Libri > Il Labirinto - The Maze Runner
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Autore: Stillintoyou    25/05/2015    2 recensioni
[Il Labirinto/The Maze Runner][Il Labirinto/The Maze Runner]Passò un sacco di tempo prima che quel dannato rumore smettesse di darmi il tormento.
‹‹ E ora? ›› pensai, poi alzai lo sguardo quando sentii che qualcosa, sopra di lei, si stava muovendo.
Della luce entrò all'interno di quella sottospecie di stanza, o cella, o quello che era.
Socchiusi gli occhi per l'improvviso impatto con la luce esterna, e qualcuno balzò a pochi centimetri da me.
‹‹ cosa c'è nella scatola? Un fagiolino nuovo, vero? ›› disse qualcuno dall'esterno.
Mi sentivo come se fossi imbavagliata, squadrando il ragazzo che si era inginocchiato per guardarmi in faccia.
‹‹ Oh caspio... ›› inclinò la testa, assumendo un espressione stranita. Si mise in piedi
‹‹ Newt? ››
‹‹ Non ci crederete mai... ›› alzò il volto, rivolgendosi alle persone che si erano raggruppati attorno all'uscita di quella... scatola, a quanto pare la chiamavano così.
‹‹ A cosa non crederemo mai? ››
‹‹ È.... una ragazza ›› il ragazzo abbassò nuovamente lo sguardo su di me ‹‹ Ci hanno mandato una ragazza. ››
Genere: Avventura, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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 Avete presente quel genere di giornate in cui ci si sveglia pieni di energie dopo aver passato finalmente una nottata di riposo come Dio comanda?
Bene, io no.
Temo che in un posto come la Radura una cosa del genere potesse capitare una o al massimo due volte all'anno. La mia, probabilmente, era già passata.
Solo negli ultimi giorni ero riuscita a tornare a “lavoro”, e da quando avevo ricominciato ero riuscita solo a fare piccoli guai. Come per esempio rovesciare il latte nella pentola con l'acqua calda dentro.
Nulla di troppo grave, per fortuna, ma la cosa, dovevo ammettere, mi demoralizzava parecchio, visto che il lavoro lì dentro era l'unica cosa che riuscisse a rilassarmi senza avere per forza bisogno di qualcuno che mi stesse dietro. Non che non mi facesse piacere avere Newt come “calmante”, ma non potevo stare attaccata a lui in eterno. Anche lui necessitava dei suoi spazi senza avere un koala bisognoso d'affetto attaccato alla schiena, ed aveva bisogno di riposo almeno quanto me, se non di più.
I miei piccoli danni in cucina almeno erano riparabili, non erano così gravi da impedire il normale andamento della giornata, e Frypan per fortuna non si arrabbiava mai con me perché, a detta sua, mi capiva.
Ma cosa c'era da capire? Ero semplicemente perseguitata dalla sfortuna e assonnata come poche volte da quando avevo memoria. E non era così tanta, c'era da ammetterlo.
Il poco sonno era dovuto anche alle mille domande che avevo per la testa, non mi davano un secondo di pace nemmeno mentre dormivo.
Cominciavano a rimbalzare da una parte all'altra del mio cervello, cercando invano delle risposte che però non potevo darmi da sola.
Per esempio, perché la mutazione di Justin stava durando più del previsto? Che fosse perché magari era stato punto più volte?
No, impossibile, i Medicali si sarebbero accorti di più punture, ma ne avevano trovato solo una ed era abbastanza evidente anche senza troppi controlli.
Ed in ogni caso, George era stato punto più volte e la sua Mutazione non era durata di certo cinque giorni.
Che fosse perché Justin aveva una soglia del dolore diversa dagli altri? Magari era stato punto talmente affondo e per questo il Dolosiero ci stava mettendo più tempo ad agire... Avrei voluto così tanto avere delle risposte, così magari finalmente il mio cervello mi avrebbe dato tregua.
Ogni tanto andavo a controllare come andava la ripresa di Justin, ma non mi avevano mai dato una risposta certa perché “non era qualcosa che mi riguardava”.
Eh certo, gli unici che potevano saperne qualcosa, lì dentro, erano Newt ed Alby. E Newt non sembrava essere molto contento di rispondere alle mie domande su Justin, sopratutto perché non sapeva come rispondermi di preciso, per cui, se poteva, cambiava direttamente discorso.
Alby, invece, si limitava a dirmi “Migliorerà”, senza darmi troppe risposte. Come se fossi stata ancora una Fagiolina che stava in quel posto da nemmeno due giorni. Ormai in quel posto c'ero da quasi un mese, a breve sarebbe arrivato il nuovo Fagiolino, quindi perché continuavano a trattarmi come la Fagiolina di turno?
In ogni caso era mio amico, avevo il diritto di sapere qualcosa e allo stesso modo avevo il diritto di essere preoccupata per lui.
A parte la storia di Justin, c'era anche un altro pensiero che mi dava costantemente il tormento...
Chi aveva creato i Dolenti? Ero stata davvero io? Non potevo credere ad una cosa del genere, sotto sotto pensavo che chi avesse creato degli esseri del genere doveva essere un genio, ma anche un pazzo. Ci voleva una mente troppo perversa per creare creature così... crudeli.
Anzi, forse crudele era un termine anche troppo dolce.
George si divertiva da matti a tenermi sulle spine in quel modo, e lui, come gli altri, non osava darmi neanche una sola risposta.
Era più divertente lasciarmi il dubbio, così da farmi uscire fuori di testa.
Non volevo fare il suo gioco, non dovevo farlo... eppure, dannazione, c'era riuscito.
Era diventato il mio pensiero fisso, i miei sogni spesso finivano con quel punto interrogativo. 
Forse era anche per quello che ero così distratta in cucina, non riuscivo a levarmi di dosso quell’incognita.
Non avevo nemmeno detto a Newt di essere andata a parlare con George: si sarebbe infuriato e avrebbe avuto ragione, visto che quest’ultimo aveva cercato di farmi fuori ben due volte ed ora era riuscito a mettermi in testa un chiodo fisso che sentivo che presto o tardi mi avrebbe fatto scoppiare l'emicrania permanente a furia di pensarci.
L'unica cosa che mi consolava di quella storia era che ci ero andata assieme a Minho... nel senso che non sarei stata l'unica a beccarsi la strigliata da parte di Newt in caso l'avesse scoperto.

Quella mattina la luce dalla finestra entrava in modo davvero disturbante. Il sole sembrava essere più forte del solito, come se fosse stato in grado di bruciarmi viva.
Il sole... perché in quel momento quella parola mi metteva i brividi? Avevo fatto un sogno, quella notte. Un sogno che però non ero stata capace di afferrare.
Era così disturbato, ormai la mia mente l'aveva quasi completamente dimenticato. Ricordavo solo la luce, i tavoli, i vari schermi, dei fogli... ma nient’altro, e quei pochi ricordi che avevo stavano scomparendo alla velocità della luce.
Nel mio stomaco c'era come una sensazione di vuoto d'aria, la mia testa era pesante ed il mio cuore batteva all'impazzata, come se avessi corso ininterrottamente per ore e ore. Era un sogno agitato, questo lo ricordavo. Il sole era davvero caldo.
«Il sole mi brucerà?», pensai.
Il sole brucia la zona... George aveva detto questo mentre era in preda alla Mutazione, no? Il sole brucia la zona...
Il mio subconscio voleva dirmi qualcosa. Sentivo che c'era qualcosa che volevo ricordare, qualcosa di veramente importante. C'era qualcosa e quel qualcosa c'entrava col sole.
Qualcuno si piazzò davanti a me, riuscivo a vederne la sagoma sebbene avessi gli occhi chiusi.
Si avvicinava lentamente e minacciosamente e teneva qualcosa in mano.
