - mi infastidiva.
«Be’» esordii, per prendere tempo. In primo luogo, non riuscii a trovare una risposta da darle – né a capire che tipo di risposta si aspettasse di sentire. «È perché la mia mamma ce li ha così» affermai.
«Oh, io ce li ho azzurri. Strano, non è così?» Scossi la testa, in evidente disaccordo, e Mary si poggiò un dito sulle labbra. «Vuoi rivedere i tuoi genitori presto, vero? Anch’io voglio uscire presto... Be’, cerchiamo di uscire insieme, ok? Te lo prometto!»
Mi aveva appena promesso che saremmo uscite assieme, senza che io facessi nulla. Avrei tanto voluto dirle che anche Garry sarebbe stato con noi, ma le parole mi si bloccarono in gola; aveva fatto tutto così in fretta, che probabilmente avrei distrutto il suo entusiasmo se le avessi detto ciò. In ogni caso, la sicurezza che avremmo ritrovato il nostro amico e che saremmo riusciti a tornare alla galleria d’arte bastava a me – non sarebbe cambiato nulla se l’avessi precisato a voce alta.
Ci fu silenzio nei successivi minuti; arrivammo al termine di quel corridoio e davanti a noi si presentò una porta scura e malconcia. Mi guardai attorno, quasi come per cercare delle vie alternative: oltrepassare quella porta solitaria, lì, al centro della strettissima parete con la carta da parati quasi totalmente scollata non mi sembrava una buona idea. Ma non c’erano altri sbocchi, se volevamo procedere dovevamo entrare lì.
Mary poggiò sicura la mano sulla maniglia, ma prima di girarla il suo sguardo si spostò su di me. Mi guardò dritto negli occhi. «Staremo insieme? Promesso?» disse, come per cercare una conferma di ciò che mi aveva detto poco prima.
Tese l’altra mano e l’avvicinò alla mia.
«Certo che sì, Mary…»
Lei allora afferrò la mia mano destra, per poi girare la maniglia e spingere la porta. Sembrava che potesse cadere a pezzi da un momento all’altro mentre Mary la spalancava. Per nostra fortuna, resistette, ma questo non bastò a rassicurarci: il cigolio che l’accompagnò non ci convinse per niente.
Arrivammo in una camera notevolmente piccola, ma non avemmo abbastanza tempo per guardarci intorno e capire dove fossimo che le luci del corridoio appena attraversato si spensero una alla volta, dalla più lontana alla più vicina.
«Che... su-succe-e-de?» chiesi; si poteva facilmente avvertire una marcata nota di terrore nel mio tono di voce.
Mary non rispose. Alla fine, non rimase neanche una delle pallide luci giallastre del corridoio. E quelle, che illuminavano anche la camera in cui eravamo appena entrate attraverso la porta, ci avevano lasciato sprofondare nel buio totale.
«Mary?!» chiamai disperata, non sentendo più la sua gelida mano sulla mia.
Niente.
Udii dei passi. In quel momento di confusione, non riuscii a capire se si stessero avvicinando o allontanando, così come non ero sicura fossero i passi di Mary. Erano più pesanti e rumorosi.
Pochi secondi e... Tic! La luce tornò grazie a una lampada cremisi che giaceva su un comodino per metà distrutto. Non avevo la minima idea di come avesse fatto, ma Mary aveva trovato il pulsante per accenderla – tirai un sospiro di sollievo. L’unica cosa ancora completamente intatta in quella stanza era forse la lampadina, che luccicava come se fosse nuova di zecca; e invece, guardandomi intorno, dovetti ricredermi: la stanza dalle pareti blu notte era tappezzata di quadri. Erano, in realtà, tante copie dello stesso quadro; “La Donna in Rosso”... con la quale avevamo già avuto in precedenza spiacevoli incontri.
In quel momento sembrava che gli occhi dipinti di ognuna di queste stessero fissando insistentemente me. Pareva potessero fuori dalle loro cornici da un momento all’altro, pronte ad attaccare.
