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Autore: Lumos and Nox    27/06/2015    13 recensioni
[Finalmente, le origini di Nerissa e Helios] [AGGIORNATO!]
Cosa succede quando, in una lotta per il proprio Lieto Fine, sia i Buoni che i Cattivi si ritrovano a allevare un loro Prescelto?
Quale dei due porterà la propria fazione alla vittoria?
Genere: Dark, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Phentesia'
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L'Innocenza Perduta


Il piccolo villaggio, illuminato dai raggi benevoli del sole, era in pieno fermento. Si inerspicava su una collinetta poco distante da Good, perciò ci si sarebbe aspettati un groviglio di casette un po' insulse precedenti allo splendore della capitale: e invece botteghe e bancarelle colorate accompagnavano ogni strada, regalando ai visitatori qualcosa come il fragrante profumo del pane appena sfornato, o quello un po' più denso di qualche olio orientale.
Piccole torri comparivano qua e là, quasi dal nulla, nella folla degli edifici, di un bianco simile alla neve.
Le strade, in gran parte pedonali, erano gremite, in un arcobaleno di colori e stoffe- uno spettacolo diventato ormai una routine ad Amity, nel giorno di mercato.
Helios ci andava fin da quando aveva memoria, ma non riusciva mai a non stupirsi di quel piccolo paesino e ogni volta desiderava tantissimo avere un altro paio di occhi- perché ogni volta sembrava ci fosse qualcosa di nuovo da vedere, come le altissime torri di Good, che si intravedavano anche da lì e che parevano quasi... far parte di un quadro, per come sbucavano, un po' sbiadite, dalle nuvole...
«Helios!»
Il Prescelto fu bruscamente richiamato alla realtà dallo zio Grillo, poco più avanti di lui, in piedi sulle spalle dell'accompagnatore di turno. «Ragazzo mio!» esclamò perentorio il Grillo, facendo mulinare il suo ombrello. «Cerca di non perderti tra le nuvole! È facile smarrirsi qui e non vorrei tornare al castello troppo in ritardo, è segno di maleducazione...»
«Si, zio Grillo» asserì quasi in automatico il bambino.
«Bene, molto bene... oh, e grazie per il passaggio, Little John!»
«Non c'è problema, amico!» disse il diretto interessato, scoccando un sorriso divertito ad Helios, che si affrettò a ricambiare. «Quando posso aiutare... e bè, scampare per un poco alla gransignora sua altezza reale Merida...»
D'un tratto il Grillo Parlante assunse un'aria severa. «Non dire così! È diseducativo!»
«Oh... ehm, bè, scusatemi, non dicevo sul serio» si affrettò a dire l'orso, grattandosi la testa e rischiando di far cadere il Grillo. «Oh! Attento, scricciolo!»
«Ecco, così va meglio, bravo» lo elogiò lo zio Grillo, mentre si arrampicava meglio sulle spalle di Little John, in un sussurro ben udibile alle orecchie di Helios, nonostante le chiacchiere della folla. Il Prescelto sospirò, sentendosi quasi sconfitto, e si limitò a seguire i due zii. Svoltarono in una via a destra, facendosi largo a fatica tra numerosissimi clienti non più grandi di Helios- ciò segnalava che erano appena giunti nell'area del mercato dedicata ai giocattoli e ai dolci e al divertimento. Negozi e bancarelle sfolgoranti comparivano in modo un poco caotico, esponendo ben in mostra lecca-lecca giganti e cascate di cioccolato.
Ad un tratto, delle note di un quella che sembrava una ballata medioevale scivolarono nell'aria, attirando l'attenzione dei presenti, insieme alle loro urla di gioia. Gran parte dei bambini si fiondò nella piazza lì accanto, dove qualcuno aveva improvvisato una delle danze tipiche della Provincia del Sole, con il suo ritmo così incalzante.
Helios lanciò un'occhiata di desiderio ai ragazzini che accorrevano felici. Gli sarebbe piaciuto veramente tanto partecipare ai loro giochi o anche solo chiacchierare un poco con loro, senza lo zio o chiunque altri che lo controllasse...
La speranza riaffiorò in lui quando lo zio Grillo si voltò per un attimo a chiamarlo. «Helios?»
«Si?» chiese trepidante, già pregustando un pomeriggio con nuovi bambini della sua età in una danza diversa dalle solite che gli impartivano a Good.
«Stanno arrivando Cody, Artù e Lilo: mi raccomando, ricordarti di salutare».
Helios abbassò il capo per non far vedere troppo la sua delusione. «Si, zio Grillo».
In realtà era frustrante. Tutti quei bambini che si precipitavano a giocare e a ballare e a divertirsi, mentre lui... bè, lui doveva fare le cose da Buoni ed aiutare lo zio. E si sentiva anche in colpa, quando vedeva che non... non gli piaceva sempre così tanto.
«Ciao, Helios!» sorrise Lilo, degnadolo appena di un'occhiata prima di tuffarsi nella folla dei bambini.
«C-ciao!» le fece eco Artù, altrimenti detto Semola, trascinandosi dietro Cody. «È da due ore che cerchiamo Alice, sono sfinito! Ci si vede!»
Il Prescelto rispose con un sorriso vagamente triste, agitando impacciato la mano. Provò una sorta di sollievo quando finalmente lui e gli zii oltrepassarono l'area del divertimento per svoltare in quella della stoffe. Bancarelle su bancarelle, molto più ordinate di quelle precedenti, esibivano chilometri di stoffe di tutti i generi: coloratissime, a pois, a tinta unita, a righe, alcune addirittura magiche, caratterizzate dal fatto di cambiare colore di tanto, alcune con un vago sfrigolio, altre con un vero e proprio scoppio.
C'erano decisamente meno bambini lì, se si escludevano Helios e qualche neonato tra le braccia del parente di turno o dentro una carrozzina.
«Vediamo, vediamo...» mormorava il Grillo Parlante mentre proseguivano. «La bancarella di Faruk*1 dovrebbe essere all'incirca da quelle parti, vicino a quella delle stoffe eschimesi...»
«Faruk?» esclamò in una risata Little John. «Quel Faruk? Credevo si occupasse di cose tipo produttori di patatine scadenti...» altra risata «o gli indimenticabili salvabontà del Mar Morto. Me ne ha mostrati un paio Basil l'altro giorno. Credeva fosse merce contraffatta». L'orso sembrò quasi soffocare tra le risate.
«Salvabontà del Mar Morto?» ripetè il Prescelto aggrottando le sopracciglia.
«Tutte cianfrusaglie inutili, Helios» si affrettò a spiegare il Grillo. «Ma questo era prima della di... ehm, comunque ora Faruk si occupa di tipici tendaggi orientali. Stoffe di classe insomma, perfette per il vestito che Eudora vuole regalare a Audrey Ramirez per il suo compleanno».
«Ma... zio, sei sicuro che ad Audrey potrebbe piacere un vestito? Insomma, non... non fa la meccanica?»
«Infatti sarà un abito del tutto adatto a lei!»
Little John emise un'altra delle sue risate a singhiozzo e poggiò una zampa sulle spalle del bambino. «Sta tranquillo, che sanno di sicuro quello che fanno, Helios».
Aveva appena fatto in tempo a pronunciare il suo nome, che un ragazza con un paio di enormi codini rossi si girò di scatto a guardarli. Mollò un urlo ultrasonico, sgranò gli occhi e li indicò a bocca aperta.
«Ma quello... quello...»
Tre gemelle bionde dall'accento francese finirono per lei la frase, in un grido estasiato. «È Helios il Prescelto!»
In un attimo, parte della popolazione femminile della via- in particolare le ragazze giovani e curiose- si precipitò addosso a loro, per poter avere anche solo il privilegio di raccontare di aver visto il Prescelto in persona.
Helios non aveva mai capito perché la gente che non conosceva si agitasse tanto quando lo vedeva- di certo non facevano così con Cody o con Aileen o con gli altri... inoltre non aveva ancora capito perché lo chiamassero Prescelto. Spesso voleva chiederlo agli zii, ma... ma così si sarebbe dimostrato preoccupato e anche loro lo sarebbero diventati, oppure magari non volevano dirlo perché... bè, per dei motivi buoni.
Helios non era mai stato un bambino molto curioso, certo, ma quel nome di Prescelto stava iniziando a fargli girare la testa per quanto pensava a cosa volesse dire...
Il Grillo Parlante aprì l'ombrello a mo' di paracadute e scivolò giù dalla spalla dell'orso per poggiarsi su quella di Helios. «Andiamocene prima che comincino a fare sul serio».
In qualche modo sgusciarono via, lasciando Little John a ridere e a firmare autografi- nel caso si fossero accorti che l'orso non era Helios... bè, si sarebbe inventato qualcosa.
Non ci volle molto prima che arrivassero alla bancarella di Faruk, un piccolo beduino con un naso grande quasi quanto il suo enorme turbante. Li accolse con un inchino esagerato, rischiando di colpire con la testa il tavolo delle stoffe. «Salam! Buonpomeriggio a voi, miei degni amici. Siete qui per le stoffe ordinate da Eudora, presumo».
«Esatto» disse il Grillo saltando sul tavolo della bancarella. «Allora... quali stoffe ha ordinato?»
Mentre lo zio e Faruk discutevano, Helios si ritrovò ad osservare ancora la folla di ragazze intorno a Little John. Quasi sempre, quando andava in giro, gli capitavano episodi del genere. Certo, per la maggior parte del tempo si trattava di gente che gli sorrideva o lo salutava, ma non era di certo la prima volta che lo "assalivano" in quel modo, chiamandolo Prescelto...
Ma perché? E perché anche quando era fuori dal White Castel e da Good, lui era sempre così... così diverso?

Nerissa schizzò tra gli alberi della foresta, cercando di correre il più velocemente possibile. I piedi nudi- brillante idea dello zio Shere Khan- saltavano da un ciuffo d'erba all'altro, doloranti per i calli e per il morso di un serpente poco socievole.
Non sapeva da quanto precisamente fosse iniziata quella stupida lezione di sopravvivenza- il sole alto faceva pensare ad almeno tre ore, ma lei non lo sapeva, non avendo mai prestato attenzione a certe robe di zio Clayton. Però Nerissa era perfettamente a conoscenza che prima sarebbe uscita da quella specie di schifosa foresta pluviale, meglio sarebbe stato.
Le zanzare erano micidiali- cercando di farne fuori un paio, si era abbrustolita metà dei capelli- e il caldo soffocante le faceva scendere rivoli di sudore per la fronte e per la schiena. La maglietta le si era incollata addosso come un'altra pelle e i polmoni le sbatacchiavano più che mai contro il petto...
E... e ogni albero, anche se pieno di liane e di frutti colorati, rievocava un po' quel qualcosa che era successo due anni prima, un qualcosa di confuso e annebbiato...
Con uno scatto della testa per riprendersi, Nerissa si concentrò di nuovo sulla corsa, sentendo il sangue pulsarle nella testa. Doveva mantenere la respirazione costante, stava animando e non riusciva a concentrarsi sul serio e se non ci riusciva...
Il tallone destro si schiantò contro una radice traditrice e Nerissa ruzzolò malamente a terra, trattenendo solo grazie alle unghie che si impiantò nelle mani un urlo di rabbia.
Basta! Non ce la faceva più!
Voleva fermarsi e gridare e battere i piedi finché non l'avessero riportata al Black Castel. Non voleva fare più nient'altro!
Ma gli zii non ne sarebbero stati felici e loro volevano che lei fosse perfetta...
Si alzò a fatica, masticando insulti. Che roba da bastadi...
