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Autore: FairySweet    02/07/2015    2 recensioni
Non sei mai stato bravo a raccontare bugie. Non l'hai mai fatto, non a te stesso per lo meno, come puoi pensare di ingannarti così? Dimenticare i suoi occhi, il suo sorriso, dimenticare il battito accelerato che ti sconvolgeva il petto ogni volta che l'avevi vicino.
Eppure ci hai provato, hai cambiato vita per lei, per te stesso, per la tua famiglia ma era bastata una telefonata, era bastato il suo nome per convincerti a scappare via di nuovo ...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elliot Stabler, Olivia Benson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                         Era Diversa




Non sapeva nemmeno perché fosse lì, cosa l'avesse spinto a prendere la macchina e guidare fino a casa sua.
Era sbagliato, era sbagliato e lo sapeva ma era così maledettamente preoccupato per lei da convincere mente e cuore a fare una tregua.
Un dannato patto che andava oltre la semplice amnistia, oltre gli errori e le parole non dette.
Aveva semplicemente bisogno di vederla, di guardarla negli occhi e parlare con lei.
Strinse più forte le chiavi nella mano continuando a camminare lungo il corridoio ma quella sottilissima scia di luce sul muro alla sua destra attirò di colpo la sua attenzione.
Venivano dall'appartamento di Olivia, da quella porta socchiusa che bastava ad accendere un campanello d'allarme nei pensieri.
Si avvicinò guardingo alla porta posando una mano sul legno fresco e lentamente, senza fretta alcuna la spinse leggermente in avanti “Liv?” ma dal silenzio non arrivò nessuna risposta.
Era tutto normale, ogni cosa al proprio posto, non c'era niente di strano, niente che potesse convincerlo a chiamare la centrale di colpo “Ehi, sei qui?” sentì qualcosa sulla spalla, un tocco leggero, si voltò di colpo incontrando un paio di occhi color del cielo “Porca …” “Scusi” si affrettò ad aggiungere l'altro alzando leggermente le mani davanti al volto “Mi dispiace, non volevo spaventarla ma ho sentito dei rumori e così …” si fermò qualche secondo riprendendo fiato “ … lei che ci fa qui?” “Cercavo tua sorella” “Non è qui” “Ma davvero?” ribatté ironico passandosi una mano in viso “Doveva chiamarmi! Le avevo chiesto di farlo non appena fosse stata libera di parlare!” “Beh, chiedere le cose a Liv è stupido” esclamò l'altro “Ha finito il suo lavoro dieci minuti fa” “Che diavolo ci fai qui?” “La spesa” esclamò divertito Simon invitandolo a respirare “Olivia si scorda perfino di respirare. È così concentrata sul lavoro da non ricordare che l'essere umano ha bisogno di cibo” “Lo sai che hai lasciato la porta aperta?” “No” puntualizzò l'altro avviandosi verso l'entrata “È stata mia sorella. È uscita di corsa, l'ho incontrata sul marciapiede” sorrise chiudendo la porta “Ehi ciao! Scusa ma sono di fretta, ci vediamo tra dieci minuti, puoi chiudere la porta di casa per me?” ripeté divertito tornando verso di lui “C'era una scia di vestiti lungo il corridoio e anche un incantevole tanga rosso fuoco sul divano” lo invitò a sedere sullo sgabello in cucina mentre sistemava i sacchetti della spesa riponendo tutto accuratamente negli scaffali “Sono al corrente del suo incarico sotto copertura e immaginare vecchietti bavosi che guardano mia sorella ballare su un cubo beh, è uno schifo” “Già” “E non mi piace nemmeno questa casa, le ho detto mille volte che non fa per lei insomma, è enorme e silenziosa. Troppo grande per Olivia” slacciò il giubbotto anti proiettile rilassando per qualche secondo ogni dannato muscolo “Posso offrile un po' di caffè?” annuì appena continuanado ad ascoltare Simon “Non credo sia pronta per queste cose insomma, è la mia sorellina no?” “È diventata grande” “E questo cosa c'entra? È sempre mia sorella” “Credevo fossi ...” “Già” sussurrò posando davanti a lui una tazza fumante “Stavo per partire, a dire il vero ero già in aeroporto ma Liv ha … mi ha chiamato in lacrime. Credevo scherzasse insomma, perché avrebbe dovuto farlo? Non si fidava di me, non al punto da chiamarmi piangendo, non si fida mai di nessuno” “Lo so” “Piangeva come una bambina, sono scappato via dall'aeroporto, ho perso il mio volo e la possibilità di avere un buon lavoro altrove ma ne è valsa la pena” “Perché? Cos'hai concluso?” domandò sfinito sorseggiando il suo caffè “Ho avuto mia sorella” un bel sorriso colorò il volto del ragazzo, lo stesso sorriso che tante volte aveva visto in lei.
