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Autore: evelyn80    16/07/2015    5 recensioni
Dopo aver espresso il desiderio di poter salvare Boromir dalla sua triste fine, Marian si ritrova catapultata nella Terra di Mezzo grazie ad un gioiello magico che la sua famiglia si tramanda di generazione in generazione. Si unirà così alla Compagnia dell'Anello per poter portare a termine la sua missione. Scoprirà presto, però, che salvare Boromir non è l'unica prova che la attende.
Ispirata in parte al libro ed in parte al film, la mia prima fan fiction sul Signore Degli Anelli.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boromir, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La mia Terra di Mezzo'
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Spazio Autrice: Buongiorno a tutti! Ecco il nuovo capitolo “riveduto e corretto”. E’ molto più lungo rispetto ai precedenti, e spero di non annoiarvi. Per chi legge per la prima volta: vi informo che gli asterischi che troverete all’interno del testo, in questo capitolo ed in altri più avanti, stanno ad indicare il cambio del punto di vista tra i vari personaggi: solitamente tra Marian, la protagonista, e Boromir. Voglio ringraziare, oltre a chi ha già letto e commentato in precedenza, anche chi ha cominciato a leggere adesso la storia. Buona lettura! :-)
 


L’uomo di Gondor

 
Frodo impiegò quattro giorni a riprendersi; anche se, in realtà, non sarebbe mai guarito del tutto. Il ricordo della ferita infertagli dallo Spettro l’avrebbe accompagnato per il resto della sua vita.
Per tutto quel tempo Sam e suo zio Bilbo – che io, fino ad allora, avevo visto poco, perché l’anziano Hobbit trascorreva la maggior parte del tempo chiuso nella sua stanza a scrivere le sue memore nel Libro Rosso – rimasero al suo capezzale e, spesso, anche Gandalf fece loro compagnia.
Le lezioni di scherma con Arwen furono sospese, poiché l’Elfa passava la maggior parte del suo tempo con Aragorn. Molto spesso li si poteva vedere mentre passeggiavano mano nella mano lungo i sentieri che costeggiavano il fiume; oppure trascorrevano lunghe ore a leggere in silenzio, seduti l’uno accanto all’altra nella Sala del Fuoco.
"Che bella coppia" sospiravo spesso, a mezza voce, quando li vedevo, mentre con il pensiero correvo a Boromir che, di sicuro, stava cavalcando verso Imladris.
Ma, anche se non avevo più gli allenamenti, non potevo certo dire di annoiarmi perché Merry e Pipino – che mi avevano preso a benvolere sin dall’inizio – trascorrevano la maggior parte delle loro giornate in mia compagnia, lasciandomi soltanto per brevi periodi in cui andavano ad informarsi sulle condizioni di Frodo. Interrogavano tutti gli Elfi che erano stati a contatto con il loro cugino per accumulare più notizie possibile, poi tornavano a farmi un resoconto dettagliatissimo sulle sue condizioni cliniche.
Erano due Hobbit molto curiosi – o, meglio, molto più curiosi della normale media Hobbit – e, nei momenti di quiete in cui non stressavano Elrond e compagnia,  mi divertii molto a raccontare loro come andavano le cose nel mio "mondo". Mi subissavano di domande e ridevano come matti quando cercavo di spiegargli come funzionavano cose che loro non avevano mai visto, come ad esempio il telefono o la televisione.
Dal canto loro, essi mi raccontarono vita, morte e miracoli della Contea e di tutte le famiglie che vi abitavano, le quali erano talmente tante ed avevano cognomi talmente simili tra loro che ben presto cominciai a confondermi, facendo miscugli anche con i nomi delle varie ed innumerevoli località in cui la loro terra d’origine era suddivisa.
"Allora, vediamo se ho capito. I Tuc vivono per la maggior parte a Pianaforata…" cominciai, un pomeriggio in cui eravamo seduti all’ombra di un faggio secolare, cercando di ricapitolare la marea di informazioni con cui i due mi avevano letteralmente travolto.
