Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Laire    21/07/2015    0 recensioni
"Ecco perchè c'è qualcosa di buono anche nell'essere cattivo"
Una nuova storia, quella a Westeros. Mentre c'è chi combatte per il trono, c'è anche chi combatte per sopravvivere. Il mondo è crudele: facendoti nascere ti da un posto, solo per sottrartelo non appena può.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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T R I S T A N
In realtà, il percorso era stato meno lungo e ostico di quanto lui si era aspettato. Quando alzò gli occhi verso l'alto, speranzoso che il tramonto non si fosse già inoltrato troppo, trovò un cielo macchiato di un candido arancione, segno che prima di scomparire il sole gli avrebbe concesso abbastanza luce ancora a lungo. Con un sorriso dunque diede di sproni a Fiamma in modo che accellerasse il suo passo. Per Tristan era stato un infinito viaggio senza riposo: non aveva fatto nient'altro che alternare brevissimi momenti di pausa al cavalcare, talvolta obbligando sè stesso a procedere a piedi per far riposare l'animale. Dietro continuava a portare il dolore che aveva provato la mattina della partenza, peggiorato, tant'è che durante la "passeggiata" aveva dovuto eliminare alcuni pezzi di armatura, cacciandoli dentro la sacca rimasta attaccata alla sella. Ora infatti non indossava più gli spallacci, ma solo la parte della corazza, i bracciali e gli schinieri. Durante il tragitto ogni gesto gli era risultato infatti meno macchinoso e dolorante, ma data quella sua indole profondamente prudente raramente aveva chiuso occhio. E' questo il motivo delle occhiaie sotto gli occhi, abbastanza evidenti anche se non in modo eccessivo. Queste, assieme alla poca cura con cui ha potuto mantenere la sua figura, possono tranquillamente nascondere la sua reale provenienza, e classificarlo magari come un bastardo proveniente dall'angolo della strada, niente di più. Certo, il mascheramento sarebbe tutto molto più semplice se non ci fossero le sette stelle a sette punte disposte in cerchio sulla corazza a renderlo riconoscibile, ma non voleva comunque essere un qualcosa di voluto. Ciò che infatti bramava lui, giunto alla locanda stabilita, era un letto e del vino. Non era mai stato amante del vino o della birra, ma ora come ora avrebbe comunque accettato di tutto pur di togliersi di dosso il dolore che incombeva adesso sulle spalle adesso verso il fondoschiena. Persino Fiamma parve accelerare il passo una volta vista l'insegna, forse percependo il cambio positivo d'umore del suo padrone. Tristan ringraziò nuovi e antichi dei, quando finalmente riuscì a scendere dal cavallo. Si guardò attorno: soltanto da quella posizione, poteva osservare le mura di Approdo del Re. Si trovava infatti fuori da queste, vicino alla Porta Vecchia, là dove sorgeva la locanda "Sole & Luna", poco lontano da un bordello di cui ricordò grazie a un suo zio. Non ricordava quale, ma nemmeno era intenzionato ad andare in fondo alla questione. Si era infatti stampato in mente le parole della vecchia, riconoscente e anche un pizzico determinato. "Ricorda che l'ambiente in cui andrai è fatto per chi guarda unicamente il suo obiettivo" ripensò, poco prima d'essere richiamato da una voce. < Ehi, dico a voi! > dura, spigolosa, pareva lo stesse richiamando. Come rinvenendo dai suoi sogni, Tristan dovette guardare a destra e a manca prima di abbassare lo sguardo e, dunque, scorgere un nano. Cercò di non spaventarsi, tanto era sorpreso, ma riuscì unicamente a limitare i danni. Improvvisamente allargò il sorriso, anche se l'essere deforme intuì. Aveva capelli castani, molto scuri, così come gli occhi. La fronte era aggrottata, le labbra sporgenti, e il naso gonfio. Lì per lì, il Sunglass sarebbe stato in grado di dire che era alto quanto la metà di lui. < Oh... scusate, non vi avevo visto. > sincero, ancora una volta con una voce gentile, tant'è che abbassò il capo in segno di rispetto. Non aveva perso le sue abitudini nemmeno una volta lontano dall'ambiente familiare, così come la prudenza gli fece stringere meglio le redini di Fiamma.
