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Autore: La sposa di Ade    29/05/2015    3 recensioni
Sentite le urla e i ringhi dei lupi, il padre della fanciulla uscì di casa in tutta fretta; giusto in tempo per vedere il corpo esanime della figlia nascosto sotto la carcassa di un lupo nero, il cui pelo ispido era lucido per il sangue. Nel momento in cui raggiunse la figlia, febbricitante e svenuta, la liberò dal peso della belva e si osservò intorno; altri lupi giacevano morti intorno a loro, con grandi chiazze di sangue che si espandevano velocemente nella neve candida. Intorno solo in candore e la piattezza della neve. Nessuna figura, nessuna impronta forniva il minimo indizio di ciò che era realmente successo, tuttavia l'uomo non ne aveva alcun bisogno per intuirlo.
Nello stringere la figlia tra le braccia e a sentire il battito del suo cuore si trovò a ringraziare sinceramente, per la prima volta, il Patto e la creatura con cui l'avevano stipulato.
Genere: Angst, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Non sarà il Tempo
a cancellare il Patto
già suggellato,

non sarà il Tempo
a tagliare il filo
che a te mi lega,

non sarà il Tempo
a salvare il principe
dalle tenebre,

non sarà il Tempo.
Troppo breve è la vita
con il suo inganno.

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Prologo. Paura

Periferia di Kovir. 1410 Dicembre

Il lontananza risuonò un lungo e straziante ululato, seguito immediatamente da altri, nel silenzio parevano canti funebri.
Sembrava che un branco di lupi si stesse preparando per la caccia, tuttavia, il vento e la neve rendevano impossibile capire se il branco fosse a una distanza sufficiente da fiutarli e considerare la piccola casetta ai margini del villaggio e i suoi abitanti come prede o se si stessero concentrando su altro.
Ma l'inverno era particolarmente rigido e perfino i lupi facevano fatica a trovare il giusto sostentamento. Quella volta si avvicinarono pericolosamente agli umani ai margini del villaggio.
Figure scure e scheletriche si approssimarono lentamente alle abitazioni, fiutando e sbavando sulla neve; il caldo odore degli umani era irresistibile per le creature affamate.
Una giovane donna uscì dalla sua casa, portava tra le mani un secchio vuoto.
Ancora prima di poter vedere il pozzo, seminascosto tra le fronde spoglie degli alberi, sentì dei movimenti nella neve, accompagnati da respiri pesanti. Cercò di non farci caso, convincendosi da sola che il Patto che avevano stipulato con il signore sulla collina li avrebbe protetti da qualsiasi male.
Si avviò a passo svelto in mezzo alla neve, per quanto la neve alta le permettesse di muoversi velocemente; affondava infatti a ogni passo fino al polpaccio e, nonostante il freddo, iniziò a sudare, complice anche l'ansia che l'attanagliava.
Arrivò al pozzo con il fiatone e mentre legava la fune al secchio sentì di nuovo quel respiro pesante, accompagnato da un leggero ringhio, questa volta molto più vicino di prima. Abbassò lo sguardo e lì, proprio affianco al pozzo, appena nascosto dalle erbacce vide una sagoma scura, con un paio di occhi ambrati che sembravano rilucere nella penombra del crepuscolo.
Passò un attimo, in cui rimase immobile a fissare le fauci socchiuse e ringhianti del lupo nero, terrorizzata da quella bestia feroce e affamata. Poi l'adrenalina iniziò a pomparle nel corpo e, appena prima che il lupo balzò in avanti con un ringhio feroce, riuscì a voltarsi e iniziare a correre, lasciando che il secchio cadesse nelle profondità del pozzo con un tonfo sordo.
Non si era accorta che c'era un'altra mezza dozzina di lupi nascosti poco lontani; uno di questi durante la corsa riuscì a darle una zampata alla caviglia e a farla sbilanciare, ma non a cadere. La ragazza continuò a correre, senza avere il coraggio di voltarsi a guardare, ma con gli occhi ben puntati sulla porta di casa ancora socchiusa da cui fuoriusciva una tenue luce accogliente e sicura.
Nella sua corsa folle gemeva e urlava, mentre le lacrime le correvano calde sulle guance ghiacciate.
In un attimo di vaga lucidità pensò che quei versi erano imbarazzanti.
Ma non riusciva a smettere. Orrore animalesco. Matta disperazione. Il gemito che fanno i morti all’inferno.
Alle sue spalle i latrati dei lupi continuavano a perseguitarla.
Il vento gelido le artigliava i capelli, ruggiva nelle orecchie, fischiava tra i denti insieme al suo respiro terrorizzato.
La spinta data dall'adrenalina però si esaurì presto e la fatica iniziò a premerle sul petto, la sua corsa rallentò e i muscoli iniziarono a bruciare, fino a che non inciampò nei suoi stessi piedi e non finì lunga distesa nella neve.
Adesso era la paura a tenerla stretta, aumentando a ogni respiro mozzo. Non riusciva a muovere la testa, non riusciva a muovere la lingua in bocca. Riusciva ad avvertire il terrore, che le rosicchiava ai confini della mente: una massa terribile di paura, che le premeva addosso, schiacciandola da ogni parte, sempre peggio, e poi peggio, e poi peggio.
In quel momento temette seriamente di morire, poiché i muscoli le tremavano e riusciva a malapena a respirare.
All'improvviso avvertì un peso sulla sua schiena, e la sua mente, convinta di essere già tra le fauci del predatore, si spense completamente.