"No! Innanzi tutto è “Pietraforata” e non “Pianaforata”, ti sei confusa con “Pianilungone”! E poi, i Tuc vivono a Tucboro!" mi corresse serio Pipino mentre Merry si contorceva dalle risate, indicando alternativamente la mia faccia confusa e l’espressione da professore che aveva assunto il suo giovane parente.
"Lasciamo perdere, ragazzi” sospirai allora, rassegnata. “Credo che non riuscirò mai a mandare a mente tutti i vostri nomi!".
Durante quei quattro giorni, in cui Frodo rimase incosciente, iniziarono ad arrivare le delegazioni dei popoli liberi convocate da Elrond per il suo Consiglio. Per primi giunsero gli Elfi silvani di Bosco Atro, tra i quali si trovava il principe Legolas Verdefoglia ed, il giorno successivo, fu la volta dei Nani della Montagna Solitaria, capitanati da Gloin e da suo figlio Gimli. Fui presentata a tutti i nuovi venuti come la "Portatrice della Stella" e tutto ciò cominciò ad essere molto fastidioso poiché – da qualsiasi parte andassi, dovunque mi voltassi – trovavo sempre qualcuno pronto a riverirmi. Infine, esasperata per la nuova ondata di smancerie, arrivai al punto di tentare di nascondermi addirittura dietro ai due Hobbit ogni qual volta vedevo arrivare qualcuno – Elfo, Nano o Uomo che fosse. I miei due nuovi amici mi assecondarono subito ed, anzi, se loro per primi notavano la presenza di un estraneo mi mandavano a nascondermi. Allora mi rifugiavo nelle scuderie, all’interno del box di Freccia d’Argento. Non appena il pericolo era passato i due venivano a chiamarmi e, spesso, in segno di riconoscenza, li portavo a passeggiare in sella alla mia cavalla.
Finalmente il quarto pomeriggio, mentre eravamo tutti e tre seduti su un muretto a guardare il fiume ed a raccontarci barzellette, Glorfindel venne ad annunciarci che Frodo si era svegliato dalla sua incoscienza. I due Hobbit saltarono subito in piedi, entusiasti della notizia, e si lanciarono come lepri verso la sua stanza. Quando si resero conto, però, che  non mi ero mossa, tornarono sui loro passi pregandomi di andare con loro.
"Frodo è vostro cugino, ed è più che giusto che andiate subito a salutarlo” risposi loro, scuotendo la testa rifiutando l’invito, “ma io per lui sono solo un’estranea… Non vorrete mica affaticarlo con delle lunghissime spiegazioni!"
"Ma quale estranea?! Tu sei nostra amica! Devi assolutamente venire con noi!" insisterono, ed io non potei far altro che andar loro dietro, trattenendo a stento un lungo sospiro. Erano molto simpatici, dovevo riconoscerlo, ma a volte erano anche molto, molto invadenti.
Sulla soglia della camera da letto di Frodo trovammo Elrond e Gandalf, che ne stavano uscendo.
"Ah, eccovi qua voi due! Mi raccomando non stancatelo troppo! E’ ancora molto debole!" li redarguì lo stregone, aggrottando le sopracciglia e fissandoli serio. Colsi la palla al balzo.
"Visto, che vi avevo detto? E’ meglio che io non venga, andate solo voi…" tentai di nuovo di defilarmi. Non sapevo perché, ma non mi sentivo ancora pronta per incontrare il Portatore dell’Anello. Gandalf mi sorprese, chiedendomi invece di entrare.
"Va’ con loro! A Frodo farà piacere sapere che non è il solo a portare un pesante fardello" e, con gli occhi, ammiccò in direzione della "Stella" che pendeva appesa al mio collo.
L’Hobbit giaceva adagiato su un morbido letto a baldacchino, avvolto in candide coperte profumate. Aveva appoggiato la schiena alla spalliera imbottita di cuscini e guardava fuori della finestra con sguardo assente. Profonde occhiaie segnavano i suoi begli occhi blu e, dal colletto della larga casacca che indossava, spuntava la fasciatura che copriva la sua ferita alla spalla.