Al centro della stanza c’era un grande tappeto di un bianco sporco con dei disegni astratti ricamati di colore azzurro. Era impolverato, e dall’aspetto sembrava anche piuttosto vecchio. Lo osservai a lungo, ma non riuscii a comprendere i soggetti dei disegni azzurri. Molto probabilmente anche quello era un’opera di Guertena: non ero mai riuscita a comprendere la sua arte. “Ogni pennellata ha un suo significato”, mi aveva detto la mamma prima di arrivare alla galleria d’arte, quella mattina. All’inizio non avevo ben capito cosa intendesse, ma in quel momento mi era sembrato tutto molto più chiaro.
«Cos’è successo? Perché le luci si sono spente?» disse Mary, tornando al mio fianco.
Scossi la testa: «Non lo so, ho paura». Sospirai, «Almeno abbiamo trovato quella lampada».
Mary sorrise e si guardò attorno; io sentii uno scricchiolio, e istintivamente mi voltai. Il mio cuore batteva forte contro il petto, ero terrorizzata: la porta dietro di noi era chiusa, e la maniglia era caduta a pezzi. Mary non l’aveva ancora notato, e decisi che per il momento non gliel’avrei comunicato: chissà come avrebbe potuto reagire.
La bionda mi poggiò una mano sulla spalla per poi tirarmi bruscamente indietro, e subito pensai che avesse scoperto da sé il nostro attuale stato di prigionia. Ma prima che potessi dire qualsiasi cosa, lei lesse ad alta voce una targhetta: «Guarda! C’è scritto “Non calpestare il tappeto”».
«Oh...»
Ci trovavamo in un vicolo cieco?  Non c’erano vie d’uscita. Cosa avremmo dovuto fare? Ben presto la mia domanda ebbe risposta, quasi come se quella stanza avesse ascoltato i miei pensieri e avesse deciso di aiutarmi.
In quel momento, proprio davanti ai nostri piedi, comparve una scritta in pittura bianca: “Volete uscire? Allenate bene l’occhio, vi servirà. Passare tutta la vita in questa stanza in cerca della soluzione potrebbe essere divertente... Potreste non far caso al tempo che passa.
Qual è davvero?
…Se si poteva definire aiuto, questo. Era solo l’ennesimo enigma. Come se quelli precedenti non fossero bastati a fare incrementare la mia paura di non riuscire a trovare una soluzione, di rimanere rinchiusa qui, senza più alcuna traccia di speranza.
«Qual è davveroAllenare l’occhioNon far caso al tempo che passa… C’entrano qualcosa tutti questi quadri, secondo me...» pensai a voce alta.
«Cosa significa? Oh, ho capito! Ho capito!» gridò Mary, eccitata. Al contrario di me, non sembrava poi così tesa dopo aver letto quel messaggio. Non sarei mai riuscita a capire come facesse a restare tanto raggiante. «Dobbiamo trovare il dipinto originale in questa stanza, quello reale».
Pensai l’impresa fosse impossibile, ma cambiai il mio pensiero quando la ragazzina pronunciò la parola ‘reale’. Certo, se intendeva letteralmente ‘reale’, allora l’avremmo riconosciuta subito: bastava solo che si staccasse dal muro, da brava “Donna in Rosso”, e ci rincorresse per aggredirci! Facile, no?
Forse la mia paura era troppo grande... Non ce l’avrei fatta ad indagare tranquillamente sui quadri senza provare una profonda angoscia.
E, forse, Mary era troppo tranquilla. Troppo allegra per essere una bambina perduta ritrovatasi chissà come in quest’inquietante luogo senza essere sicura di trovare una via d’uscita.
“Sei troppo paranoica, Ib” mi rimproverai. In quel momento la ragazzina mi rivolse nuovamente la parola, risvegliandomi dai miei pensieri: «E tu che fai, non cerchi? Vieni, dai! Se siamo in due a cercare faremo più presto».
Accennai un “sì” insicuro. Inutile dire che non ero per niente convinta di trovare realmente una soluzione; quella scritta lasciava intendere che si trattasse solamente di un trabocchetto, un trucco per renderci prigioniere di quel posto per l’eternità, una trappola. Avrei dato qualsiasi cosa per avere almeno Garry con noi... qualsiasi.
Cominciai a girovagare per la stanza, osservando uno a uno i ritratti presenti sulle pareti. Inizialmente lo facevo con attenzione, grazie anche a quel pizzico di perseveranza che Mary mi aveva trasmesso con le sue parole di incoraggiamento. Però finii pian piano per perdere il mio ritmo: ormai saltavo più di due o tre dipinti alla volta, e il controllo sugli altri era più che superficiale. Ero sfinita, e allo stesso tempo sorpresa del fatto che non fossi ancora impazzita a furia di cercare qualcosa per poter controllare i quadri posti più in alto: la stanza era piccola, sì, ma il soffitto era altissimo. E i ritratti della “Donna in Rosso” erano ovunque sulle pareti.
