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Autore: evelyn80    23/07/2015    6 recensioni
Dopo aver espresso il desiderio di poter salvare Boromir dalla sua triste fine, Marian si ritrova catapultata nella Terra di Mezzo grazie ad un gioiello magico che la sua famiglia si tramanda di generazione in generazione. Si unirà così alla Compagnia dell'Anello per poter portare a termine la sua missione. Scoprirà presto, però, che salvare Boromir non è l'unica prova che la attende.
Ispirata in parte al libro ed in parte al film, la mia prima fan fiction sul Signore Degli Anelli.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boromir, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La mia Terra di Mezzo'
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Due mesi per conoscersi meglio

 

Una volta che Aragorn fu partito, gli allenamenti con Arwen ripresero regolarmente. Dopo lunghe ed estenuanti ore di lezioni ero finalmente riuscita – con mia grande soddisfazione – a prendere una certa dimestichezza con le tecniche elfiche di scherma. Hadhafang e Hoskiart danzavano nelle nostre mani ed i loro scontri risuonavano per tutta la stretta valle di Rivendell con squilli argentini come di campanelle.
A volte gli Hobbit assistevano come spettatori ai nostri allenamenti anche se, di solito, si presentavano solo Merry e Pipino. Frodo preferiva trascorrere il suo tempo in compagnia di Bilbo ed, ovviamente, il suo fido giardiniere Sam non lo abbandonava mai. In alcune occasioni, invece, si presentava addirittura Elrond in persona, che si metteva seduto su una pietra ai margini della radura in cui ci esercitavamo, rimanendo a contemplarci in silenzio.
Un pomeriggio, circa quindici giorni dopo il Consiglio, il Mezzelfo raggiunse il nostro campo di addestramento. Non era solo: dietro di lui veniva Boromir, vestito di nuovo con la cotta di maglia e con la spada al fianco.
Non appena i due misero piede nella radura io ed Arwen interrompemmo la nostra lezione. Li salutammo, portando le spade di piatto davanti al viso, per poi rinfoderarle, lei alla cintura ed io sulla schiena.
Dopo un attimo di silenzio, Elrond parlò.
"Comprendo appieno la vostra posizione, Capitano Boromir, e so bene che voi siete un uomo d’arme ed un combattente” attaccò, con la solennità che lo contraddistingueva. “Se vi ho chiesto di rimanere qui a Gran Burrone è perché voi non conoscete bene il nostro territorio come gli Elfi ed i Raminghi; ma mi rendo conto che avete bisogno di qualcosa che vi tenga occupato. Certo, quello che posso offrirvi è ben poca cosa ma, se vi fa piacere, potrete allenare voi Dama Marian da qui in avanti, in modo da farle apprendere anche l’arte degli Uomini nella scherma, e non soltanto quella degli Elfi."
L’Uomo mi guardò con un sorrisetto di scherno, rispondendo:
"Lo farò con molto piacere."
Arwen mi salutò e seguì il padre, lasciandomi sola con Boromir.
Rimasi immobile di fronte a lui fissandolo in faccia e lui fece altrettanto, senza togliersi dalle labbra quel sorrisetto fastidioso. Ma era così bello che non vi prestai alcuna attenzione. Era alto circa un metro e novanta centimetri ed io, dal "basso" del mio metro e sessanta, dovevo alzare parecchio il viso per poterlo guardare negli occhi. Aveva appena quarant’anni, ed il suo fisico era quindi al massimo della forza e del vigore, ma il suo viso era segnato dalle rughe di molte battaglie. I suoi occhi grigio-verdi erano profondi come il mare e si capiva, dalle ombre che ogni tanto li attraversavano, che avevano osservato troppi orrori durante gli anni. Lasciai scivolare lo sguardo lungo il suo corpo: sulle sue spalle larghe, sul suo petto vigoroso, sulle sue braccia tornite, sulle sue gambe lunghe e ben piantate. Alzai di nuovo gli occhi e vidi che anche lui stava osservando attentamente il mio corpo, con in faccia un’espressione che mi parve più che eloquente.
"Chissà cosa starà pensando adesso…" mi chiesi.

