Eccomi qua, sono tornata con la seconda parte della storia. Che volete farci? E' più forte di me, sono un'amante del lieto fine. Grazie mille per tutti i commenti. Spero di non avervi deluso con questa parte.
Buona lettura!
Happy Birthday, Lyndsey
Sometimes I
wake up crying at night
And sometimes I scream out your name
What right does she have to take your heart away
When for so long you were mine
( Dixie Chicks- You were mine)
Il risveglio è tutto
fuorché piacevole. Ieri sera, dopo
essermi struccata anche l’altro occhio, mi sono buttata a
letto, senza tirare
una tenda, senza chiudere una persiana.
Troppo stanca, esausta, distrutta
dagli eventi.
Ora è mattina, il sole
entra prepotente nella mia stanza
e mi obbliga ad alzare le palpebre. Con orrore mi rendo conto di essere
ancora
in questo maledetto hotel, a Los Angeles e non a Londra, dove vorrei,
dove
dovrei essere.
E tutto quello che è
successo mi ritorna in mente, violento
e brutale ed ha un sapore amaro: sono sola, sola davvero, sola una
volta per
tutte.
Venire fino a LA è stato un
grosso sbaglio; pensavo fosse
ciò che serviva a salvare la mia storia d’
…, mi riesce difficile perfino
scriverlo; forse perché non lo è stata. O forse
sì e non me ne sono accorta.
Chi lo sa.
Ormai sono sveglia, ma non ho voglia
di alzarmi. Allungo
pigramente una mano fino al comodino e recupero il cellulare, che ho
riparato meglio che ho potuto, e lo accendo.
Se conosco bene Joe, mi
avrà lasciato dei messaggi, delle
chiamate per scusarsi, è nel suo carattere. Non che a lui
importi qualcosa di
me, ma agisce così solamente per calmare la coscienza.
Ma il display del mio telefonino
rimane vuoto per il
minuto successivo e per quello dopo ancora.
Prendo la cornetta del fisso e chiamo
la reception per
chiedere se ci sono dei messaggi per me.
Nessuno.
Evidentemente non conosco Joe Jonas
così bene.
Fantastico penso ristendendomi sul cuscino un’altra bella notizia: cara Lyndsey non
hai
capito proprio un bel niente di quello che per un anno è
stato il tuo ragazzo.
Piano, piano s’impossessa di
me il sospetto che io mi sia
innamorata dell’immagine che mi sono creata e non di lui in
persona. Già,
sempre più questo pensiero vaga nella mia testa.
Ma anche quando sono certa che sia
così, anche quando
sono sicura di tutte le mie conclusioni, del fatto che alla fine io non
sappia
molto su come sia Joe nella vita di tutti i giorni, anche quando mi
sono convinta
e non mi sento proprio così stupida per essermi lasciata
incastrare, in questi
momenti interviene una componente del mio subconscio: la
memoria.
Ho un sacco di ricordi in cui
c’è anche lui, la maggior
parte dei quali è bella. Sfogliando, come in un libro, le
pagine del tempo
passato insieme, non riesco a credere fino in fondo che non sia
esattamente
come lo conosco io. Non ce la faccio,
è
impossibile che sia solo una montatura, è impossibile che un
po’, che almeno un
pochino non tenga a me. Come quella notte …
Mi rigiro
sull’enorme
materasso per la centesima volta nel giro di un minuto. È
inutile: non riesco a
dormire in questo letto, è immenso, rischio di soffocare tra
i cuscini e le
lenzuola.
Il sonno
se ne va sempre
più lontano se faccio caso a un piccolo particolare: questa
è la camera di Joe,
con i vestiti di Joe, le cose di Joe e … il letto di Joe.
Manca solo Joe.
Sta
dormendo nella
camera a fianco in una brandina; un grande sacrificio per uno che
è abituato ad
un letto matrimoniale tutto per sé.
Nella mia
scuola ora ci
sono le vacanze di Pasqua e ne ho approfittato per venirlo a trovare.
Mamma
Jonas era così eccitata alla notizia che ha pulito la casa
tre volte (o almeno
è quello che mi ha detto Joe) e poi ha spedito il suo
secondogenito a dormire
con il fratello Nick, poiché non trovava molto conveniente
che noi due
passassimo la notte insieme.
Ora mi
trovo sola in
questo letto gigantesco, a guardare il soffitto per mancanza di sonno;
avrei
preferito io stare sulla brandina, la trovo molto più
accogliente e adatta a
me.
Mi metto
su un lato, in
posizione fetale e tiro la coperta fin sopra la testa nel vano
tentativo di
restringere un po’ l’ambiente attorno a me.
Rassegnata
decido che
per la prima volta in vita mia, rimarrò sveglia a guardare
l’alba; non avendo
in ogni caso nulla di meglio da fare. Nulla fino a questo istante.
