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Autore: Nina Ninetta    05/06/2015    5 recensioni
Yumiko ed Eri, due donne, una trentenne e una quindicenne, una madre e una figlia, catapultate dall’altra parte del Mondo, costrette a ricominciare tutto d’accapo, a confrontarsi con una cultura completamente diversa, lontane anni luce dal loro Paese d’origine: il Giappone. Ma Yumiko quel nuovo Paese lo conosce già in un certo senso, ha imparato a conoscerlo attraverso i racconti del padre di Eri.
N.B. Il titolo è tratto dalla canzone di Malika Ayane “E se poi” così come i titoli di ogni capitolo saranno presi da frasi del medesimo testo.
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buona sera a tutte! Vi chiedo scusa se sono sparita da qualche settimana a questa parte, ma è stato un periodaccio per me. Spero vivamente - da stasera - di riprendere con la pubblicazione dei capitoli in maniera puntuale. Grazie a chi segue la storia e ricordate di lasciare la vostra impressione, mi fa sempre piacere avere un confronto con le lettrici. 
Vostra Nina 


Capitolo 9
Certo che non ha prezzo il tempo passato insieme a spasso
(parte prima)

 
Fu come la prima volta che si sedette davanti al volante di una macchina per Yumiko. Allora era l’automobile di sua madre, una vecchia Fiat Tipo che le concesse di guidare solo perché accompagnata da Joaquin Morales. Yumiko ricordava chiaramente il senso di paura e di panico, le braccia pesanti e le mani aggrappate al volante, così forte che erano diventate bianche, mentre le sudavano i palmi. Il cuore le batteva forte e le parole di incoraggiamento del suo amato, seduto sul seggiolino del passeggero, si scontravano con l’ansia evidente che trasudava dalla mano destra stretta alla maniglia della portiera. L’anziana Fiat aveva balbettato un paio di volte, fin quando Yumiko era finalmente riuscita a trovare un equilibrio fra acceleratore e frizione, peccato che dopo qualche metro l’aveva fatta “morire” e aveva dovuto ricominciare tutto d’accapo. L’unica cosa che la tranquillizzava era il fatto di aver scelto il parcheggio di una scuola per la sua prima guida che, a quell’ora del pomeriggio, era completamente vuoto.
«Okaasan?!» la chiamò sua figlia, seduta nella parte posteriore dell’auto. Yumiko sbatté le palpebre, come ridestandosi da un sogno a occhi aperti
«Okaasan?» fece eco Ricardo, accomodato al fianco della stessa Yumiko, che prontamente si voltò a dargli una traduzione, benché errata:
«Sorellona» sbottò, sotto lo sguardo divertito di Eri, la quale pensò che sua madre era proprio decisa a confondere il ragazzo «Significa sorellona» sfoggiò un sorriso che era più una smorfia e partì, con Ricardo Salas a fare da navigatore di bordo.  L’ultimo pensiero di Yumiko fu il desiderio di accendersi una sigaretta.
 