< Si, si, certo. > il nano dondolò la testa < Dovete alloggiare qua? > col pollice indicò la locanda, con una voce spinosa a dir poco.
< Si. > Tristan affermò persino con il capo.
< Bene, allora lascialo a me e avvisa la padrona. > queste parole, invece, stupirono del tutto il nobile. Il nano pareva sicuro di sè, al punto che frettoloso già aveva allungato la mano, in attesa che gli fossero consegnate le redini. Attendeva davvero che gli venisse consegnato l'animale? Il Sunglass non aveva niente contro i nani, anzi. Se sarebbe dipeso da lui, sarebbero ritenute semplicemente comuni persone. Eppure Fiamma era una cavallo forte e robusto, molto robusto. Per quanta fiducia avrebbe potuto coltivare anche ingenuamente, non poteva assegnare un lavoro che avrebbe poi quasi sicuramente causato del male. Poteva ben farlo da solo, in fondo.
< Allora? > inarcò un sopracciglio, il mezzo uomo, scontroso.
< Non posso. > ribattè dunque Tristan.
< Esattamente... cosa significa "non posso"? Dovete alloggiare qua? > la mano, mal proporzionata rispetto al resto, andò a coprire il volto del nano come nervosamente, ansioso di portare a termine il suo compito.
< Fiamma, il cavallo, è forte, potreste farvi del male. Posso farlo io? > riccioluto, in quel volto comparve una delle espressioni più innocenti e ingenue mai comparse. Era ovviamente spinto da istinti altruistici, ma da quanto si potè capire dall'espressione del nano, non erano condivisi. Egli capì eccome cosa stava accadendo e il perchè di quella domanda, eppure parve prenderla come un offesa. Fulminò con lo sguardo il nobile, per poi goffamente saltare e prendere di forza le redini, che subito furono lasciate andare.
< Ci piscio sopra il vostro buonismo. Fatevi dire dove stanno le stalle. > l'orgoglio traboccava, e Tristan non potè fare altro che accettare le condizioni, guardando come con difficoltà, il nano, alla fine riuscì a gestire Fiamma.

Aveva appena avuto il tempo di sganciare le due sacche dalla sella, quando rimasto solo decise di entrare nella locanda. Si era già concesso qualche secondo di tempo per osservarla, giungendo a una pessima conclusione. Aveva intuito che era una delle più comuni costruzioni in legno, niente di più niente di meno. Alcune assi avevano della muffa, e ciò all'esterno, all'interno la situazione doveva essere ancora più terribile. Inutile dire che non si sorprese di niente, una volta varcata la soglia dell'entrata: l'ambiente era rustico e povero, e tutto pareva essere di legno grezzo. Le mura, i tavoli, il bancone, le sedie, ci mancavano soltanto i piatti, le posate, il cibo e le persone. Il locale era assolutamente stato costruito per chi non si poteva permettere qualcosa di lusso, questo era certo, eppure nonostante questa verità non era il solo ad aver pensato di alloggiare da queste parti. Oltre alla serva che prendeva ordini dalla padrona, altre quattro persone oltre a lui stavano nella sala e sedevano ai tavoli. Un lungo mantello di stoffa consunta con tanto di cappuccio copriva una figura, un'altra ben distante dalla prima recava indubbiamente uno stemma nello scudo scheggiato e posato a terra. Tristan era sicuro che, recante tre strisce diagonali gialle in sfondo bianco, fosse lo stemma della casata Chyttering. Molto più in là, quasi solitario, sedeva un uomo grande, grosso e barbuto col volto scheggiato da una cicatrice, posta orizzontale sul setto nasale. Aveva capelli neri e lunghi raccolti in una coda. Dall'altra parte della sala c'era una graziosa donna dai capelli biondi quasi quanto quelli di una figlia dei Targaryen. Curiosando mentalmente sulle varie identità, alla fine fu lui a essere raggiunto da quella che subito gli parve essere la padrona. Goffa e panciuta, con un velo a nascondere i capelli e le prime rughe a dipingerle il volto. Accorgendosene, naturalmente, fu lui il primo a salutare. < Salve a voi. > rispettoso fece persino un semi inchino, la mano che si allargò dunque dal resto del corpo.
< Salve. Non credo abbiate mai alloggiato qua, non è vero, Ser? > la voce era pesante, affaticata, ma per Tristan comunque simpatica.
