3- NEL MEZZO DI DUE VITE
Parlare
con Carlo era diventata una routine.
Una tenera e pericolosa
routine. Tenera perché Carlo era una persona fantastica:
sempre
allegro ed esuberante, con la battuta pronta sulla punta della lingua
ogni volta che ci punzecchiavamo come due ragazzini. Mi faceva
sentire bene la sua presenza, anche se la maggior parte delle volte
era solo virtuale. Carlo rappresentava il mio nuovo mondo,
così come
Greta e Vera, la mia migliore amica della palesta, rappresentavano
quello vecchio, e mi serviva sapere che, dopotutto, questa vita in
cui ero stata catapultata non era così male. Tuttavia era
anche
pericolosa, soprattutto per due motivi: il primo, forse un po'
stupido, era che quando messaggiavamo a scuola dovevamo stare attenti
a non farci beccare con i telefoni, rischio che avevo già
corso più
di una volta; il secondo era che temevo di affezionarmi troppo e
troppo in fretta. Forse, anzi probabilmente, era tutto solo nella mia
mente, ma ero convinta che se fossi stata troppo precipitosa e troppo
assillante, presto Carlo si sarebbe stancato di me e perdere il mio
contatto diretto con la realtà, quel contatto che mi faceva
sentire
così viva e nuova, non avrebbe di certo giovato alla mia
salute
mentale.
Se mi piaceva Carlo?
Beh, mi ero posta questa
domanda svariate volte nell'ultimo mese, ma non sapevo giungere a una
risposta. Insomma, quanto tempo doveva passare per capire che
l'amicizia si era trasformata? E cosa si provava quando ciò
succedeva? Come potevo capirlo? Ma, soprattutto, perché
continuavo a
tormentarmi di domande? Tutto ciò mi vorticava nella mente
come un
uragano, mentre ripensavo alla risata contagiosa di Carlo, alle sue
barzellette stupide, alla sua gentilezza, ma anche alla sua
permalosità e alla sua testardaggine. Nel poco tempo che
l'avevo
conosciuto avevo imparato ad apprezzarlo, ma non sapevo se questo
significava che ne ero innamorata. Forse il semplice fatto che
continuassi a chiedermelo corrispondeva a un sì, o almeno
Greta era
di questo parere.
Ecco, parlarne a Greta non era stata
esattamente un'idea geniale. Ad essere sinceri non avevo dovuto dire
molto, le era bastato rubarmi il telefono dall'astuccio durante la
mia interrogazione di storia e curiosare tra i messaggi per capire
che la mia qualsiasi-cosa-fosse con Carlo stava andando più
che
bene. Lei era convinta che io mi fossi presa una poderosa cotta e
aveva fatto comunella con Vera, un pomeriggio a casa mia, nel
convincermi che anche a Carlo non ero indifferente.
Alla fine,
stanca dei loro consigli non richiesti e del mio cervello confuso,
avevo deciso che era decisamente troppo presto per decidere. Insomma,
ci conoscevamo da appena un paio di mesi e già le mie due
comare
stavano organizzando il nostro matrimonio e il battesimo dei
figli!
Alla fine, però, ero sicura che Carlo fosse un grande
amico, e lo dimostrava il fatto che, in quel momento, ci trovavamo
nella mia cucina intenti a capire qualcosa sulla pressione per
recuperare il mio primo votaccio di fisica. Non era stato molto
inaspettato, in effetti, considerato che avevo davvero faticato a
capirci qualcosa, mentre la prof spiegava. Ma avevo voluto provare a
cavarmela da sola e mi ero ritrovata a piagnucolare davanti alla mia
prima vera grave insufficienza. Carlo, mosso da compassione, prima
aveva riso della mia disgrazia e poi si era offerto di aiutarmi per
la prossima verifica che sarebbe stata sul calore e qualcosa che
c'entrava con i liquidi e il volume (sì, lo spazio nel mio
cervello
non era molto ampio), vantandosi della sua testa da scienziato.