Aprii gli occhi di scatto, tirandomi dietro la coperta del sacco a pelo. Indietreggiai di colpo.
Era un uomo, indossava di grossi occhiali neri nella quale riuscivo a vedere la mia immagine riflessa. Il suo naso e la sua bocca erano nascosti dietro una mascherina bianca, indossava un camice bianco e dei guanti in lattice. In mano teneva una grossa siringa dall'ago cannula piuttosto grosso. Continuava ad avvicinarsi e dirmi che sarebbe andato tutto bene.
«È per il tuo bene, sta ferma!», disse.
Non potevo indietreggiare di più per via della parete alle mie spalle. Potevo solo gridare.
Perché i Radurai erano tutti addormentati? Perché nessuno si accorgeva di nulla nonostante stessi gridando aiuto?
«È inutile che gridi così forte, sono tutti addormentati», rispose l'uomo, come se mi avesse letto nel pensiero. «Abbiamo messo qualcosa nel loro cibo sta notte, così non si sarebbero svegliati prima di mezzogiorno, quando ormai le cose si saranno sistemate. Sta calma, è solo una puntura ed è per il tuo bene!»
No, non era solo una puntura. Ne ero certa.
Afferrò il mio braccio, cominciai a divincolarmi, non volevo che mi toccasse con quella cosa.
Continuai a gridare, tirando forti strattoni col braccio nel tentativo di liberarmi. Ma la sua stretta era forte. Davvero forte. Sentivo che mi sarei spezzata come un grissino se avessi continuato a dimenarmi in quel modo.
Puntò la siringa verso il mio braccio e scattò per pungermi con quella dannata cosa. Lo fece velocemente, con un’innata sicurezza.
Poi Aprii gli occhi. Mi guardai attorno.
Non ero per terra, ero sul letto.
Non c'era nessuno a parte i Radurai, che dormivano ancora beatamente.
La luce del sole entrava debolmente nella stanza, non puntava contro il mio volto, ma appena sotto il letto.
Ero ugualmente terrorizzata nonostante vedessi che la situazione era effettivamente del tutto tranquilla. Presi una grossa boccata d'aria per cercare di rilassarmi, accasciandomi contro il materasso. Sollevai di più il sacco a pelo e mi rannicchiai su me stessa più che potevo, fissando un punto indefinito della stanza.
Attorno a me era tutto silenzioso, cercai di consolarmi con quello.
Beh... tutto silenzioso, tranne che per il pesante russare degli altri Radurai, ma preferivo quello a qualsiasi altro suono.
Chiusi gli occhi e cercai di riprendere sonno... tentativo seriamente impossibile, tutto per merito del mio cuore che batteva così forte da darmi la sensazione che potesse uscire fuori dal petto da un momento all'altro e fuggire da quel posto solo rotolando via.
«Possibile che ti svegli sempre così presto?», brontolò Newt alle mie spalle. Aveva la voce impastata per via del sonno. Almeno uno dei due riusciva a dormire.
Mi girai e lo guardai con la fronte corrugata... a pensarci bene, cosa ci facevo nel letto? Sopratutto... perché ero lì con lui? Non che la cosa mi desse fastidio, anzi... semplicemente non ricordavo il passaggio in cui mi ero alzata dal pavimento per coricarmi accanto a lui, a meno che non fossi diventata sonnambula... il che, onestamente, non mi avrebbe stupito.
Cosa avrebbe potuto stupirmi ormai in un posto come quello?
In più ero tutta rannicchiata su me stessa contro il suo fianco. E lui non faceva una piega per questa cosa.
«Perché mi guardi così?», brontolò come un bambino, quasi infastidito, tant'è che si girò dall'altra parte rivolgendo lo sguardo alla parete e dandomi le spalle.
«Perché sono nel letto con te?», domandai, grattandomi la fronte.
«Non ci sei da molto, tranquilla. Hai cominciato ad agitarti come un pazza, brontolavi parole incomprensibili e cose così. Mi sono preoccupato e per non lasciarti sola, dati gli “ultimi” avvenimenti con le tue strane crisi, mi sono alzato, ti ho presa in braccio e ti ho portata sul letto con me. Le altre due opzioni erano svegliarti o sdraiarmi con accanto a te. Stavo fortemente optando per la prima opzione, dato che tu hai svegliato me», brontolò ancora, affondando il viso contro il cuscino.
Corrucciai le labbra e mi girai a guardare la parete davanti a me, come se improvvisamente fosse diventata dannatamente interessante. Mi sentivo un po' in colpa, ogni volta che mi succedeva qualcosa in qualche modo ci passava lui anche senza volerlo.
«Non l'ho fatto apposta!» Abbassai il volto, affondandolo anche io nel cuscino per cercare quasi di soffocare l'imbarazzo che stavo provando. Possibile che anche mentre dormivo facessi così tanto casino da svegliare proprio l'ultima persona che avrei voluto disturbare?
«Ecco perché non ti ho svegliata, infatti, Fagio», ribatté a sua volta, spostando il volto dal cuscino. «Ed era anche troppo presto. Ti ho lasciata dormire, anche se tu non hai lasciato dormire me, dovresti ringraziarmi.»
«Aspetta... mi hai presa in braccio?»
«Sì, perché?»
«Hai ragione, dovrei ringraziarti.»
«Certo che dovresti!», disse ridacchiando, il tono assonnato che si stava dissolvendo alla svelta.
«E dovrei anche prenderti a pugni per esserti sforzato quando non avresti dovuto farlo, stupida testapuzzona!», risposi con tono fermo. Seriamente, mi faceva piacere che si preoccupasse per me, ma io ero ancora preoccupata per lui, per via di quella ferita sul petto che continuava a cicatrizzarsi in modo piuttosto lento.
«Prego, Fagio...» Scosse la testa, portando il braccio dietro di sé e cercando la mia mano. La trovò in poco tempo, la prese e fece un respiro profondo. «La prossima volta, però, ci dormi tu sul letto, e non voglio sentire storie.»
Okay, era palesemente in procinto di addormentarsi di nuovo.
«Assolutamente no, il pavimento è troppo duro e –»
«Non m'interessa.» Sollevò la testa dal cuscino e si girò verso di me, allora mi girai anche io a guardarlo, alzando leggermente gli occhi al cielo.
Inarcai un sopracciglio, era assonnato, dava l'impressione di qualcuno che non dormiva da secoli, ma riusciva comunque a mantenere un aria seria.
«Sopravvivo ogni giorno in questo posto, non sarà un pavimento duro ad uccidermi.
E poi non devo fare sforzi, non c'è scritto da nessuna parte che non posso dormire per terra.»
Beh, dovevo ammettere che non aveva tutti i torti.
Sollevò un sopracciglio anche lui e si girò completamente verso di me.
Perché sembrava così dannatamente carino anche da mezzo addormentato?
Sospirai e scattai seduta, la mia parte orgogliosa detestava ammettere che aveva ragione lui. E poi ero ancora dell'idea che doveva stare comodo nel letto per riposare meglio ed intendevo mantenere la mia idea, ma non avevo voglia di discutere.
«Okay», dissi semplicemente e scesi dal letto, facendo attenzione a non fare rumore, non volevo svegliare anche gli altri Radurai.
Era meglio sbrigarsi ed andare a fare la doccia prima che i miei compagni aprissero gli occhi all'alba del nuovo giorno.
Come se fosse legato a me con uno spago, Newt si alzò e mi seguì come un cane da guardia.
Chiaramente rimase fuori dalla porta ad aspettarmi, per poi entrare lui appena uscii.
Andammo in cucina una volta puliti e freschi, mangiammo qualche boccone e mi aiutò nel preparare la colazione agli altri. Insomma, la routine che ormai per noi era diventata quotidiana. Solo che sta volta aveva deciso che mi avrebbe aiutata a stare attenta a quello che facevo, e dovevo ammettere che il risultato fu piuttosto positivo dati gli ultimi disastri in cucina.