Avverto la
porta aprirsi e subito dopo qualcuno è sotto le coperte con
me. Mi avvolge un
braccio attorno alla vita e posa il mento sulla mia spalla.
“Che fai così
rintanata qui sotto?” soffia sul mio collo “Hai
paura?”.
“Non
riesco a dormire da
sola in un letto così grande” spiego voltandomi
verso di lui.
“Mmm”
mormora contro la
mia scapola “Direi che abbiamo trovato la soluzione
allora”.
“Sì,
direi di sì”.
Oh certo,
adesso
prenderò sicuramente sonno! Con lui appiccicato addosso,
sotto le lenzuola, in
una stanza vuota, fatta eccezioni per noi due, immersi nel silenzio e
nel buio
della notte.
Saluto la
mia
sonnolenza, che mi ha completamente abbandonato.
“Se
io non fossi venuto
qui, che cos’avresti fatto?” s’informa
Joe.
“Pensavo
di guardare
l’alba dalla finestra … sai, non l’ho
mai vista”.
Scatta a
sedere; così di
botto e tutte le coperte lo seguono. Io rimango stesa e lo fisso
stranita.
“Non
hai mai visto
sorgere il sole?” mi chiede costernato.
“N-no”
rispondo “E’
tanto grave?”.
“No,
no, è solo … credo
che tutti qui a Los Angeles abbiano passato una notte in spiaggia per
vedere
l’aurora”.
“Io
non sono di Los
Angeles”.
“Ah
beh, questo non è un
problema: io vengo dal New Jersey” si alza e apre le ante
dell’armadio a muro.
C’infila la testa e inizia a trafficare.
Man mano
che trova
quello che cerca, lo butta indietro sul letto e un paio di volte
rischia anche
di prendermi in testa. Un po’ seccata scendo anche io e mi
metto sulla sedia
davanti alla scrivania.
Osservo
gli oggetti che
ha lanciato sul materasso: una torcia, un coperta di pile, un
asciugamano.
Ma che
diamine vuole
fare?
“Joe,
a che cosa serve
tutta ‘sta roba?”.
Finalmente
risorge da
quel casino che è il suo armadio. Ha indossato una felpa
sopra il pigiama.
“Andiamo
a vedere
l’alba; mi sembra ovvio!”.
Raccoglie
tutte le cose
che ha tirato prima fuori e mi trascina fuori dalla stanza.
M’intima
di fare piano,
perché se Denise dovesse beccarci, come minimo lui non
uscirebbe più da questa
casa e io non ci entrerei più.
Joe
accende la pila per
farci luce e con cautela mi guida attraverso i corridoi. Dato che
entrambi
siamo due calamità ambulanti, colpiamo con i piedi tutto
ciò che ci è
d’intralcio. Meno male che nessuno pare accorgersene.
Con me e
Joe le parole “non
fare casino” non hanno senso.
Senza
farci scoprire,
usciamo all’aperto. La casa di Joe è proprio
sull’oceano, quindi raggiungiamo
la spiaggia in un batter d’occhio.
Stende
l’asciugamano
vicino al mare, ci sediamo sopra mentre ci avvolge nella coperta.
La scena
è molto
romantica, ma il mio idillio è rovinato dal freddo. Anche se
siamo sulla costa
occidentale, di notte la temperatura si abbassa notevolmente ed io,
essendo
freddolosa, ne risento.
Joe
avverte che sto
tremando “Ti avevo detto di prendere un felpa”.
Alzo
lentamente il capo
verso di lui “No, non me l’hai detto”
ribatto.
“Allora
l’avrò pensato”.
Le prime
volte che mi ha
fatto discorsi di questo genere, ho creduto che soffrisse di qualche
disturbo
dell’intelligenza, poi ho capito che è un modo
come un altro di farmi
sorridere.
Infatti
ridacchio,
mentre mi stringo di più a lui in cerca di calore.
“Sai
che forse siamo
usciti un po’ presto? Le stelle brillano ancora”
constato.
“Hai
ragione” concorda
“Ma alla fine cosa mi serve vedere l’alba? Io ce
l’ho già il mio sole”.
Ecco che
fa il solito
latin - lover.
“Visto
che siamo in vena
di dichiarazioni, mi sono sempre chiesta … sai, insomma
… tu sei famoso,
potresti avere tutte le più belle del mondo …
perché io? Che cos’ho di
speciale?”.
È
una domanda che mi
ronza in testa da un po’ di tempo. Non so perché
mi sono decisa di porgliela
proprio ora, è uscita da sola dalla mia bocca, spontanea e
istintiva.
Joe rimane
in silenzio
prima di scoppiare a ridere.
“Quanto
sei scema!”
commenta.
