9)Cambiamenti
È difficile dormire
sapendo che quella che consideravi
un’amica ti considerava solo una preda e che fuori dalla
porta di casa mia c’è
un esaurito che vuole parlare con me.
A un certo punto inizio a prendere a pugni il cuscino
gridando “Basta, basta! Non ne posso più,
lasciatemi da sola!”. Mia madre si
spaventa e viene a vedere cosa diavolo stia succedendo e mi trova
inginocchiata
sul letto con le lacrime agli occhi.
“Cosa è successo?”
A spizzichi e bocconi le racconto di Cheryl, lei mi abbraccia e
sussurra che le
dispiace, che non se lo aspettava, che Cheryl sembrava una ragazza a
posto.
Le stesse cose che pensavo io, ma ormai ho imparato che
le mie impressioni sono spesso sbagliate e che non ne azzecco una.
“Forse dovrei scendere a parlare con Tom.”
Dico con voce roca.
“Solo se vuoi, sennò dico a tuo padre di cacciarlo
via a
calci.”
“No, voglio mantenere questo privilegio per me.”
Mi metto una felpa sopra la maglietta che uso come pigiama e un paio di
jeans e
anfibi, nel caso dovessi prenderlo a calci voglio fargli il
più male possibile.
Scendo al piano di sotto e apro la porta di casa mia, lui
è seduto sulla sedia a dondolo del portico.
“Che cazzo vuoi?”
Esordisco incazzata come una bestia.
“Vorrei parlarti.”
“Beh, io no. Quindi, vattene. È stata una giornata
di merda, non mettertici
anche tu.”
“Cosa è successo?”
“Non sono affari tuoi.”
“Jen…”
Io lo fulmino.
“Cosa ci fai qui? Perché mi parli come se fossimo
amici
quando non è così?”
“Cosa vuoi dire?”
Mi guarda confuso.
“Non puoi essere mio amico se ti porti a letto la ragazza
che mi bulla.”
“Oh, quello. Hai frainteso.”
Io scoppio in una risata priva di allegria.
“Chi era quello mezzo nudo con lei nello sgabuzzino delle
scope?
Il tuo clone?”
“No, ma io non volevo.”
“Ah, no? Di chi erano le mano sul culo di Maddison?
Piantala di raccontarmi cazzate, Tom. Non sono in vena,
non le sopporto.
La verità dura e cruda è che te la sei fatta.
Punto.
Facevi solo finta di interessarmi a me, è stato
divertente, ma finiamola qui.
Stiamo scadendo nel patetico e io sono stanca.
Ho la testa che mi scoppia, voglio solo dormire non
sentirti blaterare qualcosa sul fatto che non eri colpevole. Non ti
credo più.
Hai bruciato la tua possibilità con me e adesso vattene a
casa, io vado a letto.
Non ho voglia di stronzate, te l’ho già detto.
Ciao.”
Faccio per avviarmi verso la porta, ma lui mi afferra per il polso e mi
fa
voltare verso di lui, prima che io possa protestare mi bacia con foga e
la cosa
peggiore è che io ricambio.
Fatto questo se ne va, lasciandomi ancora più confusa e
arrabbiata.
Lo odio!
Rimango a guardare il giardino per un po’ mentre una
confusione di pensieri mi vortica in testa, come un uragano impazzito.
Smetto
quando mia madre fa capolino dalla porta per vedere cosa diavolo sia
successo,
se sono ancora viva o se Tom mi ha rapita o uccisa e seppellita in
giardino.
“Tesoro, tutto bene?”
Mi chiede ansiosa.
“Non c’è nulla che vada bene, spero solo
di lasciare al
più presto questo posto.”
Soffio irritata.
“Faresti meglio a rientrare, inizia a fare freddo. Vuoi
una tazza di the?”
Io ci penso un attimo e poi annuisco.
“Sì, mamma. Mi farebbe piacere.”
Entriamo insieme in casa e ci dirigiamo in cucina, lei mi
prepara un the caldo e forte, bello zuccherato.
“Cosa voleva quel ragazzo?”
Io scrollo le spalle.
“Dirmi la sua versione della storia. Le solite cose:
“è
lei che ci ha provato” e blablabla.”
“È successo qualcos’altro?”
Alla sua domanda divento di fiamma.
“Mi ha baciato.”