Aveva notato che avevo la testa tra le nuvole ma non fece nessuna domanda, probabilmente convinto che fosse semplicemente perché non ero più abituata ad entrare in cucina con Frypan che lucidava anche il tavolo come se fosse fatto di cristallo.
E Frypan, apparso quasi per magia in cucina, tirò un sospiro di sollievo quando notò che non c’erano stati danni gravi allo splendore immacolato del suo tanto amato pavimento.
«Oh, sia ringraziato il cielo», disse in seguito ad un grosso sospiro.
«Hai visto? Sono stata brava!», sorrisi, sistemando le scodelle della colazione in fila sul tavolo.
Newt sollevò gli occhi al soffitto e scosse la testa, portando le scodelle dai Radurai.
Non mi azzardai nemmeno ad uscire a guardare la faccia che fecero notando la sua comparsa come “cameriere”, anche se sotto sotto ero piuttosto curiosa di vederla.
Lasciai da parte una sola scodella, per portarla a George... anche se andare da sola non era una buona idea, non mi fidavo granché di lui, per quanto ne sapevo poteva essere benissimo in grado di creare una freccia dal nulla e tirarmela contro non appena mi fossi avvicinata alla Gattabuia.
«Beh, come va, futura Pive?», domandò Frypan mentre controllava attentamente le scodelle, come si aspettasse che da un momento all'altro queste cominciassero a sputare ragni a raffica.
Ehi, non ero mica così inaffidabile!
«Sopravvivo, non è cambiato granché da ieri, sai?», risposi con un tono sarcastico, sentendomi in colpa subito dopo. Forse passare così tanto tempo con Newt mi faceva male.
«Mai dire mai, con te è una continua sorpresa!» Prese due scodelle e le avvicinò a Newt mentre tornava a mani vuote. Sbuffò, ma sapevo che sotto sotto era contento di dare una mano. Erano giorni che si lamentava del fatto di essere fermo senza poter muovere un solo muscolo per ordine di Alby.
«Già... è una continua sorpresa anche per me», mormorai tra me e me, sperando che non mi avesse sentita. Speranza che poi divenne realtà, grazie a Dio, o forse mi aveva semplicemente ignorata.
«Elizabeth?» Mi girai sentendo la voce di Minho, era poggiato alla porta della cucina col suo solito fare da divo. Che ci faceva lì? Avrebbe dovuto essere nel Labirinto, no?
Mi fece cenno di avvicinarmi, ma di fare silenzio.
Lo feci, notando con mia grande sorpresa che né Newt né Frypan si erano accorti del mio allontanamento, troppo intenti a servire i Radurai affamati. Strano, erano il doppio del solito.
Mi prese la mano velocemente e mi trascinò fuori. Aveva parecchia fretta nel farlo, come se non volesse essere visto da nessuno. Cominciò a correre e... ho mai detto quanto odiassi correre?
Sbuffai e lo seguii. Di malavoglia, ma lo seguii. Era complicato tenere il suo passo, d'altronde io non ero una Velocista e di certo non avevo il fisico per farlo.
Inciampai un paio di volte, rischiando seriamente di farmi male, ma non si fermò nemmeno un secondo per chiedermi se mi ero ferita o cose simili.
«Dove andiamo?», domandai, ma non ci fu nemmeno bisogno di una risposta perché ormai ci eravamo fermati davanti al capannone dove nessuno poteva entrare.
«... ehi, ma questa non è la Stanza delle Mappe?», chiesi indicandola.
«Già», rispose semplicemente, aprendo la porta e dandomi una pacca sulla spalla. «Entra.»
«Credevo che potessero entrare solo i Velocisti!»
«Entra», rispose con tono fermo, guardandosi attorno. «Sbrigati. Non voglio che ci vedano gli altri, okay?», brontolò. La cosa cominciava a preoccuparmi, ma non feci ulteriori storie ed entrai.
Sul tavolo c'erano diversi fogli tutti disegnati, alcuni sparsi, altri in ordine. La stanza, tutto sommato, era piuttosto ordinata, il che era strano perché immaginavo i Velocisti come persone sempre di fretta che non avevano il tempo di badare all'ordine e cose così. Rimasi piacevolmente colpita dalla cosa.
«Dobbiamo parlare», disse con un tono quasi triste della cosa, causandomi i brividi perché non si presentava come una conversazione piacevole o allegra.
«Okay...», mormorai poggiandomi al tavolo ma facendo attenzione. Avevo paura di rovesciare dei fogli o qualcosa del genere ed avevano l'aria di essere abbastanza importanti, non volevo combinare guai.
Minho si avvicinò al tavolo, indicando i fogli, appunto. «Queste sono delle mappe del Labirinto disegnate da noi Velocisti. Ecco, il Labirinto è diviso in sezioni, vedi? Ogni giorno cambia sezione, perché è una struttura sempre in movimento. Noi la esploriamo da cima a fondo, poi la mappiamo e le confrontiamo in modo da avere un quadro completo», disse, guardandomi poi con la coda dell'occhio. «Di solito percorriamo le sezioni in tranquillità e senza essere disturbati... fatta eccezione per i Dolenti, che però escono principalmente la notte.» Schioccò la lingua. «Alla fin fine con quei cosi ci conviviamo. Ma ecco, ora ti spiego dove sta il problema... sembrano essere moltiplicati e non sappiamo cosa fare. Non abbiamo dato un bando o qualcosa del genere, non vogliamo creare uno scompiglio generale.»
«Ehi, ehi, ehi... aspetta. Perché lo dici a me?»
«Perché tu sei un piccolo genio incompreso, mia dolce Giulietta», disse con un sorrisetto beffardo stampato sul volto, poggiandosi al tavolo ed incrociando le braccia.
Cancellò il sorriso dal volto e tornò serio, sospirando. Ormai conoscevo Minho, sapevo che quando voleva mascherare le sue emozioni diventava particolarmente sarcastico, facendo battutine o cercando comunque di sdrammatizzare. Voleva sempre apparire superiore a qualsiasi difficoltà gli si parasse davanti.
Si passò le mani tra i capelli e scosse la testa, guardandomi con la coda dell'occhio. «Seriamente parlando, perché mi fido di te. Se non fosse così oggi non avrei saltato la mia esplorazione quotidiana per perdere tempo a parlare con la Fagiolina di turno. Sento che tu puoi aiutarci in qualche modo. Sarà forse per quello che ha detto quello svitato di George, o per il fatto che c'era il tuo bel problemuccio sulla zampetta carina carina del D2MH, perché in qualche modo sai qualcosa di loro che noi non sappiamo... non saprei di preciso quali di queste tante cose mi spinga di più a potermi fidare di te. Ma, seriamente parlando, ho bisogno di una mano. Non voglio esporre altri Velocisti a dei rischi.»
Il suo sguardo rimase fermo su un punto, era come se fosse perso a rimuginare su tutt'altro e non riuscisse a non pensarci. Capivo bene quella sensazione, la provavo ormai da così tanti giorni che mi sembrava quasi di conviverci da secoli.
«Quindi... in breve mi stai chiedendo di scoprire qualcosa sui Dolenti in modo da aiutarvi nel Labirinto, giusto? Okay, ma …. come? Voglio dire, non c'è un diario segreto sui Dolenti nascosto da qualche parte nella Radura, quindi come faccio?»
Scosse la testa, facendo le spallucce. «Chiaramente dovrai andare nel Labirinto, Beth», rispose semplicemente, come se fosse stata la cosa più normale del mondo.
Sbiancai e schiusi le labbra. Sentii il mio cuore cominciare a battere velocemente, come se bussasse nel petto chiedendo il permesso per poter uscire.
