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Autore: Manto    18/06/2015    6 recensioni
"Lui si chinò verso di me, e io indietreggiai.
Le sue mani erano ancora sporche del sangue di mio padre.
Con quelle mani, mi prese il volto, me lo alzò.
Lo fissai, il gigante che chiamavano Aiace, cercando di apparire coraggiosa.
Vidi i suoi occhi cangianti, ne rimasi rapita.
La mia sete di vendetta, i miei impulsi suicidi si sfaldarono, sotto la forza di qualcosa che ancora non potevo capire."
Frigia, al tempo della grande Guerra di Troia.
Da una parte la giovane Tecmessa, principessa di un regno ridotto in cenere, prigioniera di un terribile nemico venuto dal Grande Mare; dall'altra, Aiace Telamonio, campione dell'esercito greco con la sofferenza nel nome, dall'aspetto di un gigante e dal coraggio di un leone.
Un solo sguardo, e una forza più grande della guerra stessa giocherà con i loro destini, portandoli all'immortalità.
Ispirato alla bellissima tragedia "Aiace" di Sofocle, il personale omaggio a una delle coppie più belle, e purtroppo poco conosciute, della mitologia greca.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Immortali'
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X – Gli Immortali




Mi svegliai, scrutai l'oscurità della tenda. Quel canto... uccelli. Gli Dèi avevano cessato l'ira.
E questo significava solo una cosa... Guerra.

Mi misi a sedere e Aiace aprì gli occhi. Ci guardammo per qualche istante, poi lui si alzò.
Rimasi a fissarlo mentre senza una parola si armava, infine mi alzai anche io e lo aiutai a prepararsi. Presi la sua spada, mi specchiai in essa. “Tutto questo ci porterà alla follia.”
Aiace prese la spada senza rispondere, inquieto quanto me. Incrociai le braccia sul petto, mi misi a camminare per la tenda e lui digrignò i denti. “Fermati, donna. Mi innervosisci ancora di più.”
“Terribili cose succedono quando i Numi scendono tra gli uomini. Si sono placati, ma per quanto?”, mormorai.
Aiace socchiuse gli occhi. “Temili pure, tu. Io non ho bisogno di loro.”
Perché lo hai detto? “Attento a quello che dici.”
Aiace piantò la grande spada al suolo, i suoi occhi si incendiarono fissandomi. “Dovresti scendere in campo anche tu, per capire quello che sto dicendo. Agli Immortali non importa niente di noi; basta solo concedere loro il nostro sangue, le nostre vite.
Se ne stanno in pace nella loro dimora, e ci osservano soffrire, indifferenti come se neanche esistessimo.
Come se neanche esistessero.”
Indietreggiai spaventata. “Smettila di dire questo, ti prego. Non attirare su di noi vendette che non meritiamo.”
Aiace si fermò, chinò il capo. “Che mi puniscano pure, ma che sia solo io ad esserlo. Tu non hai colpe. Tu ed Eurisace siete l'unico motivo per cui io continuo a pregarli.”
Il silenzio calò nella tenda. Lui prese lo scudo, lo fissò. “A volte vorrei che tu fossi al mio fianco anche nella piana, a darmi forza e sostegno quando penso di non poter più resistere oltre.
Poi mi giro e lancio uno sguardo fugace al campo, e ti penso al sicuro con nostro figlio... e mi maledico per avere solo immaginato che...”
Sorrisi. “Anche io vorrei essere con te. Vorrei essere questo scudo che ti ripara, che ti permette di ritornare ogni sera. Ma posso solo proteggerti con il pensiero.”
Aiace mi alzò il viso, mi baciò sugli occhi. “Tu sei la mia Dea, Tecmessa.”
Gli presi una mano, gliela baciai. “No, Aiace. Io sono solo il tuo cuore.”