Sentite le urla e i ringhi dei lupi, il padre della fanciulla uscì di casa in tutta fretta; giusto in tempo per vedere il corpo esanime della figlia nascosto sotto la carcassa di un lupo nero, il cui pelo ispido era lucido per il sangue. Nel momento in cui raggiunse la figlia, febbricitante e svenuta, la liberò dal peso della belva e si osservò intorno; altri lupi giacevano morti intorno a loro, con grandi chiazze di sangue che si espandevano velocemente nella neve candida. Intorno solo in candore e la piattezza della neve. Nessuna figura, nessuna impronta forniva il minimo indizio di ciò che era realmente successo, tuttavia l'uomo non ne aveva alcun bisogno per intuirlo.
Nello stringere la figlia tra le braccia e a sentire il battito del suo cuore si trovò a ringraziare sinceramente, per la prima volta, il Patto e la creatura con cui l'avevano stipulato.


Steppa, poco oltre i Monti Neri. 1410 Dicembre

La carovana arrancava nella neve e nel ghiaccio da giorni, al loro interno, donne e bambini si stringevano gli uni alle altre. Era un inverno freddo, gelido, forse il peggiore che i più giovani di loro avessero mai vissuto.
La compagnia di Gitani avanzava da giorni in cerca di un villaggio ospitale, dopo aver vagato inutilmente da un villaggio all'altro avevano dovuto superare i Monti Neri e, nonostante il disaccordo di alcuni, dirigersi a sud, verso Kovir.
Non era la prima volta che si fermavano in quel piccolo villaggio, tuttavia non vi avevano speso mai troppo tempo; sapevano delle storie che giravano in quel luogo, dell'oscuro individuo che era sia tiranno che protettore dei suoi abitanti, il tutto era alimentato da varie leggende ed usanze. Veniva chiamato in molti modi, pochissimi dei quali li facevano apparire come una persona qualsiasi. Lumpirovic era uno dei tanti modi in cui lo chiamavano.
La ragazza sobbalzò, scontrando le spalle contro il legno aspro della carovana, l'impulso di tossire la scosse dal suo lieve sonno; l'aria che si respirava nella carovana era diventata pesante e umida.
Prese tra le mani i teli che la coprivano e si sporse fuori, il vento gelido le accarezzò le guance, facendogliele imporporare quasi immediatamente. Ispirò l'aria fresca e frizzante, sentendosi subito più sveglia.
“Padre.” Una figura scura poco più avanti si voltò.
“Selene, prenderai freddo così, torna dentro.” Il volto altrimenti severo del capo della compagnia si addolcì. L'uomo rallentò il passo per avvicinarsi alla figlia.
“Manca ancora molto al villaggio di Rugen?” Nonostante tutto aveva dormito parecchio, anche se le pareva che fosse passato davvero poco tempo da quando si era assopita ma, evidentemente, non era così.

"Il villaggio di Rugen ci ha rifiutato, hanno detto che non sono in grado di sostenere se stessi e alte persone in un inverno così freddo.”
“Quindi, dove stiamo andando adesso?” Si guardò intorno; sommersi dalla neve riusciva a distinguere le palizzate che dovevano delimitare dei campi un tempo coltivabili. Ovunque stessero andando, non doveva mancare molto.
“Più a sud, speriamo di trovare accoglienza a Kovir.” La ragazza fece finta di nulla, ma notò benissimo alcuni sguardi contrariati da parte degli altri uomini che camminavano al loro fianco. Suo padre, tuttavia, non sembrò dello stesso avviso. “Molti uomini sono contrari a questa decisione, ma è l'unico posto che potrebbe accettarci, in queste condizioni. E lo sanno anche loro, tuttavia non posso biasimarli.” Nei suoi occhi la ragazza scorse un velo di preoccupazione e disagio.
“Perché?”
“Ci sono alcune storie riguardante quel villaggio, non so se ricordi cosa usava raccontarti tuo nonno.”
“Nonno mi raccontava tante cose, molte le ho dimenticate.” Dal cielo iniziarono a cadere grossi e candidi fiocchi di neve; la ragazza sollevò lo sguardo, mentre dalle sue labbra si sprigionò un po' di vapore. Iniziava a sentire il gelo, e forse non era solo il fatto che stesse rimanendo al freddo solo per conversare con suo padre, ma pareva che avessero appena superato le montagne e che quindi il vento freddo, non più bloccato da quelle mura naturali, avesse preso il pieno dominio del luogo.
“Torna dentro, figliola, non vorrei che ti ammalassi.” E lei, vagamente riluttante, si rifugiò di nuovo nel tepore accogliente e pesante della carovana, tentando di ricordare le storie che le erano state raccontate anni addietro.

La prima cosa che videro, ancora prima delle abitazioni e delle persone, fu una grossa macchia di sangue sulla candida neve.
La maggior parte degli uomini sputò a terra, nel tentativo di allontanare la cattiva sorte, altri si lamentarono, alti ancora iniziarono a gemere, rischiando di mettersi a piangere. Dijkstra, il padre della fanciulla, imprecò solamente, riprendendo a tirare il cavallo con le provviste, aggirando attentamente la macchia di sangue, e ringraziando mentalmente che sua figlia fosse tornata dentro a dormire.
Dijkstra non era credente, eppure, forse per la prima volta in vita sua, si trovò a pregare. Forse avviarsi verso Kovir non era stata l'idea migliore, ma avevano forse alternative?

  
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