Come faceva a dire una cosa del genere con così tanta calma? Okay, forse per lui andare nel Labirinto era normale, ma dimenticava un piccolo dettaglio: io non avevo mai messo piede lì dentro.
«Cosa?!» Per qualche strano motivo, sentii il mio labbro inferiore tremare.
Che fosse per paura? Era probabile.
Oltre alla paura per quel posto, c'era anche un altro problema, per esempio il fatto che avevo promesso a Newt che non avrei mai messo piede lì dentro, e non volevo farlo incazzare troppo. Forse a dire il vero era l'unico pensiero che mi interessava davvero.
Una buona parte di me sapeva benissimo che sarebbe stato in grado di non parlarmi più per aver infranto proprio quella promessa.
Minho sembrò quasi spiazzato dalla mia risposta, poi scosse le spalle con noncuranza della cosa ed annuì, come se d'altronde quella proposta fosse la cosa più normale del mondo.
Tuttavia leggevo nei suoi occhi che non era molto convinto nemmeno lui di quell’idea, ma cercava di apparirlo il più possibile davanti a me.
Scossi la testa con convinzione, non volevo litigare con Newt per questa storia.
«No, non se ne parla! Sopratutto da sola, in un posto come il Labirinto! E se mi perdo? E se mi succedesse qualcosa? Io non conosco il Labirinto, non sono mica una Velocista!» Cercai di sviarmela in quel modo, sperando di ottenere un suo ripensamento senza dargli a vedere il vero motivo per cui non volessi mettere piede in quel posto.
«Effettivamente non avevo pensato a questo dettaglio...» Si grattò la fronte, abbassando lo sguardo. Corrucciò le labbra, passandosi una mano tra i capelli, poi rialzò lo sguardo e scosse le spalle. «Ti accompagnerò io. D'altronde chi meglio di me può farti da guida nel Labirinto? Insomma... io sono Minho, il più figo dei Velocisti!» Ammiccò, ridacchiando, poggiandosi le mani sui fianchi.
«Beh... si... vero...» Sorrisi, cercando di essere il più spontanea possibile. Onestamente parlando, il tono che avevo usato non convinceva nemmeno me, ma non riuscivo a scrollarmi di dosso il pensiero che andare nel Labirinto fosse una pessima idea.
Cercai di trovare una frase per tirarmi indietro da quella situazione.
Seriamente, avrei fatto di tutto per aiutare Minho e gli altri, perché anche a me interessava riuscire ad uscire da quella prigione, ma volevo farlo possibilmente senza correre il rischio di lasciare la pelle nel Labirinto.
«Allora? Andiamo?» Era curioso di sapere la mia risposta, era ansioso, batteva il piede sul pavimento e teneva le braccia incrociate contro il petto.
«Io... non lo so...» Sentivo i sensi di colpa nel vedere la sua espressione quasi delusa dalla mia risposta... o forse lo era davvero.
Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, schiudendo le labbra.
«Come sarebbe “non lo so”? Di cos'hai paura? Ti farò io da guida, sai che puoi fidarti di me.» Corrugò la fronte. «Perché tu ti fidi di me, vero?»
«Sì, caspio, ma non ho paura di quello. Voglio dire, non ho paura di nulla, ma... non mi piace l'idea di entrare nel Labirinto, ecco... sai... ci sono i Dolenti...» Cercai di essere il più convincente possibile. Abbassai lo sguardo sul pavimento, fingendo di calciare via qualcosa.
Dopo un po' lo sentii ridacchiare di gusto, così alzai lo sguardo.
A
veva incrociato di nuovo le braccia contro il petto e sollevato la testa al soffitto, schioccando rumorosamente la lingua contro il palato. «Hai paura di Newt, vero?» Assunse l'aria di chi aveva fatto la deduzione del secolo, abbassando lentamente lo sguardo su di me. Il suo sorrisetto la diceva lunga su quanto in quel momento si sentisse estremamente intelligente per quella deduzione.
Arrossii ed abbassai di nuovo lo sguardo sulle mie scarpe. «N-no! Non è per quello», bofonchiai imbarazzata.
«Sì invece. Hai paura che ti becchi e che si arrabbi con te! Tranquilla Fagio, se ci becca me ne prenderò io la responsabilità, promesso. Gli dirò il perché siamo andati nel Labirinto e tutto il resto, così Romeo non si arrabbierà con Giulietta.» Sollevò il mignolo e lo piegò un paio di volte, sorridendo. «Promessa del Raduraio. Ora, ti spiacerebbe dirmi “sì Minho, andiamo nel Labirinto”? Così prima finiamo e prima torniamo, ti pare?»
Non ero molto convinta di quel piano, una parte di me sapeva benissimo che tanto si sarebbe arrabbiato ugualmente anche se Minho avesse detto tutti i buoni motivi che l'avevano spinto a farmi infrangere la regola del non entrare nel Labirinto... e la promessa che gli avevo fatto.
Si sarebbe arrabbiato sia con uno che con l'altra. Ma sopratutto con me.
Ma d'altronde Minho c'era sempre stato quando avevo bisogno di lui, mi bastava pensare a quando mi accompagnava da George per dargli il cibo, anche se pensava vivamente che piuttosto che del cibo sano si meritasse del veleno puro.
Sì, mi fidavo di Minho, ma sentivo ugualmente la coscienza sporca anche se non eravamo ancora andati.
Forse dovevo pensarci meglio, ma non avevamo tutta la sera a disposizione. Il Labirinto aveva i suoi tempi e, se volevamo andare fino in fondo, dovevo sbrigarmi a fare una scelta... anche se era ovvia.
Sospirai ed annuii, giocando con le punte dei miei capelli. «Okay, ma solo per questa volta. Non voglio infrangere le regole e beccarmi un'altra strigliata da Alby – e da Newt –»
Minho rise, annuendo anche lui e prendendomi sottobraccio. «Non ci staremo molto, promesso. Ti prometto che sarà una gita piuttosto interessante!»

Qualche passo e mi ero già pentita della mia scelta. Chi me l'aveva fatto fare? Oserei dire il mio buonsenso, ma di certo il mio buonsenso non mi avrebbe fatto mettere piede lì dentro.
Minho mi aveva costretta a fare una breve (ma intensa) corsetta fino all'interno del Labirinto.
Avevo i brividi lungo tutto il corpo ed eravamo appena entrati. Se ero già spaventata solo dall'entrata di quel posto, come sarei stata una volta arrivata al centro? Mi sarei strappata i capelli uno ad uno in preda al terrore?
Non volevo nemmeno pensarci più di tanto, mi sentivo già abbastanza in trappola.
L'idea di correre via da lì mi sfiorò più volte, ma il continuo spronarmi di Minho mi tratteneva. Sembrava così dannatamente convinto di ciò che voleva fare da riuscire a coinvolgermi più di quanto pensassi. Era dannatamente concentrato, aveva tutta l'aria di chi avesse studiato attentamente un piano e lo stesse seguendo passo per passo.
«Okay, avanti, non può succedermi nulla di male, dai! Pensa positivo, Elizabeth, pensa positivo», mi dissi, ma una buona parte di me sentiva quel pensiero come un qualcosa di non mio.
Poggiai le mani sulle tempie, facendo un respiro profondo e chiudendo gli occhi. Qualcosa che era a mio rischio e pericolo, visto che quel posto non lo conoscevo e rischiavo di cadere come un salame.
«Okay, Elizabeth, d'altronde ormai sei dentro. Non puoi più tirarti indietro. Fa vedere a questi Pive del caspio di che fatta sei pasta!» Corrugai la fronte e scossi la testa, riaprendo gli occhi e spostando le mani. «Volevo dire, di che pasta sei fatta. Cominciamo bene, inverto anche le parole. A posto. Ci manca solo che cominci a camminare con le mani invece che coi piedi», brontolai, spostando i capelli dietro l'orecchio e dando un finto colpo di tosse.