E come se non bastasse, doveva pure sbrigarsi. Alle sue spalle, di tanto in tanto, sbottava qualche ululato o ruggito, il che significava che i lupi guidati da quello zia Magò e i leoni di zio Scar erano tutto sommato vicini. Aveva perso un sacco di tempo!
«Stupido coso!» ringhiò, tirando un calcio all'albero. Poi diede un'altra occhiata distratta alle sue spalle e si bloccò.
Nuka si stava avvicinando, una risata un tantino folle a malapena trattenuta tra le fauci.
«Ti ho trovato, mocciosetta, ti ho trovato, mocciosetta! Mamma mi ricoprirà di gloria!»
Nerissa battè i piedi a terra. «No! Non vale! E poi, zio Scar ha detto che dovete prendermi!»
«Allora sta ferma lì che io...» sogghignò il leone preparandosi ad uno scatto in avanti.
Prima che potesse farlo, Nerissa riuscì in qualche modo ad afferrare un bastone e a gettarlo con forza sul muso di Nuka.
Il leone mollò un ruggito insolitamente acuto, portandosi le zampe al naso e gemendo peggio dello zio Principe Giovanni.
Malgrado fosse divertente guardare Nuka lamentarsi a terra, Nerissa non aspettò oltre e si catapultò un po' zoppicante di nuovo nel folto della foresta.
Ma a quanto pareva non era sufficiente, perché dopo poco si accorse con un'imprecazione che Nuka stava ritornando all'inseguimenti, chiamando a gran voce gli altri. «È qui! È qui, venide!»
Nerissa strinse i pugni, cercando di correre ancora più velocemente. Il tallone ogni tanto si lamentava con qualche fitta e il morso sull'altro piede, quello del serpente poco amichevole, si stava gonfiando...
Altre dannate radici cercavano di farla inciampare e zanzare e moscerini stavano accorrendo su di lei. Tentando di schivarli, si prese in faccia una maledetta ragnatela e si ritrovò a sputacchiarla, mentre Nuka, dietro di lei, rideva sguaiato, alternando delle urla.
«Sta' zitto!» ululò Nerissa, incitandolo solo a ridere di nuovo. La Prescelta avrebbe voluto picchiarlo e farsi un giubotto con la sua criniera, ma non poteva fermarsi. Anche se era stanchissima e non aveva voglia, doveva vincere. Perché vincere era importantissimo, gli zii lo dicevano sempre.
Pur avendo distanziato un poco Nuka, i ruggiti e gli ululati si stavano facendo sempre più vicini e Nerissa emise un lungo sospiro di sollievo quando intravide la fine della foresta, con un bel sprazzo di cielo senza alberi.
Aveva vinto!
Uscì dalla foresta con un balzo, alzando trionfante le braccia in attesa di tutti i complimenti degli zii. Si fermò di scatto, giusto in tempo.
La foresta era finita, si, ma per dare spazio ad un dirupo che sprofondava per almeno sei metri.
Indietreggiò velocemente, mentre piccoli sassetti si sgretolavano dal dirupo per cadere nella pozza di acqua sporca sottostante.
Doveva tornare assolutamente indietro e subito!
Si girò per fiondarsi di nuovo nella foresta, ma sbattè in pieno contro l'enorme ghepardo amico di zio Clayton.
Il felino emise un basso ringhio, simile ad una risata, mentre lupi, leoni e iene si avvicinavano silenziosi, come ombre della foresta.
«Bene, Cucciola d'Uomo» commentò Shere Khan facendosi avanti. «Direi che la vittoria è ormai nostra».
«Avvicinati e fatti catturare, nipote cara» aggiunse Scar accennando ad un sorriso disgustosamente falso, mentre Zira, accanto a lui, schierava con singoli gesti del capo le varie leonesse.
Nerissa indietreggiò tanto da rischiare di mettere un piede nel vuoto. «No! Non è giusto!»
«La vida non è giudda» borbottò Nuka, massaggiandosi il naso, che, oltre ad essere diventato piuttosto gonfio, era anche ben pieno di spine- probabilmente un retaggio di un incontro ravvicinato con un rovo.
«Sbrigati, ragazzina!» si intromise Shenzi con un sogghigno storto. «Abbiamo fame! E poi, non puoi fare altro ormai!»
Banzai ridacchiò. «Già! Mica puoi saltare giù!»
Nerissa sbattè le palpebre, per poi ghignare.
Tutto sembrò bloccarsi per un istante, mentre la Prescelta si voltava verso il precipizio e si vi gettava.
Gli zii ulularono e gridarono inutilmente contro Banzai e lei.
La caduta non fu lunga. Nerissa ebbe appena il tempo di sentire un lungo fischio perforarle le orecchie, prima di urtare violentemente l'acqua, affondando come una pietra in un mondo freddo, marrone e viscido. Scalciò per tornare in superficie e quando affiorò, ansimante, venne accolta dalle grida rabbiose degli zii.
Un lupo si affacciò a ringhiarle contro, per poi essere malamente scostato da Scar. Lo zio, nonostante i sei metri che li separavano, sembrava quasi riuscire a fissarla negli occhi, in uno sguardo inquietante e fisso.
Sguardo che Nerissa riuscì a reggere, restando a galla per miracolo. Zio Scar la guardò per quello che le parve un attimo eterno, forse indeciso se farla attaccare o meno.
Poi, finalmente, il leone si ritirò, tornando dagli altri. Nerissa annaspò verso la vicina riva, dove si gettò sfinita. Fu allora che notò in che stato era ridotta la sua gamba.
Le penzolava inerte formando un angolo innaturale. La Prescelta masticò qualche imprecazione mentre si alzava per poi cadere quasi subito, con un dolore acuto.
Non aveva mai imparato magie curative, né a fare le pozioni di zia Yzma... cosa poteva fare? E cosa sarebbe successo ora che aveva vinto e lasciato la foresta?
Si guardò attorno, cercando di non prestare troppa attenzione alle fitte della gamba. Pozze fangose come quella in cui era caduta si susseguivano irregolari, insieme a alberi malconci e lerci di cui non conosceva i nomi.
L'odore di acqua stagnante era così penetrante da farle quasi venire la nausea.
Nerissa si trascinò a gattoni per qualche metro per allontanarsi dall'acqua. Piccoli gruppi di zanzare le ronzavano attorno, e due tronchi galleggianti si avvicinavano pian piano a lei dall'altro laghetto lì vicino...
Si avvicinavano?
Bruto, uno dei coccodrilli di zia Medusa, si avventò con un balzo su di lei. Nerissa rotolò su un fianco, il dolore della gamba che esplodeva come una bomba sulla sua carne. Schivò per un soffio un altro morso, tirando un calcio sul muso al secondo coccodrillo, Nerone.
Prima che Bruto superasse suo fratello e la attaccasse, Nerissa diede fondo alle sue energie: sentendo ogni muscolo ribellarsi, con un grido di dolore, evocò una fiammata azzurra che si schiantò sui due coccodrilli.
Con fiammelle brucianti sulle squame, Bruto e Nerone si rituffarono di nuovo nella pozza di fronte a lei, ma fortunatamente nuotarono lontano, guaendo di tanto in tanto in un sordo brontolio.
Nerissa riuscì a tirare su un ghigno, prima che il suo respiro su facesse mozzo. Crollò sulla schiena, sentendo la carne della gamba come squarciarsi anche a quel singolo movimento. Inspirò profondamente, ingoiando una qualche decina di insulti.
Gliel'avrebbe fatta pagare cara a zio Jafar per non averle detto di quello scherzetto. Gli avrebbe ficcato il suo bel turbante in gola.
Ma comunque... era finita. Ora poteva starsene lì finché quegli idioti degli zii non fossero venuti a prenderla.
Fece appena in tempo a formulare quel pensiero, che una cupa oscurità adombròil sole. Nerissa si rizzò, per quanto possibile, seduta: una sorta di nube nerastra si materializzò dal nulla al centro della palude.
La fissò paralizzata, mentre, unificandosi, formava un'alta figura dal mantello di tenebra. Un attimo dopo, Malefica si stagliava di fronte a lei, lo scettro dall'aura di pura potenza e uno scintillio crudele negli occhi.
«Benvenuta alla nostra piccola prova, Nerissa. Ora verificheremo se gli insegnamenti fin ora ricevuti ti siano stati veramente utili».
E attaccò.

Il giro al mercato delle stoffe era durato meno di quanto Helios si era aspettato. Dopo aver recuperato Little John- che le svariate ragazze capitanate dalle tre gemelle francesi avevano scaricato in un angolo della via, ora si stavano dirigendo verso Good. Per fortuna, avevano fatto un'altra strada, attraverso il mercato delle corde e degli attrezzi per il lavoro, così almeno Helios aveva evito di incontrare di nuovo tutti quei bambini che giocavano e si divertivano- anche se si sentiva in colpa a fare pensieri del genere.
Tra venditori urlanti, arrivarono al mercato delll'agricoltura. Lo zio Grillo voleva comprare un paio di erbe medicinali per Pinocchio, erbe che, a quanto pareva, avrebbero diminuito il il fastidioso prurito della trasformazione da legno in carne. Era una magia che si verificava ogni mese, con diverse situazioni, per molti Buoni, dai capelli ora lunghi e biondi, ora corti e marroni di Rapunzel al corpo ora da bestia, ora da principe di Adam.
Gli zii dicevano che era un retaggio delle loro vecchie avventure, ed Helios ormai ci aveva fatto l'abitudine. Insomma, un mese Pinocchio era un burattino senza fili e con il naso lungo, l'altro un bambino in carne ed ossa. Bastava ricordarsi bene quando e non sorgevano problemi.
Dopo aver comprato un sacchetto in pelle bianca con dentro le varie erbe medicinali- girgabizzo, fior di stella e vumalindo- si avviarono verso l'entrata della città, dove li stava aspettando una carrozza che li avrebbe riportati a Good. Helios non vedeva l'ora di ritornare al castello: quella sera, appena dopo mangiato, ci sarebbe stata una gara di racconti, e di certo non voleva perdersi quelli dello zio Cantagallo. Magari se avesse avuto tempo, sarebbe anche riuscito a completare quella sua vecchia storiella e a fargliela vedere...
«Dobbiamo fare altro tornati al castello, zii?» chiese il Prescelto.
«Uhm... non credo, al limite si può dare una mano...» fece appena in tempo a rispondere il Grillo, prima di venire interrotto da Little John, il segno di due o tre baci ancora ben impresso sulle guance. «Se non hai niente da fare, potresti venire in palestra, scricciolo! La principessa Kida-non-so-che-cosa ha detto che ci avrebbe dato una dimostrazione di "tipica lotta Atlantidea" e io non vedo l'ora di vedere!» concluse con una risata fragorosa, che a momenti fece cadere la tuba dello zio Grillo.
Quest'ultimo, mentre si sistemava il capello, non esitò ad esporre la sua opinione. «Non credo sia uno spettacolo molto educativo...»
«Però, se vuole diventare un cavaliere con i fiocchi...»
Helios stava ancora provando a trovare il coraggio di dire che lui non voleva essere un Cavaliere, quando, svoltando nel mercato della carne, una signora bassa e grassocia venne loro incontro, quasi ballonzolando. «Yuuu-hu! Signori! Signor Grillo!»
Helios fu certo di aver sentito lo zio Grillo soffocare un gemito esasperato, ma quando si voltò a guardarlo, stava sfoderando il suo solito sorriso gentile, mentre Little John osservava stupefatto la nuova arrivata.
Aveva una zazzera di capelli neri, che, pur corti, le scendevano spesso sugli occhioni scuri. Il naso era piccolo e all'insù e somigliava a una pallina. Era bene in carne- il vestito turchese un po' infantile la faceva sembrare simile ad una piccola mongolfiera- e veramente molto bassa: arrivava a stento alle spalle di Helios.
