Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: La Setta Aster    10/05/2015    1 recensioni
Vi è mai capitato, scrutando il cielo, di sentire dentro di voi la sensazione che altri occhi come i vostri siano puntati al firmamento in cerca di risposte? E se vi è capitato, avete provato a parlare con le stelle? Aster, una ragazza aliena di Neo Cydonia, e James, un giovane terrestre come voi, a distanza di anni luce hanno in comune un cuore sempre in fuga dal mondo, in direzione dell'universo.
Genere: Avventura, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Aster fluttuava nel vuoto della sfera, ridendo come una bambina. Trovava la gravità zero incredibilmente divertente, sebbene i suoi movimenti fossero assai rallentati.

“Kib, e se mettessi la tuta e uscissi nello spazio?”

“nello spazio non v’è aria, riusciresti a malapena a muoverti, e non ti divertiresti un granché”

“non vado là per muovermi, ma per rimanere sospesa nello spazio”

“rischi di perderti”

“mi legherò all’astronave, non temere”

Così dicendo, si rivestì, percorse tutta la nave fino ad una stanza circolare con una serie di armadietti e tute spaziali appesi ai muri. Un campo di energia violacea divideva quel luogo da un’anticamera, la camera di depressurizzazione a sua volta divisa dall’esterno da un nuovo campo di energia. L’anticamera serviva per consentire di entrare ed uscire dall’astronave mantenendo le condizioni climatiche interne stabili. In pratica, il cosmonauta, una volta sicuro che la barriera che si frappone fra lui e la camera interna fosse attiva, si posizionava fra i due campi energetici, poi dalla camera di depressurizzazione veniva risucchiata via l’aria e tolta la gravità; in seguito, la seconda barriera si disattivava, esponendo l’astronauta al vuoto spaziale. Una volta rientrato nella camera di depressurizzazione dopo il viaggio, i due campi energetici venivano riattivati, l’aria e la gravità ristabilite, e solo dopo questo procedimento era possibile rientrare a bordo. Aster conosceva bene le procedure grazie ai racconti di suo padre. Una volta le disse che la nave aveva subito un danno allo scafo, e che lui dovette uscire nello spazio per ripararlo esternamente, mentre i pirati lo bersagliavano. La ragazza prese una tuta bianca, dai raffinati lineamenti e un casco sferico trasparente, di hyle, altamente oscurato. Indossare la tuta fu assai complesso, per via di tutte le chiusure ermetiche di sicurezza. Per ultimo, caricò un pesante zaino sulle spalle, che altro non era che i propulsori, i comandi dei quali erano situati sui lati dei guanti. Era pronta, si trovava nell’anticamera. Stava per chiedere a Kibernete di farla uscire, quando si accorse che non aveva sigillato bene il casco. Questo errore le sarebbe costato la vita: sarebbe morta in pochi secondi, prima ancora che per la mancanza d’ossigeno, per la temperatura; nello spazio, non essendoci aria a trasportare il calore, si contano tre soli gradi kelvin, cioè – 270, 15°, temperatura in grado di ibernare un corpo organico come quello umano o Cydonense in una manciata di istanti. Invece, in prossimità di corpi celesti che riflettono la luce solare – come la Luna che orbita intorno alla Terra – si contano duecento gradi centigradi, la temperatura ideale per cuocere nel forno un pollo e farlo arrostire per bene. Aster sistemò il casco e controllò ancora una volta l’intera tuta, poi si convinse di essere davvero pronta.

“Kibernete, disattiva i campi di energia” disse con gran timore.

L’IA obbedì, dopo aver reso l’ambiente dove stava Aster più simile a quello esterno. La ragazza prese coraggio, collegò il cavo da aggancio della tuta alla nave, poi si spinse nello spazio aperto con i propulsori a EC. Tutt’attorno a lei: il nulla più soave. Oscurità spezzata solo da sparuti punti luminosi che erano le stelle, e nonostante fossero così lontani, l’uno dall’altro, agli occhi di Aster apparivano tantissimi, talmente tanti da sovrastare ogni cosa, ogni pensiero. Rise. Sapeva bene che ognuno di quei punti ospitava un sistema di pianeti, su qualcuno dei quali poteva esserci la vita. La galassia era tanto vasta che le specie conosciute potevano essere un dieci per cento. E la galassia di Aster era meno di una molecola nell’universo. Le faceva venire le vertigini, pensare a quanto infinitamente vasto fosse il misterioso cosmo. E lei vi stava fluttuando dentro, ed era microscopica, tanto piccola che provare a darle una misura in relazione all’universo avrebbe fatto venire il mal di testa a qualunque scienziato. Era un niente nel Gigantesco. Tutto era troppo grande, per lei, fuori dalla Ziggy Stardust. Quando si voltò, Aster ebbe un mancamento: aveva percorso un centinaio di metri, ma l’astronave già era tanto piccola da rendersi difficile da vedere, nonostante il suo colore bianco, poiché nessuna luce la illuminava, a parte i piccoli fari dello scafo. Il cavo poteva protrarsi per al massimo cinquecento metro, e Aster aveva intenzione di percorrerli tutti quanti. Attivò i propulsori, e fu lanciata verso l’ignoto, con la sicurezza di essere legata alla Ziggy Stardust tramite il cavo.