«Oh, ma dai, ti stai sploffando così tanto addosso che ti sei messa anche a parlare da sola? Caspio Beth, ti facevo più tosta! Fortuna che non sei una Velocista, se no a quest'ora saremmo stati tutti fregati!»
Gonfiai le guance e borbottai qualcosa tra me e me. Mi sentivo agitata, non avevo bisogno di sentirmi anche in imbarazzo. Decisi di non rispondergli nemmeno, anche perché non sapevo cosa dirgli.
Forse per il fatto che mi sentivo seriamente in soggezione e debole... non mi piaceva sentirmi così indifesa.
Minho rise ancora e cominciò a correre lentamente, lasciandomi il tempo di mettermi in moto anche io così l'avrei seguito.
Onestamente parlando, non avevo esattamente voglia di correre... o meglio, sì, ne avevo, ma volevo farlo per andare via da lì, però!
E poi tenere il passo di Minho era seriamente sfiancante. Il suo concetto di “corsetta lenta” probabilmente era distorto.
Oltretutto, non avevo nemmeno capito dov'eravamo diretti di preciso.
Cercavamo i Dolenti, forse? Probabilmente sì, ma ero abbastanza sicura che ci avrebbero trovato prima loro visto il casino che facevano i nostri piedi contro il pavimento.
O meglio, era il casino che facevano solo i miei piedi. Li battevo così forte che mi sembrava di emettere un suono dannatamente tonfo. Sembravo un elefante in un negozio di cristalli!.
Non appena riuscii a raggiungerlo, lui abbassò lo sguardo verso di me e prese la mia mano, senza stringerla troppo.
Fissai le nostre mani, corrugando la fronte con fare interrogativo.
«Non voglio correre il rischio di perderti qui dentro solo perché non riesci a reggere il mio passo», disse con calma. «Newt mi darebbe in pasto ai Dolenti. O probabilmente mi macellerebbe, mi cucinerebbe e mi spaccerebbe per carne di bovino. Sono troppo bello per essere spacciato per un bovino! Sai che spreco sarebbe?» Scrollò le spalle. La cosa peggiore era che mentre diceva queste cose sembrava anche serio!
Risi e scossi la testa, guardandomi attorno. «Basta semplicemente camminare, ti pare?» Il mio sguardo passava da una parete all'altra, dandomi perfettamente l'idea di quanto fosse claustrofobico quel posto.
Era vero, c'era abbastanza spazio per correre in cerchio, ma quelle mura di cui non si riusciva a vedere la fine verso l'alto non erano rassicuranti.
L'edera rampicante ricopriva gran parte delle mura di pietra, in lontananza scorgevo il cartello con scritto “Catastrofe Attiva Totalmente: Test Indicizzato Violenza Ospiti”.
Cosa doveva rappresentarmi una scritta così poco rassicurante?
Sentivo che c'era qualcosa di importante nascosto in quella sigla, eppure nella mia mente c'era il vuoto totale.
Decisi che non era il caso di cercare una risposta, sarebbe venuta da sé. Non volevo correre il rischio di qualche altra crisi che mi avrebbe portata all'autodistruzione come al solito.
«Ti piace questo posto?», domandò Minho, interrompendo – per fortuna – il flusso dei miei pensieri.
Scossi la testa distrattamente.
Non che non mi piacesse, ma... aveva un non so che di strano, non sapevo come definirlo.
C'era sicuramente un lavoro lunghissimo dietro quella struttura, tutto creato e schematizzato solo per dare un unica sensazione che, sicuramente, non era né rassicurante né di piacere.
Mi affascinava e mi inquietava allo stesso tempo.
Fissai una parete, fermandomi per qualche istante. Non eravamo troppo lontani dall'entrata del Labirinto.
Abbassai lo sguardo sul pavimento. Ebbi come un flashback. Quel posto... l'avevo già visto.
Quello era il punto in cui Newt era atterrato dopo essersi buttato dalla parete.
Chiusi gli occhi e mi strofinai una mano contro questi, sospirando. «Questo è il punto in cui Newt si è schiantato a terra, vero?», domandai, ma già sapevo la risposta.
Ci fu un attimo di silenzio tombale, nulla di più.
Di colpo sentii Minho tirare il mio braccio e cominciare a correre. Persi quasi l'equilibrio. Che aveva da correre ora?
Mi fermai, o almeno ci provai, puntando i piedi contro il pavimento. L'unica cosa che ottenni fu uno sbalzo in avanti che mi fece definitivamente perdere l'equilibrio, facendo però fermare Minho.
«Muoviti, svelta!», disse in preda all'agitazione.
«Perché, che succede?»
«Se non ti sbrighi lo capirai a tue spese!» Mi sollevò di peso, facendomi rimettere in piedi quasi contro la mia volontà e riprese a correre, trascinandomi con lui.
Pochi passi e capii il perché di tanta agitazione. Lo capii a mie spese. Sul serio.
Davanti a noi c'era un Dolente. E non era solo. Riuscii a sentire lo sferragliare dei loro artigli contro il pavimento e contro le pareti del Labirinto. Camminavano sul muro come se fossero ragni, rotolavano sul pavimento con un fare così strano da mettere i brividi. Ma erano rapidi e non avevano l'aria di voler giocare come dei cucciolotti.
Emettevano versi da farmi venire la pelle d'oca. Provai ribrezzo, non riuscivo a fissarli.
Eravamo circondati. Il mio cuore batteva all'impazzata, ma nonostante tutto avevo ancora la mente lucida. Mi guardai attorno, non volevo fare movimenti troppo bruschi, temevo che se avessi fatto un solo passo falso si sarebbero avventati tutti contro di noi.
Notai che Minho era come paralizzato, gli tremavano a stento le mani e deglutiva di continuo, mentre il suo sguardo passava da un Dolente all'altro.
Non che io fossi messa meglio, ma almeno cercavo di non dare a vedere quanto fossi dannatamente preoccupata.
«Che si fa?», domandò Minho con un tono bassissimo. La sua voce traballava, ma cercò di camuffarla nel tono più calmo che poteva.
«Non lo so, sto pensando», sussurrai, deglutendo a fatica.
Il Dolente davanti a noi si avvicinò lentamente, il suo “muso” rimase a pochi centimetri dal volto di Minho, come se lo stesse annusando, poi si spostò verso mio viso. Puzzava, la sua pelle era viscida e nera. M'irrigidii e girai leggermente la testa dall'altra parte per evitare il più possibile il contatto con lui.
Emise un verso quasi contrariato. Forse il gesto era troppo impulsivo e non gli andava a genio.
Quasi come se quello fosse stato un segnale per gli altri, di colpo tutti loro tirarono fuori quei mille bracci meccanici pieni di strumenti di tortura. I suono che fecero era simile a quello che facevano le budella quando Winston le spostava tra loro. Viscido e nauseante se ascoltato a lungo.
I Dolenti si fecero avanti di colpo, scagliando i loro bracci verso il punto dove eravamo io e Minho, stretti come bambini impauriti la notte di Halloween.
«Beth!», gridò lui, spingendomi nell'unico punto in cui sembrava ci fosse un minimo di via d'uscita. Era un pezzo strettissimo e ci passammo di striscio.
I miei vestiti si impigliarono nelle braccia metalliche dei Dolenti, si strapparono un po', ma non importava.
«Corri! Seguimi!», gridò di nuovo Minho, riprendendo a correre.
In quel momento, per quanto odiassi farlo, era la soluzione migliore. Ma correre dove? Dove si poteva andare in un Labirinto?
Decisi di non chiederglielo, dovevo risparmiare il fato per la corsa e per tenere il suo ritmo.