«Salve, signorina Tilda*2» salutò educato il Grillo. «In cosa posso esservi utile?»
Tilda rispose con delle vigorose strette di mano ai saluti in ritardo di Little John e di Helios, lasciandoli a massaggiarsi stupiti i polpastrelli mentre si piazzava ben davanti a loro, con un enorme sorrisone. «Ho saputo che c'è un altro ballo a corte!» quasi gridò. «Quando si terrà?"
Il Grillo sembrò imbarazzato. «Questo fine settimana...»
«Fantastico! Muoio dalla voglia di gettarmi nelle danze!» Improvvisò qualche passo di danza, sbandando qua e là con delle giravolte e rischiando di far crollare le bancarelle accanto a lei- con sonori gruniti dei venditori. «Vado matta per queste cose!»
Little John ridacchiò sotto i baffi. «Di' un po'» sussurrò ad Helios mentre Tilda si prodigava in un'ultima piroetta, «non ti ricorda Biancaneve?»
La risposta del Prescelto fu coperta da quella del Grillo. «Ecco... mi dispiace doverVelo ripetere, Tilda, è imbarazzante, ma... come dire... non sareste più desiderata ai balli di corte, dopo l'ultima volta...»
Il sorriso spensierato della ragazza sparì per un attimo dal suo volto, per poi ritornare in un battito di ciglia, anche se leggermente più incerto. «Oh, ma non ci saranno più problemi del genere! Croce sul cuore!»
Helios si accigliò, confuso, ma non si azzardò a chiedere nulla, per non sembrare maleducato- e deludere gli zii.
Il Grillo sospirò proprio quando Little John sembrò avere una sorta di rivelazione tale da lasciarlo a fauci aperte. Fissò Tilda con una risata mentre schioccava le dita. «Ora ricordo chi sei! Quella ragazza scatenata della festa di quattro mesi fa!»
«Cosa?» si ritrovò a chiedere Helios, non riuscendo a trattenersi.
L'orso non gli badò, continuando ad esporre le avventure di Tilda mentre il Grillo si batteva disperato una mano sugli occhi. «Massì! La tipa che ha devastato la sala da ballo con le sue mosse improvvisate e che ha rovinato i vestiti di... cos'era, almeno otto principesse?» Little John rise ancora, asciugandosi una lacrima. «Ah, il miglior ballo della mia vita!»
Helios non sapeva a che Ballo si riferisse, non poteva- e non voleva- frequentare tutti quelli che si tenevano a Good- e si appuntò mentalmente di fare qualche ricerca, prima di essere catturato dalla situazione.
Tilda si strinse nelle spalle, il sorriso ora timido come quello di zio Pimpi, mentre il viso raggiungeva velocemente la tonalità di un pomodoro. «Eh, ma può capitare. Insomma, ero veramente molto euforica e forse mi sono lasciata un poco prendere la mano, ma sono una ballerina provetta e...»
«Mi dispiace, Tilda». Il tono assunto dal Grillo era così delicato, che perfino il sorrisone di Little John scomparve. «Ma devo chiederVi di non insistere ulteriormente, sia ora, sia con le Vostre lettere spedite a palazzo. Mi dispiace davvero, ma, vedete, non siete in grado di partecipare a balli tanto delicati e tranquilli come quelli di Corte, è una questione di...»
«Oh, certo» borbottò Tilda, lo sguardo basso e i pugni chiusi. «Certo, ho capito cosa intendete...» tremò di rabbia e quando alzò gli occhi verso dello zio, nessuno poté non notare i suoi occhi lucidi.
La ragazza si pulì il naso con una manica ed indicò il Grillo con un gesto quasi rabbioso. «Tu e tutti gli altri di quel castello volete proibirmi di venirci perché non sono bella come le altre! Ammettetelo! È per questo, vero? Credete che non lo so? Che non capisco quanto sono più brutta? Tutte le Principesse del White Realm sono bellissime, anche Mulan e altre che non lo sono, ma io sono brutta! Lo so! Sono bassa, grassa e brutta! Ma» singhiozzo «ma io ho il mio carattere e non mi comporto come volete per mantenerlo così! E tu e tutti gli altri non mi volete, perché sono diversa dalle Principesse bellissime, non sono stupenda come loro! Ma non è colpa mia!»
Nel mercato ormai era piombato il silenzio e la voce di Tilda rimbombava come un tamburo.
Helios si accorse di avere occhi e bocca spalancati solo quando Little John lo urtò con una zampa per sparpagliare la gente che si era avvicinata, mentre il Grillo, sbattute le ciglia più volte, provava a recuperare la situazione.
Planò dolcemente su una spalla di Tilda, che ora era scossa dai singhiozzi, le mani serrate sul viso grassoccio. «Ma no, non è questo ciò che volevo dire, signorina. E poi sapete che nel White Realm le apparenze non contano, qui tutto e tutti si basano sulla sincerità e l'onestà, valori da sempre alla base di ciascuno di noi, di noi Buoni»
Helios, anche se impegnato ad aiutare Little John, si ritrovò ad ascoltare tutto, anche il mormorio affranto di Tilda.
«A-anche Messer Ichabod e B-Brom Bones p-prima di venire qui avevano p-preferito Katrina Van Tassel a me, perché era bella. Non importava quanto io fossi brava a ballare o a cucinare torte e neanche se lei era solo un'ochetta senza scampo, importava solo che era bella». Tilda afferrò il fazzoletto che il Grillo le aveva porso e lo soffiò sonoramente, rischiando di far volare via lo zio.
«Ma questo accadeva prima di giungere al White Realm, non è vero?» Il Grillo aspettò che Tilda annuisse appena, tirando su col naso, prima di proseguire. «E qui siamo nel White Realm, non potrebbe mai verificarsi qualcosa del genere. Nessuno Vi criticherebbe mai soltanto per il vostro aspetto esteriore: non lo abbiamo mai fatto e mai lo faremo, io per primo, Ve lo assicuro. Siamo i Buoni, e lo siamo per una ragione. Forse questa volta non potrete venire al Ballo, d'accordo, ma seguendo solo dei semplici e brevi corsi di buone maniere tenuti da Madame Prudence*3, potrete tornarci il prima possibile. Se lo desiderate, basta solo che me lo diciate: provvederò io a comunicarlo alla signora e a farVi avere tutte le informazioni». Lo zio Grillo si interruppe per sporgersi un poco verso Tilda, ancora chinata. «D'accordo, signorina?»
Tilda annuì, alzandosi con un lievissimo sorriso, gli occhi gonfi come non mai. Lei e il Grillo si strinsero la mano.
«Avete presto mie notizie, Ve lo assicuro, signorina» aggiunse prima di ritornare sulle spalle di Little John. «A presto!»
L'orso e Helios si unirono ai saluti, avviandosi verso la carrozza, mentre Tilda, alle loro spalle, li osservava sventolando la mano.
«E quella Katrina di cui parlava» chiese Little John, dopo neanche due passi «è la stessa del Ballo dell'altro giorno, quella con l'ombrellino?»
«Proprio lei» confermò il Grillo. «Partecipa spesso ad eventi mondani, credo sia diventata anche piuttosto amica di Aurora o di Charlotte La Bouff, al momento mi sfugge...»
Little John ridacchiò. «Bè, scricciolo» esclamò, regalando una poderosa pacca sulla schiena di Helios, «questa è la conferma di quanto le donne sono complicate!»
E mentre il Grillo ribatteva che dopotutto non era giusto sostenere certi luoghi comuni, ad Helios sembrò strano che ai Buoni non importasse dell'aspetto esteriore, ma delle buone maniere, del bon ton, invece si.
E anche se si sentiva in colpa, perché di certo non doveva essere lui a criticare quello che diceva lo zio, voltandosi di nuovo verso Tilda, si rese conto che anche lei era del suo stesso parere.

L'infermeria del Black Castel non era mai piaciuta a Nerissa. Gli zii dicevano sempre che chi ci finiva era una mammoletta.
Perciò non era raro che chi stava molto male fingesse fischiettando di non avere assolutamente nulla. Certo, le guardie di più basso livello erano un'eccezione, dato che, siccome non potevano permettersi un buon guaritore fuori dal Black Castel, cercavano in tutti i modi di intrufolarsi a rubare qualche medicina. L'infermiera aveva tutti i medicinali più magicissimi e costossimi di tutto il reame, ma era esclusivamente per i Cattivi più potenti, come l'Oligarchia dei Dieci e pochi altri zii. Molte guardie erano finite a lamentarsi nelle prigioni del castello, dopo essere entrate lì senza permesso.
Però rimanere lì era da deboli. Anche se si aveva molte costole in riparazione, un braccio ancora rotto e... e gli incubi dello scontro con Malefica che ogni tanto tornavano...
Però rimanere lì era da deboli. E Nerissa non ne poteva davvero più di stare costretta su quel dannato letto, insieme agli altri "feriti". Fece scivolare schifata lo sguardo sui letti alla sua sinistra, occupati da Nuka- il cui naso, dopo le attenzioni di un lupo particolarmente affamato, era solo peggiorato- e dallo zio Principe Giovanni, reduce di una semplice passeggiata durante un litigio tra Ade e Jafar.
La Prescelta emise un altro verso esasperato. Nuka e il Principe la stavano facendo ammittire con le loro vocette irritanti e lei non poteva nemmeno picchiarli, perché l'avevano legata al letto con una cinghia!
«VOGLIO USCIRE!» urlò con quanto fiato aveva in gola Nerissa, subito seguita dai dei due leoni.
«Du non dei un vedo leode!»
«Biiiis! Questo idiota osa insultare il tuo re!»
«Dcar è il vedo De!»
«Voglio la mamma!»
«Lasciami uscire, inutile e brutto e idiota di un serpente strainutile!» provò ancora Nerissa, armaneggiando inutilmente con la cinghia.
«Basssta!»
Sir Biss, momentaneamente loro infermiere impegnato a trafficare con le medicine dall'altro capo della stanza, si girò verso di loro, probabilmente alle soglie di un crollo nervoso. Nerissa pensò di non aver mai visto un serpente lanciare fulmini dagli occhi.
Non che la spaventasse, eh. Lei non aveva paura di niente!
«Ssse non la piantate, ve ne pentirete presssto!» sibilò irritato Biss, sbattendo con la coda la scatola dei medicinali sul tavolino davanti a loro.
«Di, cerdo» borbottò Nuka.
«Guarda che ho un udito finissssimo!»
Nerissa rise, ma smise quasi subito per via del dolore alle costole. «Ma se non hai le orecchie!»
«Che diffedenza fa alloda tda te e un vedme? Ah! Il leode scemo ha un vedme come aiutande!»
Il Principe Giovanni scattò sul letto a sedere. «Non permetterti di insultarmi, mezza criniera! Guardieeeee!»
L'espressione sul muso di Biss si addolcì con una risatina. «Sono onorato che mi difendiate, mio Principe*4».
«Non rompere, Biss! Guardieeeeee!»
«Dei innamodato?» Nuka scoppiò in una risata folle. «Il vedme è innamodato del leode scemo!»
«Non ti permettere, ssssspelacchiato che non ssssei altro!»
«Guardieeeee! Guardieeeee!»
Nerissa si preparò a mollare uno dei suoi migliori urli spaccatimpani, che però le morì in gola quando si sentì afferrare per un piede. Spalancò gli occhi, con già una sfera di fuoco tra le mani per difendersi e un altro grido ben pronto in gola, quando Lucignolo emerse da sotto il letto con un dito davanti alle labbra. «Sssh!»
«Che cavolo vuoi?» borbottò Nerissa mentre il ragazzino si gettava alla sua sinistra per allentare la cinghia. I due leoni e il serpente continuavano a discutere, ignari.