Quindi ecco come ero arrivata a quel punto, mentre sbattevo
confusa la testa sul tavolo e pasticciavo con la matita l'esercizio
che non voleva uscirmi.
"Frena la tua mania suicida",
mi prese in giro, sfilandomi la penna dalle mani e il foglio da sotto
il naso.
L'obiettivo era riuscire a risolvere qualcosa da sola,
dopo essere riuscita a infilare qualche regola in testa, ma
continuavo a mischiare le formule e i concetti e, in qualche strano
modo, ero riuscita a far dilatare un solido abbassandone la
temperatura. Avrebbero dovuto darmi un nobel per la fantasia,
comunque.
"Guarda qui", mi riprese colpendomi con la
matita sulla testa e richiamando la mia attenzione. "Hai
aggiunto un meno dove non ci andava e hai usato la formula della
dilatazione dei liquidi invece che quella volumica".
"Ma
sono uguali", mugugnai.
"No, invece. I gas si dilatano
tutti allo stesso modo, quindi la costante è 3L(*),
mentre per i
liquidi il coefficiente a
cambia a
seconda del materiale. Quindi
le formule sono di conseguenza diversa. A te cosa serve, qui?".
"Ehm, quella volumica?", dissi, ripetendo le sue parole
di poco prima.
"Ovvero?".
"Ehm",
borbottai di nuovo, stringendo gli occhi come se potessero darmi
un'informazione in più. Rinvangai nel mio cervello, poi
sospirai.
"Volume finale", iniziai, guardandolo annuire. "uguale
a 3L
per volume iniziale per temperatura(**)", concusi, fissandolo
speranzosa.
"Più?", disse lui, invitandomi a
continuare.
"C'è un più?", esclamai.
Carlo
sospirò. "Okay, ripartiamo dall'inizio".
"No, ti
prego, basta!", esalai congiungendo le mani e pregandolo di
risparmiarmi.
"Non puoi andare avanti se non sai cosa c'è
prima", mi ripeté per almeno la millesima volta da quando
avevamo iniziato.
"Lo so, ho capito", dissi sbuffando.
"Ma ti propongo solo una pausa. Ci rilassiamo un attimo e poi
continuiamo".
Lui sorrise, scuotendo la testa. "Se
speri di tentarmi con del cibo...".
"Tu che ne sai che
voglio tentarti con del cibo?", ribattei.
Carlo alzò un
sopracciglio. "Vuoi tentarmi con qualcos'altro?" disse
malizioso.
Lo guardai confusa, per poi spalancare gli occhi
quando mi resi conto di quello che avevo detto. Arrossii e mi alzai
in piedi. "E cibo sia", mugugnai sentendolo ridere.
"Cosa
mi offri?", mi chiese alzandosi e raggiungendomi davanti alla
dispensa.
Quelle parole nascondevano molti più significati di
quelli che volevo scoprire e cercai di limitarmi a quelli culinari.
"Nutella?", proposi prendendo il barattolino aperto.
"Questa sì che è una tentazione", disse felice,
rubandomi il barattolo dalle mani.
Io scoppiai a ridere davanti
alla sua faccia da bambino esaltato e scossi la testa, mentre
prendevo due fette di pane e un cucchiaino.
"Dopo di te",
dissi una volta arrivata al tavolo, porgendogli il cucchiaio e il
pane.
Lui iniziò a spalmarsi una generosa quantità di
Nutella
mentre borbottava qualcosa sulla genialità dell'individuo
che aveva
inventato tale angelico cibo.
Mentre mangiavamo la nostra
meritatissima merenda iniziò a squillarmi il telefono e
iniziai a
frugare sotto i fogli sparsi sul tavolo, cercando di mantenere in
equilibrio sulle dita la fetta di pane. Ovviamente non fui molto
fortunata, perché appena trovai il telefono e risposi alla
chiamata,
il pane mi cadde dalla mano, finendo inesorabilmente a faccia in
giù.
"Merda", borbottai sottovoce, recuperandolo in fretta e
osservando rattristata tutta la Nutella sul tavolo.