I Dolenti emisero una sorta di grido, poi si sentii uno schianto alle nostre spalle. Si erano messi di nuovo a rotolare. Ci stavano seguendo.
Ebbi un déjà vu. In quel momento avrei pagato oro per poter tornare indietro nel tempo e dire “No, non ci vengo nel Labirinto, fine della discussione”.
Fissai l'edera, mi fermai e la toccai con fare frenetico. La legai tra le mie mani e poggiai un piede sul muro cominciando a fare leva. Presi una spinta e cercai di tirarmi su. Volevo arrampicarmi, cercare di salire il più in alto possibile, cercare di mimetizzarmi lì in mezzo così magari avrei avuto una chance in più e magari tornare indietro appena i Dolenti fossero stati abbastanza distanti da me.
«Minho, vieni, ho un piano!»
Si fermò, era già più lontano di me. Girò la testa con fare quasi scocciato e mi fissò, senza fare ulteriori passi verso di me. «Ma che caspio stai facendo?!», gridò, guardando poi oltre me. I Dolenti erano vicini, giravano molto velocemente. «Scendi subito da lì e raggiungimi, caspio!»
«Arrampichiamoci sull'edera e nascondiamoci! Correre è inutile!», insistetti.
Scosse la testa e rise in modo isterico. «È inutile anche arrampicarsi sul muro, ti sei rincaspiata tutta d'un botto? Non hai visto che si arrampicano sul muro come se nulla fosse! Corri caspio, prima che ci raggiungano del tutto!» Cominciò a correre sul posto.
Aveva ragione, non avevo pensato a quel dettaglio.
Feci per lasciare andare l'edera, ma questa cedette ancor prima che potessi scendere, spezzandosi e facendomi cadere contro il pavimento marmoreo.
Sentii una scossa di dolore percorrermi la gamba, ma nonostante questo mi rimisi a correre, sebbene zoppicando un po'. Non potevo permettermi il lusso di fermarmi a massaggiare la caviglia.
Svoltammo a destra, ma ci fermammo subito. Un vicolo cieco.
Guardai Minho, che corse in avanti e cominciò a toccare il muro in preda al panico. «È impossibile! Caspio, no, non è possibile! Qui c'era il muro che svoltava a sinistra e portava alla scarpata! Perché è tappato?! Perché caspio è tappato!», cominciò a sbattere i pugni, poi tirò l'edera come se sperasse che quel gesto avrebbe potuto far scomparire il muro per magia.
Era la fine. Dovevo farmene una ragione. Mi sedetti ed aspettai, fissando la scena davanti a me. Quattro Dolenti che ruotavano ad una velocità assurda verso me e Minho, pronti a prenderci, pungerci e qualsiasi altra cosa facessero quei mostri alle loro vittime.
L'avevo accettato, ma cercai comunque di sentirmi in pace con me stessa. Chiusi gli occhi, sentendo il tocco freddo dei miei brividi sulla schiena provocati dal pensiero di ciò che stava per accadere. Speravo solo che quel incubo finisse in un attimo, sebbene accompagnato dalle grida e dalle imprecazioni di Minho.
Poi un grido. Il grido più terrificante e grosso che avessi mai sentito in vita mia. Era più simile al ruggito di un dinosauro che un grido vero e proprio.
Sbarrai gli occhi e mi voltai in preda al panico. Era un rumore che riecheggiò per un bel po'. Non capivo da dove venisse, ma fu come una mano dal cielo. I Dolenti si fermarono ed indietreggiarono lentamente.
Minho cadde all'indietro, atterrando a pochi centimetri da me. Respirava faticosamente e fissava la parete come se fosse quella la causa di quel verso. Le sue mani erano arrossate e gonfie a furia di dare pugni alla parete
«Cosa caspio...?», mormorò con una voce tremante e roca. Forse il troppo gridare gli aveva fatto sparire la voce. «Proveniva da lì dietro, ne sono sicuro!» Indicò la parete, mostrando ancora di più il rossore della mano.
«Vuoi ancora che quel muro sparisca?», domandai senza spostare lo sguardo dai Dolenti. Erano fermi, come se stessero aspettando.
«No. Temo che qualsiasi cosa ci sia dall'altra parte, sia più pericoloso di quei Dolenti del caspio. A Proposito, dove sono?» Si voltò anche lui. Non disse nulla, si limitò anche lui a fissarli con uno sguardo accigliato.
Sentii un fruscio tra le foglie che catturò subito la mia attenzione, poi un piccolo lampeggiare di una luce rossa. Si muoveva velocemente tra le foglie.
Cercai di mettere a fuoco la vista il più possibile, ed allora notai il colore grigiastro della Scacertola.
Si muoveva velocemente e a scatti. Ero abbastanza sicura che ci stesse osservando con fare vigile... e forse era stata lì per tutto il tempo.
Mi avvicinai lentamente, stranamente non si mosse nemmeno di un centimetro.
Spostai leggermente l'edera e sfiorai il suo corpo freddo e metallico. Era un piccolo robot, che reagì fuggendo a quel mio gesto.
Corse su per il muro, sparendo tra l'edera, facendo cadere qualche fogliolina. Ero sorpresa del fatto che non fosse fuggita subito, ma avesse avuto quasi uno scoppio ritardato.
Il pavimento tremò. Digrignai i denti sentendo il rumore di raschiamento della pietra contro altra pietra. Il muro davanti a noi si stava spostando così lentamente da farmi pensare che avrei preferito andare ad abbracciare i Dolenti piuttosto che sentire anche solo cinque minuti di più quel suono odioso.
«Ma cosa caspio...» Minho si mise in piedi, fissando con stupore la parete che, lentamente, prendeva velocità nello spostarsi.
I Dolenti rotolarono via, come se fossero terrorizzati a quel pensiero.
Cosa poteva esserci di tanto terribile dall'altra parte del muro?
L'unica cosa che riuscii a vedere era l'immensità di polvere causata dallo spostamento del muro. Nulla di che, per i primi 5 minuti, quando ancora questa era bella che densa. E la situazione rimase calma anche quando la polvere smise di esserci.
Di colpo fu come se avessi realizzato ciò che era successo. Mi fissai le mani, notando che erano sporche di sangue. Ero insanguinata. Anche i miei vestiti erano insanguinati.
«Sono stata punta...», sussurrai, sorridendo in modo nervoso.
«Cosa?» Minho abbassò lo sguardo su di me, inclinando la testa.
«Sono stata punta!» Mi toccai la maglietta. Avevo una pozza di sangue dallo stomaco in giù. La pelle bruciava, mi sentivo andare a fuoco. Sentivo la gola andare in fiamme, le mie guance rigate dalle lacrime. Mi abbassai e mi accucciai su me stessa.
«Sono stata punta! Non ci credo, sono stata punta!» Dondolai avanti e indietro tenendomi la testa tra le mani. Chiusi gli occhi. Non volevo vedere ulteriormente il mio corpo sporco di sangue.
«Beth, calmati!» Poggiò le mani sulle mie spalle, scuotendomi ripetutamente finché non alzai la testa.
«Calmarmi? Calmarmi?! Sono stata punta, cosa c'è da stare calmi?!», gridai e mi liberai dalla sua presa. «Guardami, sono sporca del mio stesso sangue! ed è tutta colpa tua!» Lo indicai nervosamente, continuando a piangere. Continuavo a sentire la mia pelle bruciare, come se avessi avuto il sole a pochi centimetri di distanza. Sentivo di sudare freddo, che avevo bisogno di aria.
Vidi la sua espressione farsi gelida, poi scosse la testa. «Beth...»
«Cosa “Beth”? Beth un corno! Minho, dobbiamo tornare nella Radura, devo prendere assolutamente il Dolosiero prima che sia troppo tardi!» Feci per alzarmi, ma le mie gambe non volevano collaborare.