Così attraversai a ritroso la montagnetta di oggetti che avevo raccolto in quella stanza e che avevo assemblato in modo da usare come una scaletta. Mi sedetti per terra, con la schiena appoggiata alla porta bloccata; appena le mie mani entrarono a contatto con il pavimento, rabbrividii. Era gelido e... bagnato.
La mia mano era appena affondata in una macchia di vernice trasparente, dai riflessi azzurrini, che si vedeva appena sopra al di sopra del pavimento blu. Al tatto sembrava acqua, ma quando realizzai cosa fosse ritirai subito la mano e mi alzai in piedi, allarmata.
La vernice non si limitava a una goccia, ma si era formata una vera e propria scia. Osservai il palmo della mia mano: la pittura stava scomparendo a vista d’occhio. «Cosa...?»
La scia portava fino alla parete opposta e ci si arrampicava fino ad arrivare sopra a uno dei dipinti. Mi avvicinai per vedere meglio: la vernice proveniva dagli occhi del soggetto. Il quadro stava... piangendo?
Dagli occhi di una “Donna in Rosso”, di quella “Donna in Rosso”, stavano grondando gocce di vernice. Non avanzai di un altro millimetro. Il mio cuore aveva preso a battere due volte più in fretta del normale, ma mi ci ero quasi abituata.
Quel suono, quel gioioso suono di una serratura che viene girata, di un lucchetto che si apre... era tornato. Non era mai piaciuto alle mie orecchie, quel rumore - ma in quel posto, qualsiasi cosa fosse, avevo imparato ad adorarlo.
Esso preannunciò il movimento dell’elaborata cornice dorata del quadro, che si staccò dalla parete e si aprì a mo’ di porta.
«Cos’è stato?» sentii la voce di Mary dalla parte opposta della stanza, che si era voltata appena sentito il suono. Non ci volle neanche un secondo perché lei notasse il quadro e corresse nella mia direzione, con un sorriso largo fino alle orecchie: «Ib, è geniale! Come hai fatto?»
Be’ , bella domanda! Era successo e basta. Forse era stato sotto ai nostri occhi per tutto il tempo e non ce n’eravamo accorte. «Non lo so...»
«Prendiamo quella roba e saliamo!» disse Mary, indicando le cose che avevo utilizzato per arrivare ai quadri più in alto. Annuii e l’aiutai a trasportarle su quella parete; salii in cima alla pila e tesi la mano a Mary per aiutarla a raggiungermi più in fretta. Avevamo dovuto stringerci il più possibile per oltrepassare la cornice del quadro, che però ci portò a un corridoio illuminato e decisamente più spazioso rispetto agli altri. Avevamo sentito che tutti gli altri quadri si erano schiodati dalle pareti, si stavano avvicinando, si trascinavano verso di noi con le loro enormi mani; questo ci aveva motivate a fare in fretta e chiudere la cornice dietro di noi per bloccare quell’orda di ritratti che voleva raggiungerci.
Ci eravamo quindi ritrovate ad attraversare quel percorso di cui non si vedeva la fine ─ senza neanche la sicurezza che ce ne fosse una. Ai miei occhi era solo una delle tante scorciatoie tra una stanza e l’altra di questo posto; non c’era ancora neanche un accenno alla risposta ad una semplice domanda: e adesso, dove sono? Ma, tutto sommato, ero un po’ più felice per essermi finalmente lasciata alle spalle quella minuscola stanza blu notte.
Mary afferrò il mio polso e l’agitò per richiamare la mia attenzione, poi indicò dritto davanti a me: «Guarda Ib, scale!». Sembrava tutto così bello, se solo ci fosse stato Garry ad esultare con noi… Forse quelle scale portavano a lui?
Ma erano più lontane di quanto pensassi, probabilmente a causa della mia stanchezza non avevo calcolato per niente bene le distanze quando Mary mi aveva mostrato quegli scalini. Erano minuti che camminavamo, camminavamo, camminavamo, senza distogliere lo sguardo dalla scala che avevamo proprio davanti a noi.