Fu molto contento di vedere i suoi cugini, e sorpreso nel conoscere la mia storia. Si disse onorato di fare la mia conoscenza e di potermi annoverare tra i suoi amici, ma la sua inquietudine tradiva un profondo senso di disagio. Io stessa – anche se avevo cercato di non darlo a vedere – non appena avevo messo piede all’interno della stanza avevo percepito il potere oscuro che scaturiva dall’Anello.
Lo avvertii come una specie di buco nero, un vuoto infinito da cui partivano molti raggi come tentacoli, pronti ad afferrare il cuore di qualsiasi essere si avvicinasse ad Esso. Uno di questi aveva già cominciato a scavare, lento ed inesorabile, macchiando la pura coscienza di Frodo. Il mio ciondolo reagì all’istante, diventando più luminoso e più caldo e, di sicuro, anche l’Hobbit percepì qualcosa perché, d’istinto, si portò le mani al petto – come per difendere l’Anello – per poi adagiarle di nuovo subito dopo sulla coperta.
La nostra visita fu molto breve. Con la scusa di non affaticarlo troppo riuscii a convincere i miei compagni a lasciare la stanza dopo pochi minuti e li ringraziai mentalmente quando si dissero immediatamente concordi con me. Se non avessi avuto la mia collana a proteggermi, di sicuro anch’io avrei sentito l’impellente bisogno di impossessarmi del gioiello di Sauron.
Una volta fuori della camera, Merry e Pipino tornarono nel cortile, parlando allegramente tra loro della fortunata guarigione del cugino. Gandalf, che stava ancora passeggiando nel corridoio, mi trattenne, forse vedendo il mio viso turbato. Mi guardò negli occhi e non ebbe bisogno di farmi alcuna domanda per convincermi a parlare.
"L’ho sentito Gandalf!” esclamai, non appena i miei compagni si furono allontanati. “Ho sentito il potere dell’Anello! Non invidio affatto il povero Frodo. Non vorrei mai trovarmi nei suoi panni!"
Lui annuì gravemente.
"Immaginavo che l’avresti percepito. E scommetto che la "Stella" ha cercato di contrastarlo, non è così?"
"Sì, in effetti è diventata più calda e brillante, ma solo per poco” ammisi. “Durante tutto il tempo in cui sono stata nella stanza ho sentito come un peso sul cuore, ma i neri tentacoli… è così che l’ho visto, come neri tentacoli…” spiegai, “si sono come ritratti quando mi hanno visto."
"La "Stella di Fëanor" è un manufatto molto più antico dell’Unico e forse altrettanto potente” rivelò lo Stregone. “Ecco perché tu rappresenti una speranza per tutti noi. Ma… si sta facendo tardi! Elrond ha organizzato un banchetto in onore di Frodo e della sua fortunata guarigione. Va a cambiarti e non pensare al futuro, per adesso."
Mi strizzò l’occhio lasciandomi da sola e, più tardi quella sera, avrei ricordato quel gesto. Ciò mi fece capire che Gandalf sapeva qual era la mia missione.
Seguii il suo consiglio e mi ritirai nella mia stanza, dove feci un bel bagno caldo e mi cambiai con l’abito elfico che mi avevano dato il giorno del mio arrivo e che, da quella prima sera, avevo accuratamente riposto nell’armadio. Di solito preferivo indossare i miei comodi abiti maschili e le damigelle di Arwen me ne avevano procurati molti altri. Ma, visto che quella sera era dedicata a Frodo, decisi di fare un piccolo sacrificio e di mettermi in ghingheri. Una delle ancelle a mia disposizione si divertì ad acconciarmi i capelli – lunghi fino al fondo schiena – alla maniera elfica e quando uscii dalla mia camera con la "Stella di Fëanor" che scintillava sul mio petto, chiunque avrebbe potuto benissimo scambiarmi per una dei Priminati, se non fosse stato per il fatto che le mie orecchie non erano a punta.