 
* * *

 

Per un lungo istante ella lo guardò in volto e lui si rese conto di non riuscire a distogliere lo sguardo da lei. Aveva occhi color delle castagne e capelli lunghi fino al fondo schiena di una tonalità appena più scura che, in qualche modo, gli ricordarono i boschi dell’Ithilien dove lui e Faramir solevano giocare, da bambini. Avrebbe desiderato molto passare una mano tra quei capelli per saggiarne la morbidezza. Con lentezza, percorse con lo sguardo il corpo della fanciulla, fasciato negli abiti maschili: aveva un seno piuttosto importante che, di sicuro, avrebbe fatto girare la testa a molti uomini di Gondor, e la vita morbida che poi si allargava su fianchi da giumenta. Le sue gambe erano robuste e tornite.
Si morse il labbro inferiore senza rendersene conto, mentre il suo cervello di uomo gli proiettava davanti agli occhi un’immagine di lei languidamente adagiata tra le sue braccia. Avrebbe voluto tantissimo poterla avere, anche soltanto per una volta. Quella fanciulla, anche se abbigliata come un uomo, sprigionava sensualità da tutti i pori. Stava quasi per cedere, fare un passo avanti ed afferrarla con forza e passione violenta, quando tornò improvvisamente in sé. Non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere, mai! Non che fosse contrario al sesso in generale, anzi, tutt’altro. A Gondor aveva parecchie concubine che facevano letteralmente la fila per trascorrere qualche ora nel suo letto, quando non era impegnato in qualche battaglia. Si rendeva perfettamente conto, però, che con questa giovane non avrebbe mai potuto comportarsi come con le meretrici di corte. Ella non era una concubina, era la “Portatrice della Stella di Fëanor”, colei cui il suo sogno faceva riferimento. Di sicuro non si sarebbe concessa così facilmente. E lui era un guerriero, non un damerino. Non avrebbe mai potuto accettare di cedere alle spire dell’amore, quel sentimento che lui odiava con tutto se stesso, che aveva scacciato dal suo cuore e che, nonostante tutto, già poteva sentire insinuarsi nella sua anima. Una cosa per lui inaccettabile! Così, per spezzare l’incanto che si era creato tra loro, di cui cominciava a sentirsi vittima, pronunciò le parole più sbagliate che avrebbe mai potuto dire.
"Non ho mai visto nessuno, fino ad ora, portare la spada in un modo più ridicolo del tuo! Forse gli Elfi non hanno avuto cuore di spiegarti che le spade non si portano a tracolla ma si cingono in vita?" le chiese, in tono di scherno.

 
* * *

 

Pronunciando quelle parole, Boromir mi fece tornare bruscamente in me. Mi sentii profondamente ferita e, prima di potermi controllare, portai la mano all’elsa, sfoderai Hoskiart e gliela puntai sotto il naso.
"Gli Elfi hanno esaudito un mio specifico desiderio, realizzando appositamente questa imbracatura. Loro non hanno sindacato la mia volontà e non vedo per quale motivo dovresti farlo tu!". Lui aveva usato il "tu" ed io avevo risposto a tono: erano finiti i tempi delle carinerie, era giunto il momento di mettere bene le cose in chiaro. Non ero assolutamente disposta a farmi mettere i piedi in testa, non dopo che mi ero fatta un sedere grande come una botte con gli allenamenti, esclusivamente per salvargli la vita!
Lui fissò per un attimo la punta della mia spada, incrociando gli occhi, poi tornò a guardare me con lo stesso sorriso beffardo di poco prima.
"Se fossimo a Gondor" disse lentamente, "e se tu fossi un mio sottoposto, pagheresti molto caro quest’affronto."
La sua voce profonda, così incredibilmente sensuale, mi fece correre i brividi lungo la schiena, ma in quel momento ero ancora talmente infuriata che non vi feci quasi caso.
"Bene, facciamo conto che sia così allora! Sfodera la spada e combatti contro di me!" dissi rabbiosamente, allontanandomi di un passo per dargli modo di impugnare la sua arma, ma lui non si mosse.
"Io non combatto contro le donne… O meglio, lo faccio solo tra le lenzuola" disse, il ghigno derisorio che gli si allargava sul volto.
Quella frase mi mandò in bestia e mi ferì profondamente allo stesso tempo: allora Boromir, l’Uomo di cui mi ero innamorata, era un puttaniere? Che tristezza…
"Bene: non combatti contro le donne?” gli risposi, cercando di trattenere le lacrime di rabbia e di delusione che già cominciavano a pizzicarmi agli angoli degli occhi. “Ed io non combatto contro i maiali!"
E, con quelle parole, rinfoderai la spada e mi allontanai a grandi falcate dalla radura, diretta verso le scuderie. Avevo proprio bisogno di starmene da sola con Freccia d’Argento per un po’. Sarei andata a fare una passeggiata a cavallo per smaltire un po’ la rabbia.

