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Autore: Owlfiction    25/05/2015    2 recensioni
Una catena di morti che si estende dai primi del '900 fino ai giorni nostri.
Una paura che riesce ad annullare lo stesso desiderio di vivere.
Un tipo di amore che ha superato la morte.
E un gruppo di normali ragazzi, o almeno, normali quanto possono esserlo cinque adolescenti americani in viaggio verso la East Coast, che vengono costretti ad una sosta vicino ad un bosco dal guasto del motore del camper. La cosa sembra un semplice evento sfortunato, all'inizio, fino a quando una strana figura non comincia a fare la sua apparizione nei dintorni, nel momento in cui i ragazzi trovano uno strano foglio bianco, con sopra scritto "Aiutatemi".
Ma Ian Diswarden sa che non è tutto frutto della loro immaginazione, perché lui, quell'uomo, lo aveva già visto in sogno. Era stato messo in guardia da qualcuno che non era riuscito a comprendere appieno, e adesso si ritrova portatore delle uniche speranze di salvezza dei suoi amici. Ma per sopravvivere dovranno cercare di vincere un gioco in cui non sono loro a dettare le regole, in cui sono solo pedine.
Perché Lui guarda sempre, ma non ha occhi.
Genere: Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 2
 
 
 
Primo buio
 

La brusca frenata mi fa quasi rotolare giù dalla brandina.
Annaspo in cerca d'aria. I miei polmoni sono vuoti, e brucianti. Le mani mi tremano come se fossi in preda ad un attacco epilettico. C'è un chiodo nella mia testa che cerca di uscire, trapanandomi il cervello.
Mi muovo verso il cassetto contenente il flacone. Non ci arrivo. Troppo. Lontano.
-Ian!
Il suono della voce si perde nel vuoto, bloccato dal fragore del sangue che mi fischia nelle orecchie.
Fa freddo. Tanto, tanto freddo. Non posso smettere di rabbrividire.
-Ian, mi senti?
L'attacco sì è placato abbastanza da lasciarmi vedere il volto della ragazza sopra il mio. I suoi capelli ricci cadono a solleticarmi le guance. Il suo viso è a due spanne dal mio. Qualcosa mi preme sulle labbra ed ingoio la pastiglia.
Chiudo gli occhi per aspettare che faccia effetto.
Ok, lo so che prima ho fatto il duro, ma è facile esserlo in una realtà controllabile meglio di un videogame e in cui non soffri di schizofrenia e disturbi ossessivo-compulsivi causati dalle allucinazioni. È questo quello che ha detto lo psicologo quando avevo sette anni, prima di mandarmi da uno psichiatra che mi prescrivesse degli psicofarmaci. Da allora la mia stramaledetta vita è piena del prefisso “psico”.
-Stai bene?- chiede la ragazza, i cui occhi azzurri mi scrutano preoccupati.
Apro la bocca per parlare. Le parole dal cervello scendono nei polmoni ma lì rimangono bloccate. Mi esce solo un suono strozzato.
Lei si morde il labbro.
Riprovo. -Meglio.
Le sue dita mi tastano il polso. So che sta contando silenziosamente.
-Come ti chiami?- chiede.
Ah, già. Come dimenticare le classiche domande rituali per accertarsi dei possibili danni cerebrali?
-Ian Diswarden.
-Quanto fa due per quattro?
-Otto.
Si guarda dietro le spalle. -Battito regolare.- dice, poi torna a concentrarsi su di me ed indica se stessa.
-Chi sono io?
-Amy Jules.
Mi rimetto a sedere.
-Sto bene.- li rassicuro. Ovviamente non è del tutto vero. L'incontro con Light mi ha messo una strana sensazione addosso.
Lo so che è stato solo un sogno e che non ci dovrei badare, ma sono sempre stato capace di controllare il mio subconscio mentre dormivo, di capire ciò che mi metteva davanti. Con quelle fiamme è stato diverso: avrei potuto mandarle via, ma non imporre loro cosa fare nella mia testa.
-Speriamo che stia bene anche il motore.- commenta una voce fuori dal mio campo visivo.
Sento Phil scendere dal camper sbattendo la portiera e mormorando un'imprecazione.
-Motore... motore rotto?- chiede Karen.