«Guarda che me la cavo benissimo da sola, brutto idiota!»
Lucignolo alzò la testa dal coltellino che stava usando. «Io ci sono avvezzo a queste cose! Sono grande sai! Quindi ora sta' zitta».
«Come ti permetti?! Orrendo e inutile e idiota e stupido e...»
«Vuoi uscire si o no?»
Prima che potesse rispondere, Lucignolo mozzò con un gesto secco la cinghia. Nerissa diede una veloce occhiata ai deboli accanto a lei, poi scavalcò il ragazzino e si gettò fuori dalla porticina da cui era entrato, sbucando in un corridoio. Lucignolo la raggiunse poco dopo. «Ho ragrumato un poco le coperte, così magari sembra che ti sei addormentata» dichiarò con un sorrisetto furbo. «Adesso cosa facciamo?»
La Prescelta si alzò, stiracchiandosi- le costole diedero in scricchioli poco promettenti. Osservò per un attimo il ragazzino. Ricordava vagamente che un tempo era stato al servizio nei campi di qualcuno fuori dalle mura, perciò lo vedeva soltanto a volte di sfuggita. Le era sempre sembrato parecchio malconcio, ma da quando era stato preso come assistente da Magò aveva iniziato a frequentare di più il Black Castel e quindi a non saltare più troppi pasti.
Si ricordava Lucignolo come un perenne bambino di dieci anni, ma da poco aveva deciso di crescere*5, tanto che adesso potevano quasi avere la stessa età.
«È stata zia Magò a dirti di spezzare quella cinghia bastada?» chiese sospettosa, aggrottando le sopracciglia.
Lucignolo sorrise ancora. «No! È tutto un mio piano!»
Nerissa assotigliò gli occhi. Se quell'idiota lo aveva fatto, voleva dire che era molto molto molto stupido sia per cadere così nella furia degli zii, sia per sperare in un favore da lei. «Bè, non mi importa se il piano è tuo o no. Io me ne vado» decise, iniziando ad allontanarsi.
Non le piaceva essere in debito con qualcuno e nemmeno quella strana e brutta sensazione di dover dire qualcosa, di dover essere riconoscente... bleah. Meglio non pensarci e pianificare bene cosa fare. Zoppicò nel corridoio di destra, ma il ragazzino la raggiunse subito, petulante.
«Ma io ti ho aiutat-»
«Nessuno te lo aveva chiesto».
Lucignolo la affiancò e iniziò ad accendersi quello che sembrava un sigaro di corteccia. «Certo. E quindi vuoi farmi credere di andare in giro così da sola per il castello? Umpf, non sei neanche in grado di stare in pied-...»
Nerissa perse la pazienza: afferrò il ragazzino per la giacchetta e lo sbattè forte contro il muro.
Il dolore per lo sforzo le mozzò per un attimo il fiato, ma si sentì meglio osservando impallidire il mocciosetto, che si era tutto accuciato. «Anche se sto male, ho fatto comunque tantissime lezioni e credo di ricordarmi benissimo l'incantesimo per tramutarti in un lama schifoso. Quindi o mi dici che diavolo vuoi, o te la squagli. Capito, idiota?»
Inaspettatamente, Lucignolo sorrise. Un sorriso, se possibile, ancora più strano dei suoi precedenti. Un sorriso che male contrastava con il luccichio dei suoi occhi neri.
«Non voglio niente da te» mormorò tra i denti. «Mi hai già mostrato abbastanza come garanzia».
«Garanzia di cosa?»
Lucignolo ridacchiò, facendola irritare ancora di più. «Dimmelo!»
Il mocciosetto si strinse nelle spalle, recuperando il sigaro che gli era scivolato a terra. «Era soltanto per vedere se sei forte».
La Prescelta si allontanò con uno sbuffo. «Certo che sono forte. Io sono la più forte!» sottolineò. Non poteva credere che un mocciosetto avesse perso così tanto tempo per scoprire una cosa così ovvia. «E se tu non lo sai, sei proprio un'idiota» aggiunse, ricominciando a camminare.
Forse sarebbe dovuta rimanere in infermeria, dato che le costole si lamentavano ad ogni passo, costringendola a trascinare i piedi, ma non aveva intenzione di essere trattata come una debole. Lei era la più forte, con tutte le lezioni degli zii era perfetta.
«Dov'è che stai andando?» la raggiunse Lucignolo con una facilità di ripresa che le strinse lo stomaco per la rabbia.
«Affari miei, stupido inutile».
Non le sfuggì il mezzo ghigno del mocciosetto. Di sicuro per essere così insistente doveva volere qualcos'altro. Nessun problema: lo avrebbe picchiato ancora più forte, se avesse provato a romperle ancora.
A quanto pareva, quello stupido di Lucignolo non imparava mai.

Helios aveva iniziato da poco più che due anni le lezioni con gli zii. Ovviamente se non si consideravano quelle avute con lo zio Grillo, zio Merlino e altri sin dai sei anni per imparare a leggere, scrivere e a fare i calcoli. Le nuove lezioni non erano brutte- alcune, a dire il vero, proprio non gli piacevano, però cercava lo stesso di sorridere ogni volta che le aveva e di dimostrarsi lo stesso felice.
Era importante che gli zii non si preoccupassero troppo per lui, perché... ogni volta che lo facevano, Helios si sentiva sempre un po' in colpa e un po' diverso...
Quella lezione però era divertente. Si era sentito un poco... scocciato (?) quando gli zii gliel'avevano programmata all'ultimo minuto in vista della festa di compleanno di Audrey Ramirez- la stessa per cui, una settimana prima, era andato con lo zio a comprare la stoffa- ma se ne era pentito.
Dopotutto, non era davvero così male.
Sospirò ed alzò la testa dai libri che stava spolverando per dare un'altra occhiata alla stanza dall'alto della scala su cui si era arrampicato.
L'enorme biblioteca del White Castel era simile a quella del French Palace, il castello di Belle e Adam, ma almeno cinque volte più grande. Scaffali su scaffali di libri si susseguivano alternati da divanetti, poltroncine e comfort di ogni tipo.
Sotto agli occhi del Prescelto, zio Lumière e zio Tockins gestivano un gruppo di piumini animati per pulire l'area ovest della sala, mentre, dall'altro lato, Biancaneve puliva le grandi vetrate insieme a Bambi, Tamburino e un bel fornito gruppo di altri animali.
Sotto di loro, Rapunzel spazzava danzando insieme a Tiana e a Maximus, con sugli zoccoli ben attaccati delle piccole scopette.
«Continua così, Helios tesoro» lo incoraggiò qualche piano sopra di lui Cenerentola con un sorriso, che il Prescelto contraccambiò sincero, agitando il suo piumino.
Gli piaceva tenere tutto ben in ordine e pulire. Era più facile pensare, così...
«Finalmente siete arrivati!» gridò entusiasta Rapunzel quando la porta più vicino a loro si aprì, permettendo l'ingresso a Flynn, al principe Filippo ed ad Eric.
«Siamo qui, biondina, puoi stare tranquil- Ah» Flynn osservò un poco deluso lo sbattipanni che la sua fidanzata gli aveva scaricato in mano. «Era per questo che ti serviva aiuto, allora?»
«E per cos'altro altrimenti?» si intromise Tiana alzando un sopracciglio. «Perfino Naveen sta dando una mano in sala da ballo».
Flynn scosse la testa con finta aria affranta. «Infrangete così le mie speranze in un domani migliore» dichiarò prima di diregersi dalle parti di Biancaneve per pulire le tende.
Eric e Filippo stavano per iniziare di malavoglia rispettivamente a passare il moccio sul pavimento e a pulire i vari divanetti, quando lo sguardo del secondo si spostò e si fermò su Helios, molto preso dal suo compito.
«Ma... e lui che ci fa qui?»
Rapunzel gli arrivò accanto con una giravolta, rischiando di inciampare nei suoi capelli infiniti. «Pulisce, Principe Filippo».
Filippo si accigliò. «Ma non imparerà mai così a diventare un cavaliere! Gli servono lezioni di spada e...»
«Scusa, Filippo, ma tu passavi il tempo nei boschi a cavalcare. E a cantare» sottolineò Tiana, già abbastanza irritata dal ritardo che stava subendo il suo programma a causa di certe chiacchiere inutili. La festa di Audrey, che era diventata sua amica dopo averle riparato le caldaie del suo locale, sarebbe stata quella sera stessa e tutto doveva essere perfetto.
Eric tramutò velocemente la sua risata in un colpo di tosse sotto l'occhiata accusatoria di Filippo. «Ehm... però devi ammettere che ha ragione».
«Si, ma Helios non dovrebbe svolgere mansioni del genere. E nemmeno noi».
Rapunzel smise di ballare con un tonfo e si avvicinò a Tiana, che aveva minacciosamente incrociato le braccia. Perfino Helios, dall'alto della sua scala, sentì la tensione crescere e spolverò il più velocemente possibile per non essere costretto a schierarsi.
«Perché, per te certi lavori chi li dovrebbe fare, scusa?» chiese Rapunzel, il tono giocoso scomparso all'improvviso.
«Forse la servitù, no?»
«Credo che tu intendessi tutt'altro, Filippo» sbottò Tiana. «È ora di uscire da questa dannata mentalità medievale».
«Ma io sono cresciuto nel Medioevo, perciò è normale che magari pensi che alcune cose siano più adatte agli uomini e altre alle d-»
Il principe si bloccò, insicuro sotto gli sguardi fulminanti delle due Principesse. Si voltò alla ricerca del supporto di Flynn- che, impegnato a pulire, gli regalò un'occhiata stranamente severa- per poi ripiegare in quello di Eric. Quest'ultimo si strinse nelle spalle. «Se proprio devo schierarmi, hanno ragione loro, Filippo. Sarai anche cresciuto lì, ma ormai queste concezioni qui a Phentesia sono più che superate, come è anche giusto».
«Sarebbe anche ora che ti rendessi utile» dichiarò Tiana, riprendendo a pulire.
Tutti gli altri la imitarono, ma non ci volle molto prima che Filippo ricominciasse. «Comunque, il fatto che tutti voi la pensiate così, non significa che sia vero e non cambia la mia opinione. Penso che ci siano dei compiti ben precisi sia per gli uomini, sia per le donne e che bisognerebbe distinguere le due cose nelle lezioni da impartire ad Helios».
Tiana poggiò malamente la sua scopa per riprendere a combattere, ma fu preceduta da Rapunzel, che sfrecciò come un fulmine davanti a lei. «Adesso ascoltami, Filippo. Io non ho mai avuto nulla da ridire su nessuno, in questo castello: ma sono cresciuta in una torre, a cucinare, disegnare, leggere e cantare. E per quanto queste cose possano piacermi, quando sono uscita dalla torre, ho scoperto un mondo di nuove esperienze. E ho scoperto che non esistono cose da maschi e cose da femmine: esistono soltanto migliaia di lavori e di passioni e milioni di lavoratori e di appassionati, non importa il loro genere. E Audrey dovrebbe essere un esempio».
Filippo fissò intensamente la principessa, come se stesse metabolizzando ciò che aveva detto e verificando se poteva anche solo considerarla. Dopo quelli che parvero attimi eterni, distolse lo sguardo e ricominciò a pulire.
Rapunzel emise un breve sospiro soddisfatto, battè il cinque con Eric e, dopo aver scambiato un sorriso con Tiana e un'occhiata con Flynn, riprese a spazzare canticchiando.
Cenerentola, che si era bloccata ad osservare, riprese a spolverare, senza dimenticare di rincuorare Helios. «Questi confronti sono del tutto necessari, Helios, ma non ti preoccupare, non finiscono mai male».