Ero appena giunta nel cortile principale di Imladris, diretta verso la sala da pranzo, quando udii lo scalpiccio di zoccoli di un cavallo al trotto lento. Mi voltai verso l’arco in pietra che segnava l’accesso dell’Ultima Casa Accogliente, appena in tempo per vedere arrivare l’Uomo per cui avevo espresso il desiderio che mi aveva condotto nella Terra di Mezzo: Boromir.
Fece fermare il cavallo tirando le redini e rimase a guardarsi intorno a bocca aperta, quasi meravigliato dalla bellezza del luogo. I suoi abiti, anche se impolverati per la lunga cavalcata, testimoniavano il suo alto lignaggio. Indossava pantaloni e gilet in pelle, quest’ultimo chiuso da tre fermagli a borchia finemente lavorati. Al di sotto portava una casacca color rosso fegato, decorata con ricami di fili d’oro al collo e sulle maniche, che erano corte. Sotto ancora, indossava una spessa e pesante cotta di maglia, mentre le sue mani erano coperte da spessi guanti in cuoio, con parapolsi – decorati con l'albero di Gondor sbalzato sulla superficie – che gli arrivavano fino all’avambraccio. Sopra a tutto indossava un mantello di velluto, anch’esso rosso scuro come la casacca, bordato di pelliccia. Al fianco portava una grossa spada ed appeso alla schiena aveva un grande scudo rotondo, decorato da un’unica borchia metallica centrale. Appeso alla cintura troneggiava il grande corno di Gondor.
I suoi capelli biondo scuro, lunghi fino alle spalle, erano scompigliati per la lunga cavalcata e la barba aveva decisamente bisogno di essere ritoccata ma, nella luce morente del tramonto, mi apparve come una visione, e mentre lui continuava a guardarsi attorno a bocca aperta, io fissavo lui con la medesima espressione. Eccolo, finalmente era arrivato: il Capitano Generale di Gondor!
Mentre continuavo a guardarlo, incapace di muovermi come se i miei piedi avessero messo le radici, molti Elfi si avvicinarono. Lui scese da cavallo e chiese di vedere il padrone di casa. Elrond stesso venne ad accoglierlo ed insieme i due entrarono nel palazzo. Soltanto quando sparì dalla mia vista ritrovai la facoltà di movimento e, lentamente, mi diressi verso la sala da pranzo.
All’interno della grande stanza erano già presenti molti degli invitati. Arwen era seduta al suo posto, accanto all’alto seggio di solito occupato da suo padre e, con la mano, mi fece cenno di raggiungerla.
"Vieni, siedi accanto a me!"
"E Aragorn?" le chiesi, mentre mi accomodavo.
"Lui sederà alla sinistra di mio padre, tra i miei fratelli Elladan ed Elrohir" mi rispose, indicandomi la sedia vuota tra i gemelli.
Dopo pochi minuti, quando quasi tutti gli invitati avevano ormai preso posto a tavola, Glorfindel venne ad annunciare che la cena avrebbe avuto inizio con qualche attimo di ritardo, poiché era appena giunto un ospite inatteso dal sud. Alcuni dei Nani borbottarono tra di loro mentre gli altri si disposero ad attendere di buon grado. Subito dopo arrivarono tutti e cinque gli Hobbit, accompagnati da Gandalf. Merry e Pipino mi salutarono allegramente agitando la mano, prima di mettersi a sedere in fondo ad una delle lunghe tavolate insieme a Sam, che guardava gli Elfi con aria imbambolata. Gandalf fece accomodare Frodo accanto al vecchio Gloin, poi raggiunse l’alta tavola a cui già sedevamo tutti tranne Elrond, e si mise seduto accanto a me. Bilbo si accomodò accanto ad uno degli Elfi silvani ed alla sua sinistra rimase un posto libero, proprio davanti ai miei occhi.
