Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Ignis_eye    03/05/2015    1 recensioni
Non esiste solo un mondo, ce ne sono parecchi, o meglio, ce ne sono tanti raggruppati in uno solo, dove gli umani trascorrono tranquillamente la loro esistenza e dove le creature magiche vivono in armonia e talvolta si fanno la guerra.
Gli esseri magici svolgono le loro faccende quasi con normalità, tenendole nascoste agli uomini, ma... che cosa succederebbe se un terribile segreto venisse rubato e due razze si scontrassero?
Genere: Guerra, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
«State indietro!» ringhiò con ancor più ferocia «Non vi dovete avvicinare!».
Mentre Elsa ruggiva contro gli sconosciuti, Sefora capì che quel cavo metallico era per forza d’argento. Camminando a carponi, lo strappò con tutta la forza che le era rimasta, liberando così la lupa che si alzò all’istante e le si mise davanti per difenderla.
«Il primo che la tocca muore!».
«Ferme, non vogliamo farvi del male!» urlò uno degli uomini misteriosi «Siamo dalla vostra parte».
Avanzò di qualche passo ma un ruggito di Elsa lo fece fermare.
«Diteci chi siete!».
«Tu sei Elsa, vero? Noi siamo di Villanova» disse togliendosi il passamontagna per farsi riconoscere «Siamo licantropi».
In quel momento il vento spinse il loro odore verso la ragazza che finalmente non ebbe più dubbi sulla loro natura e si calmò: riconosceva alcuni di loro ma non sentì l’odore né di sua madre né di suo padre.
Esausta com’era si ritrasformò in umana senza neanche volerlo e sarebbe certamente caduta a terra se Sefora non l’avesse sostenuta.
«Perché l’avete catturata con quel laccio?» chiese astiosa «Vi sarebbe bastato attirare la nostra attenzione».
«Perdonateci» disse uno di loro «ma l’odore è quello dei mannari».
Si guadagnò un’occhiataccia dalla maga, un avvertimento a stare più attento in futuro.
«Sefora» disse Elsa affaticata «fatti estrarre il piombo».
«Prima devi farti curare da un medico».
«Ma…».
«Ma niente» disse perentoria «Sei ferita, hai bisogno di cure».
Un uomo si fece spazio tra gli altri.
«Cosa vi è successo?».
Le ragazze lo fissarono per un secondo.
«Ma tu sei Valerio!».
«Sì, e a quanto pare il caso vuole che sia sempre io a occuparmi delle ferite di questa giovane guerriera» spiegò sorridendo.
«Stanno già chiamando al quartier generale, tra poco sarete a casa. Prima però dovreste raccontarci cosa vi è successo».
Le due si guardarono: ci sarebbe voluto parecchio tempo.

 

 
«Ok» disse uno dei licantropi «Mi hanno ordinato di riportarvi a casa all’istante. Non possiamo fermare l’operazione quindi verrete accompagnate da uno solo di noi».
«Voi non avete idea di cosa ci sia là dentro!» esclamò Elsa con voce roca per la stanchezza «Dobbiamo tornare indietro tutti!».
«Gaspare ha ordinato di andare là».
«Si accorgeranno subito di voi, ci sono pure dei vampiri» obiettò Sefora «Vi farete ammazzare!».
«Gli ordini sono ordini, ragazzina!» si spazientì l’uomo.
«Hey, vedi di non urlarle addosso mai più, intesi?» intervene Elsa alzandosi in piedi «Se ubbidite ciecamente agli ordini di chi non ha visto un cazzo, siete proprio dei coglioni».
«Ma come ti permetti?!» ringhiò offeso «Non dirlo mai-».
«Smettetela!».
Tutti si girarono verso Valerio.
«Sembrate dei bambini».
Li separò e li fece allontanare di alcuni passi gli uni dagli altri.
«Gli ordini sono ordini» disse un po’ sconsolato «Vedremo di stare attenti e di non morire, ma dobbiamo farlo per forza, Elsa».
La ragazza-lupo si sentiva impotente, incapace di dare una mano. Non riusciva nemmeno a farsi ascoltare, come poteva pretendere di avere un ruolo in quella guerra?
“Tutta fatica sprecata!” pensò amareggiata “Vorrei che non mi importasse nulla di loro ma di ignorarli non mi riesce proprio! Branco di idioti!”.
«Adesso mangiate un po’, tra qualche minuto uno dei nostri vi scorterà fino ad un altro gruppo poco distante da qui».
Le due ragazze annuirono per nulla contente, ma il loro malumore diminuì un po’ quando si trovarono sotto il naso del pane.
«E’ quello che abbiamo avanzato, mangiatelo tutto» disse Valerio «Siete deboli».
Non c’era bisogno che le invitasse a saziarsi, non fece nemmeno in tempo a finire la frase che loro avevano già finito di ingozzarsi e si stavano ripulendo dalle briciole.
“Sembro una selvaggia” pensò Elsa guardando i propri vestiti, sudici come non mai “Oppure una mummia, con tutte queste bende… Non che Sefora sia messa meglio”.
La maga si era fatta estrarre il piombo e stava già riprendendo colore ma la sua magrezza mostrava tutte le sofferenze passate.
«Forza ragazze, andiamo».
A pronunciare la frase era stato un licantropo piuttosto giovane con capelli corti e biondissimi. Se mandavano lui significava che era poco esperto di combattimenti, un novellino.
«Sì, andiamo» rispose Elsa.
Quando si alzò sentì delle fitte alle gambe ma non ci fece caso, anche perché stava meglio di prima. Si sentiva solo tremendamente stanca e affamata; magari avrebbe potuto catturare un coniglio selvatico lungo la strada.
“Loro stanno per essere fatti fuori e io penso al cibo… dovrei vergognarmi. L’ho detto che ormai si saranno accorti della nostra fuga, ma nessuno mi ascolta!”.
Scuotendo la testa per scacciare questi brutti pensieri, seguì il giovane licantropo nel fitto del bosco.
 