Ricardo le indicò di accostare a destra, proprio davanti il cancello di un’abitazione. Seguendo le sue indicazioni erano finiti in una zona residenziale, non lontano dal centro della capitale spagnola. Era un luogo poco affollato e silenzioso, si estendevano una serie di villette a schiera a perdita d’occhio, non eccessivamente grandi, ma molto carine e proporzionate, con i tetti spioventi e ampie finestre, prive di balconi. Ognuna era divisa dall’altra da un muretto di mattoni, con uno spiazzo sul davanti che ciascuna delle famiglie che vi abitavano avevano adibito alla propria personale comodità. Yumiko fermò la macchina e osservò il cancelletto, coperto da un piccolo tetto a due spioventi, costruito con gli stessi mattoni del muretto, chiedendo al suo capo se fosse sicuro, infondo quella era una zona riservata ai residenti. Salas spense la macchina girando la chiave lui stesso e aprì lo sportello:
«Questa è casa mia, stai tranquilla» disse poi, gettando il pollice alle sue spalle, dove si ergeva una casetta uguale a tutte le altre, eccetto per l’ordine che c’era nella zona antistante l’abitazione, con l’erbetta perfettamente curata e un ciliegio nell’angolo basso a sinistra che stava germogliando in quei giorni. Yumiko lanciò uno sguardo a sua figlia Eri, la quale scrollò le spalle, come a dire “se lo dice lui”.
Entrambe le donne lo seguirono lungo il marciapiede, a qualche metro di distanza, poi Ricardo si fermò e le aspettò per camminare alla stessa altezza, con Yumiko al centro.
Quando Eri l’aveva presa e portata con sé davanti all’armadio, cominciando a prendere abiti leggeri e svolazzanti e ad abbinare gonne con camice che non metteva da quando Joaquin era deceduto, Yumiko era quasi andata sulle furie. Aveva afferrato al volo uno dei jeans “buoni” – nel senso che non metteva tutti i giorni, ma che riservava per le occasioni speciali, come andare al cinema con sua figlia la sera del suo giorno libero, o andare a fare compere con sua figlia durante il suo giorno libero, o andare al bowling con sua figlia il giorno libero … ecco, la sua vita si riduceva a quello: sua figlia e il giorno libero – aveva strappato da mano ad Eri la camicia di cotone a mezze maniche e una giacchetta corta in vita, poi si era chiusa in bagno. Eri attraverso la porta le aveva raccomandato almeno di truccarsi, e non si era neanche preoccupata di dirglielo a bassa voce, tanto l’ospite che attendeva in salotto non conosceva il giapponese e non c’erano problemi. Yumiko si era stesa un velo di fard sulle gote, una linea di matita nera intorno agli occhi e una passata di lucido sulle labbra. Lei non lo aveva notato, e anche se l’avesse fatto non ci avrebbe comunque dato peso, al fatto che Ricardo l’aveva fissata per diversi minuti quando era tornata da lui, mentre aspettavano che Eri fosse pronta. L’aveva seguita con lo sguardo aggiungere altri croccantini nella ciotola di Macchia, intanto che la cagnolina le scodinzolava fra i piedi e il ragazzo non aveva potuto fare a meno di notare con quanta destrezza evitava di inciampare nei suoi stessi piedi o di calpestare l’animale rachitico, e di nuovo aveva visto la sua fermezza d’animo, perché quella donna venuta da lontano e con gli occhi a mandorla nascondeva un carattere molto più fermo di quello che spesso traspariva. Ricardo Salas sapeva che custodiva un segreto, qual è che fosse non ne aveva idea, ma di sicuro doveva esserci una storia più complicata di quella che voleva lasciare intendere, perché una giapponese che si trasferiva in Spagna senza un valido motivo non si era mai visto. Inoltre le due giovani donne sembravano vivere da sole in quella casa che, ad occhio e croce, doveva esser costata non poco – ammesso che l’avessero comprata, e se non l’avevano fatto, l’affitto non doveva essere dei più leggeri, data l’eleganza della zona in cui era collocato il palazzo. Senza dire niente l’aveva osservata assicurarsi che il gas fosse chiuso, così come le imposte delle finestre e che l’allarme dell’appartamento fosse attivo. Quando si era deciso a rivolgersi a lei, era giunta l’altra componente del trio, frizzante ed eccitata all’idea di quella scampagnata.
 