 
* * *

 

Non appena Dama Marian ebbe lasciato la radura, Boromir emise un profondo sospiro.
"Perché mi sono comportato come un villano?" si chiese, grattandosi il mento ispido di barba. "Le ho dato un’immagine di me che non corrisponde a verità. Sono uno stolto!" disse ad alta voce, dandosi un pugno in testa con la mano guantata. Poi, dopo qualche altro secondo, lasciò anche lui la radura camminando in fretta, per cercare di raggiungerla.
La trovò che usciva dalle scuderie, in sella alla sua giumenta color dell’argento. La fanciulla gli lanciò uno sguardo di fuoco mentre gli passava accanto, ma lui non si lasciò intimidire.
"Perdonatemi, mia signora” attaccò, con voce accorata, un tono che non gli era affatto usuale. “La mia bocca ha detto cose che la mia mente non pensava. Non sono un maiale anche se, forse, vi ho dato motivo di pensarlo. Vi prego di dimenticare le sciocchezze che ho pronunciato!"
Mentre parlava il viso di lei si era addolcito e, come lui, anche ella tornò all’uso del “voi”:
"Vi perdono, Capitano Boromir” gli rispose, sorridendo dolcemente. “Ma vi prego di continuare a darmi del tu; in fondo, siamo entrambi membri della Compagnia dell’Anello. Volevo fare una passeggiata a cavallo per far sbollire la rabbia. In fondo, nemmeno io mi sono comportata proprio come una gentildonna. Volete accompagnarmi? Magari ci schiariremo entrambi le idee."
"Molto volentieri, ma solo se anche voi darete del “tu” a me."
Lei annuì con un sorriso e lui si affrettò a sellare il suo cavallo, con il cuore che gli batteva molto più velocemente di quanto era solito fare.

 
* * *

 