Karen e Phil sono i fratelli Diffring. Vengono da una di quelle famiglie straricche che hanno tutti i soldi necessari per pagare le cure della propria figlia autistica. In realtà non so bene come sia classificata la patologia di Karen, ma non ho nemmeno voglia di scoprirlo.
Ho visto talmente tanti casi che cominciano ad assomigliarsi tutti.
Phil ha i capelli neri e gli occhi marroni che condivide con la sorella. Karen ha capelli castano chiari mossi, che le arrivano fino alle scapole.
-No, il motore no!- si lamenta Richard.
Richard Grent: dislessico, disgrafico e iperattivo. Ha un sorriso perennemente stampato sulla faccia con la parte destra della fronte coperta dalla frangia marrone che lo fa sembrare un clown demente. Siamo una bella compagnia.
-E invece è proprio il motore.- risponde Phil, dall'esterno.
Amy mi lancia uno sguardo di disperazione, e io posso solo ricambiare. Scendo dalla brandina e mi faccio largo nello spazio ristretto del veicolo, oltrepassando gli altri per raggiungere la porta.
-C'è un modo di ripararlo?- domando mentre scendo.
Phil mi indica il cofano aperto.
-Tu che dici?
Sottili fili di fumo grigio si sollevano dai tubi dei meccanismi, intrecciandosi e arrampicandosi nell'aria del crepuscolo per poi dissolversi a due metri d'altezza.
Phil è il meccanico nel gruppo, e mi sta chiaramente dicendo che il camper è morto. In realtà è anche il camper stesso ad urlarmelo, ma ho visto Phil fare cose apparentemente impossibili con apparecchi di ogni genere, per cui mi fido più di lui che dell'evidenza dei fatti.
-Si è fuso.- asserisce tristemente -Carburatore andato, metà del radiatore sciolta e credo che perdiamo olio, a una veloce analisi. Potrebbe essere partito qualcos'altro.
La chioma rossa di Amy sbuca dal finestrino del passeggero.
-Non lo puoi riparare?
La voce di Richard la sorprende alle spalle.
-Ha appena detto di no, capelli di fuoco.
Noto solo adesso che la luce del sole che tramonta si riflette sui suoi ricci rossi, accendendo la sua chioma di colori vivaci. Amy si gira e per un attimo vedo le fiamme danzare intorno al suo viso.
Fa per dire qualcosa, ma poi ci ripensa e richiude la bocca, arrossendo.
-Ragazzi.
Phil richiama la mia attenzione su di sé. Ha preso il telefono e lo ha alzato verso il cielo.
-Il mio cellulare non ha campo, mi prestate uno dei vostri?
-Vuoi chiamare il carro attrezzi?- chiede Amy, frugando nella tasca dei pantaloni.
Tira fuori un iPhone vecchio modello che probabilmente è stato comprato usato. Fa per consegnarlo all'altro ragazzo, ma si ferma a metà gesto.
-Non ha campo neanche il mio.
Non posso credere che esistano ancora zone senza la copertura per i telefoni. Forse Amy e Phil hanno lo stesso operatore che ha un problema tecnico.
-Niente segnale nemmeno col mio.- ci avverte Richard, dall'interno.
-Grandioso.- commento, ironicamente. Risalgo e vado a provare col mio cellulare, rimasto vicino alla brandina.
Niente campo, niente rete wi-fi, e niente connessione dati.
-Siamo nella merda.- confermo.
Noi cinque ci siamo conosciuti in ospedale, o meglio, all'Istituto per Ragazzi Particolari, come amano chiamarlo quelli che ci lavorano. Non è un istituto, è un gruppo di strizzacervelli che parlano con te e cercano di capire i tuoi problemi.
Sento una punta di rimorso ogni volta che penso ad uno psicologo in questo modo. Non mi piacciono, ma a conti fatti fanno solo il loro lavoro. Alcuni li ho trovati persino simpatici, e mi è difficile trovare simpatica una persona che cerca di entrarmi nella testa.
-Non c'era un'officina, qui vicino? Ho visto un cartello mentre andavamo.- ricorda Amy.