Sussurro dopo un minuto buono, senza guardarla negli occhi e con una
voce
sottile che non sembra nemmeno la mia.
“Oh, lo hai respinto, vero?”
“No.”
Sussurro con una voce ancora più sottile.
“Lui ti piace?”
La sua fronte è aggrottata come se nella sua testa si stesse
formando un quadro
che non le piace e temo di sapere quale sia,
“Mi dispiace, mamma.”
Lei mi guarda stupita.
“Non devi sentirti in colpa se ti piace.”
“Ma a te non va bene.”
Lei fauno strano sorriso.
“All’inizio io non sopportavo tuo padre e ora
eccoci qui:
abbiamo due fantastici figli.
No, il cuore prende vie misteriose.”
E su questa frase enigmatica lei mi dà la buonanotte e io
salgo in camera mia confusa, spaventata e con una voglia di prendere a
pugni
Tom e magari anche Cheryl.
Mi rimetto in pigiama e mi butto sotto le coperte,
c’è un
calore piacevole, sicuramente migliore del freddo della veranda.
Che io sia dannata se capisco cosa ha in mente quel
pazzoide!
Lunedì e
martedì aiuto mamma con le ultime cose.
Mercoledì vengo svegliata prestissimo da lei,
perché il
nostro volo è alle otto. In cucina c’è
già uno scontroso Daniel che sta
affondando il cucchiaio nei suoi cereali, chiaramente scontento di
essere
sveglio a quell’ora e forse di lasciare San Diego.
Chissà come l’ha presa quella Lucy?
Magari sull’aereo glielo chiedo, sarebbe imbarazzante
farlo davanti a mamma e poi lei vorrebbe sapere tutti i particolari,
conoscerla
e bla bla bla.
Daniel non lo vorrebbe e io non voglio che si arrabbi con
me, gli voglio bene, è l’unico che è
dalla mia parte e senza secondi fini ultimamente.
Mi siedo al tavolo e affondo anche io il mio cucchiaio
nei cereali, mi accorgo di non essere troppo felice nemmeno io.
Sarà perché è mattina presto e a me le
mattine non vanno
giù.
Sarà perché ho scoperto che la mia migliore amica
non era
tale.
Sarà perché Tom mi ha baciato.
Tanti sarà che mi irritano, tanto che mi impongo di non
pensare a nulla, di concentrarmi solo su come i cereali roteano nella
tazza:
una massa appiccicosa, ma buona.
Cucchiaiata dopo cucchiaiata li finisco e mamma lava le
ultime cose per poi asciugarle e infilarle in uno scatolone, domani
un’impresa
di traslochi verrà a prenderle e le porterà a
Chicago.
Usciamo di casa e aiutiamo mamma a caricare le nostre
valigie su un taxi, mamma deve averlo chiamato mentre io e mio fratello
eravamo
in coma mattiniero. Danny è davvero preso male, durante il
tragitto verso
l’aeroporto finisce per addormentarsi sulla mia spalla.
Quando la macchina si ferma lo scuoto gentilmente.
“Ehi, pulce, sveglia! Siamo arrivati!”
“Non chiamarmi pulce!”
Biascica con la voce impastata dal sonno.
“A me piace.”
“ A me no.”
Borbotta scendendo, siamo davanti alle partenze nazionali e scarichiamo
i
bagagli per poi trasferirli su un carrello, le cose che ci serviranno
durante
il volo sono nei nostri zaini.
Mamma va al banco dell’accettazione e poi pesano le
valigie e le imbarcano, noi siamo liberi di girare per la zona
duty-free
dell’aeroporto, fino a che chiamano il nostro volo.
Dalla quella zona ci incamminiamo verso quella delle
partenze, passiamo sotto il metal detector e diamo il nostro biglietto
a un
hostess sorridente, nonostante l’ora antelucana.
Ci indica un punto oltre una vetrata.
“Uscite, un pullman vi scorterà al vostro volo.
Vi auguro di fare buon viaggio.”
Seguiamo le sue indicazioni e usciamo da una porta, fuori
c’è altra gente e presto un pullman blu ci porta
al nostro aereo, saliamo la
scaletta e andiamo ai nostri posti. Io e Dan siamo vicini, la mamma
è due
sedili davanti a noi.