Non scambiammo molte parole durante la passeggiata, ma anche il silenzio fu dolce in sua compagnia. Mi aveva fatto molta tenerezza quando si era scusato con me e non avevo potuto serbargli rancore troppo a lungo. Sentivo la “Stella” pulsare calda sul mio petto, al ritmo con i battiti del mio cuore, e ciò mi confortava parecchio. Ogni tanto i suoi occhi grigio-verdi si posavano su di me ed io mi sentivo arrossire sotto il suo sguardo. Fu la cavalcata più dolce che avessi mai fatto e l’avrei ricordata per molto tempo a venire.
A partire da quel giorno fu Boromir ad allenarmi con la spada. La sua tecnica di combattimento era molto diversa da quella di Arwen ed io, pian piano, con tenacia e costanza, imparai ad unire le virtù di entrambe, fondendole in uno stile tutto nuovo.
Sempre più spesso Merry e Pipino si unirono a noi. Solitamente rimanevano lì immobili a guardarci ma, a volte, chiedevano al Gondoriano di dare lezioni anche a loro. Durante la loro avventura nei Tumulilande, Tom Bombadil aveva regalato loro delle spade, che i due Hobbit sapevano a malapena impugnare. Pur essendo ancora molto giovani, sapevano entrambi che il viaggio che li attendeva sarebbe stato irto di pericoli, e quindi sarebbe stata buona cosa imparare almeno le tecniche basilari della scherma. Boromir si prestò volentieri a far loro da maestro, finendo con l’affezionarsi moltissimo ai due Mezzuomini.
Ma, durante quel periodo, non fu sempre tutto “rose e fiori”. A volte, di punto in bianco, l’Uomo di Gondor rispondeva con astio alle mie domande e passava interi pomeriggi chiuso in un imbronciato mutismo Allora, in quelle occasioni, appena finito l’allenamento lo lasciavo da solo ed andavo a passeggio con Freccia o, più spesso, con i due giovani Hobbit.
Sul finire di novembre, durante una di quelle giornate "no", chiesi a Merry e Pipino se andava loro di andar per funghi ed i due avevano accettato subito, entusiasti. Gli Hobbit erano golosi in generale, e – avevo avuto modo di scoprire – amavano i  funghi quasi più dei loro stessi parenti, o addirittura di più, in alcuni casi.
"Se li troviamo, poi stasera potremmo chiedere agli Elfi se ce li cucinano!" esclamò Pipino, già con l’acquolina in bocca al pensiero delle cappelle arrosto.
Incamminandoci verso la foresta che circondava il palazzo di Elrond incrociammo Boromir, che passeggiava nervosamente avanti e indietro a grandi falcate in uno dei cortili, con una mano poggiata sull’elsa della spada e l’altra sul corno. Aveva lo sguardo torvo e, nonostante gli Hobbit cantassero a squarciagola una canzone goliardica della Contea dedicata ai funghi, il Gondoriano sembrò non accorgersi nemmeno della nostra presenza.
Stavamo quasi per lasciare lo spiazzo quando lui ci apostrofò, con voce rabbiosa.
"Dove state andando?!"
"Per funghi!" gli rispose allegramente Merry, facendo ondeggiare il paniere di vimini che aveva sotto braccio. "Vuoi unirti a noi?"
L’Uomo si fermò, fissandolo come se fosse stato una nuova specie di insetto particolarmente fastidioso.
"Cosa?! Andar per funghi? Io sono un guerriero, non uno sciocco fungaiolo! Non avete nient’altro di meglio da fare che perdere tempo con queste scempiaggini?"
Quella mattina ero anch’io particolarmente nervosa – forse perché avevo il ciclo, e gli Elfi non sanno cosa sono gli assorbenti igienici – per cui risposi, piccata:
"A quanto pare non solo quella dei cretini, ma anche la mamma dei cafoni è sempre incinta!"
Non l’avessi mai detto… Il bel viso di Boromir si trasfigurò in una maschera di furia. Mi afferrò per il bavero della casacca sollevandomi da terra, alzandomi al punto da portare i miei occhi all’altezza dei suoi; poi mi sbatté la schiena contro un albero. I nostri visi erano talmente vicini che i nasi si sfioravano.
"Prova… a ripetere… quello che hai detto" ringhiò, con voce cupa, alitandomi in faccia tutto il suo livore.
Rimasi scioccata dal suo comportamento: sapevo che la morte della madre, quando lui e suo fratello erano ancora in tenera età, l’aveva colpito molto, ma non credevo certo che quella mia frase potesse offenderlo tanto. Cercai di parlare ma le sue mani, nello schiacciarmi contro l’albero, mi bloccavano quasi il respiro, così riuscii ad emettere solo dei rantoli strozzati. I due Hobbit erano rimasti talmente sconvolti che, in un primo momento, non riuscirono a far niente di meglio che guardarci a bocca spalancata con gli occhi strabuzzati; quando però videro che non riuscivo quasi più a respirare e che l’Uomo non accennava a volermi rimettere con i piedi per terra, si mossero entrambi di scatto.
"Boromir, cosa fai?! Mettila giù, per l’amor dei Valar!" gridò Merry, afferrandolo per la cintura e cercando di strattonarlo all’indietro.
"Aiuto, aiuto! Boromir è impazzito!" urlò Pipino, facendo eco al cugino e, nel contempo, affibbiandogli diversi calci nei polpacci. L’Uomo era talmente rabbioso da non accorgersi minimamente della presenza dei due Hobbit.