Amy ha subito un trauma psicologico quando aveva sette anni, quindi dieci anni fa. Sia suo padre sia sua sorella maggiore sono scomparsi all'improvviso, da un giorno all'altro. Questo l'ha segnata profondamente, tanto da non riuscire ancora a parlarne.
-L'ho visto anch'io.- la sostiene Phil -Ma non è un officina. È una fabbrica di auto. Comunque, potrebbero avere un telefono funzionante.
-Allora io e Phil andiamo alla fabbrica- propongo -E voi tre rimanete a guardia del camper.
Karen annuisce entusiasticamente, poi riprende a giocare con le maniche della sua felpa, con aria distratta. Richard solleva le spalle mentre continua a battere con un piede sul pavimento.
-Per me va bene.- acconsente Amy -Ma cercate di non perdervi.
-Basterà che si tengano sulla strada.- dice Richard.
Ho scelto me e il meccanico perché siamo i più bravi nei rapporti interpersonali. Amy è troppo timida, e Richard perde il filo del discorso.
Seguiamo la strada sterrata a piedi per qualche minuto. Nessuno di noi due sembra interessato a fare conversazione, e la brutta situazione in cui ci siamo cacciati evidentemente non è d'aiuto.
Un brivido mi corre lungo la colonna vertebrale nonostante il tepore del sole non se ne sia ancora andato. Mi viene la pelle d'oca e provo l'ardente impulso di girarmi e tornare al camper. A chi importa di un'officina? Siamo due ragazzi soli in mezzo ad un bosco, che seguono un sentiero che sperano li porti da qualche parte. Insomma, un misto tra “Hansel e Gretel” e “il mago di Oz”.
-Eccola!- esclama Phil, mettendosi a correre.
Lo seguo continuando a percepire delle vibrazioni negative.
Il ragazzo salta sulla rete metallica che circonda l'edificio, un semplice parallelepipedo in cemento, e comincia a scalarla meglio di una scimmia.
-Pessima idea.- commento. Ho una cattiva impressione riguardo a quella fabbrica. Emana come una strana aura. Qualcosa di sinistro.
-E cosa potrebbe andare male?- ribatte Phil, ormai giunto in cima alla recinzione -È abbandonata, non vedi?
-Potresti cadere e romperti il collo.- comincio.
Il giovane acrobata si lascia cadere e atterra a quattro zampe, salvando le ossa delle vertebre.
-Io vado dentro.- stabilisce Phil -e comincio a cercare i pezzi. Tu vai a chiamare gli altri?
Annuisco. Sto per tirare fuori il cellulare per mandare un messaggio ad Amy. Poi mi ricordo che non c'è campo.
-Ci vediamo qui tra quindici minuti.- dico, a mo' di congedo -E ricordati di cercare anche un telefono.
Phil annuisce con aria assente. La sua testa sta già pensando cosa avvitare, cosa sostituire, cosa si può salvare.
Ritorno verso il camper seguendo la strada sterrata, costeggiata dagli alberi. Richard aveva ragione: è impossibile perdersi. La pista è solo una, si può andare o da una parte o dall'altra, quindi, a meno che non decida di lanciarmi nel bosco all'inseguimento di un coniglio bianco, ritroverò certamente gli altri.
Vengo raggiunto dal suono delle voci di Amy e Richard.
-Ricordami come siamo finiti qui, ti prego.- chiede il ragazzo, con tono strafottente.
-Non è stata mia l'idea di allontanarci dalla strada principale.- protesta l'altra -Lamentati con Diffring se proprio vuoi dare la colpa a qualcuno. E comunque non mi sembra che tu abbia fatto molto per dissuaderlo dal suo progetto.
Molto male. Non possiamo permetterci un litigio ora, appiedati e senza telefoni.
Meglio che mi affretti.
-Anch'io sono Diffring.- commenta Karen, con quel suo modo particolare di parlare.
Amy sospira. -Non mi riferivo a te.
Sblocco la porta del camper e sporgo la testa all'interno.
-Ehi, Phil ha trovato l'officina...
-La fabbrica.- mi corregge Karen.
-...e forse dovremmo andare a dargli una mano.
Amy è la prima ad annuire e ad andare a prendere la giacca dall'armadio. L'aria della sera si sta raffreddando, così mi faccio passare anche il mio giubbotto. Richard arraffa due torce da un cassetto. Quel ragazzo sarà anche iperattivo, ma è previdente.