Quella somiglianza leggera che negli anni trascorsi aveva sempre cercato in loro adesso era lì, era in quel sorriso, in quel movimento leggero delle spalle, nel modo che aveva di osservare le cose.
Liv e Simon si assomigliavano, erano figli dello stesso padre ma gli anni passati a conoscersi, li avevano resi in qualche modo una famiglia.
“Mi ha chiamato in lacrime perché ero la sua famiglia, suo fratello, l'unica persona che le era rimasta” “Perché non ha …” “Perché aveva paura. Non ti avrebbe mai chiamato detective. Aveva il terrore di sentire di nuovo la tua voce perché sapeva che sentirla singhiozzare come una bambina ti avrebbe costretto a correre da lei” scosse leggermente la testa sospirando “Quando l'ho vista è stato come se qualcuno mi avesse sparato in pieno petto. Aveva lividi ovunque, sulle spalle, sul volto. Ricordo che non riusciva a muovere il braccio destro, aveva un taglio sulla fronte e sui polsi i segni dei lacci, le labbra arrossate e gli occhi così …” si fermò qualche secondo ricacciando indietro quell'ondata di emozione che non faceva bene a nessuno dei due “ … non era più lei. Non parlava, non si muoveva, restava immobile a fissare il niente. Tremava come una foglia, era sotto shock e non sapevo cosa fare, cosa dirle per aiutarla. Mi ha guardato negli occhi e poi d'improvviso si è alzata e mi ha abbracciato” faceva male, faceva un male atroce perché ascoltare quei ricordi era più di quanto potesse sopportare.
Olivia aveva ragione, se l'avesse chiamato sarebbe corso da lei perché per dodici anni era stata la sua migliore amica, il suo più grande affetto, la persona che riusciva a capirlo senza nemmeno dire una parola.
Quante volte l'aveva aiutato a districare i pensieri, quante volte l'aveva spinto di nuovo tra le braccia di sua moglie per il bene dei bambini, per il suo bene, quante volte era stato così vicino a lei, tanto da permettere pensieri inappropriati, tanto da costringere il cuore a battere più forte.
Quante volte si era fatta strada attraverso i suoi silenzi, attraverso il riserbo naturale del suo carattere e ogni volta, era riuscita ad arrivare al cuore.
L'aveva fatto con dolcezza, con quel dannato sorriso che non sarebbe mai uscito dagli occhi “Mi dispiace” sussurrò ma il ragazzo sorrise posando entrambe le mani sul ripiano lucido “Piangeva” “Cosa?” “Ogni notte per una settimana intera. Piangeva lontano da me, nel buio di questa stanza. La sentivo, la vedevo ma non ho mai avuto il coraggio di toccarla o di abbracciarla perché non era pronta a niente del genere” “Aveva bisogno di quelle attenzioni!” “Senti” mormorò inchiodando gli occhi ai suoi “Lo so che io non ti piaccio. Non ti sono mai piaciuto” “Hai quasi rovinato la sua carriera!” “È vero ma è mia sorella! La mia bellissima sorellina che è stata rapita, picchiata e costretta ad ore interminabili di sofferenza! Sono passati tre anni da quando te ne sei andato e per tutto questo tempo ci siamo presi cura l'uno dell'altra, non che ne avesse bisogno, Olivia è indipendente e forte. Teoria dimostrata dal fatto che ha fracassato la testa di quell'uomo con una spranga di ferro” “Simon questo è …” “Però vedi, nonostante la forza, nonostante la sua meravigliosa voglia di vivere si è rotto qualcosa …” si portò una mano al petto sospirando “ … si è rotto qualcosa qui dentro detective. Non è la stessa che hai conosciuto per dodici anni. Non è la stessa che è venuta a cercarmi per la prima volta con determinazine e paura. La mia sorellina è cambiata. Dopo mesi interi per la prima volta la vedo sorridere di nuovo, sta uscendo lentamente da quel recinto di ghiaccio dentro il quale si è rifugiata perciò ti prego, lasciala in pace perché non ha bisogno di altra sofferenza” “Non è mia intenzione farle del male” “Le fai del male ogni volta che la guardi, che le parli o che le fai gli agguati in palestra” “Come … tu come …” “Mi ha scritto. Senti, io so che dovete lavorare assieme e ne sono felice, insomma, ha qualcuno che la conosce e che può difenderla meglio di chiunque altro ma tutto quello che riguarda il passato, voi due o … beh, deve rimanere fuori dalla sua nuova vita” “Devo chiederti una cosa. So che è una cosa delicata, è difficile parlarne e voglio che tu sappia che io so che è difficile” “Mi spaventi detective” sussurrò l'altro studiando il suo viso “Liv è … Quell'uomo l'ha …” “No” sentì di nuovo l'aria entrare nei polmoni e il cuore battere regolarmente.