Io
incrocio le braccia
al petto e metto il broncio. Non è il momento per prendermi
in giro!
“Lynnie,
io adoro tutto
di te. Adoro il modo in cui arrossisci quando cadi, adoro il tuo modo
di
guardarmi torva quando ti faccio arrabbiare, adoro il fatto che mi
perdoni
nonostante io non possa stare sempre con te. Amo letteralmente quando
sei
nervosa e ti strappi la pelle morta dalle labbra, amo vederti
così innocente
nel mio mondo e starei tutta la vita a fissarti mentre squadri le
ragazze
supertirate alle feste. Mi piaci perché sei il loro
contrario, mi piaci perché
sei semplice, divertente, riservata e soprattutto sei tu
la più bella di tutte. Mi piaci perché mi
sopporti. E qui, tra i due, sono io
a dovermi chiedere che cos’ho di speciale
per stare con te”.
Ditemi
voi, ditemi dopo
una dichiarazione del genere cosa fareste. Io resto attonita, a
guardarlo
ancora con il broncio stampato in volto. Ci metto un po’
prima di afferrare sul
serio il senso di quelle parole.
“Sinceramente,
l’hai
trovata nei biscotti della fortuna? No, perché non ti ho mai
sentito dire una
frase così bella!”.
A volte,
giuro, mi chiedo
da dove mi escano certi commenti. Potrei scrive un libro sui modi
migliori per
rovinare un momento romantico perfetto.
Mi si
avvicina e a fiori
di labbra mormora “No, viene tutto da qua” e porta
una mia mano sul suo petto.
Io, improvvisamente, sono assalita da un caldo soffocante.
“Hai
un cuore molto
saggio … molto più del cervello”.
Potessi
prendermi a
mazzate lo farei: ma perché non imparo a starmene zitta?
Per
fortuna Joe
impazzisce per questo lato del mio carattere; dice che con mi fa
sembrare più
affascinante. Anche lui ha un bella fantasia.
Mi bacia e
ci rotoliamo
sulla spiaggia, riempiendoci di granelli di sabbia. Non vediamo sorgere
il
sole, almeno non io: mi addormento prima.
Mi
risveglio nella
stanza di Joe, lui è accanto a me, immerso nel mondo dei
sogni. Spero siano
popolati dal mio
viso.
Remember cuddles in the kitchen
Yeah, to get things off the ground
And it was up, up and away
Oh, but it's right hard to remember
That on a day like today when you're all argumentative
And you've got the face on
( Arctic Monkeys- Mardy Bum)
Dal quel giorno abbiamo sempre dormito
insieme. Non so
cosa abbiamo convinto mamma Jonas; forse è stato
l’anello di Joe, sempre
luccicante al suo anulare sinistro, a persuaderla che le nostre
intenzioni
fossero assolutamente innocenti. Ma quella notte è vivida
come se fosse appena
passata. Io e Joe, solo io e Joe. Bei tempo erano quelli.
“E
qui, tra i due, sono io
a dovermi chiedere che cos’ho di speciale per stare con
te”.
Non lo so, dimmelo tu che
cos’hai di speciale. Io ho
sempre avuto dei problemi a comprendere che diamine avesse per
attirarmi così
tanto. Saranno stati gli occhi, il sorriso, il carisma o quelle sue
frasi che
mi spiazzavano. O forse è semplicemente il suo essere Joe.
Con pazienza incomincio a riporre i
miei vestiti in
valigia. Il mio aereo decollerà stasera a mezzanotte e
mezza. Tornerò nella mia
città, nella mia Inghilterra umida e piovosa;
farò finta che tutto questo non
sia mai accaduto, fingerò di non essere mai stata in America
e di non aver mai
conosciuto Joe Jonas. Cancellerò tutti i miei ricordi,
farò tacere la mia
memoria.
Come se
lui non fosse
mai esistito.
È triste solo dirlo.
Metterlo in atto sarà una tragedia.
Apro la finestra per fare entrare un
po’ d’aria. Davanti
al mio albergo c’è un enorme cartellone
pubblicitario. Strana cosa è il
destino: ho passato un anno fremendo dalla voglia di vederlo ed ora che
ho
deciso di dimenticarlo, mi compare davanti.
Sul quell’immenso pezzo di
carta ci sono proprio loro, i
tre Jonas. Chiudo con uno scatto le tende.
Sarà più
difficile del previsto.
Riporto la mia attenzione al bagaglio
e finisco di
ritirare la mia roba. Capo per capo, per tenere la mente occupata, in
modo che
non possa vagare al ragazzo formato gigante di fronte al mio hotel.
Alle dieci sono pronta per partire. Ho
passato una
bellissima
giornata a guardare film strappalacrime ed ad affogare in una
scodella di gelato al cioccolato.