L’attesa durò circa una mezz’ora ma, dal mio punto di vista, ne valse proprio la pena perché quando Boromir entrò nella sala, preceduto da Elrond, una luce si accese davanti a me.
Si era lavato, aveva rasato le guance e ritoccato accuratamente baffi e barba, che portava a pizzetto. Aveva pettinato i capelli, che ora erano lisci e splendenti. Aveva tolto i guanti e la cotta di maglia – al posto della quale indossava una morbida camicia di pelle scamosciata – ma non i parapolsi, che continuavano ad ornargli le braccia tornite. Aveva deposto la spada e lo scudo ma non il corno, ancora appeso alla cintura.
Non appena il padrone di casa fece il suo ingresso nella sala ci alzammo tutti in piedi, in segno di rispetto. Lui fece cenno con le mani di accomodarci e disse:
"Vi ringrazio per la vostra paziente attesa! So che è stata un po’ lunga, ma non potevamo certo cominciare senza il nostro illustre ospite, appena giunto dal reame di Gondor.” Alzò una mano, ad indicare il Gondoriano al suo fianco. “Questi è Boromir, Capitano Generale; figlio di Sire Denethor, Sovrintendente Regnante di Gondor!"
Con un ampio cenno del braccio, Elrond invitò l’Uomo ad accomodarsi nell’ultimo posto rimasto libero, poi lui stesso venne a sedersi a tavola e la cena cominciò.
Boromir si trovava proprio di fronte a me, a pochi passi di distanza, e ne approfittai per guardarlo direttamente in faccia ogni volta che volevo.
Si guardò intorno a lungo, alzando spesso lo sguardo al soffitto che era di legno, a cassettoni finemente lavorati, illuminato da decine di torce appese alle pareti. Dopo aver finito l’esame della stanza i suoi occhi grigio-verdi si posarono su di me ed io mi sentii arrossire fino alla punta delle orecchie. Distolsi lo sguardo con un mezzo sorriso, fissando quello che avevo nel piatto, ma tornando a guardarlo più volte nel corso della serata. Con piacere, notai che spesso i nostri sguardi si incontrarono, perché anche lui guardava me con un’espressione interessata.
"Mi sembri un po’ distratta, questa sera, mia cara" mi disse Gandalf ridendo sotto i baffi quando, per la terza volta, mancai con la forchetta i bocconi che avevo nel piatto, prendendo invece la tovaglia.
"Eh?" dissi, come risvegliandomi da un sogno. Mi ero messa a guardare Boromir che divorava con appetito quello che aveva nel piatto, perdendo completamente la cognizione del tempo e dello spazio.
"Ho detto che mi sembri un po’ distratta" ripeté lo Stregone con un sorriso malizioso, strizzandomi l’occhio. Arrossii e borbottai qualcosa di incomprensibile, chinando di nuovo lo sguardo sul piatto. Gandalf ridacchiò e riprese a mangiare.
Qualche minuto dopo, quando ebbi nuovamente il coraggio di alzare gli occhi, vidi che Boromir aveva vuotato il piatto ed era impegnato in conversazione con Bilbo; poi Pipino mi fece "ciao" sbracciandosi dal suo posto, ed io risposi con entusiasmo, inzuppando la lunga manica del vestito nel piatto.
"Mannaggia! Che impiastro che sono!" esclamai, cercando di ripulire l’abito con il tovagliolo e finendo soltanto con il peggiorare la situazione. Arwen mi guardò inarcando le sopracciglia ed io smisi di dimenarmi sulla sedia, alzando le spalle con fare rassegnato e finendo di mangiare.

 

* * *

 

Non appena si era messo a sedere, Boromir si era subito guardato intorno. Vi erano molti rappresentanti delle diverse razze libere della Terra di Mezzo – Elfi, Uomini e Nani – presenti a quella cena; oltre a cinque creaturine, una delle quali gli sedeva accanto, che non aveva mai visto prima di allora e delle quali ignorava persino l’esistenza. Il suo vicino si era presentato come Bilbo Baggins, Hobbit della Contea, e quando lui gli aveva risposto che non aveva la più pallida idea di cosa fosse un Hobbit, l’omino aveva aggiunto:
"Forse la parola Mezzuomo vi dice qualcosa di più?"