 
***

Mary si spazientì prima di me, aveva uno sguardo accigliato e aveva cominciato a camminare più rapidamente. «Dài, dài…» borbottava nervosamente tra sé e sé. Poi, aveva preso a correre: «Quand’è che finisce questa strada?!» si lamentò, ma era più che giustificata.
Non avevo “sbagliato a calcolare le distanze”: quel corridoio non aveva fine!
 
***

Un grido. Una voce maschile ma acuta, spaventata. E poi silenzio totale.
Anche Mary, che fino a qualche secondo prima stava borbottando altre lamentele, si zittì completamente. Mi voltai e poi guardai il soffitto: la voce proveniva da qualche piano più alto di quello in cui ci trovavamo io e Mary; mi misi in ascolto, ma il silenzio non sembrava volesse interrompersi.
Garry…
Tornai a guardare la strada davanti a me e, d’impulso, cominciai a correre verso quelle scale. Stavo facendo una follia, prima o poi mi sarei stancata, perché in fondo sapevo che non avrei potuto raggiungerle… Ma forse, se la voce era la sua, Garry aveva davvero bisogno di noi in quel momento. Non potevo non rischiare.
«Ma che fai?» Udii la voce di Mary alle mie spalle, e poi il rumore dei suoi passi cominciò a confondersi coi miei. Quando mi raggiunse, io mi ero già fermata e avevo appoggiato le mani sulle gambe per reggermi e riprendere fiato. «Sto fallendo, non è così? E se fosse stato Garry a gridare? Probabilmente Garry ha bisogno di noi, di me… e io sto fallendo… Perché queste stupide scale non vogliono farci passare?!»
«Ci siamo» affermò Mary, con una voce talmente ferma che per un momento parve non appartenere a lei.
Alzai lo sguardo talmente in fretta che per un po’ sentii dolore al collo, ma non me ne curai molto. Sollevai il piede destro per poi poggiarlo sul primo gradino, che ora sembrava vicinissimo a me… Ci riuscii. Fu mica il mio sforzo a permetterci di raggiungere il nostro scopo?
Vidi un foglio affisso alla parete vicino alle scale, ma non gli diedi importanza, l’avrei letto dopo; stavo per dire qualcosa a Mary, anche un semplice “ce l’abbiamo fatta”, ma cambiai idea quando vidi un sorriso quasi maligno disegnarsi sul suo candido volto.

Un essere umano non mi aveva mai inquietato così.
 














Angolo dell’autrice
Ciao a tutti!
~
Come ben saprete Ib è un RPG, per di più è lhorror che mi è piaciuto di più, quindi si può modificarne lo sviluppo come meglio si crede. Io ci ho provato con questa FanFiction, la prima long che pubblico qui su EFP, e anche se non sono molto sicura del risultato spero che possa piacere a qualcuno come è piaciuta a me, ne sarei felicissima!
Perciò ringrazio in anticipo chi leggerà o recensirà questo capitolo, mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate e/o ricevere consigli: grazie a voi potrei migliorare. :3
In settimana pubblicherò il secondo capitolo ~ 

~HeartRain



 
─ EDIT 
[17/09/2016]
 capitolo riscritto e corretto + grafica migliorata 
  
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