Il Prescelto le sorrise, anche se principalmente per alleviare la sua preoccupazione, e proseguì nel suo compito. La sua testa però era persa in altro. Aveva dato ragione a Rapunzel riguardo a quella discussione- anche se un poco faticava a vedere una principessa con una spada, ma gli si era affacciata in testa un'altra domanda. Perché doveva prendere quelle lezioni? Se era naturale seguire le proprie passioni o svolgere diversi lavori, perché lui doveva per forza diventare un cavaliere?

Nerissa aveva trovato un suo passo che le consentiva di zoppicare con un dolore quasi sopportabile. Certo, le sembrava ancora che le costole esprimessero continuamente il loro disappunto e le veniva quasi la nausea, ma l'importante era non stare ancora in infermeria.
In qualche modo, era riuscita a scivolare nel corridoio dove un tempo aveva avuto le lezioni con zia Tremayne. Stando da quelle parti, ricordi sfocati le si affacciavano di tanto in tanto in mente, ricordi non facili da definire.
Si riscosse, scuotendo la testa. Il suo obiettivo era trovare una stanzetta in cui stare da sola ad elaborare un piano più preciso prima che qualche zio la trascinasse di nuovo da Biss. E aveva già in mente dove rifugiarsi. Nei suoi ricordi di due anni prima, era molto difficile riuscire a capire davvero perché non viveva più sulla Jolly Rogers- forse qualcosa che c'entrava con una notte nera nera e con degli alberi scheletrici e.. con delle tombe... ma non ricordava, quelle immagini non riuscivano ad uscire dalla nebbia. Però ricordava bene, bene davvero, come se ne era andata dal castello, calandosi giù con una corda da una stanzetta, una specie di piccola biblioteca, chiusa a chiave. Se gli zii avevano continuato ad evitarla, allora quella stanza era davvero l'ideale.
Zoppicando, Nerissa oltrepassò la sala dove aveva avuto quelle stupidissime lezioni, svoltò a sinistra e poi a destra in un altro corridoio, e si fermò, un poco incerta. Avanzò di qualche passo stentato e poi, scrollando le spalle, si diresse a fatica sulla prima porta a destra. Era aperta- cattivo segno- ed aveva finestre alte e pareti spoglie. Passò a quella davanti, e la trovò chiusa.
Quello era un buon segno. Sorrise. Avrebbe potuto aprire la porta con un calcio, ma le costole le avrebbero fatto di sicuro malissimissimo. Che cosa aveva usato la volta prima...?
Bah, non importava. Afferrò una delle forcine che zia Crudelia continuava ad inculcarle nei capelli e scassinò la serratura. La porta si aprì con un cigolio e Nerissa zoppicò dentro. Crollò su una poltrona e si portò le mani alla testa, per aiutarsi a pensare.
Ora doveva trovare un modo per non finire ancora in quella schifossisima e inutile infermeria... sbuffò e lo sguardo le scivolò sulla libreria affianco a lei. I volumi polverosi e malridotti erano accumulati a casaccio, alcuni perfino a formare strani triangoli.
Nerissa fece leva con il braccio per alzarsi quanto bastava ad afferrarne uno. La. copertina stropicciata sembrava essere stata bagnata più volte, ma si riusciva comunque a leggere il titolo, "Le avventure di Jane".
Alzò un sopracciglio e iniziò a sfogliare le pagine. Una bambina disegnata correva, camminava e saltava, con tanto di didascalia sopra. Che cosa stupida. Chi poteva essere così cretino da aver bisogno di un disegno per capire cosa c'era scritto?
Forse in quella stanza gli zii tenevano tutti i libri più inutili e da idioti e non volevano che lei diventasse come quella Jane...
Girò ancora le pagine consuete.
Jane mangia una mela.
Jane legge.
Jane gioca con il gatto.
Jane abbraccia la mamma.
Jane salta la cor...
Nerissa tornò con uno scatto alla pagina precedente. Jane abbraccia la mamma.
Mamma?
Perché Jane doveva avere una mamma? Gli unici ad avere una mamma nel Black Castel erano Genoveffa e Nuka, e loro non erano bambini... perché quella mocciosa lì disegnata si? Forse era un'invenzione? Una cosa stupida da scrivere su un libro per idioti?
C'era qualcosa che a Nerissa non tornava.
Si alzò dalla poltrona sollevando una nube di polvere ed afferrò un altro libro, "Hansel e Gretel". Sfogliò le prime pagine, con un sacco di parole tutte attaccate a grandi disegni scoloriti.
C'erano una volta due fratellini di nome Hansel e Gretel, che abitavano in una casina vicino al bosco. La mamma e il papà erano molto poveri.
Nerissa si fermò di botto. La mamma e il papà?
E che diamine erano? Perché quei due cavolo di mocciosi non crescevano con gli zii? E perché anche Genoveffa e Nuka avevano una mamma?
Principessa bastada, Nuka aveva anche un papà, Scar!
Perché non avevano degli zii, come lei?
Nerissa gettò a terra il libro e ne afferrò un terzo, le mani che avevano iniziato a tremare senza motivo. "Le prime fiabe del mondo", recitava il titolo.
C'erano una volta il re e la regina di Vallermosa che avevano tre figlie belle come gioielli, Velia, Virginia e Viola, amate follemente dai tre figli del re e della regina di Colleferro.
Perché quelle tre stupide principesse vivevano con solo due persone? Erano i loro genitori? Ma perché vivevano con i loro genitori e non con i loro zii?
Lei lo faceva, e lei era perfetta e quindi ciò che faceva era sempre giusto!
Il respiro le si stava facendo sempre più tremulo ed indeciso. Il terzo libro minacciò più volte di caderle dalle mani mentre continuava a leggere di mocciosi con mamma e papà, con due genitori, con madre e padre.
«Che stai facendo?»
Nerissa alzò appena la testa e riuscì a scorgere, con gli occhi ormai appannati, Lucignolo sulla soglia.
«Vattene!» gridò, quasi facendosi male alla gola. Afferrò a fatica i libri e corse, con la gamba e le costole che urlavano per il dolore, fuori dalla stanza, scansando malamente il moccioso.
Lucignolo forse provò a chiamarla e forse la inseguì, ma lei riuscì a respingerlo, evocando sfere di fuoco. Scese le scale, il vomito incastrato in gola, ed arrivò ansante in una delle sale da pranzo del Castello, spalancando la porta.
«E tu che ci fai qui?» Zia Grimilde era regalmente seduta al tavolo, sbocconcellando quelle che parevano ciliegie.
Nerissa riuscì a malapena a riconoscerla, gli occhi troppo appannati- ma di cosa?
Gettò malamente i libri sul tavolo, appena prima che la nausea prendesse il sopravvento e la costringesse a piegarsi in due. Stringendosi lo stomaco dilaniato, vomitò rimasugli di medicine e sangue al lato del tavolo.
Zia Grimilde non si mosse, ma il suo volto perfetto fu attraversato da una smorfia. «Molto appropriato, Nerissa. Vuoi spiegarmi perché sei fuori dall'infermeria e cosa sono questi? Hai interrotto la mia degustazione di inizio pomeriggio».
La Prescelta si alzò a fatica, aggrappandosi al tavolo. «Devi dirmi» iniziò, la voce impastata, «che diamine sono questi».
Aprì il libro di Hansel e Gretel all'ultima pagina, con il grande disegno dei due mocciosi e dei due adulti, di quei soli due adulti abbracciati, e lo fece scivolare sul tavolo fino alla zia. Grimilde lo afferrò con un gesto secco, rifirandogli un'occhiata poco interessata.
«Non credevo fossi così tarda, ragazzina. Sono due -umpf- genitori insieme ai loro marmocchi».
«Lo so!» urlò Nerissa, con tanta intensità che dalle punta delle dita fuoriuscirono fumetti neri. «Ma io non ce li ho! Perché non ho i genitori? Perché vivo con tanti zii e quei due mocciosi no?»
La regina alzò lo sguardo, incrociando gli occhi di Nerissa nei suoi, simili a freddi smeraldi inespressivi. «Non ti deve importare».
«E invece si!» Le sue urla erano in netto contrasto con il tono noncurante della zia. «E perché devo allenarmi così tanto? A cosa mi serve? I mocciosi in questi libri giocano! E hanno due gem... genitori, non tanti zii! Perché?!»
Zia Grimilde si alzò, torreggiando sul tavolo e su Nerissa. Sarebbe sembrata quasi una statua, se non fosse stato per quel vago luccichio neI suoi occhi. «Tu devi allenarti. Lo devi fare e basta. La tua educazione non si basa sul farsi domande sciocche ed inutili! Devi imparare ad uccidere, perché il tuo destino e la tua stessa vita si basano sul combattere e sul distruggere!»
«Ma perché?» urlò Nerissa, le unghie incavate nei polsi fino a sanguinare. «A cosa mi servirà? E perché non sono come quei mocciosi?»
«Perché tu, TU sei la Prescelta di questo reame e perciò dovrai uccidere, distruggere il tuo opposto, un odioso ragazzino allevato dal reame qui accanto! Così noi, tutti noi Malvagi, potremmo finalmente avere il nostro lieto fine!» La regina sbattè per un attimo le palpebre, prima di alzare appena le curatissime sopracciglia. «D'altronde, è per questo che io e gli altri ti abbiamo allevata».
Nerissa non sentì nient'altro. Non sentì cos'altro disse Lucignolo, appena entrato nella sala insieme ad Ade, Magò e Ursula. Non sentì nulla e le sembrò di vivere in un mondo lontano, in un altro, mentre il suo andava in frantumi come uno specchio. Non sentì nemmeno i suoi passi mentre correva fuori dalla stanza, né vide gli sguardi degli zii.
Non vide né sentì più niente. Nella sua mente scintillava un nuovo, ma insieme vecchio, obiettivo.
Scappare.

Solitamente Helios visitava anche abbastaza spesso l'ala nordest del White Castel. Era lì che si trovavano tutti gli uffici amministratatattavi -era così che si diceva?- del regno e molte volte zio Grillo lo portava a vedere come si governava al meglio, cioè con molte riunioni democratiche e tante leggi. Però non andava mai troppo spesso nelle stanze nel corridoio della Grande Luce, un largo porticato con enormi finestre che davano sul cortile principale del castello. Era il corridoio con le stanze di molti dei consiglieri fissi del governo o degli ospiti che dovevano partecipare a molte riunioni. Era lì che si trovava l'alloggio di zio Topolino.
Helios non era mai stato a trovarlo nella sua camera e, mentre attendeva alla porta dopo aver bussato- chissà da dove aveva tirato fuori tutto quel coraggio, rifletteva se fosse stata davvero una buona idea.
Non ebbe altro tempo di indugiare quando lo zio gli aprì la porta. «Helios!» esclamò, attuendo l'espressione un poco stanca del suo viso. «Come mai qui?»
Si spostò di lato per farlo passare, lasciando la porta socchiusa. «D-disturbo?» chiese timidamente il Prescelto quasi vergognandosi di essere piombato lì senza alcun preavviso, in barba a tutto ciò che gli aveva insegnato lo zio Grillo.
«Ma no, ma no, figurati. Solo che tra poco devo raggiungere Paperino dall'altra parte del castello, ti dispiace accompagnarmi? O se preferisci possiamo parlare ora e anche più tardi» disse mentre indossava una giacchetta verde.
«Ecco... forse preferirei accompagnarti, così non ti disturbo oltre...» mormorò Helios, incerto.