Un groppo mi si formò in gola quando lo vidi uscire, e mi stesi di nuovo sulle pelli di lupo per dissipare i pensieri nel sonno. Versai qualche lacrima, pregai gli Dèi come facevo tutti i giorni, tutti gli istanti, e infine mi addormentai.
Mi svegliai di soprassalto, perché c'era qualcuno che mi osservava. Mi voltai e vidi, seduta al suolo a qualche passo da me, Tealissa.
Io boccheggiai, tesi una mano. “Sei un sogno”, sussurrai, e lei si alzò, venne a stendersi al mio fianco. “Sorella”, disse, e sentii la sua voce, sentii veramente la sua mano che stringeva la mia, “davvero dici di amare il tuo forte sposo, se neanche vegli su di lui?
Alzati, corri al lago: guarda come gli uomini possono diventare pari ai Numi.”
Io la guardai stupita, e lei mi tese una mano. “Vai al lago, Tecmessa. L'epoca delle meraviglie ha bisogno di un testimone.”
Mi svegliai appena in tempo per sentire l'aria muoversi, mentre il Sogno abbandonava la tenda. Avevi torto. Gli Immortali amano giocare con gli uomini.
Mi alzai e mi recai al lago, al limitare dei boschi, dove potevo vedere la piana. Dovetti sedermi e respirare forte per l'emozione, perché impossibile da credere era ciò che vedevo. Gli Dèi erano sul campo, con voi.
“Un altro giorno di sangue.”
Mi voltai e Athanassa, la fanciulla misia, avanzò e venne a sedersi accanto a me, leggera come una rondine.
“Quelli che piangi tu non sono gli stessi che piango io”, dissi osservandola attentamente.
Lei sorrise. “Sì, quello per cui potrei piangere forse ti è nemico. Ma potrei anche piangere per un Acheo. Non posso saperlo, perché non conosco il disegno del mio Destino.”
Sospirò, il suo sguardo volò alle mura di Ilio. “Ilio”, iniziò, la sua voce più dolce del suono della cetra, “la casa da cui ho avuto solo disprezzo; un disprezzo che nacque con me, frutto non voluto di una relazione pericolosa e oscena.
Mia madre non si perdonò mai l'errore che aveva portato alla mia nascita, e appena diventai fertile cercò di farmi sposare un nobile di Licia. Io e quel giovane dagli occhi viola ci conoscemmo... e ci innamorammo. Per notti e notti riuscimmo a eludere la sorveglianza dei nostri palazzi e ad incontrarci nelle grotte dell'Ida, dove non solo conobbi il fuoco impetuoso del Desiderio e il piacere che porta con sé, ma per la prima volta compresi cosa volesse dire essere amata. Mia madre scoprì che non ero più pura perché qualcuno ci tradì e, dopo avermi fatto frustare a sangue, ruppe l'accordo matrimoniale. “Tu lo ami, e l'amore porta solo rovina”, fu la sua fredda risposta alla mie lacrime.
Tra gli uomini che avevano chiesto la mia mano, solo uno non ritrasse la sua proposta, dopo aver scoperto la mia colpa: Antenore di Troia. Egli accettò di accogliermi nella sua famiglia anche senza dote, e io non dimenticherò mai il mattino che lo vidi giungere e gli corsi incontro, mi gettai tra le sue braccia implorandolo di portarmi via da lì, da mia madre.
Lui è un uomo buono, ma il figlio al quale mi aveva destinata non lo è. La stessa notte del mio arrivo penetrò nella mia stanza e prendendomi per i capelli mi puntò un coltello alla gola, ordinandomi poi di spogliarmi. A nulla valsero i miei tentativi di resistere; mi colpì con tale crudeltà da farmi perdere ogni forza, e solo l'intervento di Antenore impedì che lui mi uccidesse.
Dopo quella notte il ragazzo non mi rivolse più la parola né allungò ancora le mani su di me, ma Antenore mi dovette allontanare mandandomi in dono al figlio maggiore.