Conduco i tre ragazzi per il sentiero sterrato verso l'edificio. Presto siamo costretti ad accendere le pile, siccome c'è solo un quarto di luna in cielo e la notte è buia. Riusciamo comunque a raggiungere la fabbrica prima che gli ultimi raggi di luce spariscano dietro l'orizzonte occidentale.
-Dobbiamo arrampicarci.- esordisco, mettendo una mano sulla recinzione.
-Oppure possiamo passare da lì.- mi ferma Richard, indicandomi una porta nella rete metallica distante una decina di metri.
Evidentemente non avremo bisogno di rischiare l'osso del collo.
Chissà come avevamo fatto a non notarla prima. La porta è accostata ma non è bloccata da nulla, e si apre cigolando, seppur con difficoltà.
-Phil!- chiamo.
Nessuna risposta. Il quarto d'ora è passato. Possibile che non sappia rispettare una scadenza qualsiasi?
-Là c'è un ingresso.- ci fa notare Amy, illuminando una porzione di muro con la sua torcia.
Il raggio di luce colpisce un'apertura rettangolare e buia, che non riesce a illuminare completamente.
Ci avviciniamo e proviamo a chiamarlo di nuovo. Ancora silenzio.
-Andiamo a cercarlo.- propongo -Ma cerchiamo di non allontanarci troppo gli uni dagli altri. Questo posto potrà non essere troppo grande, ma di sicuro è buio pesto.
Lascio passare Richard con la sua torcia alla testa del gruppo. E, appena metto piede nella fabbrica, cado in ginocchio.
Il sangue mi fischia nelle orecchie. Il cuore mi batte a mille. La pelle mi pizzica. I polmoni mi bruciano a causa dello sforzo della corsa.
Paura. Tanta paura.
Ho freddo.
Voglio raggomitolarmi e piangere. Ma non posso. Non posso.
Aiuto.
E ora tutto cambia. Tutto è diverso. Non sento più freddo, o timore. Ma il senso di oppressione che provo adesso è molto peggio.
Ogni singolo atomo di me è bloccato da migliaia e migliaia di fili. Mi dibatto, colpisco le pareti della mia prigione, ma non serve a niente. Una grande rabbia mi cresce dentro.
Io ti distruggerò.
Va via, Ian!
Ian!
-Ian!
La vista mi ritorna improvvisamente e metto a fuoco il volto di Amy. Due crisi in un giorno non sono normali. Deve essere la mia giornata fortunata.
Eppure questa è stata diversa dalle altre.
Mi rimetto in piedi, stranamente lucido.
-Sto bene. Sono solo inciampato.- mento.
-Non è vero, Ian.- mi smaschera lei -Sei rimasto fermo per troppo tempo per essere solo inciampato.
-Ragazzi- ci interrompe Richard -Guardate un po' qua.
Seguo la luce della sua torcia e rimango a bocca aperta. Tutt'intorno alla porta d'ingresso delle linee tracciate frettolosamente con della polvere nera creano strani disegni. Parole apparentemente senza senso sono sparse sul muro, e si allontanano dalla porta. Recitano “No!”, “Aiutami!”
Il più grande di tutti i disegni è stato fatto sotto i nostri piedi. È abbozzato, impreciso, eppure sono sicuro che sia il contorno di un volto umano, con una grande X al posto dei bulbi oculari.
“Osserva sempre, ma non ha occhi.”
Un urlo.
Ci guardiamo l'un l'altro per un attimo. Vediamo subito chi manca all'appello. E ci precipitiamo in direzione del grido di Karen.
Le torce di Amy e Richard illuminano scarsamente una scala che corre adiacente al muro e finisce davanti ad una porta di legno semiaperta. La ragazza è seduta a poca distanza dai gradini, che si stringe le ginocchia.
Mentre ci avviciniamo un fascio di luce mostra una porzione di pavimento. Una porzione cremisi del pavimento.
-Ma quello è...
Sangue. A terra, sulle mani di Karen, sul corpo che giace prono dandoci la schiena.
-Oddio, Phil!- grida Amy, inginocchiandosi di fianco al meccanico amatoriale.