Topolino lo fissò inclinando il capo di lato. «Va bene, ma prima vorresti qualcosa da bere?» Dopo che il Prescelto ebbe a malapena annuito, lo zio trabaccò un poco con alcune bottigliette di Linfazzurra e Spremuta d'Ortensia nel tavolino davanti a lui. «Ti hanno mandato a chiamarmi per qualche problema?» domandò porgendogli un bicchiere di spremuta, la sua preferita.
«Veramente...» lo sguardo incoraggiante dello zio lo tranquillizzò al punto da essere davvero sincero. «Veramente no. Volevo chiederti una cosa».
«Usciamo un attimo e mi dici, Helios».
Il Prescelto finì con un sorso la spremuta, appoggiò il bicchiere sul tavolino e seguì lo zio fuori dalla porta. Iniziarono a camminare, osservando il paesaggio dolce dei giardini illuminati dal sole e dall'allegria degli abitanti del castello.
Helios prese un sospiro tremante prima di iniziare. «Io... oggi in biblioteca Filippo si è messo a discutere con Tiana e Rapunzel delle cose adatte alle ragazze e di quelle adatte ai ragazzi, ma io... non capisco molto bene questa cosa delle lezioni che devo fare. Molte sono... sono cose nuove, che gli altri non fanno, come Magia Bianca, Scherma o Equitazione. Io ho capito che servono ad aiutarmi a diventare un buon cavaliere, ma, ecco, visto che dicevano che ognuno può scegliere il proprio destino, io volevo solo chiederti se... se io lo dovessi proprio fare, ecco». Il tono di voce era scivolato lentamente in un mormorio.
Helios, sentendo lo sguardo dello zio, abbassò il capo, colpevole di quanto detto. Ma quando lo rialzò dall'osservare le pietre ordinate del pavimento, incrociò il sorriso di zio Topolino sulle sue labbra e sui suoi occhi. «Gli altri potrebbero arrabbiarsi con me se te lo dicessi, ma è normale che tu senta queste sensazioni e, bè, sono felice che le provi, Helios. Significa che hai una tua testa e delle tue emozioni. Come mi disse tempo fa Merlino, di fronte ad una certa profezia, è positivo provare emozioni, qualunque esse siano, perché ci conferma che siamo vivi, che siamo umani».
Helios cercò di metabolizzare al meglio ciò che lo zio gli aveva appena confidato. «Perciò... se m-mi dici questo, perché gli altri zii vogliono che io diventi un cavaliere?»
Lo zio sospirò e la sua espressione si fece prudente, quasi timorosa. «Ecco... non so se posso dirtelo, Helios. Sarebbe giusto che ne sapessi il motivo, ma... potrebbe andare contro alcune regole...»
Per un attimo scese tra loro il silenzio, spezzettato soltanto dalle voci fuori allegre nel cortile. Ad Helios sembrava quasi di vivere in un altro mondo, una bolla dentro un oceano di cose che non conosceva, di regole - e forse... forse segreti?- che il White Realm continuava ad elaborare per garantire a tutti la felicità. E a lui il destino di cavaliere.
«Sai perché ti chiamano "Prescelto" a volte, quando credono che non li ascolti?» chiese Topolino. Helios scosse la testa, ora di nuovo insicuro. Voleva davvero conoscerne il motivo?
«L'altra sera ho parlato con il Consiglio, Helios, e abbiamo deciso che, quando fosse stato il momento più opportuno, tutto ti sarebbe stato rivelato. Non voglio convocarlo nuovamente, perché la cosa riguarda solo te e, oltre alle regole del nostro reame, ce ne sono altre di molto più umane, a mio parere, da seguire».
Topolino osservò una i fiori di un Linfaspillo cresciuto sul bordo di una finestra prima di riprendere il suo discorso. «Anni fa, il nostro regno era molto più grande ed era solo Phentesia. Solo più tardi, dopo centinaia di conflitti, venne diviso in White Realm e...Black Realm. Nel nostro reame furono ammessi tutti coloro che si erano dimostrati Buoni, puri di cuore. Leali, ecco. Ma nell'altro... furono esiliati i nostri opposti, i Malvagi. I due reami furono separati da alte barriere magiche e fisiche e di loro non si seppe più molto. Qui tutto sembrava andare per il meglio, tutti erano felici e contenti, con un governo stabile e democratico.
Forse andava fin troppo bene... perché ad un tratto, circa dodici anni fa, i Malvagi ritornarono nel nostro reame, esigendo un tributo di sangue.
Volevano scatenare un'altra guerra, un conflitto inutile dato che il Fato di Phentesia decreta sempre la vittoria di noi Buoni... è qualcosa al di sopra di noi, una sorta di divinità che alcuni chiamano "Fenice"... ma non si è certi della sua esistenza quanto lo si è delle regole del Fato. Comunque ai Malvagi non importava nulla del Fato. Non so perché, forse il loro obiettivo era soltanto causarci più perdite possibili, forse avevano un altro piano... non saprei dirlo.
Grazie ad un suggerimento, riuscii a scongiurare quella guerra, con una sorta di contratto. Un contratto di cui... bè, di cui tu fai parte, quasi ingiustamente.
Si decise di prelevare da un mondo non soggetto al Fato due bambini».
Topolino fissò negli occhi Helios, che si sentì come trapassato da parte a parte.
«Ti chiamano "Prescelto", Helios, perché sei uno di quei bambini, sei destinato a scontrarti con Nerissa, la Prescelta del Black Realm, per decretare chi possa veramente governare e vivere felice a Phentesia».
Il silenzio li avvolse di nuovo, mentre la testa di Helios riusciva pian piano a far combaciare tutti i sospetti e quel trattamento speciale ricevuti in quegli anni passati a cercare di essere non migliore, ma buono come gli altri.
Nonostante il suo impegno, non ci era riuscito. Alla fine, era davvero diverso dagli altri.
Era il Prescelto.

Nerissa scese lentamente dal cavallo, cercando di reggersi come poteva al suo groppone. Le costole scricchiolarono minacciando di farla di nuovo vomitare e per poco non scivolò a terra.
Il cavallo, un "incubo purosangue" che zio Ade le aveva portato da un viaggio di due anni prima, e che avevano chiamato Taeter, la guardò storto, nitrendo come se stesse sghignazzando.
Nerissa lo avrebbe volentieri picchiato, se non si fosse sentita così... svuotata.
Intimò a Taeter di aspettarla lì e arrancò come meglio poteva verso il suo obiettivo.
Lo stridere dei gabbiani e il frusciare costante delle onde la accompagnò in ogni passo fino al pontile della Jolly Rogers. Non sapeva nemmeno perché si fosse ritirata lì...
Tentò un passo malfermo sulla passerella che portava al ponte della nave, prima di essere fermata da Denteduro, un grosso pirata tatuato. «Che ci fai qui, ragazzina?» rise afferrandola per le spalle.
«Dov'è Spugna?» chiese Nerissa ritornando un poco in sé grazie al forte fumo verdastro che il pirata le aveva sbuffato nelle narici.
Denteduro scoppiò in una risata sguaiata, che si diffuse ben presto tra i pirati che li avevano accerchiati. «Spugna? Chiedi dov'è Spugna?»
Nerissa strinse la mano in un pugno, sentendo una sfera di fuoco infuocarle il polso. «Dimmi dov'è Spugna. Deve annunciarmi allo zio».
«Ma allora tu sei Nerissa!» gridò Denteduro con un'altra risata. Molti altri pirati lo imitarono, anche se alcuni si scambiarono certe occhiate fin troppo eloquenti. «A me non è mai piaciuta, neanche se è la Prescelta!» dichiarò Fulvo, un piccoletto dal cappello enorme.
«Ha portato tanti guai, è vero» tuonò un omone africano. «Spero che almeno ne valga la pena per quello che è stata addestrata!»
Nerissa non ci vide più. Gridò.
Gridò come mai aveva fatto prima d'allora, un grido fortissimo, un qualcosa che proveniva da dentro di lei.
Quando si fermò, ansante, il legno intorno a lei era annerito, bruciato. Le braccia di Denteduro erano ustionate.
«Dov'è. Spugna.» ripetè fronteggiando i pirati ammutoliti- e trattenendo a stento un conato di vomito.
«Non te lo ricordi, mocciosa?» chiese una voce alle sue spalle.
Nerissa si voltò di scatto. Zio Uncino era sulla soglia della sua- forse un tempo... loro?- cabina, il mantello rosso sangue alzato di tanto in tanto dal vento insieme ai capelli. Tirò una boccata dal sigaro a due canne che teneva nella mano. «Spugna è morto due anni fa».
Qualcosa si ruppe nella mente di Nerissa. Qualcosa di forte. Sentì distintamente un crack.
E dopo quel crack... le immagini. Urla e sangue di una notte che le avevano fatto dimenticare con la forza.
La Foresta Proibita, il Cavaliere senza Testa, la risata, le tombe, le lapidi, le urla, la sciabola, la corsa, il terrore, la paura, il ponte, la salvezza, la caduta. Il sangue sul selciato. La testa tracciata.
La vita spezzata. Spugna.
Spugna morto. Spugna.
Morto.
Nerissa non si rese conto di aver ricominciato ad urlare fino a quando non crollò sul ponte, con le braccia e il corpo che tremavano e non rispondevano al suo controllo, con i polmoni che esplodevano e chiedevano aria, il cuore che fracassava il petto e le costole che urlavano insieme a lui.
Si sentì afferrata, si divincolò, la gola che bruciava, strinse gli occhi e cercò di liberarsi con del fuoco. Ma le mani si muovevano da sole, tremavano, non rispondevano.
Gli scossoni aumentavano sempre più, insieme al respiro mozzato che Nerissa sentiva invaderle le orecchie. Ogni tanto qualche grido squarciava l'aria e lei non capiva se fosse o meno la sua voce.
Poi, pian piano, lentamente, come tutto era iniziato, tutto finì.
Gli scossoni delle mani si fecero meno nervosi, passando da spasmi a tremori. Il respiro si fece più calmo, anche se comunque irregolare.
Quando Nerissa riuscì a mettere bene a fuoco gli occhi, si ritrovò distesa su quello che pareva un materasso. Si rizzò di scatto a sedere. Mossa sbagliata, la nausea la investì come un treno.
Si piegò, trattenendo un conato.
«Cerca di evitare di vomitarmi sul letto, mocciosa. L'hai già fatto fin troppe altre volte in passato». Uncino era seduto dietro la sua scrivania, intento a controllare chissà quali carte nautiche, come se tutto fosse normale.
«C-che diamine è successo?» Nerissa non aveva mai sentito la propria voce così debole. Si fece quasi schifo e per dimostrare che era forte, si sedette comunque, cercando di trattenere i conati in gola.
Lo zio alzò lo sguardo per incrociare i suoi occhi. «Dimmelo tu».
«Non sono in vena di parlare con pirati» ringhiò.
«E se "non sei in vena", perché sei venuta qui?»
Nerissa fece scivolare lo sguardo sul mare che si intravedeva dalla finestra accanto al letto. «Spugna è... davvero...?»
«Si».
Nerissa sentì a malapena lo stridere leggero della sedia di Uncino. «Eri presente. È successo davanti a noi...»
La Prescelta si portò le mani alla testa, quasi per spremerla nel tentativo di capire perché quel ricordo non fosse rimasto nella sua testa. Perché nella sua testa Spugna era vivo e parlava e cantava e camminava e... e perché non poteva farlo anche lì? Perché non poteva essere vivo?
Il Capitano si era avvicinato. Non sembrava arrabbiato come speso era quando Nerissa viveva nella nave. Sembrava soltanto stanco. «Perché sei qui?»
«Cosa?» chiese presa in contropiede.
«Perché sei tornata qui? Gli altri avevano- Malefica aveva decretato che non saresti più tornata alla Jolly Rogers, mocciosa».