Ieri ho lasciato la città dopo mesi, per cercare un po' di ristoro dalla confusione; era ancora presto per combattere, neanche era l'aurora, e c'era così silenzio...
Non potevo sapere che ci fossero guerrieri in ricognizione, e... e ora sono qui. Dove, prigioniera, ho trovato più rispetto e gentilezza di quando ero libera.”
Si girò verso di me, mi fissò. “Ora che ti guardo... tu sei la donna di quel gigante, Aiace Telamonio. Dicono che sia invincibile in battaglia, secondo solo a quella furia dai capelli rossi, Achille, ma che sorrida sempre.”
Annuii, arrossendo leggermente. “Sì, lui sorride sempre.”
Mi fissò ancora per qualche istante, quindi ritornò con lo sguardo alla piana. I suoi occhi si puntarono su Diomede, dal cimiero scarlatto, che quel giorno guidava tutti gli Achei con un impeto degno di un Nume.
“Diomede di Argo”, disse Athanassa, mentre gli occhi le brillavano, “il più giovane e il più irritabile dei capi.”
“La sua aggressività è nota a tutti. Non ti fa paura?”, le chiesi, guardandola di sottecchi.
“Non li biasimo: pare un Dio, per l'ardore. Ma non lo temo. Non so perché... ma credo che dentro di lui ci sia di più di quel che appare, qualcosa di profondo... e triste.”
Insieme lo guardammo, il re di Argo. Nubi color porpora che sembravano mandate dagli Dèi, o Dèi stessi, si contorcevano nel campo, e lui le affrontava senza timore.
Un urlo terrificante scosse tutto l'esercito, e Athanassa distolse lo sguardo. Un Dio richiede rispetto. Un Dio ferito, terrore.
“Hai mai combattuto, Tecmessa?”, riprese la sua dolce voce.
Esitai. “Due volte. La prima seminai lo scompiglio tra i soldati, e quasi rimasi uccisa anche io.
La seconda volta salvai il fratello di Aiace da... da un nemico. E per questo, mi presi tre frustate.”
Athanassa sorrise. “Impulsiva ed inesperta, ma coraggiosa. Sei come me.”
Sorrisi. “Questo è il giudizio di un guerriero.”
La ragazza annuì. “Quello che ognuno di noi è, in fondo al cuore. Anche noi donne dobbiamo imparare a combattere... anche se in altri modi.”
“Tecmessa! Tecmessa, dove sei?”
Mi voltai. Partenia mi raggiunse, trafelata per la corsa, lo sguardo pieno di terrore. Guardò Athanassa, e poi me. “Ettore di Troia ha proposto un duello. Gli Achei hanno accettato, e hanno fatto un sorteggio tra nove di loro... ed è stato estratto il nome di Aiace.
Aiace combatterà contro Ettore, Tecmessa... fino alla morte.”
Un rivolo di sudore freddo mi scese lungo la schiena. Ettore, il campione dei Troiani, contro il mio Aiace. Barcollai, e Athanassa mi sorresse. “Non avere paura per lui.”
“Uno dei due morirà. E tutti sanno quanta furia ci sia in Ettore, e quanto sia abile nel combattere.”
Lei mi bloccò la bocca con la mano. “Basta così; Aiace non è ancora morto. Non piangerlo prima che sia giunto il suo momento e sappi che, fra tutti, lui solo potrebbe battere il potente Ettore.
Ma ora osserva attentamente, perché singhiozzare e fuggire via non ti aiuterà a soffrire meno.”
Annuii, e concentrai i miei occhi nella piana. Tremavo, perché temevo che le parole che il mio guerriero aveva rivolto agli Dèi quella mattina avessero segnato il suo Destino. Troppo presto. Gli Dèi sono pazienti.
Strinsi Partenia a me, mentre Athanassa mi afferrò le mani, me le strinse per tenerle ferme.