“Kib!” esclamò emozionata.

“dimmi, giovane Aster”

this is major Tom to ground control, i’m stepping through the doors, and i’m floating in the most peculiar way, and the stars look very different today” cantò Aster, mentre Kibernete inviava al suo casco quella stessa canzone, Space Oddity, per l’appunto.

Fu in quel momento, con la musica a risuonare in quel’immenso silenzio di tomba, che avvenne l’impensabile: giunto al termine della sua lunghezza, il cavo non sopportò l’urto dell’eccessiva velocità di Aster, e si spezzò. Lei fu strattonata, e cambiò traiettoria.

“Kib!” urlò.

“cambio la rotta, Aster, vengo a riprenderti!” in quel frangente traspariva tutta la sensibilità dell’IA, che gridò angosciata “usa i propulsori e vienimi incontro!”

Aster si guardò intorno, in tutte le direzioni, disperata, cambiando direzione e verso con isteria. Non riusciva a trovare l’astronave in quell’infinito nero.

“non ti trovo! Qui è tutto nero, non trovo più nulla!” nello spazio profondo non vi sono fonti di luce che illuminino le superfici “Mi sono persa!” la voce era sempre più smorzata dal terrore più profondo “e continuo a viaggiare, sono veloce, troppo veloce!”.

“ti ho sul radar, non preoccuparti, vengo a prenderti!”

Dal ponte di comando della Ziggy Stardust non si vedeva che il vuoto, ma un continuo allarme intermittente aumentava il ritmo man mano che la nave si avvicinava ad Aster. Null’altro si udiva: “bip… bip… bip” Aster nel frattempo viaggiava a considerevole velocità verso la perdizione “bip… bip… bip” Kibernete riusciva a provare paura, e in quel momento ne aveva molta, perché se avesse perso la ragazza dal radar, ella sarebbe stata preda dello spazio profondo “bip… bip… bip…” eppure a lei non pareva nemmeno di muoversi “bip… bip…” aveva rinunciato ad usare i propulsori, ma sentiva dentro di se che Kibernete stava venendo a salvarla “bip, bip, bip” era vicina, a pochi metri di distanza, e già le pareva di intravvedere alle sue spalle una figura bianca. Era la sua immaginazione: l’astronave, laddove non vi era alcuna luce, appariva nera come se non fosse mai stata di altro colore.

“sono qui, piccola Aster” disse la voce.

Ben presto, un gancio meccanico appartenente ad un drone da esplorazione, la afferrò per i fianchi. La navetta era di forma ovale, con due bracci meccanici che metallo plasmabile, che potevano cambiare forma in relazione all’utilità in una determinata mansione; quando si voltò per rientrare a bordo con Aster fra le braccia, lei poté rivedere lo scafo della sua cara Ziggy Stardust. Nel casco, intanto, si ripeteva per la seconda volta di fila la canzone che aveva tenuto compagnia alla ragazza per tutto il tempo.

Una volta nella camera, libera dai propulsori, Aster si levò il casco, che ancora trasmetteva Space Oddity, e trasse i più profondi respiri della sua vita. I capelli erano fradici di sudore, il cuore iniziava solo in quel momento a diminuire i battiti, mai stati così forti e martellanti. Quando si spogliò della tuta, si accorse che non un solo centimetro dei suoi abiti era salvo dal sudore; era zuppa come se fosse stata sotto un diluvio. Levati anche quei vestiti, iniziò a tremare dal freddo, e prese una coperta termica per scaldarsi. Poi, si chiuse nella cabina del capitano, rannicchiata in un angolo del letto, sotto le sicure lenzuola.

“Kibernete”

“sì, mia piccola Aster?”

“è il momento di superare la velocità della luce” disse “è il momento di fare il salto”

“come desideri”

Sopra al letto della cabina si apriva, attraverso un’ampia finestra, il cosmo. Si poté vedere lo spazio piegarsi nella manovra di curvatura, creando un tunnel luminoso che avrebbe condotto l’astronave dritta nel sistema solare. Nonostante la disavventura appena vissuta, la ragazza fissava ancora le stelle, sdraiata su quel morbido materasso che le scaldava la pelle sudata. Guardo le stelle come fai tu, amico mio, da una finestra. La sua mente adesso era rivolta al suo futuro incontro con il suo amico tra le stelle. Sto arrivando, aspettami. Non poteva sapere che anche lui la stava aspettando.   


ANGOLO DELL'AUTORE
"This is Major Aster to Ground Control [...] and I'm floating in the most peculiar way! [...] here I'm floating 'round my tin can, far above the moon. Planet Neo Cydonia is blue and there's nothing I can do" 
Ebbene sì, Aster fa un tuffo nel nero infinito e prova vertigini all'idea di galleggiare nell'immensità delle immensità. Chi non si sentirebbe minuscolo? 

 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: La Setta Aster