«Allora, Eri …» così Ricardo richiamò l’attenzione della ragazzina «Vediamo come te la cavi in geografia: qual è il mare che bagna la Spagna?» chiese
«Sicuramente non è lo stesso del Giappone, ossia il Pacifico!» esclamò Eri, strappando un sorriso anche a Yumiko per l’enfasi con cui aveva risposto
«Ho l’impressione che oggi sarà tutto un confronto con il Giappone» sussurrò Ricardo nell’orecchio di Yumiko. La sua intenzione era stata quella di farla sorridere, e invece la ragazza si irrigidì da capo a piedi, avvertendo un improvviso calore spandersi per il corpo. Fortunatamente il suo capo fu distratto da Eri, la quale gli stava chiedendo informazioni su Puerta del Sol che iniziava a spiccare proprio davanti a loro.
La piazza era come sempre un andirivieni di gente, di turisti alle prese con le foto ricordo davanti ai monumenti più importanti. Eri rimase leggermente indietro rispetto a sua madre e al datore di lavoro, l’improvvisa visita di quest’ultimo l’aveva distolta dai suoi tristi pensieri, ma ritrovandosi proprio lì non poté arrestare il ricordo di quel posto, dove aveva atteso Kingsley la prima volta che l’aveva invitata a casa sua, nonché lo stesso in cui si sarebbero dovuti incontrare quel pomeriggio. Yumiko si voltò indietro e la chiamò, la ragazzina trottò fino a oltrepassarli, sembrava innervosita. Due bambini rincorrendosi la urtarono e lei strillò qualcosa di poco carino nella sua lingua madre, attirando l’attenzione degli stessi che si chiesero ridacchiando se per caso parlasse alieno, poi continuarono il loro gioco. Ricardo Salas tentò di smorzare il malumore di Eri, invitandola a prendere un gelato, proprio lì c’era un bar che faceva dei gusti speciali e buonissimi, ma la ragazzina gli rispose che non voleva niente e riprese a camminare. Ricardo cercò aiuto in Yumiko che sollevò le spalle:
«Effetto Spagna» disse, riprendendo a camminare al suo fianco, senza perdere di vista la figlia
«Mi dispiace, non era mia intenzione farla arrabbiare»
«Le tue intenzioni erano buone, ma Eri è come …» “suo padre” stava per dire Yumiko e si fermò di colpo. Iniziava a maledire il giorno in cui era stata così stupida da proferirgli quell’assurda quanto inutile bugia. Per fortuna Ricardo non sembrò neanche accorgersi della frase rimasta in sospeso, evidentemente i suoi pensieri erano già andati oltre
«Tu e tua sorella vivete da sole?» eccolo che ricominciava con le domande personali, pensò Yumiko, riflettendo bene su quello che avrebbe risposto:
«I miei, cioè i nostri genitori, sono rimasti in Giappone. Cambiare Paese alla loro età non è facile e hanno preferito rimanere dove sono nati» quante balle ancora aveva intenzione di dirgli? Yumiko non ne aveva idea, era entrata in una specie di circolo vizioso e non riusciva più a venirne a capo, una bugia tirava l’altra. Semplicemente non avrebbe potuto dirgli che si era trasferita lì scappando quasi dal suo Paese natio, in una notte di primavera, proprio durante la sua stagione preferita, costringendosi ad abbandonare i fiori e gli alberi che aveva trattato con cura fin da bambina, quasi piangendo quando si era convinta che d’inverno sentissero freddo come lo sentiva lei, e sua madre l’aveva trovata a escogitare un piano fatto di sciarpe di lana e maglioni vecchi per coprire le piante?
Eri si fermò e lanciò uno sguardo di sbieco a Ricardo:
«Sono davvero così buoni questi gelati?» lui sorrise
«I migliori» rispose e la ragazzina fece spallucce
«Tanto vale assaggiarli.»
Mentre Ricardo Salas ed Eri Joaquin Morales si allontanavano, diretti alla gelateria, Yumiko li osservò per un po’, dopo aver rifiutato il gelato che il ragazzo decantava con tanta passione. Spinta dal caldo cercò con lo sguardo una panchina al riparo dal sole e quando la trovò vi si accomodò con un sospiro, un misto di ansia e rilassamento. Una leggera brezza le smuoveva i capelli all’indietro, chiudendo gli occhi si concentrò sul mormorio di voci, fino a non sentire più niente, né la voce delle persone, né il ronzio delle macchine, né le grida dei bambini, né il pianto dei bebè. Si concentrò e liberò la mente, come le aveva insegnato suo padre quando da bambina le impartiva lezioni sull’arte del karate, di cui era maestro. Peccato che avesse smesso intorno ai dodici anni, sua madre si era opposta irremovibilmente, affermando che quello era uno sport da ragazzacci di strada. Quella sera lei e suo padre l’avevano odiata, entrambi sapevano che l’obiettivo di quella donna era di allontanarli, di spezzare in qualche modo il forte legame che li univa. Suo padre era morto dopo qualche anno di infarto, non aveva mai conosciuto Joaquin, peccato: Yumiko era sicura che gli sarebbe piaciuto, sua madre al contrario diceva che era una fortuna che fosse passato a miglior vita, o gli si sarebbe spezzato il cuore a vederla con “quello lì”. 
«Tua figlia ha rischiato una lite nel bar e tre mentre tornavamo indietro» disse Salas mettendosi al suo fianco e solo allora Yumiko riaprì gli occhi. Da quel punto di vista Eri era tutta sua nonna, la sua obasaan. Sorrise e di sottecchi vide sua figlia seduta ad una panchina non distante da loro, intenta a mangiare il suo super cono con tanto di panna «Pistacchio e caffè» continuò lui, porgendole la coppetta con il cucchiaino celeste di plastica che aveva comprato più per far compagnia ad Eri che altro. Yumiko rifiutò con garbo e a Ricardo toccò mangiarlo tutto.
Una coppia di mezza età si fermò a qualche metro da loro, dopo essersi studiati per diversi secondi si persero in lunghe e accese dimostrazioni di affetto, poi l’uomo si inginocchiò pescando dalla tasca della giacca – alquanto lisa e scolorita – un anello. La donna scoppiò in lacrime, schiamazzando e ululando, gli occhiali rotondi da vista si appannarono, ma lei non ci fece caso, prese a impiastricciare di baci e lacrime il volto del suo amato.
Salas scosse il capo tornando a il gelato quasi sciolto, lo rimescolò distrattamente. Ridacchiava, quasi più imbarazzato dall’età dei due che per la scena in sé. Allora Yumiko non riuscì a trattenersi, ricordandosi la felicità e l’emozione che aveva provato quando Joaquin le aveva chiesto di sposarla, purtroppo l’incidente mortale era avvenuto prima del matrimonio:
«Che c’è? È una cosa romantica, infondo non è mai troppo tardi per l’amore e per incontrare l’anima gemella»
«Credi davvero che sia possibile incontrare la nostra anima gemella in qualche modo?» Ricardo si girò a guardarla, attendendo la risposta di Yumiko che annuì: lei ci credeva.
«Quindi tu sei sicura di riuscire a riconoscere l’altra metà della tua anima fra … quanti ne siamo nel mondo? Otto, nove miliardi?!»
«Qualcosa di meno» puntualizzò la donna ricambiando lo sguardo, i capelli corti le volarono sul viso e lei li trattenne dietro l’orecchio
«Ok, qualcosa di meno, qualcosa di più, ma non credo sia possibile incontrare la nostra anima gemella. Ti rendi conto che potrebbe essere in qualsiasi parte della Terra?!»
«Io ci credo perché l’ho conosciuta la mia metà» disse tutto d’un fiato Yumiko, stringendo i pugni
«Davvero? E dov’è adesso?» il tono di Ricardo era ironico, spalancò la mano destra come a voler abbracciare l’intera Puerta del Sol, quasi a voler beffeggiare la barista del suo night
«É morto» rispose lei e il sorrisetto di Salas sparì di colpo
«Mi dispiace» disse «Ma a maggior ragione non puoi essere certa che lui fosse la tua anima gemella, non hai avuto il tempo di constatarlo» a Yumiko salirono le lacrime agli occhi per la rabbia che stava provando in quel momento. Mai e poi mai avrebbe messo in discussione il fatto che Joaquin Morales fosse la metà della sua anima, o che lo sarebbe rimasto per sempre «Questo è il motivo per cui ti trovi qui?» la voce di lui si era addolcita, era tornata quella di sempre
«Anche» fu l’unica risposta di Yumiko, la quale tornò con lo sguardo sull’immensità della piazza. Il vento si era fatto più insistente, i capelli sottili si alzavano e increspavano, nascondendo la sola parte di viso visibile a Ricardo che d’istinto mosse la mano per scostarle i capelli. Appena Yumiko avvertì il leggero tocco delle sue dita si allontanò, un movimento appena percettibile, ma evidente.
 