Butto un occhio oltre la finestra ed
osservo bene la
città: questa è l’ultima volta che vedo
Los Angeles, deve finire nel cestino
delle dimenticanze come lui.
Un uomo del personale mi aiuta a
portare nella hall la
valigia. Mi fermo alla reception per pagare.
Scopro che il conto è
già stato saldato.
“Non è possibile,
controlli bene” dico al direttore.
“No signorina, è
tutto a posto: il suo soggiorno è stato
regolarmente pagato”.
Ancora confusa, trascino il mio
bagaglio fuori, dove
aspetto la macchina che mi porterà all’aeroporto.
Il cortile dell’albergo,
però, è diverso da come lo ricordavo.
È un’esplosione
di fiori: rose rosse, gialle, blu.
Ovunque.
E al centro c’è
lui, il ragazzo che mi ero prefissata di
scordare. Ha in mano una chitarra.
No, non oserà fare quello
che penso. Invece lo fa: le sue
dita si muovono sulle corde e la sua voce accompagna la melodia. Gotta
find
you.
Infida e subdola. Maledetto il giorno
in cui me l’ha
dedicata.
Nel frattempo, le persona cominciano
ad affacciarsi alle
finestre; Joe sta attirando l’attenzione.
Io odio quando attira
l’attenzione.
Corro verso di lui;
dall’espressione pare credere che io
stia per abbracciarlo. Appena gli sono di fronte, gli strappo la
chitarra.
“Sei impazzito?! Ci guardano
tutti!”.
“Ci sono abituato”.
“Io no!” appoggio
lo strumento a terra “Che cos’è questa
storia?”.
Aspetta un po’ a rispondermi
“Te l’avrei spiegata ieri
sera, se non te ne fossi andata come una fuggitiva, lasciandomi in
balia di
un’orda inferocita di fan”.
“Ieri sera?”
ripeto sospettosa “Joe, se questo è un altro
dei tuoi trucchetti …”.
“Nessun trucco, Lynnie. Dato
che il mio agente mi aveva
sequestrato per la prima parte della serata, avevo pensato di farti una
sorpresa facendomi trovare qui per le undici e mezza”.
Rimango a bocca aperta: aveva
programmato tutto, si era
pesino ricordato l’ora della mia nascita.
Ci sono ancora alcune cose che non mi
sono chiare “Ma
Camilla? Non volevi uscire con lei?”.
Lui ride. “Non lo nego.
Abbiamo finito di girare verso le
dieci e non sapevo cosa fare per un’ora e mezza,
così ho accettato di andare in
un locale con tutta la troupe, non
solo con Camilla”.
Sono terribilmente in imbarazzo, ho
frainteso tutto.
“Sono senza parole, non so
che dire … mi sento così scema
…”.
“E’ colpa mia,
Lynnie. Tu sei una santa a sopportarmi ed
io, invece di ringraziare il cielo di averti trovata, ti do una
delusione dopo
l’altra” indica tutto ciò che ci
è attorno e riprende il discorso “Questa
è
solo una piccola parte di quello che ho intenzione di fare per
riscattarmi”.
Il cuore mi scoppia dalla
felicità; allora avevo ragione:
io conosco Joseph Jonas.
“Joe, mi stupisci ogni
giorno di più; si può sapere da
dove le prendi certe frasi?!”.
È la mia bandiera bianca e
lui lo sa. Il suo viso s’illumina
di un sorriso stupendo. Mi abbraccia e mi solleva da terra, compiendo
un mezzo
giro.
“E adesso il tuo
regalo” con due dita si sfila il suo
prezioso anello e me lo porge “Non ti voglio obbligare ad
ideali in cui non
credi, però in questo anello sono racchiusi tutti i miei
principi ed ho pensato
che … insomma … è come se io fossi
sempre con te”.
Mi rigiro il gioiello tra le mani
“Ai tuoi verrà un
infarto quando vedranno che non lo indossi”.
“Per fortuna vedranno con i
loro occhi che ce l’hai tu”.
Non capisco subito il significato di
questa affermazione,
ma Joe me la chiarisce.
“Vieni a stare da me per un
po’” propone.
Ora sono io che lo stringo
più forte che posso. Mi attacco
al suo collo e inizio a saltellare
come
una bambina a Natale. Joe posa le labbra sulle mie.
Non è mai stato violento o
irruento nei miei confronti,
ma dolce e delicato; avrei dovuto capire prima quanto tenesse a me.
Finalmente dice quelle parole che ho
tanto agognato,
parole che volevo sentire unicamente da lui.
“Buon
Compleanno, Lynnie”.
You're the one I need
My real life has just begun
Cause there's nothing like
Your smile made of sun
Nothing like your love
( Shakira-The one)