< No. > rispose prontamente, ma all'ultimo secondo mostrò cenni di indecisione, sfarfallando appena le palpebre. < Posso chiedere a voi? >
< Certo. Gestisco io questa taverna, dimmi pure. >
Tolta anche quell'incertezza, non ci mise molto. Anzi, la padrona fu molto gentile con lui: assieme concordarono il prezzo, e per quanto la donna abbia divagato più volte sul lavoro di suo marito, il ragazzo si trovò stranamente a proprio agio. Nessuna delle persone presenti nella sala l'aveva degnato di uno sguardo, ma se n'era fatto una ragione: in compenso aveva conosciuto l'ossuta servetta, della quale ben presto apprese aveva la lingua mozzata. < E' una persona che si da molto da fare, ma... era anche una gran chiaccherona, prima che lavorasse qua. > così gli aveva detto, con molto dispiacere, la donna che gestiva questo posto. Oltre a questo misfatto, per cui Tristan propose di pagare il doppio della somma stabilita, il ragazzo si trovò ben presto dentro la sua camera, una delle poche al piano superiore. Non era per niente spaziosa, ma meglio di niente. Poichè era arrivato tardi avrebbe mangiato da solo qualche oretta più tardi, non appena la serva sarebbe accorsa a chiamarlo, ma nel frattempo gli venne data abbastanza acqua per farsi un bel bagno. In men che non si dica, il Sunglass tornò ad avere l'aspetto principesco che aveva prima di partire.

Gli bastò una sola notte su qualcosa di lontanamente simile ad un letto, per togliersi quel fastidioso dolore. La notte scorsa aveva mangiato e bevuto birra, non vino, perchè non ne avevano più. Soltanto la figura incappucciata era presente nella sala quando era sceso lui assieme alla serva. Subito dopo la cena era corso nella stanza assegnatagli e così aveva concluso il suo giorno, senza nemmeno farsi troppe domande sulla bizzarra figura del nano e su dove fosse finito, dunque, il suo cavallo. Le stalle erano state l'ultimo dei suoi pensieri. Era già sveglio, in attesa che fosse suonata la campana che avrebbe avvisato tutti l'inizio delle attività, e dunque la colazione. Ma questa non suonò nemmeno una volta, anche se attendette per molto. Si domandò se non fosse già stata suonata mentre dormiva, o se forse ci fossero state complicanze, o ancora altri problemi, quando improvvisamente, in un ambiente mattiniero e soleggiato, brusii e rumori si fecero sempre più accentuati. Dapprima pochi, incomprensibili, poi addirittura urla. Nel silenzio le voci si fecero sempre più acute, sempre più capibili. Tristan non potè fare altro che incuriorisi e, di conseguenza, prepararsi. Mentre allacciava la prima cinghia della corazza, un altro urlo percosse l'aria, e stavolta lo fece rabbrividire. In un ambiente così rustico tutto pare troppo normale, comune e familiare, tutto questo brusio gli parve inadeguato e inappropriato all'ambiente. Gli balenarono mille e mille pensieri in testa, ma la voce che urlava, per quanto si sforzasse, non la riconosceva. Un altro urlo, stavolta, lo fece sussultare quando era quasi pronto. Allacciò frettolosamente il fodero della spada, rinfoderando la stessa. L'armatura era luccicava come sempre di un bagliore argenteo, contrapposto alle parti grigie e nere. Non perse tempo a lavarsi quando anche gli schinieri furono allacciati, e subito spalancò la porta scendendo poi le scale. Un altro urlo, stavolta, lo allarmò al punto che lo costrinse a procedere a spada tratta. Si accorse che nessuno stava nelle scale, nè al piano superiore, e a quanto pare non c'era nessuno nemmeno a quello inferiore. L'ultimo urlo, quello più straziante, lo potè udire meglio dei precedenti: proveniva da fuori dalla locanda. Aveva paura, ne aveva eccome, ma per un cavaliere la paura deve essere carburante. Si tramuta sempre in adrenalina, la stessa che con un colpo preciso e abbastanza forte, gli fece spalancare la porta della struttura. Solo allora potè intuire quanto stava accadendo: erano tutti là, la bionda, la padrona e persino