"Ehi,
Chiara?", mi
sentii chiamare.
Riavvicinai il telefono all'orecchio mentre Carlo scoppiava a
ridere. "Sì?", mormorai.
"Ho
una notizia grandiosa",
esclamò la
voce dall'altra parte, che riconobbi come quella di Greta.
"Ovvero?", chiesi, pensando che nessuna grandiosa
notizia poteva riportare in vita la mia amata Nutella.
"Sabato
sera sei mia perché devi conoscere Lorenzo".
"Ah,
il famoso Lorenzo", dissi improvvisamente curiosa. "Finalmente
si fa vedere".
"Sì",
esclamò
lei felice. "È
tornato ieri dalla vacanza studio in Inghilterra e ha detto che vuole
conoscerti anche lui".
"Mica
non stavate insieme?", la presi in giro, ridacchiando.
"Beh,
quello era il passato. Ora è qui con me. Ci vuoi parlare?", mi
chiese esaltata.
Non feci in tempo a rispondere che la sentii
urare il suo nome dall'altro capo della cornetta. Mentre aspettavo
che il fantomatico Lorenzo arrivasse lanciai un'occhiata di scuse a
Carlo, che scosse la testa, affondando il cucchiaino nel barattolo ed
estraendo un'enorme quantità di Nutella, che poi si
infilò in bocca
tutto insieme, guardandomi soddisfatto.
Ridacchiai, mentre
sentivo un borbottio strano nel telefono e poi la voce di un ragazzo
che mi salutava.
"Ora so che non sei un'invenzione di
Greta", dissi dopo aver ricambiato il saluto.
La mia amica
borbottò un "Ehi!"
offeso
e Lorenzo scoppiò a ridere. "Sono
vero, tranquilla. Ma devo dire che anche io avevo iniziato a credere
che fossi un'invenzione. Greta mi ha parlato molto di te".
"Allora è stata molto
ripetitiva perché non c'è nulla da dire".
"Forse",
disse telegrafico, facendomi alzare un sopracciglio. "Allora
ci vediamo sabato, famosa Chiara".
"Certo,
a sabato, famoso Lorenzo".
Salutai velocemente anche Greta e
chiusi la chiamata, abbozzando un sorriso. Finalmente avrei
conosciuto l'eterno ragazzo della mia migliore amica, colui che aveva
sempre nominato, ma che non mi aveva mai presentato.
"Scusa",
dissi a Carlo, appoggiando il telefono sul tavolo. "Greta è
sempre molto puntuale nel disturbare".
Lui ridacchiò.
"Tranquilla, ero in buona compagnia", disse mostrandomi il
barattolo di Nutella e il cucchiaino.
"Non finirmela",
lo sgridai, rubandogli il barattolo dalle mani e chiudendolo
velocemente.
"Cos'è tutta questa fretta di tornare alla
fisica?", mi chiese divertito mentre mettevo a posto i rimasugli
della nostra merenda.
"Hai capito proprio male, mio caro. In
realtà stavo per chiederti di finirla qua. Non ne posso
già più",
dissi tornando a sedermi al suo fianco.
"Oh, no! Non ti
permetto di arrenderti così. Imparerai quelle formule, a
costo di
legarti alla sedia".
Alzai un sopracciglio, divertita. "Non
la stai prendendo un po' troppo sul personale?", ridacchiai.
"Forse", rispose alzando le spalle. "E comunque
non sei davvero capace di sviare il discorso. Ora mettiamoci
all'opera".
Finimmo di studiare quasi due ore dopo, quando
mia madre tornò dal lavoro e ci trovò intenti a
risolvere un
esercizio. Carlo se ne andò poco dopo, salutandomi con un
bacio
sulla guancia e lo guardai allontanarsi a bordo della sua macchina
dalla finestra del soggiorno con un sorriso idiota stampato sulle
labbra.
"Un amico?", mi chiese mia madre maliziosa.
"Mi ha aiutato con fisica", dissi semplicemente,
sviando sulla questione delle definizioni.