Lo gira su un lato e gli sente il polso come ha fatto con me un'ora fa. Ma stavolta si allontana tremando, scuotendo la testa.
No. Lui non può essere morto. Insomma, è l'unico veramente a posto tra di noi. È l'unico normale. Non è possibile che succeda proprio a lui.
Ci deve essere qualcosa da fare.
Raccolgo la pila di Amy e la uso per fare luce sul mio amico. Non mi sono nemmeno accorto di quando l'ha lasciata cadere, ma non importa. Appena gli illumino il viso, però, sono scosso da un conato di vomito.
La carne del collo è lacerata fino a scoprire la colonna vertebrale. Mi è parso di vedere la parte finale della trachea e dell'esofago, e non voglio investigare per esserne sicuro, potrebbe fare cedere il mio stomaco.
Riconosco alcuni segni su una parte di pelle della spalla che non è troppo maciullata. Sono piccole ferite a mezzaluna, profonde e numerose. Phil è stato masticato.
Cosa faremo con Karen adesso?
Qualcos'altro scatta dentro di me. Probabilmente è l'adrenalina rilasciata in presenza di una situazione pericolosa a farmi sentire così strano. E, comunque, non ho il tempo di pensarci.
-Dobbiamo andarcene di qui.- dico -Subito.
Gli altri sembrano ancora in preda allo shock. Cerco di riscuotere Amy prendendole delicatamente un braccio, ma appena la sollevo lei si gira e rigetta il pranzo.
Le reggo i capelli e trattengo il fiato per non sentire la puzza di succhi gastrici. Tengo comunque un occhio sui dintorni, che però sono ostinatamente troppo scuri per permettermi di vedere effettivamente qualcosa.
Un riflesso bianco cattura la mia attenzione. Nella mano chiusa di Phil c'è un foglio semiaccartocciato. Aspetto che Amy abbia finito, dopodiché la lascio a Richard, che le porge un fazzoletto per pulirsi la bocca. Io mi chino e sfilo la pagina dalle dita tiepide del corpo.
Sopra, c'è scritto “Aiutami.”
-Noi...- comincia il ragazzo iperattivo -Noi forse...
-Noi dobbiamo andarcene.- lo interrompo, puntando la mia torcia in direzione delle tenebre -Lui... è stato morso da qualcosa. Ripetutamente. E quella cosa potrebbe cercare di farlo anche con noi.
Un orso non sarebbe passato dalla porta, a meno che non fosse particolarmente piccolo. Forse era stato un cane, o un lupo solitario: comunque, l'animale era sicuramente rabbioso.
Richard mi passa al volo una sbarra di metallo grande quanto il mio braccio e ne prende una per sé da un mucchio. C'è un sacco di roba in questo posto.
Karen si rifiuta di muoversi, ma non si oppone quando Richard la prende in braccio e la porta via. Adesso siamo io ed Amy a stringere le torce e le sbarre per difenderci. Non credo sarei capace di proteggermi da un vero attacco di un lupo rabbioso, ma forse se la fortuna fosse stata dalla nostra qualcuno gli avrebbe tirato una bastonata sulla testa prima che ci mordesse.
Stiamo sul chi va là per tutto il tragitto del ritorno, con la dolorosa consapevolezza di esserci lasciati dietro un amico, finché non vedo qualcosa muoversi tra gli alberi. Non sono sicuro di quello che ho visto, perché l'immagine era sfarfallante e sfocata. Forse i miei occhi mi stanno ingannando.
-Ehi.- chiamo, puntando la torcia lontano dal sentiero -L'avete visto anche voi?
Amy solleva la sbarra sopra la testa, tremando.
-Mi sembrava...- comincio, anche se so che è assurdo -una persona.
-Io non ho visto niente.- dice Richard.
Mi avvicino alla boscaglia tenendo pronta la mia arma. So che c'è qualcosa appena oltre il ciglio del sentiero. È quasi divertente come tutto diventi più vivo quando la paura ti avvolge in una coltre di adrenalina. Evidentemente i miei istinti animali stanno avendo la meglio sul mio lato razionale, perché sento distintamente una presenza proprio davanti a me.