Stanca delle occhiate che le lanciavano i passanti, Eri irruppe nella conversazione che aveva preso decisamente una piega imbarazzante fra sua madre e il suo capo. Annunciò di voler tornare a casa, aveva ancora dei compiti da finire. Era una bugia, ovviamente, ma servì a convincere i due adulti a concludere lì quel pomeriggio anomalo. Durante la strada del ritorno verso la macchina, Ricardo le promise che la prossima volta l’avrebbe portata a visitare il Museo del Prado. Eri però disse che c’era già stata con la scuola l’anno precedente, e che non era stata proprio un'esperienza da ricordare: la guida del museo parlava così veloce e utilizzava termini tanto difficile che perfino i suoi compagni di classe avevano fatto fatica a seguirla. Ricardo rise forte e le passò un braccio intorno alle spalle, Yumiko era leggermente più indietro, ancora turbata dalle parole che pocanzi le aveva rivolto lo stesso Salas.
«Allora ti porto a vedere i pinguini» a queste parole Eri si illuminò
«I pinguini? E dove?»
«É un segreto!» le strizzò l’occhio e la ragazzina prese a saltellare e battere le mani
«Si, i pinguini si! Okaasan, possiamo andare a vedere i pinguini?» erano oramai giunti alla macchina e Yumiko si era già diretta al suo sportello, quello del guidatore
«Andiamo Eri, è già tardi» non era vero, erano appena le 19 e c’era ancora uno spicchio di tramonto all’orizzonte. La ragazzina si voltò verso Ricardo, sua madre le aveva smorzato ogni entusiasmo. Lo vide in piedi davanti al cancello di casa sua, le luci nell’abitazione erano spente e ipotizzò che forse viveva da solo. Un’idea le balenò per la testa:
«Vieni a cena da noi!» guardò Yumiko che la fissava a sua volta con gli occhi sgranati per la sorpresa «Può venire, okaasan?» sua madre non fece in tempo a rispondere, perché il ragazzo la precedette:
«Non credo sia il benvenuto, non stasera perlomeno» abbozzò un mesto sorriso ad Eri
«E invece si» intervenne Yumiko, aprendo la portiera della Yaris e facendo scattare il sedile in avanti tirando la manopola, poi fece un cenno a sua figlia di salire a bordo, ma sui sedili posteriori, poiché quello davanti era riservato al loro ospite «Mi piacerebbe continuare il nostro discorso sull’anima gemella» aggiunse la donna, mentre sua figlia si accomodava in auto. Salas aprì lo sportello dalla parte del passeggero:
«Volentieri» concluse.
 
 
  
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