 


 
«Mamma! Papà!» urlò correndo in contro ai genitori.
«Elsa!».
Non fu mai così felice di rivederli. La gioia era così tanta che non sentì nemmeno il dolore delle ferite quando loro la strinsero in un forte abbraccio.
Per lei il mondo smise di esistere nell’esatto istante in cui, toccando i suoi genitori, fu certa di averli davvero davanti. Non ci poteva credere.
Il biondo le aveva lasciate entrambe lì dove le aspettavano i genitori: appartenevano a due gruppi diversi, ma quando si era sparsa la voce che le ragazze erano scappate si erano incontrati per accoglierle.
«Elsa, siamo stati tanto in pensiero!» esclamò la madre tra le lacrime «Temevamo il peggio!».
«Mamma, sto abbastanza bene. Il problema adesso è un altro» tentò di spiegare, ma i genitori soffocarono le sue parole con abbracci e discorsi.
Avevano paura di trovare il suo cadavere e invece l’avevano riavuta tutta intera, era una gioia immensa per loro.
«Papà, i mannari-».
«Lo so, lo so» disse lui senza nemmeno ascoltarla «Adesso ti riportiamo a casa, non preoccuparti».
«Riposerai qualche giorno, poi starai meglio».
«Valerio ci ha avvertiti delle tue condizioni di salute, ha detto che-».
«Smettetela!» sbottò allontanandosi da loro «State zitti e ascoltatemi!».
Sentiva pulsare la vena sul collo e aveva caldo. Aveva decisamente perso la pazienza che notoriamente era già poca.
«Io sto benissimo! Adesso aprite le orecchie e statemi a sentire!».
Salì su una roccia sotto lo sguardo allibito di tutti e parlò:
«I mannari sono tantissimi e con loro ci sono pure dei vampiri. Ormai sanno che siamo fuggite e si saranno preparati a un attacco o a cercarci. Hanno elmi che permettono loro di trasformarsi durante il giorno e il castello in cui si nascondono è sorvegliato! Se andate là sarà un massacro!».
Tutti la guardarono in silenzio e dai loro sguardi Elsa capì molto di più che con mille parole: sarebbero andati anche se questo significava rischiare la vita.
Non che i loro occhi mostrassero la fierezza tipica dei licantropi, ma avevano una scintilla di determinazione che difficilmente si sarebbe spenta.
«Anche voi due andrete?» chiese atona ai genitori «Anche voi due andrete a farvi ammazzare?».
«Elsa, cerca di capire-».
«No» li interruppe «Ho già capito».
Scese dalla roccia usata come pulpito e guardò i genitori negli occhi: la sua era tutt’altro che comprensione, la sua era accusa.
Sapeva che c’erano di mezzo l’onore, il territorio e la fedeltà al clan, ma andare significava gettarsi nelle mani dei macellai.
Sentiva dentro di sé una frustrazione mai provata prima, una rabbia ribollente che le fece odiare quella massa di aspiranti suicidi e un’impotenza che le fece odiare sé stessa.
«Madre, padre, voi siete senza dubbio abbastanza grandi da decidere da soli se vivere o morire. Spero che potremo rivederci un giorno».
Spaventati dal tono solenne e dalla parole della figlia, i genitori vollero calmarla ma lei aveva già voltato loro le spalle e andava verso un licantropo che fino ad allora era rimasto in disparte.
«Maestro Chan, vorrei tornare a casa».
«Sì» rispose lui avvicinandosi «E accompagnerò anche Sefora, se lei lo vorrà».
«Sì, per me va bene».
Sefora, come tutti gli altri aveva ascoltato il discorso di Elsa e ne era rimasta turbata. Anche se non avesse desiderato tornare a casa l’avrebbe fatto lo stesso, solo per accompagnarla.
I suoi genitori erano sollevati dalla sua scelta perché mandarla a Villanova significava mandarla al sicuro, o almeno così credevano. Se la città non era stata una fortezza inviolabile una volta, poteva non esserlo ancora ma portarsela dietro voleva dire riconsegnarla nelle mani dei suoi aguzzini.