«Beth!» mi spinse a terra, non mi faceva spostare, mi teneva piantata contro il pavimento.
Lo fulminai con lo sguardo e cominciai a dimenarmi. Volevo liberarmi. Avevo bisogno del Dolosiero, mi terrorizzava abbastanza l'idea di finire come Justin, ma prima avrei passato la Mutazione, prima sarebbe finito tutto.
Newt si sarebbe infuriato a morte, aveva già altri problemi per la testa ed ora ci mancava solo quello.
Cominciava a mancarmi il respiro, ad ogni boccata d'aria era come mandare nei polmoni il fuoco vivo. Annaspavo, tossivo, respiravo a fatica... mi sentivo come se stessi per svenire. Non volevo perdere i sensi.
«Lasciami andare!», gridai, continuando a dimenarmi. Cercavo di liberarmi in tutti i modi, cercavo di spingerlo via, ma nulla. Era più forte di me e riusciva a schivare i miei colpi. «Minho, lasciami andare!»
«Beth, ascoltami, caspio!», mi prese i polsi, tirando un sospiro di sollievo nel vedere che era riuscito ad immobilizzare almeno una parte di me. Respiravo con i denti serrati, creando un suono simile ad un ringhio, solo molto affaticato.
«Lasciami andare, devo andare nella Radura prima che sia troppo tardi!»
«Non sei stata punta, Beth, caspio!», disse con un tono fermo.
Corrugai la fronte e scossi la testa. «Ma cosa stai dicendo! Guardami, sono insanguinata, mi fa male ovunque, sto sudando freddo e... e...» Mi guardai le mani. Erano pulite, ma piene di graffi, così come le mie braccia. Graffi superficiali, nulla di troppo profondo.
«Quello era un attacco di panico», disse, poggiando le mani sul mio volto. «È tutto okay, ora torniamo indietro, promesso. Forse avevi ragione: entrare nel Labirinto è stata davvero una pessima idea.»
«Lo fissai negli occhi, schiusi le labbra come per dire qualcosa, ma l'unica cosa che sentivo era un nodo alla gola.
Tremavo, volevo solo tornare nella Radura e dimenticare quell'incubo che stavo vivendo.
Annuii ed abbassai lo sguardo, passandomi le mani sulle guance per asciugarle. Volevo solo sentirmi forte in quel momento, dire che non ero spaventata, ma la verità era che tutto ciò mi stava schiacciando.
Sentivo di avere la responsabilità di quella situazione e non ne capivo il motivo.
«Abbiamo rischiato per nulla», mormorò Minho, spostandomi le mani dalle guance ed accarezzandole con premura per asciugarle meglio. Quel gesto spontaneo che non aveva l'aria di essere fatto come un qualcosa di romantico o simili, ma più con l'affetto di un fratello maggiore verso una sorella. Una sensazione totalmente nuova per me.
In quel momento capii che era il miglior alleato che avessi potuto trovare e l'amico più fidato che potessi avere.
«Non è vero, non è stato inutile. Abbiamo capito che i Dolenti temono qualcosa di ben più pericoloso.»
Ridacchiò e spostò le mani, aiutandomi ad alzarmi. «E questo dovrebbe rassicurarmi? Caspio, nemmeno mi avessi detto che nel Labirinto ci sono delle pecorelle!»
Mi sistemai i vestiti e feci per parlare, ma venni interrotta dal rumore dello sferragliare contro il muro.
No... non di nuovo!, pensai, rivolgendo a Minho un’occhiata terrorizzata.
Lui mi rivolse lo stesso sguardo e mi diede una pacca sulla spalla.
«Okay, penso che sia il caso di muoverci ad uscire!», disse, cominciando a correre.
Notai che il rumore si faceva sempre più forte verso la nostra parte, ma era greve, dava proprio l'idea dello spostamento di un corpo veramente grosso e pesante.
Si sentì un ringhio spaventoso che mi causò i brividi lungo tutto il corpo. Decisi che non era il caso di rimanere lì ulteriormente e cominciai a seguire Minho.

Correvamo così veloci che mi sembrò di aver corso anche di meno rispetto a prima. Minho conosceva veramente bene il Labirinto, correva fluido a differenza mia che tendevo ad inciampare anche nei miei stessi piedi.
«Pensi che Newt si sia accorto della nostra assenza? D'altronde sono sparita all'improvviso... caspio, ci sto pensando solo ora!» Mi poggiai le mani sulla fronte. Che domanda stupida, certo che si era accorto della mia assenza! Ero con lui fino a pochi attimi prima di sparire!
«Non preoccuparti di questo, andiamo... avrà pensato che sei andata a nasconderti da qualche parte per.... non so, per riposarti!»
Sollevai un sopracciglio. «Mi avrà sicuramente cercata in lungo e in largo, Minho...»
Schioccò la lingua e scrollò le spalle, facendo per parlare, ma zittendosi poco dopo e fermandosi davanti all'entrata.
Mancavano pochi passi e saremmo usciti dal Labirinto, poteva esserci un solo motivo perché si fosse fermato così all'improvviso.
Guardai oltre a lui, vedendo Newt con le braccia incrociate ed uno sguardo glaciale rivolto verso di noi.
Chiuse gli occhi per un attimo e fece un respiro profondo, riaprendoli poco dopo e fissandoci.
Si avvicinò e ci indicò entrambi. «Ma che caspio vi è saltato in mente ad entrambi?! Infrangere così le regole! Tu, Liz, che sparisci e non dici nulla! Tu invece brutto testapuzzone di un Pive che la porti nel Labirinto quando sai benissimo che è contro le regole far entrare qualcuno che non sia un Velocista!» Mi fissò. Era infuriato, ma si stava trattenendo. Riuscii a vedere le sfumature di oscurità nei suoi occhi.
L'ho portata nel Labirinto per vedere se almeno lei aveva qualche risposta, è colpa mia, se devi prendertela con qualcuno, prenditela con me», rispose in tutta tranquillità Minho.
Newt annuì e sollevò un sopracciglio. «Certo che me la prendo con te, con chi altro dovrei prendermela?», disse a denti stretti.
«Oh, beh, allora se la metti così prenditela con lei!» Mi indicò e sollevò le braccia verso il cielo.
Né io né Newt spiccicammo parola.
«Dio,, Pive, scherzavo!»
«Mi hai seriamente deluso», sussurrò Newt, guardandomi negli occhi.
Ebbi la sensazione di aver perso un battito. Mi sembrò di sbiancare.
«Newt, io...»
«Mi avevi promesso che non avresti mai messo piede nel Labirinto. Ti avevo chiesto di promettermelo, Liz!»
Minho sbuffò. «Ti ho già detto che è colpa m–»
«Chiudi la bocca Minho!», sbottò Newt, fulminandolo con lo sguardo. «Lasciaci soli!»
«Non penso proprio, ma ti vedi? Sei una belva!»
«Bene, vorrà dire che ci allontaneremo noi.» Mi afferrò il polso e fece per trascinarmi via.
Minho mi prese per l'altro polso, restando fermo dov'era.
«Lasciami andare», sussurrai con un tono smorto. Non volevo litigare ulteriormente, stavo già uno schifo.
Minho mi guardò come per chiedermi se ero sicura di ciò. Gli risposi annuendo, allora mi lasciò andare il polso e rimase fermo tra le Mura mentre io e Newt ci allontanavamo.
Era furioso, lo si capiva anche dal modo in cui camminava.
«Dove andiamo?»
Dove possiamo stare da soli senza che gli altri Radurai rompano per sapere cosa ci stiamo dicendo. Non voglio fare uno show.»
«Nel posto segreto?»
«Nel posto segreto.»

Smantellammo velocemente tutto ciò che nascondeva l'entrata del nascondiglio e ci intrufolammo lì dentro.
Non mi era mai sembrato così tanto claustrofobico come in quel momento.