Ho fatto solo un metro dal sentiero quando sento un gemito. Abbasso il fascio di luce sul suolo e mi ritrovo davanti a una figura raggomitolata, talmente piccola che non arriverò nemmeno alle mie ginocchia dalla posizione in cui è.
Ha dei capelli ricci che un tempo dovevano essere di un bel colore acceso, ma che ora appaiono grigi e spenti. Le forme sono quelle di una ragazza sui diciassette anni, l'età di me ed Amy. Quella strana apparizione geme un'altra volta e muove lentamente una mano esangue, nel tentativo di mettersi in piedi.
-Aspetta, ti aiu...
Solleva la testa e io rimango bloccato. Non sono i vestiti stracciati, o la terra sotto le unghie a farmi paura, no. Sono gli occhi. Segnati, bianchi, senza né accenno di iride o di pupilla.
Faccio un passo indietro. E lei mi salta addosso.
Ho troppa paura per fare qualsiasi cosa che non sia arretrare, o gridare. Inciampo su qualcosa che non ho visto e atterro supino, ma Il dolore è anestetizzato dal senso del pericolo. Ci metto troppo ad alzarmi, ad appoggiare le mani su qualcosa per fare presa. La vedo venirmi incontro con un altro salto e mi proteggo il volto con una mano.
Non posso fare a meno di chiedermi quanto siano affilati i suoi denti.
Mi preparo all'impatto, che però non arriva. Il mostro scompare davanti a me, a venti centimetri dal mio viso, come se non fosse mai esistito.
Sento un grido che non è il mio ed Amy è di nuovo di fianco a me.
-Tutto ok?
Che importava?
-L'avete vista?- chiedo -L'avete vista anche voi, vero?
Da piccolo mi era capitato di avere delle allucinazioni, ma non si erano più ripresentate dopo gli psicofarmaci. Non così vivide, almeno.
-Sì.- mi conferma lei -Doveva essere un pipistrello. Ti ha fatto spaventare molto?
Non posso trattenere un'ulteriore domanda.
-Un pipistrello?
-Era molto piccolo e volteggiava a mezzo metro da terra.- mi conferma Richard dal sentiero con Karen.
Un pipistrello, certo.
Mi rimetto in piedi dopo una caduta per la terza volta in un'ora. Sono molto riluttante a dire che dal mio punto di vista quella cosa non era affatto un pipistrello, perché non voglio che pensino che mi sono tornate le visioni. O che realizzino che mi sono tornate le visioni.
-Mi ha fatto prendere un bel colpo.- mi scuso, recuperando la pila che mi è rotolata via dalle mani.
-Ragazzi.- ci richiama Richard -Dobbiamo muoverci.
Già. Il cane rabbioso. Il cane rabbioso che ha ucciso Phil.
Mi offro di portare Karen per gli ultimi cinque minuti, perché l'altro ragazzo si possa riposare. Diffring è snella, ma non è una piuma, e non vuole ancora saperne di camminare. Non la voglio accusare di niente. Io nemmeno so cosa vuol dire, avere un fratello.
Entriamo nel camper velocemente, continuando a scoccare occhiate preoccupate nel folto della boscaglia. La foresta è molto più minacciosa di notte, e fa venire voglia di credere alle storie di fantasmi che si leggono su Internet o che si raccontano durante le ore piccole ai campeggi. Quando è notte, è più difficile credere che siano tutte fandonie.
Probabilmente sarebbe stato Phil quello più emozionato da questa ambientazione. Avrebbe inventato dei racconti idioti che poi avrebbe cercato di far passare per spaventosi, forse avrebbe cercato di fabbricare qualcosa in tema horror con del fil di ferro e dei tappi di sughero. Magari il muso di un lupo mannaro, o la dentatura di un vampiro. L'ho visto fare cose impossibili, frugando per casa per depredarla di quello che gli serviva.
Ma Phil non c'è più.
Non ceniamo questa sera. Nessuno di noi ha nemmeno voglia di parlare. Chiudiamo il camper a chiave e poi ognuno va nella sua brandina, in silenzio. Karen si sposta in quella di Amy e le si sdraia di fianco, ma nessuno ovviamente le dice alcunché. Il posto vuoto vicino al suo sarebbe stato troppo da sopportare per chiunque.
   
 
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