 
Elsa, Sefora e il maestro Chan camminavano nella foresta completamente buia. Le due ragazze facevano un po’ fatica a mantenere un passo spedito, ancora deboli dopo la fuga.
E poi, c’era un pensiero fisso che tormentava Elsa.
Non erano i suoi genitori che andavano incontro alla morte, era qualcosa di peggiore, qualcosa che in realtà non capiva perfettamente. Qualcosa che aveva a che fare con il traditore.
«Ragazze, salite» disse Chan togliendo un telo mimetico da una jeep nascosta «Con questa vi porterò fino a Villanova».
Le due non furono mai così felici di vedere un’automobile.
«Maestro» domandò Elsa «Neanche a te va molto a genio questa operazione, vero?».
«Vero».
«Allora perché eri con loro?».
«Perché…».
L’uomo non sapeva se parlare o stare zitto, sentiva di trovarsi in una situazione difficile. Forse avrebbe dovuto solo accendere la macchina e partire ignorando le domande della ragazza, ma sapeva che l’avrebbe solo innervosita.
Sospirò.
«Perché dovevo nascondere il libro di Sefora, quello che parla del Gal-luni».
«Perché?» domandò la cercatrice «A parte una breve citazione non se ne parla affatto».
«Certo, ma Gal-luni non è il nome dell’elmo» spiegò.
Le ragazze non capivano.
«Il nome purtroppo è rovinato, non si legge bene» ricordò il maestro «E come si fa a creare un oggetto così potente se non se ne conosce il nome?».
«Non si può» rispose prontamente Sefora, ferrata sull’argomento.
«Esatto».
«Ma noi li abbiamo visto con gli elmi addosso» assicurò la maga.
«Certo! I mannari che mi hanno rapita si sono trasformati sotto la luce del sole!» esclamò l’altra.
«E non avete notato nulla di strano? Sicure?» le costrinse a ragionare «Pensateci bene».
“Ma certo!”.
«Non si sono mai trasformati senza motivo! Se io potessi diventare lupo solo con la luna piena, sfrutterei al massimo il potere degli elmi per trasformarmi sempre».
«E non possono farlo perché quegli elmi sono solo dei prototipi» esclamò la cercatrice «Così hanno bisogno del vero nome del Gal-luni».
«E’ così, ragazze. Loro hanno già un libro rubato ad un sacerdote di Milano dove si spiega cosa serve per creare l’elmo magico originale ma dove non è riportato il suo nome».
«Deve essere il prete da cui facevo la chierichetta».
«Sì, proprio lui. I tuoi genitori mi hanno raccontato la storia. Sono andato a prendere il libro di Sefora e l’ho portato con me».
«Perché te lo sei portato dietro?».
«Per evitare che cadesse nelle mani sbagliate» rispose.
Chan si prese qualche secondo per cercare di metterla giù nel modo più indolore possibile.
«Elsa, Sefora… non è possibile vivere solo tra persone oneste, a volte… capita di scoprire che chi ritenevamo degno di fiducia, non lo è».
«Maestro, cosa significa?» chiese allarmata.
«Tu sai che c’è un traditore tra noi e sai anche chi è».
«Cosa?».
Lei e Sefora si guardarono: avevano passato un sacco di tempo a cercare di capire chi fosse ma non era venuto fuori nulla.
«Sei tormentata dai sogni, Elsa. Sogni in cui un mannaro dagli occhi rossi ti minaccia».
«Sì, è vero. Tutte le persone che conosco si trasformano in mannari ma l’unico che non riesco a identificare è proprio lui. E l’ultima volta, beh… è stato diverso».
«Parlamene» disse voltandosi di scatto «non tralasciare i particolari».
La ragazza-lupo raccontò della figura umanoide intrappolata nel blocco trasparente e indistruttibile mentre Chan ascoltava con occhi sbarrati.
«Maestro, che fine ha fatto la tua solita aria zen?» domandò per buttarla sul ridere «Sembri un po’, come dire, spaventato?».
«Elsa, la sabbia, le rocce, la montagna… erano fatte di diamante, giusto?».
«Sì, e allora?».
Fu come un fulmine a ciel sereno: sentì il cuore batterle all’impazzata e le si chiuse lo stomaco.
Se fosse stata in piedi, probabilmente sarebbe caduta per terra.
“No, non può essere”.
 