Gli occhi tornarono ad appannarsi mentre pensava ai libri trovati in quella stupida stanza e alle parole di quella idiota di zia Grimilde. «Non lo so. Io... seguo il mio istinto».
«Complimenti. Un istinto decisamente azzeccato».
«Sai che c'è?» sbottò Nerissa, la rabbia che divampava di nuovo in lei come un piccolo fuoco. «C'è che sono venuta qua perché ho scoperto che non sono perfetta! Me lo avete detto per tutta la vita! E invece no, esistono ragazzini che vivono con soli due adulti, due gem... due genitori! Mi avete tutti mentito! E voi- tu, Spugna e tutti gli altri zii- mi avete allevato solo per farmi imparare ad uccidere un altro moccioso! Voi non mi avete mai voluto! Tutto ciò che io pensavo mi insegnaste per rendermi perfetta, per il mio bene, lo facevate soltanto per voi! Per farmi uccidere quel moccioso!»
Nerissa si bloccò per un attimo, il respiro ansante per il fiume di parole che la sua bocca aveva vomitato. «La verità» urlò ancora con rabbia «è che non vi importa nulla di me!»
Sfidò con lo sguardo il Capitano, fermo a pochi passi da lei, e solo per la difficoltà di metterlo a fuoco si rese conto di stare piangendo. Si asciugò le lacrime con un gesto furioso, facendosi quasi male agli occhi, ed osservò l'espressione ancora vacua di Uncino con un ghigno che sapeva essere triste. «Il mio istinto, come vedi, è azzeccato. Ho scoperto la verità, vero?»
«Nerissa...»
«L'HO SCOPERTA, VERO?»
Uncino sospirò, sbuffando un altro alone di fumo. Si avvicinò alla finestra, un:espressione accigliata, quasi indecifrabile sul volto. Si morse le labbra e arricciò quello superiore prima di parlare, quasi a fatica. «All'inizio. Si, all'inizio era così. Non importava nulla a nessuno. Eri la nostra arma, anche se eri- se sei- una mocciosa».
Nerissa sentì le spalle crollarle e il tremore alle mani aumentò visibilmente.
«Ma...» stava continuando il Capitano.
«"Ma" un bel corno! Se non vi importa nulla di me...»
«Fammi finire, mocciosa!» scattò lo zio, fissandola torvo. Sospirò ancora. «Sta' zitta e non interrompermi. È già abbastanza difficile di per sé...»
La Prescelta chinò suo malgrado il capo, nei denti stretta un'imprecazione. Si accorse solo allora di quanto fosse stanca morta.
«Io... non ne sono certo» riprese il Capitano, sempre fissando il mare. «Ma... qualcuno potrebbe provare dei sentimenti, un attaccamento... chiamalo positivo, per te...»
A Nerissa non bastava. «Qualcuno chi?» Lo chiese in un bisbiglio stavolta, ma quasi non si vergognò di mostrarsi debole. Lei... aveva bisogno davvero di risposte. «C'è davvero qualcuno, zio?»
Uncino si voltò a guardarla, a guardarla sul serio, incrociando i suoi occhi. Qualcosa si muoveva dentro di lui. Mosse appena la testa. «Si» ammise anche lui piano. «Si, c'è davvero qualcuno».
Nerissa sbattè le palpebre, una, due, tre volte. Si sentiva più leggera, anche se le costole scricchiolavano ancora e lo stomaco le faceva male per la nausea. Avrebbe voluto fare altre domande, chiedere chi diamine fosse, ma era... era stanca.
Forse fu proprio per quella patetica stanchezza che, mentre iniziava a scivolare, lo zio la afferrò quasi automaticamente in una strana stretta, troppo vicina al petto. Sembrava... sembrava quasi uno dei gesti che gli altri zii avevano sempre disprezzato tantissimo. Quello che chiamavano abbraccio.
Forse anche zio Uncino se ne era reso conto, perché la lasciò subito- ma non prima che Nerissa sentisse il suo odore di mare, si allontanò verso un mobiletto della cabina e tornò poco dopo con una boccetta. «Bevi questo intruglio guaritore di Yzma e poi torna al Black Castel, mocciosa. Immagino tu abbia già un tuo mezzo».
Nerissa afferrò la pozione regalandole uno sguardo disgustato. «Che schifo» dichiarò annusandola. Sapeva decisamente da uova marce e muschio ammuffito.
«Bevila senza tante storie e vattene al castello, ragazzina» le intimò lo zio, costringendola con un cenno a bere. «Io ti raggiungerò presto».
La Prescelta lo fissò, scollandosi dalla bottiglia dopo il primo sorso. «Davvero?» chiese con un sopracciglio alzato.
Uncino, inaspettatamente, ghignò. «Usa il tuo istinto».

Helios e zio Topolino si erano fermati vicino ad un giardino dell'ala est del castello. A dire il vero, lo zio era andato a parlare con Paperino e chissà chi altro e solo il Prescelto si era fermato a sedersi su un muretto, ma soprattutto a pensare a ciò che gli aveva detto Topolino.
Helios si sentiva meglio dopo averci parlato, perché comunque sapeva che tutti gli zii gli volevano comunque molto bene- lo avevano confermato anche le parole dello zio- e lo avevano cresciuto come meglio potevano. Però... però era un poco preoccupato.
Ora diventare un cavaliere non era più soltanto un qualcosa da fare per non deludere gli zii. Era qualcosa che avrebbe dovuto fare per l'intero White Realm.
E in più, doveva anche battersi con un'altra Prescelta. Questo era l'aspetto che più lo preoccupava.
Come doveva essere quella ragazzina? Che scontro era il loro? E se le avesse fatto per caso male? Lui non voleva fare male proprio a nessuno! Fare male era sbagliato e lui... lui non sopportava anche solo il dover calpestare una formica.
Nascose la testa fra le mani, cercando di tranquilizzarsi. Forse... forse... cosa avrebbe potuto fare? Dire che non voleva essere il Prescelto, un cavaliere, ma solo uno scrittore?
Rimase preso nei suoi pensieri per un tempo che gli parve sia lungo, sia breve, fino a quando una sorta di schiocco non lo richiamò ad alzare lo sguardo.
Zio Robin Hood gli si stava allegramente avvicinando, il cappello appositamente storto per dargli un'aria ancora più sbarazzina. «Il piccolo Hel! Lo scricciolo preferito di tutti!»
Helios sorrise, un poco a fatica. «Ciao, zio».
Robin gli si sedette accanto con un balzo. «Allora» cominciò, armaneggiando con le sue frecce tirate fuori dalla sua faretra. «Allora, che serpe ti si è insidiata stavolta nella testa?»
«Si capisce così tanto, zio Robin?»
La volpe ridacchiò. «Bè, forse a qualcuno potresti anche farla franca, ma non a Robin Hood! Avanti, spara».
Lo sguardo del Prescelto scivolò alle sue scarpe, per poi cadere nelle belle colline in lontananza. Sperava davvero, un poco, di andare lì e vivere senza preoccupazioni. «Zio Topolino mi ha rivelato perché a volte mi chiamate "Prescelto". Mi ha raccontato tutto, anche la storia di Phentesia e l'accordo con l'altro reame».
La corda dell'arco che lo zio stava controllando saltò un attimo, rischiando di colpirgli il naso. Ma Robin non sembrava poi così sorpreso. «Si, avevo idea che prima o poi te lo avrebbe detto. È un bel fardello, no?»
Helios annuì. Almeno lo zio lo capiva! «Ho paura che non riuscirò a fare niente. Perché... ho paura di combattere e di fare male a qualcuno».
La volpe sorrise. «Io un tempo avevo paura di tirare con l'arco».
Il Prescelto spalancò gli occhi. «Davvero?»
«Si. Mi dicevo che avrei potuto mancare il bersaglio, colpire, non so, qualcuno di passaggio. Magari mentre miravo qualcosa mi distraeva e puff! Ferivo un mio amico, Little John, o mia madre. Ma poi qualcuno mi ha detto che avevo potenziale, che potevo farcela perché ne avevo le capacità. Dovevo solo credere in me stesso.
«Ora, a dire il vero quella persona non ha usato esattamente queste parole, ma il punto non è questo. Il punto è, Helios, che tu hai le capacità per essere il nostro Prescelto. C'è un motivo se lo sei tu.
È scritto nel Fato che ce la farai. I Buoni vincono sempre, e vale anche per te, anche se tu non fai tecnicamente parte del nostro mondo. Hai capito?»
Helios annuì, in parte sincero, in parte no. Aveva davvero le capacità per essere il Prescelto? Sarebbe riuscito comunque ad essere Buono in uno scontro? E se avesse perso? E se avesse fatto del male?
Zio Robin sorrise, ignaro dei suoi pensieri. «E comunque, stai tranquillo!» dichiarò, alzandosi con un balzo e trascinando Helios con sé. «Sarà un semplice combattimento, come quelli tra me e Febo, del tutto leale! E il Bene vince sempre!»
E di fronte al suo tono così sicuro e alla sua espressione così gioiosa, Helios non poté fare a meno di sorridere davvero.

Il castello era gremito. Nerissa era partita con Taeter non appena quello stupido intruglio aveva fatto effetto e viaggiando nell'ombra era ritornata al Black Castel in meno di un'ora.
Credeva che gli zii si fossero arrabbiati e si aspettava che qualcuno di loro, al massimo Ade e Jafar, fosse lì per dirle parole. Normalmente non avrebbe veduto l'ora di affrontarli, ma... in quel momento era stanca. Si sentiva quasi svuotata e gli spasmi di rabbia che ogni tanto esplodevano sotto la coltre di stanchezza non raggiungevano mai la loro massima espansione.
Il fatto che lì ad aspettarla ci fossero tutti quegli zii la sbigottì. Erano tutti intenti ad entrare nel Salone Principale, ma riuscì ad intravedere perfino zii come Gambadilegno, Amos Slide e altri che non vedeva da anni.
Prima che potesse entrare anche lei nella sala, la raggiunsero Ade e Ratcliffe, insieme ad uno strano presentimento.
«Ner adorata!» esordì zio Ade con un sorriso falso. «Sono lieto che ci consideri ancora degni della tua compagnia».
Nerissa spostò lo sguardo da uno zio all'altro. «Cosa volete?»
Fu il Governatore questa volta a parlare, con un altro sorriso beffardo e un elegante inchino a cappello spiegato. «Volevamo semplicemente comunicarti che abbiamo compreso il motivo delle tue domande a cui Grimilde non è riuscita, nella sua pochezza a dare risposta».
Ade fece scivolare una mano sulle spalle della Prescelta, guidandola con sé verso la porta della sala. «Non è da tutti fare domande così intelligenti, Ner» continuò con tono confidenziale, escludendo il "povero" Ratcliffe, che sbuffò indignato. Ade lo fulminò con una semplice occhiata, per poi continuare. «Perciò, abbiamo deciso di premiarti con una prova speciale!»
«Una prova?» Nerissa scosse la testa. «Che... che tipo di prova?»
«Oh, una cosetta, sai, una semplice formalità... che ti permetterebbe di alzare il livello del tuo addestramento».
«L'addestramento...» ringhiò la Prescelta, stringendo i pugni. «Zio Ade, io non...»
«Alzarlo di livello significherebbe ricevere il nostro completo affetto».
Nerissa spalancò gli occhi, mentre quelle parole le rimbombavano nella testa.
Completo affetto...
Il dio dei morti la fissò, un'espressione di totale sicurezza dipinta nel viso scheletrico. Le porse una mano. «Che ne dici, accetti?»
Nerissa, nonostante si sentisse ancora un poco insicura, annuì, stringendo la mano.
Ade diede in una fiammata azzurra, soddisfatto. «Così si ragiona! Andiamo, gli altri ci- ti aspettano».