"È stato molto
carino", continuò lei, seguendomi mentre tornavo in cucina
per
prendere un bicchiere d'acqua. "Ed è molto carino",
aggiunse.
"Mamma!", la ripresi con un'occhiataccia.
Lei scoppiò a ridere. "Che c'è di male?",
esclamò.
"Niente, ma sarebbe carino", dissi, sottolineando
l'ultima parola. "Se evitassi di farti viaggi mentali
eccessivamente costosi".
"Chi si fa viaggi mentali?",
chiese una voce dal soggiorno.
Alzai gli occhi al cielo.
Fantastico, con mio padre come alleato mia madre avrebbe dato il
meglio di sé.
"Oh, Riccardo", pigolò raggiungendolo
con un sorriso a trentadue denti. "La nostra bambina è
innamorata".
"Mamma", esclamai di nuovo,
arrossendo.
"Chi è innamorata?", chiese invece papà,
alzando un sopracciglio. "No, aspetta. Cosa vuol dire che è
innamorata?".
"Non fare il papà geloso, ora",
borbottai incrociando le braccia al petto. "E non sono
innamorata!".
"Chi è?", ribatté invece lui.
"Non è nessuno perché non sono innamorata",
ripetei
al limite dell'imbarazzo. Mai mi sarei immaginata di affrontare una
discussione simile, figurarsi con mio padre, che mi aveva sempre
vista come la sua bambolina da proteggere da tutto e tutti.
"Ah,
sì?", mi sfidò la mamma, mettendosi in posa da
combattimento,
con le mani sui fianchi e lo sguardo tagliente. "E chi era quel
ragazzo molto carino che era in casa nostra poco prima?".
"Smettila con questo interrogatorio", sbottai. "Era
un amico, che mi ha aiutata a studiare fisica. Punto".
"Cosa
significa che era in casa nostra?", mormorò invece
papà,
sempre più confuso.
Sospirai. "Lascia stare le fantasie
della mamma, ti prego".
"Maria non è che stai
esagerando?", le chiese guardandola stranito, mentre finalmente
si sfilava la giacca e la appoggiava sul divano.
"Che
guastafeste che siete", borbottò lei. "Sono solo felice".
Ridacchiai, scuotendo la testa. Adoravo mia madre anche per
quello. Era un'impicciona di prima categoria, ma era sempre molto, a
volte troppo, interessata alla mia vita e voleva essere messa a
corrente di ogni mia scelta, non per controllarmi, ma per gioirne o
piangerne al mio fianco. E anche se quella volta aveva decisamente
preso un'abbaglio, ero contenta di vederla così allegra dopo
tutti
quei mesi di lacrime e sofferenza. Il mio incidente aveva messo a
dura prova la mia famiglia e i miei genitori avevano rischiato di
separarsi davvero per sempre, ma fortunatamente tutto si era
sistemato per il meglio e se per avere tutto ciò dovevo
sopportare
un poco la sua pazzia, allora l'avrei fatto ben volentieri cento e
mille volte.
"Non farti mille storie, mamma", le
ripetei, questa volta con il sorriso sulle labbra. "Io e Carlo
siamo amici, davvero".
"Solo amici?", insistette
lei.
E non seppi mentire davanti ai suoi occhi. "Non lo so",
ammisi. "Ma vorrei scoprirlo".
Lei mi interruppe con un
gridolino di gioia e corse ad abbracciarmi. Mentre la stringevo vidi
papà sorridere e sospirare.
"Ora che abbiamo finito di
ficcare il naso nella mia vita, che ne dici di preparare la cena?",
le dissi sciogliendo l'abbraccio.
"Certo!", esclamò.
"Stasera spaghetti con il mio sugo speciale, i tuoi preferiti".
"Perfetto, allora vado a farmi una doccia intanto", la
avvisai mentre saltellava allegra in cucina.
Scambiai un'occhiata
complice con mio padre e poi salii le scale e mi chiusi in camera.
Decisamente non ero pronta per affrontare un argomento simile con
mia madre, ma in fondo ero contenta di averle rivelato che, forse, mi
stavo prendendo una cotta per il mio insegnante di fisica preferito.