 


 
«Elsa, rientra in macchina!» urlava Chan mentre la rincorreva «Torna qui!».
«Non posso!».
Sefora faceva sempre più fatica a stare al passo dei due licantropi ma non poteva permettersi di rimanere indietro.
Elsa era diventata pallida come un lenzuolo, aveva chiesto a Chan il cellulare e aveva mandato un messaggio, poi aveva chiamato un numero.
Era rimasta in attesa quasi senza respirare e quando nessuno rispose, corse fuori dall’auto.
«Chan, i miei genitori sono in pericolo, dobbiamo salvarli!».
«Elsa, fermati, sei troppo debole!» gridò la cercatrice con il fiatone «Torna qui!».
La licantropa non voleva saperne e se Chan non l’avesse fermata saltandole addosso, sarebbe certamente arrivata al campo dove sostavano i suoi genitori e gli altri.
«Lasciami!» ordinò divincolandosi «Devo avvertire tutti!».
«Smettila, non puoi farcela».
Si rotolarono per un po’ nel fogliame e nel terriccio finché Chan si trasformò in lupo e la bloccò a terra impedendole ogni movimento.
«Elsa, rifletti!» ringhiò «Non sei riuscita a fare nulla prima, non puoi riuscirci nemmeno adesso! Non ti crederà nessuno!».
Sembrava non sentire  e tentava di dimenarsi invano sporcandosi i vestiti di terriccio.
«Sei testarda come un mulo» la rimproverò Chan «Vuoi sempre fare di testa tua».
«Perché il mio modo di fare le cose è quello giusto» protestò sfinita.
«Sei troppo impulsiva! La stanchezza ti impedisce di ragionare lucidamente!».
«Ci ho pensato fin troppo, Chan» ringhiò «e sono quasi diventata pazza».
«Smettila!» urlò Sefora.
«Cos-».
«Finiscila, Elsa! Chan ha ragione… non ti crederà nessuno, neanche se lui garantisse per te».
Improvvisamente smise di muoversi. Non poteva credere che anche lei la scoraggiasse dall’agire.
«E cosa dovrei fare allora? Tornare a casa e aspettare che qualcuno mi riporti i loro cadaveri?!» sbraitò.
«No, ma se proprio vuoi fare qualcosa, fallo con la testa».
Vedendo che non si muoveva più, Chan si spostò lasciandola libera di rialzarsi. Non aveva mai visto nessuno domare con tanta facilità quella ragazza.
Elsa si ripulì alla meglio dallo sporco, imbronciata ma finalmente più tranquilla.
«Se andassimo là non concluderemmo niente, perciò dobbiamo fare in modo diverso».
Chan non capiva cosa intendesse la cercatrice ma dal suo sguardo sapeva che era tremendamente seria. «Cosa proponi?» domandò Elsa stranamente docile per i suoi canoni.
«Intanto dimmi chi sospetti che sia il traditore, agiremo di conseguenza».
 
 