la serva col nano. Stavano tutti da un solo lato, e lasciavano ben intravedere quattro cavalieri. Dei quattro ce n'era uno pericolosamente alto, uno smilzo dalla lunga barba, uno privo di capelli sul capo e uno ancora non aveva in mano un'arma. Tutti e quattro indossavano la stesso scudo, dipinto con un leone marino rosso al centro di due linee parallele e verticali nere. "Casa Manning" pensò velocemente il Sunglass, senza proseguire oltre, qualche metro dopo l'entrata. Infatti, la sua "entrata in scena" aveva probabilmente attirato tutti gli occhi su di lui. Si sentiva osservato, ma non durò troppo. < Rinfodera la spada, tu, non siamo venuti qua per fare del male a una ragazzetta. > un tono ironico, aspro, quello del cavaliere alto e imponente. Così come tutti, simultaneamente, s'erano messo a guardarlo stupiti, tutti distolsero la loro attenzione, riponendola nell'oscura sagoma ai piedi dei quattro. Aveva il mantello, ma non più il cappuccio, e ora mostrava un bell'occhio nero. Il sangue colava dal naso, e i cortissimi capelli neri erano tutti mal tenuti. Sicuramente era stato strattonato, spinto e picchiato. Per quanto davvero aveva dormito? < Dicevi, dunque? > fu sempre l'omone alto a schernirlo, con un sorriso davvero inquietante. < N-non ho i soldi... ti prego... > nemmeno il tempo di pregarlo, che il barbuto della casa Manning diede un calcione alle costole, costringendolo a raggomitolarsi. Persino la voce dell'oscuro figuro era provata, ma nessuno alzava un muscolo. Anzi: per quanto spaventata, la simpatica padrona della locanda pareva essere dalla parte dei cavalieri, mentre la servetta cercava in ogni modo di non guardare, a differenza della donna bionda. Lei, metaforicamente distante da tutto e tutti, non provava alcun fastidio. Tristan invece era là, sulla soglia della porta, con la spada ancora tratta e ben mantenuta. I suoi occhi marroni scorrevano qua e là tra le varie persone, come alla ricerca di una risposta a tutto questo. Alla fine, quando un altro dei quattro cavalieri era pronto a proseguire il pestaggio, si decise a farsi avanti. Troppo buono per lasciare che tutto ciò proseguisse con lui all'oscuro di tutto. E il suo passo fu relativamente cadenzato, al punto che soltanto avvicinatosi al gruppo, il cavaliere disarmato sfoderò un'ascia dalla nera lama e gliela puntò contro. < Guai. A. Te. > gli lanciò una frecciatina, prima di chinare il capo < Non azzardarti. Rinfodera la spada. >
< Cosa sta succedendo? > tutto in un fiato, Tristan fece un passo indietro, ma senza ritirare la propria arma. Anzi la impugnò meglio, e in tutta risposta lanciò nuovamente l'occhiata.
< Ti ho detto- >
< Oh... tranquillo, tranquillo! > l'alto cavaliere, dalla sua imponenza, allungò un braccio separando i due, ma guardando male lo stesso Sunglass. < Non vuole pagare. Abbiamo provato con le buone, ma... > la sua mano corse dietro la nuca, a massaggiarla con innocenza < Non ci vuole dare retta. Sai com'è, no? E' dovere di un figlio mantenere intatto l'onore della propria madre. > disse, indicando infine proprio la panciuta donnona. < Perciò adesso, stai indietro. >
Detto ciò, nuovamente l'attenzione scivolò sulla vittima del pestaggio, compresa anche quella di Tristan. Sudava freddo, perchè non sapeva che cosa fare. Non poteva lasciare che tutto ciò avesse un continuo, non sarebbe più stato capace di guardarsi allo specchio, lui che sull'onore conta troppo. Eppure era considerata la giusta punizione, e l'omuncolo a terra se lo meritava davvero. D'altro canto... "Ci sono cose che sono poco razionali. Non posso chiedermi cosa sia sbagliato o giusto in questo contesto, la risposta è ovvia" pensò, prima di alzare la spada a separare i quattro dal fu incappucciato. Era abbastanza lunga, e sopratutto luccicava come la sua armatura. La sua fattura era ottima, naturalmente doppio taglio, ma il punto forte di questa era naturalmente l'elsa, curata nei minimi particolari.