Boromir era rimasto di sasso, tornando con la mente alle parole che aveva udito in sogno: "Cerca la Spada che fu rotta, a Imladris la troverai; i consigli della gente dotta più forti di Morgul avrai. Là un segno verrà mostrato, indice che il Giudizio è vicino; il Flagello d’Isildur s’è svegliato e il Mezzuomo è in cammino". Aveva discusso a lungo in merito a quelle frasi, sia con suo padre che con Faramir: lui aveva fatto quel sogno solo una volta, mentre per suo fratello era stata una visione onirica piuttosto ricorrente. Fino all’ultimo momento, Faramir aveva sperato con tutto il suo cuore che il loro padre scegliesse lui, quale messaggero per Imladris ma, alla fine, Denethor aveva deciso di incaricare il maggiore dei suoi figli, benché anche quest’ultimo avrebbe preferito mandare il fratello. Lui non era mai stato un uomo adatto a tediosissime riunioni: la sua natura di guerriero lo portava ad amare solo ed esclusivamente il campo di battaglia, ma il Sovrintendente era stato irremovibile. Ed era per quel motivo che si trovava lì, ad Imladris: per avere i consigli della "gente dotta". Ed ora si trovava davanti non solo uno, ma ben cinque Mezzuomini!
Si guardò intorno con curiosità, ammirando la bellezza della stanza ma continuando a pensare al suo sogno. Non l’aveva mai rivelato a nessuno – né a suo padre, né al suo amato fratello, né tantomeno ad Elrond durante il breve colloquio che avevano avuto non appena arrivato e durante il quale il Mezzelfo lo aveva invitato a partecipare al suo Consiglio, che si sarebbe tenuto l’indomani – ma lui aveva udito un’altra strofa. "Una lieta presenza è giunta in quel luogo, che libera i cuori dalla morsa che serra; la Stella perduta brilla di nuovo, per l’Uomo di Gondor e per tutta la Terra".
Stava ripetendo per l’ennesima volta quelle parole nella sua mente, quando il suo sguardo si posò su una delle due fanciulle che sedevano alla tavola alta. Al collo portava un monile a forma di stella, così splendente che per un attimo i suoi occhi non riuscirono a vedere altro. Lei a sua volta lo guardò: quando il loro occhi si incontrarono la vide arrossire e chinare lo sguardo con un mezzo sorriso.
Rimase a guardarla colmo di stupore e, durante la serata, più volte i loro sguardi si incrociarono. Quando ebbe finito di mangiare si concesse di osservarla un po’ più a lungo e l’Hobbit seduto accanto a lui colse il suo sguardo.
"Vedo che avete notato anche voi la presenza più lieta di tutto Gran Burrone!" disse, con la sua vocina ancora squillante nonostante l’età, facendo un mezzo sorriso e guardando maliziosamente il suo interlocutore.
"Sì…” rispose distrattamente Boromir, senza neanche voltarsi a guardare il Mezzuomo. “Vedo che è vestita come un’Elfa, ed è acconciata come una di loro, ma le sue orecchie non sono a punta… è dunque della mia razza?" chiese, pieno di una curiosità che non aveva mai provato prima di allora nei riguardi di una donna, e che lasciò lui stesso stupefatto.
"Sì, è una Donna, anche se non è originaria della Terra di Mezzo!” rispose Bilbo, continuando a ridacchiare tra sé e sé. Aveva centoventotto anni e, anche se non si era mai sposato, aveva comunque vissuto le sue esperienze, e sapeva riconoscere un maschio vittima di un colpo di fulmine, quando ne vedeva uno. “Viene da un posto talmente lontano che nemmeno Gandalf ed Elrond sanno dove si trova! Ma l’importante non è da dove proviene, ma quello che reca con sé: vedete il gioiello che porta al collo?"