Insegnante di fisica che mi aveva scritto due messaggi quasi
dieci minuti prima, che lessi con il sorriso sulle labbra.
"Mi
sono divertito molto oggi.
L'ultima domenica di novembre ti va di
venire a vedere la mia partita di calcetto? Giochiamo in casa, quindi
non devi nemmeno trovare paesi improponibili. Fammi sapere".
Era un
appuntamento, quello? No,
decisamente no. Ci sarebbero stati i suoi amici e avrei di sicuro
chiesto a Greta o a Vera di accompagnarmi. Ma ero contenta che mi
avesse invitato, anche solo per guardare una partita di calcio tra
ragazzi.
"Vengo di certo",
risposi subito. "E
anche io mi sono
divertita molto oggi, nonostante la fisica".
Attesi
impaziente che accanto ai miei messaggi apparisse il simbolo della
visualizzazione e continuai così per tutta sera. Mi
dimenticai
addirittura della doccia, ma parlare con Carlo mi portava sempre su
un'altro universo.
Tornai alla realtà solo quando dopo cena diedi
un'occhiata veloce al calendario e mi accorsi di una nota segnata sul
giorno seguente.
Il mondo mi cadde addosso e realizzai che
cercare di separare le mie due vite, quella che stavo vivendo in quel
momento, con Carlo e la scuola, e quella che avevo vissuto fino a
pochi mesi prima, con la palestra e la ginnastica, era inutile e
deleterio. Una non avrebbe cancellato l'altra e seppellire il passato
non lo avrebbe di certo eliminato.
Non seppi dire in quel momento
se quell'esatto pensiero mi intristisse o meno. Fino a nemmeno un
anno prima ero certa che la mia vita sarebbe sempre girata intorno
alla ginnastica, ma il brusco cambiamento che mi aveva travolta mi
aveva fatto scoprire un mondo intero al di fuori della palestra.
Eppure non riuscivo ancora a cancellare quella parte di me che
agognava di poter allenarsi di nuovo e gareggiare, quella parte che
voleva sentire l'adrenalina nelle vene e il sudore sulla fronte, ma
non ero nemmeno certa che volessi fare finta che non fosse mai
esistita.
La proposta che mi aveva fatto il mio allenatore mi
rimbombò pesante nel cervello, più insistente che
mai, e per la
prima volta da mesi mi chiesi se davvero stessi facendo la scelta
giusta, cercando di ignorare quell'opportunità.
(*)
Allora, prendete molto con le pinze quello che dico qua,
perché ho
raggiunto la sufficienza in fisica per un miracolo divino, ma
proverò
a dare un senso a ciò che ho scritto sopra, giusto per non
piantare
qualcosa in giro senza poi raccoglierlo. Fondamentalmente, Carlo e
Chiara stanno parlando di termologia e calorimetria e, in
particolare, delle leggi di dilatazione. In breve, fornendo calore a
un oggetto (ad esempio di ferro), questo si dilata nelle tre
dimensioni. Quella più semplice è quella lineare,
in cui un oggetto
si dilata in lunghezza, mentre esiste anche quella volumica, in cui
un oggetto, o meglio un materiale, si espande in modo diverso e a
temperature diverse. Per i gas, però, questo coefficente di
dilatazione (3L)
è lo stesso.
(**) La formula di dilatazione volumica deriva da
quella lineare e, come Chiara dice, anche se con un errore,
è:
Vfinale=Viniziale+3L*Viniziale*temperatura.
Ora, io non so quanto voi abbiate capito. Io stessa credo di
avere fatto un po' un pastrocchio, ma in linea generale è
questo ciò
di cui parlano. Poi magari non ve ne può fregare di meno (e
vi do
ragione), ma considerato che ne ho parlato nel capitolo, mi sembrava
brutto non dare nemmeno un minimo di spiegazione. Indi, se qualcuna
trova un errore o qualche stronzata in ciò che ho scritto,
me lo
dica subito!