I portoni in legno scuro della sala si aprirono e lo zio la spinse dentro, girandosi poi a scambiarsi un cenno eloquente con Ratcliffe.
Nerissa era stata nella Sala Principale poche volte, ma sapeva della sua possibilità di cambiamento magico. Ogniqualvolta si desiderava una determinata stanza, la Sala Principale, dopo le dovute formule magiche, lo diventava. Quel giorno le pareti di pietra scura, illuminate dalla luce fredda di fuochi biancastri, erano disposte a mo' di arena, con numerose panche sopraelevate che scendevano verso il centro della stanza. Le panche erano tutte occupate dagli zii, i cui litigi si interruppero non appena Nerissa entrò
Zio Jafar, seduto su una sedia simile ad un trono in una delle prime file, si alzò e le ordinò di avvicinarsi. I passi di Nerissa rimbombarono mentre camminava lentamente verso il centro della sala. Ad un tratto rischiò di inciampare su una sorta di cosetto in ferro che qualcun idiota aveva impiantato tra le pietre del pavimento.
Jafar attirò di nuovo la sua attenzione parlando, mellifluo, mentre accarezzava il proprio scettro. «Ora che la Prescelta ha fatto il suo ingresso, diamo inizio alla prova». Scambiò un'occhiata con Ade e le porte della Sala si aprirono nuovamente. Tutti i presenti, Nerissa compresa, tesero il collo.
Ratcliffe entrò trionfo, subito seguito da una decina di guardie, un misto tra carte e mostriciattoli*5, che trascinavano con sé una strana bestia rosa. Nerissa non aveva mai visto nulla del genere.
Era grassoccia, talmente stretta nelle funi da distinguere a malapena certi sprazzi azzurri di quello che doveva essere una sua veste. Nonstante i lacci, le bende sugli occhi e sulla bocca e il sacco infilato a forza in testa, la bestia cercava di divincolarsi, rischiando di cadere e venendo prontamente punzecchiato dalle armi delle guardie.
La trascinarono di fronte a lei, legandola ai quattro picchetti impiantati, gli stessi su cui era quasi inciampata.
Che diamine poteva essere?
Zia Gothel sgusciò fuori dalla sua panca e raggiunse Nerissa, lo strasico della gonna rossa che scivolava imitando il sibilio di un serpente. Anche Ade si avvicinò nuovamente, lanciando di tanto in tanto sguardi schifati alla bestia.
«Allora Ner».
«Non chiamarmi così» mormorò Nerissa, più che altro per abitudine.
«Allora, Nerissa adorata, la prova è semplice, una cosetta come ti avendo detto. Per ottenere davvero la nostra ammirazione e il nostro affetto e superare questa prova, devi fare una semplice cosa».
Una guardia si avvicinò alla bestia, che mugugnava disperata, e le strappò il sacco che le ricopriva la testa. Un muso tremante di un maialino scrutò con occhi lucidi di paura l'intera sala.
Nerissa aveva sentito di animali del genere solo in alcuni libri. Indossava un piccolo berretto nero e blu e la casacca da marinaio era a brandelli. Il viso graffiato con un brutto livido sulla guancia destra gli conferivano un'aria ancora più debole.
Da qualche parte nella stanza, zio Ezechiele Lupo ululò la sua approvazione, scatenando un boato di grida, che comprendevano insulti di ogni sorta contro quel Buono.
«Silenzio!»
In un attimo, Jafar e Gothel riportarono la calma tensione nella sala, permettendo ad Ade di proseguire.
«Una semplice cosa, dicevo» il dio sembrava un teschio animato da una forza oscura ai riflessi della luce fredda. «Uccidere il nostro insulso prigioniero».
Nerissa sentì il cuore balzarle in gola, le viscere che le si stringevano fino a farle mancare il fiato. U-uccidere? Togliere una vita?
In tutti quegli anni, gli zii- se così poteva chiamarli- non l'avevano mai fatta pesare come cosa, forse davvero non era così sbagliato farlo ma... ma le immagini di Spugna, i ricordi dei suoi saltelli impacciati, si confondevano con il sangue, con la testa mozzata che rotolava via dal suo corpo per essere afferrata dal Cavaliere...
Il esangue portava dolore. Il sangue di Spugna ne aveva portato a lei e allo zio Uncino. Perciò... perciò forse uccidere era sbagliato? Forse... forse la morte di quel prigioniero avrebbe portato dolore a qualcuno?
La tensione era tale che Nerissa traballò sul posto, finendo per aggrapparsi a zia Gothel, che le porse un ghigno e un pugnale intarsiato.
Nerissa fissò l'arma e poi la zia, il respiro che si stava facendo sempre più irregolare. Fece un passo tremulo in avanti, e, con uno spasmo di rabbia per tutta la debolezza che stava dimostrando, afferrò il pugnale.
Era davanti al porcellino, che la fissava. I suoi occhi erano talmente grandi e spalancati che Nerissa vi ci si vedeva riflessa. Zio Ade, alla sua destra, fece un gesto vago con la mano e il bavaglio che il porcellino aveva sulla bocca volò via. «Godiamoci al meglio lo spettacolo» commentò il dio dei morti, prendendo posto, insieme a Gothel, accanto a Jafar.
Nerissa si avvicinò ancora, il cuore che batteva lentissimo nelle sue orecchie. Il pugnale riluceva sinistro nella sua mano, lampeggiando di tanto in tanto quando la lama veniva colpita dalla luce dei bracieri.
Il prigioniero emise un verso strozzato che presto si tramutò in una supplica spezzata dai singhiozzi. «T-ti p-prego, ti pre-go, no! N-non farlo!» Le lacrime si univano al moccio che gli colava giù dal grugno, formando un confuso rossore sulle guance carnose. «S-salvami! O a-almeno, ri-sparmiami!»
Le immagini del corpo di Spugna si sovrapponevano a quelle della disperazione del prigioniero. Il sangue, il sangue che sgorgava e che cosa... che cosa portava?
Il respiro di Nerissa si stava facendo sempre più tremante. Gettò un'occhiata alla platea degli zii, ancora cristallizzati intorno a lei, in attesa, con sulle labbra già pronto un giudizio. Il giudizio che lei avrebbe decretato con le sue azioni, da forte o da debole.
C'erano mocciosi al di fuori di quel suo mondo che vivevano con solamente due genitori, che li amavano. Gli zii... zio Uncino aveva detto che c'era qualcuno che provava dei sentimenti per lei, mentre zio Ade... aveva detto che superando quella prova tutti, tutti le avrebbero voluto bene.
Gli zii le avrebbero voluto bene, perché lei era la Prescelta, perché lei avrebbe ucciso quel ragazzino e avrebbe reso felici tutti gli zii. E tutti, tutti l'avrebbero amata, le avrebbero voluto davvero bene, come aveva detto lo zio.
Era il suo destino, altrimenti non sarebbe stata allevata così perfetta dagli zii.
Perché lei lo era. E non poteva sottrarsi ad un destino che era adatto alla sua perfezione- e che le avrebbe portato veramente tutto l'affetto degli zii.
Era talmente vicina al prigioniero che il suo fiato caldo e annaspante le si intrufolava tra i capelli. I suoi occhi lucidi erano fissi su di lei, disperati ma ancora, nel fondo, speranzosi.
«Non posso» mormorò semplicemente Nerissa. «Mi dispiace» aggiunse poi.
Nella mente le rimbombavano tutti gli eventi della giornata. Alzò il pugnale e lo affondò fino all'elsa nelle carni del porcellino, che stramazzò sopra di lei con un gemito soffocato, rischiando di farla cadere. Si scostò appena in tempo, qualcosa di caldo e viscido scivolava ancora sul suo braccio, ancora e ancora impiantato in quelle carni.
Il sangue, denso e nero, colava sul pavimento. Nerissa liberò il braccio con uno strattone, rivelando il pugnale ora nero con il cuore ancora pulsante di vita trapassato in parte dalla lama.
Nella sala si scatenò il caos. Urla di giubilio, di gioia selvaggia e maligna, rimbalzarono sulle pareti ma giunsero attuite alle orecchie di Nerissa. Il sangue scendeva lento, inesorabile, dal corpo ormai immobile del prigioniero. Il sangue le bagnava il pugnale, i vestiti, il braccio, i capelli.
Il Lupo Ezechiele si fiondò sulla sua antica preda, ululando, le bave alla bocca. Le sue fauci fameliche aprirono altri squarci sulla carne dilaniata di quello che un tempo era stato un porcellino, ma che ora era solo un cadavere sbranato.
Un braccio ancora avvolto tra le funi, con nell'osso sporgente ancora pezzi di spalla, rotolò accanto a Nerissa, che lo guardò appena, come in trance, prima di rispedirlo, con un lieve calcio, al lupo
Altri zii, tantissimi zii, tutti gli zii, si erano riversati al centro della stanza, urlando, saltando, ridendo e lanciando incantesimi. Nerissa venne afferrata e sollevata sopra le loro teste, sopra il cadavere del prigioniero e i gruniti insaziabili di Ezechiele.
Stretta tra mani e zampe di qualsiasi tipo, tra urla e cori simili a quelli da stadio, la portarono in trionfo, prima nella Sala, poi fuori, nei corridoi del castello.
Fu questa l'immagine che accolse l'arrivo di Uncino. Una folla urlante, con visi, volti e musi deformati in maschere feroci, che trasportava una bambina, una bambina sporca ovunque di sangue nero, con un pugnale e un cuore stretti fra le mani.



N.d.A
Salve a tutti! Si, sono ancora viva. Si, mi vergogno immensamente per questo disastroso ritardo di cinque mesi. Non ho giustificazioni, la scuola è stata molto intensa e mi dispiace avervi fatto aspettare tanto. Spero che almeno questo capitolo abbia soddisfatto le attese. Il prossimo, che sarà anche l’ultimo, è già in lavorazione.
Come forse saprete (?), la prima serie è suddivisa in tre fanfiction di cui Promessi Rivali è appunto la prima.
Proseguiamo ora con le note:
*1= Faruk è il mercante che vediamo arrancare all’inizio di “Aladdin” (se volete il video, lo trovate qua). Gli ho dato io questo nome, in realtà non ci sono molte informazioni su di lui, e le poche presenti le potete verificare qui.
*2= Tilda è invece la scalmanata ragazza che troviamo in Sleepy Hollow, ovvero “La Leggenda del Cavaliere Senza Testa”. A me è sempre stata molto simpatica.
*3= Madame Prudence appare invece in “Cenerentola 2: Quando i Sogni Diventano Realtà”. Non è un granchè come cartone, ma il ricordo del suo personaggio mi si è impresso nella testa.
*4= Piccolo richiamo alla mia fanfiction (slash) su “Robin Hood”, Il Suo Principe.
*5= Altro richiamo alla fanfiction La Seconda Opportunità.
Inoltre, il primo libro letto da Nerissa compare parzialmente qui (perché si trova nel Black Realm verrà spiegato più avanti), mentre gli altri sono tutti libri di favole, una tratta dal Decameron di Boccaccio.
A proposito, già che ci sono vi comunico alcuni piccoli cambiamenti, che hanno portato all’ideazione di due serie legate a Le Cronache di Phentesia, ovvero Sussurri di Inchiostro, una raccolta di missing moments su vari personaggi, e Senza un Lieto Fine, serie composta da oneshots dedicate ai Cattivi Disney.
Ci tengo poi a ringraziare tutti coloro che hanno recensito/letto/messo la storia da qualche parte. Ciascuno di voi è molto importante e il vostro sostegno mi supporta davvero tanto nella realizzazione della storia :)
Detto questo, vi saluto!
Baci e a presto,
Nox

  
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