Era terrorizzato da quella risposta, dalle conseguenze che avrebbe avuto si di lui, sui suoi sogni, sul modo che avrebbe avuto di guardarla negli occhi ma sapeva che stava bene, che nessuno l'aveva violata, che in qualche modo, per qualche motivo gli era stato concesso di starle accanto di nuovo.
Il silenzio avvolse quei lunghissimi minuto d'imbarazzo costringendo entrambi a guardare altrove, a cercare in ogni cosa lì dentro un ottimo diversivo.
Così d'improvviso, la rivista posata sul tavolo era diventata la cosa più importante del mondo “Vuoi cenare con noi?” “Cosa?” balbettò confuso tornando a guardare Simon “Sarà a casa tra poco, vuoi cenare con noi?” “No, no non credo sia la cosa giusta da fare” “Ah detective, non sei bravo a mascherare le emozioni, dovresti imparare da mia sorella, lei è molto più brava di te” sorrise annuendo leggermente “Coraggio, è solo una cena” “Ti ringrazio ma credo che sia meglio lascirvi soli” strinse più forte le chiavi dell'auto tra le dita alzandosi “Perché se resto qui la prendo a cazzotti. Ha disobbedito, si è presa gioco di me e non voglio confonderla ulteriormente” ma Simon ridacchiò accompagnandolo alla porta “Credo sia tardi, più confusa di così non lo sarà mai e credimi, non sarà di certo una cena a farle cambiare idea” “Non voglio rischiare” “Giusto, come si può resistere quando mia sorella è a pochi centimetri da te?” ribatté l'altro ridacchiando “Ti auguro buona serata detective” “Grazie” un ultimo sorriso e poi solo la porta chiusa, solo quella porta e nient'altro.


“Perché sei ancora qui?” sorrise senza muoversi di un centimetro. L'aveva davanti, seduta su quella panchina con lo sguardo perso chissà dove e un caffè stretto tra le mani e perfino di spalle era riuscita a riconoscerlo “Non lo sai?” “È la ragione sbagliata” “Non è vero” la raggiunse lentamente cercando di riordinare i pensieri, cercando di trovare le parole giuste ma come avrebbe fatto? Cosa le avrebbe detto per costringerla a sorridere? Per vedere di nuovo quell'espressione divertita sul suo viso? Fece un bel respiro sedendosi a pochi centimetri da lei, silenziosa e lontana, troppo lontana “Dovresti essere a casa dalla tua famiglia” “La mia famiglia sta bene” “Sto bene, non ho bisogno di te” “Ti ho sempre detto che non potevi nascondermi le cose e nonostante tutto ci provi ancora, questo è un errore sai?” ma lei non rispose, si limitò a sorseggiare il caffè senza dargli modo di capire se quelle parole, quel tentativo di aprire un varco nei suoi pensieri fosse andato a segno o meno “Avevi smesso di bere caffè” di nuovo silenzio “Sai, la settimana scorsa stavo pulendo il garage e ho trovato una collanina d'argento. Era nascosta tra le cose dell'ufficio, vecchie cose che avevo tenuto per ricordare questo posto, le persone, gli amici …” si fermò qualche secondo perdendosi sul volo di una farfalla a pochi passi da loro “ … quando l'ho sollevata davanti alla luce mi sono ricordato improvvisamente a chi appartenesse” si voltò verso di lei sorridendole “Credevi di averla persa, hai passato giorni a rivoltare ogni cassetto della tua scrivania, eri così arrabbiata. Ripetevi continuamente che era colpa tua, che eri disordinata ma che di solito nel tuo disordine avevi il tuo ordine e invece, quella volta il tuo disordine era solo disordine. Ho riso così tanto. Credevo scherzassi, credevo fossi arrabbiata perché quella era la tua catenina preferita, la prima che avevi comprato” la vide sorridere appena, un sorriso leggero, mascherato dal bicchiere del caffè ma pur sempre un sorriso “L'ho trovata nel mio porta penne. Non so dirti come ci fosse arrivata ma era lì, attorcigliata attorno alla mia biro preferita. L'ho presa e l'ho messa in tasca, te l'avrei data dopo il lavoro ma sei scappata via subito, così l'ho tenuta con me. Ogni giorno mi svegliavo