Allacciamo la cintura, l’hostess ci spiega la procedura
di emergenza e poi decolliamo, non mi piace la sensazione di
compressione allo
stomaco, ma la vista di San Diego ripaga tutto.
È meraviglioso vedere l’oceano brillare come uno
zaffiro, i grattacieli che scintillano pigramente quando la luce del
sole
nascente colpisce le finestre, la distesa immensa di case, il porto e
lo zoo.
Parlando di alba, ora siamo immersi in nuvole rosa,
arancioni e dorate e sembra di stare nel paese delle favole.
Una volta sorto il sole mi volto verso mio fratello, i
suoi occhi scintillano.
“Bello, vero?”
“Sì, fighissimo!”
Rimaniamo un attimo in silenzio.
“Come è andata con Lucy?”
Gli chiedo poi piano, indecisa se sia o meno un buon argomento di
conversazione. Non lo è, perché si rabbuia subito.
“Beh, si è arrabbiata. Parecchio.
Ha detto che l’ho solo usata per scoparla e che sapevo
fin dall’inizio che sarei dovuto partire.
Come fai a convincere del contrario una ragazza quando è
arrabbiata come un cobra pronto a morderti? Mi ha insultato davanti a
tutti i
miei amici, dandomi del puttaniere e del bastardo.
Loro ridevano, ma io volevo sparire, perché Lucy mi piace
davvero.
La sua reazione però esclude totalmente la
possibilità di
una relazione a distanza.”
Sembra così abbattuto che gli scompiglio i capelli tinti di
biondo platino come
segno di affetto.
“Mi dispiace, Daniel, ma le ragazze a volte reagiscono
senza pensare.
Fanno due più due inesistenti e non c’è
nulla da fare, se
non adattarsi alla loro volontà. Scommetto che ora
sarà molto dispiaciuta di
quello che ti ha detto, non è escluso che ti
scriva.”
“Lo dici solo per consolarmi il morale o perché
è vero?”
“Un po’ per tutte e due le cose.
Io…”
All’improvviso divento rossa.
“Ti voglio bene, Danny.
Sei un fratello fantastico, grazie per tutto quello che
hai fatto per me ultimamente.”
Lui mi abbraccia, mi stupisce il fatto di quanto sia alto o di come sia
forte
la presa delle sue braccia, me lo ricordavo come il bambino un
po’ paffuto che
si attaccava a me con le sue domande e i suoi discorsi e non mi mollava
più.
Quel bambino è cresciuto e sono sicura che
diventerà un uomo meraviglioso.
“Ovviamente quando saremo scesi dall’aereo questi
momenti
mielosi non saranno mai accaduti.”
Dice poi, imbarazzato.
“Assolutamente no. Abbiamo solo parlato.”
Rispondo seria.
“Jen… Ti voglio bene anche io.
Grazie per non essere diventata un’oca senza cervello, mi
sarebbe mancata la mia sorellona a cui fare domande.”
Io sorrido e penso che ho più di quello che creda.
Il resto del volo è una noia, io gli racconto di Tom, ma
glisso su Cheryl. Lo sa solo mia madre e io non me la sento di parlarne
con
altri, mi sento un po’ sporca, contaminata.
In questi mesi ho provato un po’ troppo spesso questa
situazione, vorrei prenderli e cancellarli tutti. Sono stanca di
sentire il
tocco aggressivo di Chris su di me ogni tanto o di vedere una
volontà
implacabile di lussuria negli occhi di qualcuno come è
successo con gli occhi
di quella.
Vorrei mettermi a urlare fino a perdere la voce,
piangere, invece non faccio niente. Non mi piace che la mia famiglia si
preoccupi per me.
Soffrirò in silenzio come sempre.
Coltiverò in solitaria la mia paura del mondo e delle
persone e non lascerò che nessuno si avvicini più
a me, c’è solo da perderci.
Alla fine Danny si addormenta di nuovo e io mi alzo per
andare in bagno, dalla borsetta che mi sono portata tiro fuori una
lametta e la
guardo luccicare nelle luci fredde del cubicolo.
Senza esitare l’affondo nella mia carne e guardo uscire
il sangue, come se non fosse il mio, faccio un altro paio di tagli, poi
lavo la
lametta e la rimetto via,.
Da oggi sarà lei la mia amica e confidente.