 
«Ragazze, sappiate che io sono contro tutto questo ma lo faccio solo per proteggervi».
«Ok».
«No problem».
L’avevano freddato con noncuranza, avevano altro da fare in quel momento.
Per rimettersi in forze avevano mangiato dei frutti di bosco e masticato delle strane radici secche che Chan aveva portato con sé. Elsa non era tanto sicura che fossero normali, probabilmente erano state modificate con qualche magia, perché dopo pochi minuti che l’aveva in bocca non sentiva più stanchezza alle gambe e le pareva di aver riacquistato energie.
Adesso camminavano svelti nel bosco, immersi nell’oscurità e guidati solo da qualche raggio lunare che passava dai pochi spiragli tra le folte chiome degli alberi.
Non c’era la luna piena, ma Elsa e Chan potevano percepirne comunque l’energia benefica.
Il maestro aveva detto che a causa del loro ritrovamento, i guerrieri si sarebbero mossi con qualche ora di ritardo perciò forse avevano abbastanza tempo,sempre che i mannari non decidessero di avventurarsi fuori dalle mura del castello in rovina.
«Chan, sei sicuro che questa sia la strada più breve per raggiungere la loro base?».
«Sì, andiamo avanti».
“A questo punto si tratta solo di essere puntuali. Speriamo che Damiano ci abbia visto giusto” di disse ripensando al messaggio ricevuto da poco dal cugino.
Quasi non ci credeva, non le pareva vero di aver scoperto il piano che stava dietro a quella maledetta guerra.
“Maledetta guerra e soprattutto maledetti mannari”.
«Ferme, siamo arrivati».
Una strada battuta larga appena un metro attraversava il bosco costeggiando la parete rocciosa di una collina ricoperta dalla vegetazione.
Non doveva esserci traffico da quelle parti: nonostante la stradina fosse riconoscibile, era invasa dalle erbacce in più punti e non c’era traccia di un passaggio recente.
«Da qui al castello sono forse cinque chilometri. Voi due siete uscite da questa parte ma avete deviato ad arco verso nord senza accorgervene».
«Che si fa? Aspettiamo?» domandò la cercatrice.
«Sì, lo prenderemo dall’alto» rispose Elsa indicando la boscaglia della collinetta «Quando sarà abbastanza vicino correremo giù dal pendio e gli salteremo addosso».
«Va bene, saliamo allora».
Prima di attraversare la stradina si rotolarono nell’erba per mascherare il proprio odore: se il traditore l’avesse sentito, si sarebbe allarmato.
“Certo che io e Sefora avremmo potuto evitare” pensò divertita “Puzziamo così tanto da mannaro che se il traditore ci sentisse si sentirebbe tranquillo”.
Si nascosero dietro un cespuglio in religioso silenzio attendendo il passaggio di qualcuno.
Passarono i minuti e cominciavano a perdere la speranza quando dopo quasi un’ora, sentirono lo spezzarsi di un ramoscello sotto una scarpa. C’era qualcuno che correva a velocità sovrumana nella loro direzione e che alzava un leggero pulviscolo che, illuminato dalla lattea luce lunare,  si vedeva in lontananza.
Trattennero il respiro, eccitati dalla caccia che stava per avere inizio. Elsa non si era mai sentita così adrenalinica e desiderosa di combattere, sentiva il mana vibrare in tutto il suo corpo risvegliando i suoi sensi e la sua aggressività.
“Ecco, si avvicina… ci siamo quasi…”.
Non stava più nella pelle, sprezzante del pericolo, non vedeva l’ora di saltargli addosso.
“Eccolo!”.
Tutti e tre scattarono verso il bersaglio: come dardi assassini gli furono addosso in pochi secondi prendendolo alla sprovvista.
Chan gli saltò sulla schiena atterrandolo, poi tutti e tre lo circondarono: i licantropi ringhiavano come impazziti tanto che Sefora stessa per un pelo non si spaventò.
Il traditore si rialzò e ringhiò verso Elsa.
Sapeva di essere in trappola.
«Alla fine mi hai scoperto» disse «Ma non credere che tu e questi due riusciate a vivere abbastanza da raccontarlo a qualcuno!».
Elsa sentì il mana bruciare nello stomaco e nel cuore divampando nel resto del corpo come un incendio: i denti divennero zanne, la sua stazza aumentò a dismisura e una folta pelliccia ricoprì il suo corpo possente.
Non ci vedeva più dalla rabbia: aveva davanti il licantropo che le aveva fatto passare giorni d’inferno, il responsabile del rapimento e delle torture di Sefora, colui che stava mandando a morire i suoi genitori.
Un ringhio gutturale uscì dalla sua gola:
«Fatti sotto… Gaspare!».
 
 
 





Angolo dell'autrice:
Eccomi qui dopo un millennio di asenza da questa storia. 
La causa di questa pausa quasi eterna non è stata la mancanza di tempo e nemmeno quella di ispirazione. Sapevo cosa scrivere ma non come scrivere.
Questo è un capitolo essenziale per lo svolgimento della storia e volevo essere sicura di averlo scritto come si deve, infatti, quella che avete letto è la quarta versione.

Già che ci sono, volevo ringraziare LamaCremisi per avermi spronata a ultimare questo benedettissimo capitolo una volta per tutte. 

Spero che il capitolo vi sia piaciuto:)
Alla prossima, 


Ignis_eye
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Ignis_eye