< Non potete. > disse il ragazzo, sfidando con lo sguardo tutti e quattro. Nella sua ingenuità aveva scelto da che parte stare, e il suo lato era parecchio svantaggioso. Per quanto serio e determinato fosse, lui era probabilmente solo. Ma non c'era un sorriso nelle sue labbra, e le sue intenzioni erano nobili. In questa occasione più che mai, era certo di essere dalla parte del giusto, e dunque profondamente sicuro.
< No! > si alzò la voce della padrona, imponente anch'essa, seppur accompagnata da un pianto disperato e consolato unicamente dalla serva. Quest'ultima, adesso, guardava la scena in tutto silenzio.
< Davvero vuoi metterti contro noi quattro? Sei da solo, ragazzetta. > i cavalieri risero di lui, e pure la bionda azzardò un sorriso. Era stata una scelta avventata, quanto mai poco ragionata. Eppure moralmente giusta, per cui non ci fu motivo di indugiare.
Il combattimento ebbe inizio senza troppe altre parole. La serva cercava di tenere distante la padrona della locanda, mentre chi era estraneo al conflitto si allontanava. < Vattene. > disse Tristan all'uomo a terra, che con lentezza strisciò via pure lui senza dire una parola. Fu l'uomo dalla lunga barba a dare il primo colpo: impugnava due daghe, una per mano, e quella mantenuta nella destra colpì per prima. Il ragazzo deviò il colpo, poi, impugnando l'elsa della spada con entrambe le mani, menò un fendente, bloccato però dalla seconda daga. Grazie all'agilità del cavaliere dei Manning, questo effettuò un salto indietro, lasciando il via libera a uno dei suoi complici, quello armato d'ascia. Privo di eleganza o raffinatezza, effettuò vari colpi fendendo l'aria, ma mai nè Tristan, nè la sua spada. Al Sunglass bastò muoversi, scansare e schivare dati i movimenti prevedibili, ma quando provò a fare un affondo si accorse quanto il posizionamento dell'altro fosse del tutto apposito e pensato. Quando fallì il colpo, la punta di una spada lunga raschiò la sua armatura avvicinandosi troppo al collo. Non un colpo mortale, per cui riuscì a scansarlo, portando il suo sguardo verso l'uomo alto. < Sei già contro tre, ti aspetti che mi introduca pure io? > disse, schernendolo. La seconda carica per lui fu più fortunata: deviò tranquillamente i colpi con le daghe, intuendo il posizionamento infine tranciò una mano, quella che manteneva l'ascia. L'uomo cadde a terra dal dolore, rotolando via il più velocemente possibile. Il pelato, però, con il terzo fendente colpì il fiancale dell'armatura, ammaccandola e indolorendo di nuovo la schiena. Eppure non cadde, per quanto invece ghignò. Ancora una volta, stanco, riuscì a fermare a stento le daghe, una sfiorò il suo collo. E poi, un volo. Un dolore lancinante, insopportabile, e una forza inarrestabile che lo fece volare, separando i piedi dal terreno. Venne sbalzato di parecchi metri e il suo fianco lo paralizzava, come se gli fosse stato strappato mentre le dita avvolte nel ferro lasciavano andare l'elsa della spada. In quel momento l'unica cosa che potè fare era cercare di capire cosa fosse accaduto. Non riusciva più a mettere a fuoco lo sguardo, ma una mazza enorme, ora, era impugnata dal più alto cavaliere dei Manning. Avanzava verso di lui, intimidatorio, minaccioso e beffardo nella sua altezza. Aveva mentito. Si muoveva pesantemente grazie alla mazza da guerra, che adesso maneggiava sopra la testa, pronto a dare il colpo finale. "E' finita" pensò immediatamente Tristan, quando poi, altro acciaio comparì nel suo campo visivo. Una lunga spada a due mani vorticava ancora più in alto del forzuto cavaliere dei Manning. Partì dal capo di esso, proseguì, mostrando le viscere bluastre di colui che stava per ucciderlo. Una sola lama fu in grado di tranciare brutalmente in due l'assassino, che decisamente non si accorse di niente. E dietro, a muovere con la forza di un orso l'arma, spuntò il grande e barbuto uomo che Tristan aveva visto la notte prima, con la cicatrice e uno sguardo freddo e distaccato che per un momento lo guardò. Infine, perse i sensi.
   
 
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