Mi lavo anche i tagli e li nascondo alla bell’ e meglio,
tanto sono sicura che nessuno guarderà troppo attentamente i
miei polsi coperti
di braccialetti, perché ho sempre amato portarli.
Faccio pipi ed esco.
La vita è ironica.
Fino a qualche mese fa disprezzavo chi si tagliava e oggi
sono una di loro, ho proprio perso l’aureola della
cheerleader nella merda
della vita vera.
La mia innocenza se ne è andata e queste nuove
consapevolezze mi rendono strana e stanca.
Stanca soprattutto, ma non voglio che se ne accorgano.
Torno a sedermi e dopo aver appoggiato la testa al
finestrino mi addormento anche io.
Il resto del viaggio prosegue tranquillamente, io e Dan
dormiamo, fino a quando una hostess gentile ci sveglia.
“Ragazzi, dovete allacciarvi le cinture, stiamo per
atterrare.”
“Sì, grazie.”
Borbottiamo insieme.
Io sono quella più vicina al finestrino e do
un’occhiata
al panorama: si vedono solo delle grandi nuvole grigie, cariche di
pioggia che
batte sul vetro.
L’aereo si abbassa e veniamo compressi per un attimo
contro il sedile quando le ruote toccano la pista, una sensazione poco
piacevole a cui somma il dolore dei tagli.
I tagli bruciano da morire e ancora non posso credere di
essermeli fatti io, sono sempre stata più o meno una ragazza
solare, ma
ultimamente ho perso il sole e mi sento circondata da tenebre.
Oscure sensazioni oppressive, il sentirmi un’idiota, una
stupida e una perdente ad esempio. Ogni tanto sono troppo forti e mi
manca
l’aria e oggi ho scoperto un modo per riavere un
po’ di ossigeno mentale. Lo so
che è sbagliato, che ho scelto il metodo peggiore, che se lo
sapessero i miei
si spaventerebbero da morire e che un giorno rischio di tagliare troppo
e
finire all’altro mondo.
Mi immagino il mio funerale, la mia famiglia in lacrime e
sconosciuto che mormorano: “Era così giovane,
poverina.”, forse Tom e di sicuro
nessuna delle mie false amiche.
Chissà se mancherei a qualcuno diverso dalla mia
famiglia?
“Jen?”
“Sì?”
“Siamo atterrati, tira giù la tua roba.”
Mi dice spiccio Dan, qualche sedile più in là
mamma ci fa cenno di muoverci con
una certa impazienza. In effetti l’aereo è mezzo
vuoto e noi siamo gli ultimi.
“Si può sapere cosa ti è preso?
A un certo punto ti sei incantata e non sono più riuscito
a smuoverti, non mi sentivi nemmeno.”
”Pensieri miei.”
Taglio corto io, tirando giù il mio zaino dalla rastrelliera.
Raggiungiamo la mamma e scendiamo dall’aereo, fuori fa
freddo e piove, sia io che mio fratello rabbrividiamo e ci stringiamo
di più
nelle nostre felpe.
Il sole della California mi mancherà.
Corriamo per raggiungere il pullman in partenza ed essendo
senza ombrello siamo tutti bagnati e di pessimo umore, persino mia
madre.
Scesi dal pullman recuperiamo i bagagli e un carrello,
dopo averci caricato sopra le valigie ci dirigiamo verso gli arrivi.
“State attenti e ditemi se vedete vostro padre. Io non
vedo nulla da dietro questo muro di bagagli.”
Io e mio fratello ci guardiamo intorno tra la folla che
ci sorpassa indifferente fino a che vediamo una figura alta e
dinoccolata che
si sbraccia. Capelli castani disordinati, faccia leggermente da
cavallo: è
sicuramente nostro padre.
Lo indichiamo a nostra madre e lei fende la folla con il
carrello, quando sono abbastanza vicini si abbracciano.
“Come è andato il viaggio?”
”Bene, tranne per il fatto che non avevamo gli ombrelli e non
ci aspettavamo
questo freddo.”
“Oh, avrei dovuto dirvelo. Mi dispiace.”
Si mette dietro il carrello e poi
lo
spinge, noi ci affrettiamo a seguirlo.
“Sono venuto qui con la mia nuova macchina, vedete vi
piacerà. È abbastanza spaziosa per contenere noi
e i bagagli e non stare scomodi.