Boromir annuì, senza distogliere lo sguardo dalla misteriosa fanciulla.
"Quella è la “Stella di Fëanor”, l’ultimo Silmaril che si credeva perduto da tempi remoti. Il suo ritorno è stato una grande gioia per tutti!"
"La Stella perduta brilla di nuovo…" mormorò il Gondoriano ripetendo, senza accorgersene, le parole del suo sogno.
"Sì, è esatto!" confermò Bilbo. "Il suo nome è Dama Marian, ma qui gli Elfi la chiamano Tingilindë, che vuol dire Stella Scintillante!"
Finalmente, Boromir riuscì a distogliere lo sguardo dalla tavola alta ed a fissare il suo interlocutore.
"Ditemi tutto ciò che sapete di lei!" ordinò, senza neanche rendersi conto di aver usato un tono di comando, di certo non adatto alla situazione. L’Hobbit parve non accorgersene nemmeno.
"Purtroppo non posso esservi di aiuto” gli rispose, ancora sorridendo sotto i baffi. “L’ho incontrata solo due o tre volte, prima di oggi, e non abbiamo mai fatto molta conversazione. Passo la maggior parte del tempo nella mia stanza, ormai, ed esco solo di rado; ma i miei cugini passano molto tempo con lei" e, con la mano, Bilbo, indicò Merry e Pipino che gozzovigliano all’altra estremità del tavolo. "Forse loro sapranno dirvi qualcosa di più. Oppure, se ne avrete l’ardire, potrete rivolgervi direttamente a lei!" e, con quelle parole, gli strizzò l’occhio, malizioso.

 
* * *


 
Quando la cena finì, Elrond invitò tutti i suoi ospiti a fargli compagnia nella Stanza del Fuoco. Mi accodai ad Arwen, sempre cercando di mandar via la macchia di sugo che avevo sulla manica, leccandomi le dita e strofinando alacremente,  ma finendo soltanto con l’imbrattare ancora di più la stoffa. Una volta dentro, lei andò a sedersi accanto a suo padre ed Aragorn si mise in piedi dietro di lei. Tutti gli altri si accomodarono sulle varie sedie e panche sistemate tutto intorno alla stanza. Non appena entrò, Bilbo andò in cerca di Aragorn, parlottò un po’ con lui e si allontanò seguito da quest’ultimo, reggendo in mano diversi fogli scritti con una calligrafia minuta ed un po’ inclinata verso destra.
Andai a sedermi al posto che mi era stato riservato, ancora una volta tra la Stella del Vespro e Gandalf, e quando il ramingo tornò si piazzò di nuovo in piedi ma, questa volta, tra Arwen e me. Mi voltai a guardarlo sorridendogli ed egli rispose al mio sorriso. Per quella che non era la prima volta pensai che se li portava veramente bene i suoi ottantasette anni, visto che ne dimostrava almeno la metà.
Mi guardai intorno, per vedere che fine avesse fatto Boromir. Si era messo a sedere in fondo alla stanza, stravaccato su una sedia, con il gomito destro puntato sul bracciolo e la testa appoggiata alla mano. Aveva l’espressione di chi o è completamente immerso nei propri pensieri, oppure si sta annoiando a morte.
"Propenderei per la seconda ipotesi, sapendo come lo ha descritto Tolkien" pensai tra me e me, ma le mie riflessioni furono ben presto interrotte dalla vocetta acuta di Bilbo che si schiariva la gola, per annunciare che aveva appena finito – grazie anche all’aiuto di Granpasso – di comporre un’ode in onore di Elendil e chiedeva il permesso di cantarla.
Elrond glielo accordò di buon grado e l’anziano Hobbit parlò a lungo. Dopo di lui, molti Elfi presero a cantare nella loro lingua di cui io, benché mi fossi impegnata con tutta la mia buona volontà, non avevo appreso che solo pochi termini. Cominciai anch’io ad annoiarmi e, senza rendermene conto, iniziai a sbadigliare ed addirittura a sonnecchiare.