Sospirai e mi raggomitolai più che potevo, fissando Newt che, nel frattempo, aveva sollevato il ginocchio sinistro e ci aveva poggiato sopra un braccio.
Reggeva il mio sguardo con una serietà da far paura, ed ecco che i miei sensi di colpa aumentarono a dismisura.
Poggiò la fronte contro il braccio e sospirò pesantemente. «Perché caspio sei andata lì dentro, Liz? Ti avevo chiesto di promettermi di non farlo!» Sollevò la fronte e digrignò di nuovo i denti. «Non è difficile da mantenere come promessa! Caspio, è la promessa più semplice che ti potessi chiedere! Non ti ho chiesto di rincaspiarti il cervello per risolvere l'enigma del Labirinto, ma solo di starci lontana!»
«Mi dispiace...»
«E se ti fosse successo qualcosa lì dentro, come avrei fatto? Non sapevo in che punto ti saresti trovata ed in ogni caso sarei arrivato troppo tardi!»
«Sei arrabbiato perché sono entrata o perché non ero con te?»
«Perché sei entrata e perché non mi hai detto niente. Volevi fare una gita dentro il Labirinto con Minho? Dannazione, Liz!»
«Non era una gita! Minho mi ha chiesto di aiutarlo! Non volevo entrare perché volevo mantenere la promessa, ma mi sono lasciata abbindolare perché, insomma, lui per me c'è sempre stato! Per una volta che mi ha chiesto un favore non potevo tirarmi indietro!»
«Oh, certo, quindi giustamente tralasci la promessa che hai fatto a me. Mi pare giusto! Più che giusto!» Si passò le mani tra i capelli, mordendosi nervosamente il labbro inferiore.
Sentii una fitta al petto, mi sentivo in colpa. Dannatamente in colpa. «Dimmi una cosa. Voglio sentire la verità.»
«Dimmi...»
«Perché sei andata nel Labirinto, Liz?» Mi guardò, passandosi di nuovo la mano tra i capelli.
«Te l'ho già detto, Newt», sospirai, chiudendo gli occhi.
«Non è magari ci sei andata perché... beh... volevi un po' di privacy con Minho?»
Riaprii gli occhi e li feci ruotare verso l'alto. «Ma figurati!»
Mi fissò e annuì, abbassando lo sguardo. «Okay», e senza aggiungere altro, liberò il passaggio ed uscì dal nascondiglio.
Non disse nulla. Non spiccicò una singola parola in più. Nulla.
Mi guardai attorno. Quel nascondiglio era vuoto. Silenzioso. Un po' come mi sentivo io in quel momento.

Andai a prendere il cibo che avevo messo da parte e, accompagnata da Minho – che nel tragitto si era fatto raccontare in sintesi ciò che era successo nella mia breve ma intensa discussione con Newt –, andai a portare il cibo a George.
Non ero dell'umore per stare fuori. Volevo stare sola, ma non volevo stare sola.
«Vedrai che gli passerà, deve solo metabolizzare la cosa», disse Minho, cercando di rassicurarmi. «Conosco Newt, si preoccupa per tutti anche se non lo da a vedere. Dovrebbe, metterebbe in mostra la parte migliore di lui. È piuttosto chiuso in sé stesso, purtroppo.»
«Non lo è con me... ma penso di essermi giocata questo privilegio.»
«Non dire rincaspiaggini, non è vero, è solo preoccupato per te.» Scrollò le spalle, fermandosi appena raggiungemmo la Gattabuia.
Mi avvicinai lentamente e bussai alle grate. «George? Ti ho portato il cibo», dissi, vedendo i suoi occhi azzurri attraverso la debole luce della torcia accanto alla Gattabuia.
«Era ora!», sbottò secco. Gli passai il cibo e sospirai. «Che hai adesso, stupida Fagiolina?»
«E che t'importa, ingozzati e strozzati, rincaspiato del caspio», rispose Minho al posto mio, sdraiandosi sul prato.
George grugnì, cominciando a mangiare con gusto. Mi chiedevo come facesse a mangiar quella roba fredda, ma pensai che probabilmente anche io avrei mangiato in quel modo se fossi rimasta a digiuno per tutto quel tempo.
«Nulla di che, non preoccuparti, è una giornata un po' così.»
«L'hai combinata grossa, mh? Scommetto che sotto sotto ti arrovelli ancora il cervello per cercare di capire chi ha creato i Dolenti. Vuoi una risposta a questa domanda?»
Fissai i suoi occhi. Erano così chiari che quasi riuscivo a vedere il mio riflesso. Mi ero dimenticata di quella domanda, finalmente mi aveva dato pace, ma ora che l'aveva nominata di nuovo... eccola lì.
Annuii, schiudendo le labbra. «Me la daresti davvero?» Non mi fidavo ad essere sincera, ma per qualche strano motivo mi sentivo incuriosita.
Lui annuì, scuotendo il cibo che gli avevo portato. «Beh, sotto sotto, è il minimo che posso fare per ringraziarti di questo.»
Guardai Minho con la coda dell'occhio. Fissava il cielo, ma stava ascoltando la nostra conversazione, infatti aveva sollevato un sopracciglio a quella proposta.
«Okay.»
«Bene, avvicinati», disse George con calma, «non voglio che gli altri sentano questa cosa. Voglio che sia un segreto tra me e te, Fagio». Il suo tono era sorprendentemente calmo e tranquillo, quasi ispirava sicurezza, ma allo stesso tempo metteva i brividi.
«Attento a ciò che fai, Pive», disse Minho, mettendosi seduto.
Mi avvicinai alle sbarre. Il mio volto era vicino al suo, riuscivo a sentire l'odoraccio di quel posto, mi dava il voltastomaco, dovevo ammetterlo.
George allungò una mano e prese il mio volto. Mi fissò negli occhi, contrasse la mascella e accennò un sorriso.
Cercai di stare calma. Il massimo che poteva fare era darmi una testata... non che la cosa mi facesse piacere, ma era sempre meglio di una pugnalata.
«Preferisco che sia tu a ricordare. È stato doloroso ricordare certe cose, Elizabeth. Davvero, davvero doloroso. Credimi. Dovrai soffrire come ho sofferto io, se vuoi ricordare qualcosa. Ti darò un piccolo assaggio di ciò che potresti ricordare. Hai mai sentito parlare del Bacio della Morte?» Avvicinò di più le labbra alle mie. «Beh, ti darò un assaggio di cos'è.»
Sgranai gli occhi, e pochi attimi dopo, le sue labbra incontrarono le mie. Un bacio a fior di labbra che, per mia fortuna, durò poco. Non so chi dei due era più disgustato da ciò. Mi allontanai velocemente dalla Gattabuia e mi passai una mano sulle labbra.
«Ma che caspio ti è preso?!», sbraitai, sentendolo ridere.
«Non ricordi nulla di qualcosa chiamato il Bacio della Morte? Uhm, strano. Ma chissà, magari dopo questa sorta di bacio, litigherai con Newt. Qualcosa almeno l'avremo ottenuta!» Scoppiò a ridere.
Minho sollevò un sopracciglio e mi guardò, mentre mi pulivo le labbra per l'ennesima volta. «E tu continui anche a dargli da mangiare?»




 

{L'angolo dell'autrice}
Salve pive!
Ringrazio per quelli che recensiscono ancora qui su EFP, mi spiace solo non riuscire ad aggiornare ogni settimana come prima, ma Ahimé, ma scuola non mi da tregua e non mi da la possibilità di farlo, per quanto ci siano le buone intenzioni.
A
mmetto che è una cosa che detesto, perché io ADORO scrivere e mi dispiace lasciarvi così tanta attesa :/
Cerco comunque di impegnarmi per fare in modo che l'attesa ne valga la pena!
A presto!
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