Ci fu un grido, quindi i due eserciti si serrarono e i due guerrieri avanzarono l'uno contro l'altro. Li osservai parlare per qualche istante, quindi balzare indietro e dare inizio alla danza del Sangue.
Il primo a sferrare l'attacco fu Ettore, che scagliò la sua lancia. Fiacco fu il suo tiro, perché lo scudo del mio guerriero trattenne la punta micidiale.
Con un urlo ferino, Aiace tirò la sua: questa colpì Ettore fin dentro l'armatura, e il principe barcollò per il colpo ricevuto... senza essere ferito.
Entrambi strapparono via le lance e lasciarono da parte ogni gioco, gettandosi uno contro l'altro con furia. Ancora colpì Ettore, e ancora Aiace, che riuscì a far sgorgare una stilla di sangue dal collo del principe di Troia; ma la lotta era destinata a durare per un tempo lunghissimo, e ad ogni colpo il mio cuore accelerava o rallentava i battiti, così che mi sembrava di essere io stessa a combattere con Ettore.
Esultai quando Aiace colpì Ettore con un gigantesco masso e lo rovesciò al suolo, per poi affrontarlo con la spada senza, tuttavia, riuscire ad ucciderlo. Mai.
Improvvisamente sentii la dolce Partenia chiamarmi, e quando ebbe la mia attenzione indicò il cielo.
“Il tramonto”, disse Athanassa, per poi sorridere, “La Guerra rispetta la Notte. Non ci sarà alcun vincitore, e nessun vinto.”
Qualche istante dopo queste parole, da entrambi gli eserciti uscirono i messaggeri, che corsero ai rispettivi campioni; quindi Aiace ed Ettore si fermarono, si fissarono per qualche istante. Infine, lasciarono cadere le spade... e si sorrisero. Lo scontro era finito.
Entrambi gli eserciti esultarono, mentre noi ci abbracciamo per poi correre dai nostri amati.
Il campo degli Achei risuonava di grida di lode e richiami, in quel giorno in cui i capi si erano distinti valicando il confine tra umano e divino, diventando fulgide stelle piene d'onore.
Sorrisi, vedendo Teucro che abbracciava Partenia e la trascinava dentro alla tenda, ed Eurisace mi corse incontro e mi saltò in braccio. “Mio padre ha combattuto tutto da solo, madre! Io voglio diventare come lui! Voglio combattere anche io!”
Singhiozzai di gioia e lo baciai mentre osservavo le lacrime e il sudore, i sorrisi pieni di stanchezza e di orgoglio dei combattenti e, alla fine, Aiace. Eurisace si sciolse dal mio abbraccio, corse verso di lui, e il mio cuore si commosse, quando vidi il padre alzare fra le braccia il proprio figlio e l'esercito esplodere in un boato di esultanza.
Attesi che il baluardo degli Achei mi vedesse, quindi mi voltai e mi diressi verso la cala. Mi immersi senza svestirmi, godendo dell'acqua fresca sul corpo.
“Eccola, il mio scudo e la mia spada.”
Risi, mi voltai. Aiace si fece avanti, lentamente, e io uscii dall'acqua per aiutarlo a spogliarsi dell'armatura; quindi lavai il suo corpo, baciandogli il viso segnato di graffi, e lo strinsi al mio petto senza parlare; guardammo insieme il Sole lasciare il nostro mondo, scomparire nel mare.
“Non mi hai mai raccontato come gli Immortali crearono la notte, come la resero un dono per noi umani”, gli dissi, accarezzandogli i riccioli.
“Noi non siamo umani, Tecmessa”, fu la risposta, mentre i suoi occhi intrappolavano le ultime stille di luce, “noi siamo figli del Sole. Gli umani scompaiono senza lasciare traccia; noi, invece, sempre ritorneremo, come il Sole ricompare ogni mattino, e vinceremo i millenni con le parole e i ricordi di chi verrà dopo di noi.
Noi siamo i figli del Sole: coloro che non muoiono mai veramente.”
   
 
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