Mi risvegliai di soprassalto – con la bocca semiaperta – quando la musica cambiò decisamente tono. I Nani avevano tirato fuori le loro viole, le loro arpe, i loro flauti ed i loro tamburi, e si erano messi a loro volta a cantare.
"Finalmente qualcosa di più allegro" pensai, stiracchiandomi, e grande fu la mia sorpresa quando attaccarono una canzone che somigliava incredibilmente a "Samarcanda" di Roberto Vecchioni.
"Ehi, ma questa è Samarcanda!" esclamai a voce alta, sobbalzando in maniera talmente violenta da cadere quasi dalla sedia. "Vuoi vedere che i legami fra il mio mondo e questo sono più di quelli che credevo?"
I Nani si misero a cantare nella loro lingua ed io presi a farlo in Italiano. Arwen lo notò e mi chiese se conoscevo quella canzone.
"Sì, la conosco nella mia lingua. La musica è pressoché la stessa, anche se non ho idea di cosa stiano dicendo i Nani" le risposi.
"Puoi cantarla, se vuoi."
"Io…?" dissi, avvampando. Cantare mi piaceva molto, ma mi vergognavo a farlo davanti a tutti. Soprattutto, di fronte a Boromir. Non feci in tempo ad accampare scuse perché, nel frattempo, Arwen aveva parlato con suo padre e, non appena i Nani ebbero finito di suonare, il Mezzelfo prego Gloin e i suoi compagni di attaccare nuovamente perché anche Dama Tingilindë avrebbe cantato la loro canzone nella sua lingua.
Se avessi potuto, sarei scivolata volentieri tra le fessure delle pietre del pavimento! Con il cuore che mi andava a mille all’ora mi alzai in piedi – facendomi mentalmente il segno della croce – ed attaccai a cantare, cercando di non fissare nessuno in particolare.
"Ridere, ridere, ridere ancora, ora la guerra paura non fa…"
Pian piano la tensione diminuì e ci presi gusto, accennando anche qualche passo di danza sugli stacchi musicali. Casualmente lo sguardo mi cadde su Boromir e vidi che si era finalmente destato dalla sua catalessi. Si era raddrizzato sulla sedia e batteva le mani a tempo con la musica. Quell’immagine mi dette una tale soddisfazione che avrei toccato il cielo con un dito, se non fossi stata al coperto.
Quando la musica finì tutti applaudirono. Accennai un inchino e tornai a sedermi, sventolandomi con le mani. Sia Arwen che Aragorn si complimentarono con me per la voce e, se possibile, divenni ancora più paonazza.
Finalmente giunse l’ora di ritirarsi per la notte. Gli ospiti cominciarono a congedarsi ed anch’io colsi l’occasione per andare a dormire, ma Elrond mi fermò.
"Domani, Dama Marian, si terrà un consiglio tra i popoli liberi della Terra di Mezzo, come voi già ben sapete!"
Io annuii, grave.
"Sarebbe un grande onore se la Portatrice della Stella volesse parteciparvi e contribuire, con i suoi consigli, a risolvere le questioni più spinose."
Arrossii involontariamente.
"Accetto con grande piacere, Sire Elrond, anche se, temo, non potrò darvi molti consigli."
L’Elfo non considerò minimamente i miei timori.
"Vi aspetto per domani mattina alla prima ora dopo l’alba” mi disse, con la sua voce profonda.
"Non mancherò" gli risposi. E, con quelle parole, mi congedai ed andai a dormire.
Era il ventiquattro di ottobre, e quello fu l’arrivo di Boromir.


Ri-spazio autrice: vi lascio con un’immagine che rappresenta Marian, con indosso il vestito elfico, la sera dell’arrivo di Boromir. L’ho realizzata grazie ad un simpaticissimo gioco di dress-up, specifico per i personaggi del Signore degli Anelli. Spero vi piaccia!

 
  
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