Anche la casa è molto bella, vittoriana.”
Io faccio per aprire la bocca, ma lui mi precede.
“Jen, non dovrai dormire in camera con Danny. Avrai la
tua camera, un tuo bagno e una piccola stanza guardaroba.”
“Wow!”
Esclamo colpita, immaginandomi il tutto.
Il bagno solo per me mi piace soprattutto perché
sarà più
facile nascondere il mio nuovo hobby, meno domande credo.
Entriamo in macchina ed in effetti è spaziosa come ha detto lui.
“Per le vostre macchine dovrete aspettare che siamo state
vendute quelle californiane, poi avremo i soldi per
prenderle.”
Io e mamma annuiamo, per i primi giorni andrò a scuola in
pullman.
“Ti abbiamo iscritto a una scuola cattolica, dovrai
portare l’uniforme, ma almeno ci sarà della gente
migliore di quella di San
Diego.
No, Dan. Tu non sei iscritto a una scuola cattolica,
sarebbe perfettamente inutile visto che ti faresti espellere dopo
nemmeno due
giorni.”
”Va bene.”
Papà continua a parlare, ma noto che mio fratello non lo
ascolta e traffica con
il suo cellulare.
“Lucy mi ha scritto.”
Mi dice muovendo appena le labbra, io gli sorrido incoraggiante.
“Papà, sai dove c’è una
parrucchiera?”
Lui rimane un attimo in silenzio.
“No, non lo so.
Perché?”
”Non posso andare a una scuola cattolica con questi capelli
e, tra parentesi,
mi hanno stufato.”
“Non hai tutti i torti…. Beh, dopo che avrete
sistemato
la vostra roba tu e Danny potete uscire a fare un giro e trovarne una,
tanto
inizierete la scuola settimana prossima.”
“Va bene.”
Alla fine parcheggiamo davanti a una grande casa, un po’
scura. C’è un viottolo
che sale dal cancello, la casa è più in alto
rispetto alla strada, e poi una
veranda tetra in questo giorno
piovoso.
Tiriamo fuori i bagagli e li portiamo dentro, papà sembra
essersi sistemato bene e noto che le cose che avevamo spedito prima di
partire
sono già arrivate quindi vedo qualche oggetto familiare.
Papà mi conduce al piano di sopra e mi mostra la mia
camera: è molto grande, ha una scrivania, un letto alto, una
porta che conduce
al guardaroba e una al bagno, c’è anche un piccolo
terrazzino che è in una
sorta di rientranza della casa. Da fuori non l’avevo notato,
davanti c’è un
albero.
“Bene, ti lascio mettere via le tue cose.”
Se ne va, lasciandomi sola, io mi siedo sul letto,
il copriletto è soffice, di seta rossa con
disegni
dorati. Ma dopo averlo girato un po’ noto che sotto la seta
c’è della robusta
lana, almeno non avrò freddo.
Le pareti hanno della carta da parati con lo stesso
motivo del letto e sia la scrivania che l’armadio sono fatti
di un legno scuro
e hanno una fattura orientale, c’è persino un
paravanto in un angolo.
A differenza del resto della camera il tessuto è bianco
con una fantasia di uccelli neri che si alzano in volo tra fiori rosa e
rossi.
Mi piace questo posto.
Con metodo metto via la roba che ho in valigia e dopo un
paio d’ore ho finito. Incerta sul da farsi vado a bussare in
camera di Dan, che
è leggermente più chiara rispetto alla mia.
“Hai finito?”
Lui annuisce.
“Ti va di fare un giro?”
“Sì, lasciami tirare fuori la giacca. Qui fa
freddo, cazzo!”
“Avremmo dovuto pensarci, adesso vado a prendere anche la
mia.”
La tiro fuori dall’armadio e poi io e lui scendiamo.
“Mamma, abbiamo finito. Possiamo andare?”
“Sì, domani io e te dobbiamo andare a scuola per
andare a
prendere la tua divisa.”
“Va bene.”
Dico un po’ rassegnata, non faccio certo i salti di gioia
all’idea di andare in
una scuola cattolica con la divisa.
Non mi sono mai piaciute le divise, ma me le farò
piacere, in fondo non volevo un cambiamento?
Eccolo qui.
Non ti lamentare, Jen, se a volte quello che chiedi si
avvera.