ripetendomi che dovevo restituirti quella collanina e ogni giorno la lasciavo nel cassetto del mio comodino” “Perché?” mormorò sfinita cercando il suo sguardo “Non lo so. La tenevo lì dentro, ogni sera quando aprivo il cassetto e la vedevo sorridevo, forse mi tornavi in mente con il volto arrossato mentre la cercavi tra le carte della tua scrivania o forse, mi ero semplicemente abituato alla sua presenza poi ho iniziato a portarla con me. La portavo ovunque, sempre al sicuro nel mio portafoglio quasi come fosse un porta fortuna” quel contatto leggero tra i loro sguardi riportava a galla ricordi passati, stralci di quel film che tutti e due avevano visto e rivisto milioni di volte “L'ho chiusa a chiave nel passato, tra le carte e le foto che avevo sulla scrivania e l'ho abbandonata in garage per tutti questi anni. Ero arrabbiato con me stesso per averti lasciata senza nemmeno una spiegazione, ero arrabbiato con te perché tornavi continuamente in ogni mio pensiero e ci ho provato Liv, ho provato a vivere la mia vita. Per qualche anno ci sono riuscito, avevo i miei figli, mia moglie e quelle giornate meravigliose ma tu eri sempre lì, eri sempre una costante dei miei pensieri” “Non sono più da nessuna parte” abbassò lo sguardo tornando a concentrarsi sul proprio caffè “Non sono più qui” “Sei spaventata” le sfiorò una spalla sospirando e quel tremito leggero che correva lungo la sua pelle non la costringeva ad andarsene, ad allontanarsi da lui perché forse, aveva semplicemente bisogno di sentirlo vicino, di sapere che c'era, che era lì per lei “Sei solo tanto spaventata ed è giusto così” “Questo è tutto sbagliato” mormorò posando il caffè sulla panchina tra loro “Non dovresti essere qui, io non devo … non devo parlare con te, non posso restare qui mentre sei …” “Cosa? Mentre sono preoccupato per te?” “Smettila” “Di fare cosa? Non mi permetti niente Liv! Ti nascondi contiuamente dietro a quel dannato sorriso e lo so che è falso” esclamò ridendo, una risata nervosa, confusa, qualcosa che nemmeno lui riusciva a capire “So che stai allontanando il mondo intero! Credi che mi senta bene? Che vederti così mi faccia stare bene?” “Tu non …” “Non è così!” esclamò piantando gli occhi nei suoi “Non sto bene Liv, non sto bene perché sei così diversa” “Sono sempre la stessa” “No!” strinse le mani attorno alle sue spalle voltandola di colpo verso di lui “Non sei la mia Liv” “Non lo sono mai stata” “Che stai …” “Non sono mai stata la tua Liv, mai. È giusto così, sarebbe strano il contrario. Sono stata la tua collega per dodici lunghissimi anni e ho imparato a conoscerti ma non sono mai stata …” “Smettila” sussurrò stringendola più forte, l'aveva a pochi centimetri, sentiva il suo respiro, la confusione che le passava per i pensieri mentre faceva uno sforzo enorme a rimanere lì “Non parlare, ti prego smettila” “Perché sei venuto qui?” “Lo sai” “Io sì, sei tu a non saperlo” “Cosa?” “Il capitano ti ha trascinato qui perché è preoccupato per me, non ci vuole molto a capirlo. So perché sei qui ma sei tu a non saperlo” le mani tremarono leggermente scivolando via dalle sue spalle “Sei stato portato qui perché ti hanno costretto Elliot, non ci avresti mai pensato, non saresti mai tornato qui, non sai perché sei qui” “Stai scherzando? Olivia sei tu il motivo per cui sono qui” ma lei sorrise scuotende leggermente la testa “Quando parti?” “Quando inizierai a sorridere di nuovo” “Sto sorridendo” “Stai fingendo” annuì leggermente voltandosi verso di lui “Sei ancora un bravo detective” “Liv …” “Devo andare, gli orari del club oggi sono diversi” lasciò il bicchiere di caffè tra le sue mani allontanandosi lentamente lungo il viale “Sei sempre lì” sorrise appena bevendo quel caffè ancora caldo che sapeva di dolcezza.


 
  
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