Cominciò a mancarmi il respiro. Una nuvola di puntini neri cominciò a vorticarmi davanti agli occhi mentre Boromir, inconsapevole di tutto tranne che della propria rabbia, continuava a sbattermi con la schiena contro l’albero. Nel far ciò, la Stella saltò fuori da dentro i miei vestiti e brillò per un attimo davanti agli occhi del Gondoriano. Allora il suo sguardo si schiarì, il ghigno di rabbia si trasformò in una smorfia di sgomento mentre, all’improvviso, si rendeva conto di cosa stava facendo e mi lasciava andare di schianto. Ricaddi sui miei piedi, ma le gambe non mi ressero e mi accasciai a terra, rantolando e tossendo in cerca d’aria.
Pipino si inginocchiò al mio fianco e mi prese la mano.
"Marian… Marian tutto bene?" mi chiese, con gli occhi sgranati e la voce rotta dalla preoccupazione.
Al contempo, Merry alzò lo sguardo sul Capitano e gli chiese, incredulo:
"Ma si può sapere cosa ti è preso, Boromir? L’hai quasi strangolata!"
L’Uomo ansimava più di me, guardandomi con occhi sbarrati. Poi si infilò le mani guantate nei lunghi capelli, scompigliandoli, e scosse la testa.
"Io… Io… Non lo so… Non lo so…" balbettò, con una faccia da far paura. Fece qualche passo all’indietro ed infine si voltò, correndo via a grandi passi.
"Dove vai? Torna qui!" gli gridò dietro Merry, facendo l’atto di inseguirlo. Allungai un braccio verso di lui per bloccarlo, riuscendo finalmente a rantolare qualcosa di comprensibile. L’Hobbit allora si volse verso di me, lasciando perdere Boromir ed accucciandosi accanto a suo cugino, che ancora mi teneva la mano.
"No, Merry… Lascialo andare… E’ stata anche colpa mia" esalai con voce strozzata, sfregandomi il collo – che ancora mi doleva molto – con la mano libera.
"Colpa tua!? Quello sciagurato ti stava ammazzando!" esclamò il Mezzuomo, alzandosi di nuovo in piedi ed indicando, con un gesto perentorio del braccio, la direzione in cui era scomparso il Gondoriano.
"Ho offeso sua madre" dissi, cercando faticosamente di mettermi seduta e riuscendoci, infine, dopo un paio di tentativi, appoggiandomi con la schiena al tronco dell’albero. "Sua madre è morta… quando lui aveva dieci anni… Soffre ancora come un cane quando qualcuno parla di lei" continuai ansante, pensando alla povera Finduilas ed al poco che sapevo della sua vita. Tutto ciò che il Professor Tolkien aveva detto riguardo a lei era che il mare le mancava da impazzire, che non aveva mai imparato a tollerare la cupa ombra proveniente da Mordor e che, probabilmente, era morta di nostalgia.
"Ma non hai mica fatto il nome di sua madre! Hai detto una frase generica!" esclamò Pipino, che continuava a tenermi stretta la mano sinistra nonostante ora dovesse stare con le braccia tese perché, nell’appoggiarmi al tronco, mi ero un poco allontanata da lui.
"E, comunque, tutto ciò non giustifica la sua reazione! La definisco piuttosto spropositata!" rincarò Merry, incrociando le braccia sul petto ed aggrottando le sopracciglia.
Cadde il silenzio. Dopo alcuni minuti Pipino – finalmente – si degnò di lasciarmi la mano ed io riuscii a rimettermi lentamente in piedi, strofinandomi di nuovo la gola.
"Tutto bene?" chiesero i due Hobbit, in contemporanea.
"Sì, direi di sì…” affermai, schiarendomi la voce. “Allora, andiamo per funghi?" chiesi, dopo aver scosso la testa e scrollato le spalle.
"Sei sicura di farcela?" chiese Merry.
"Ma certo caro Meriadoc. Andiamo, i Boletus ci aspettano!" esclamai, fingendo un’allegrezza che, in realtà, non provavo affatto. Non riuscivo a togliermi dalla mente l’immagine del volto di Boromir stravolto dalla furia. L’Anello del Potere stava già cominciato ad esercitare il suo malefico influsso su di lui, benché dal giorno del Consiglio il Gondoriano non si fosse più avvicinato a Frodo. “Che cosa succederà quando partiremo?” pensai, preoccupata.
Nonostante i miei pensieri nefasti la ricerca fu comunque proficua. Ritornammo al palazzo di Elrond, nel tardo pomeriggio, con tre bei cesti di funghi che furono cucinati per cena.
Da quando la maggior parte della gente era partita in ricognizione, a tavola non eravamo in molti. Solitamente Elrond, Arwen, i cinque Hobbit, Legolas e Gimli – le cui delegazioni avevano fatto ritorno alle loro terre d’origine – Boromir e io per comodità cenavamo in un piccolo salottino attiguo alla Stanza del Fuoco. Quella sera, però, l’Uomo di Gondor non si presentò a tavola.
Non riuscii a cenare tranquilla e, non appena mi potei allontanare senza sembrare maleducata, andai a cercarlo.
Lo trovai seduto in una delle terrazze più basse che si affacciavano direttamente sul Bruinen, su una sedia che aveva girato a rovescio, con le braccia incrociate appoggiate sulla spalliera ed il mento posato sopra. Presi un’altra sedia e mi accomodai accanto a lui, nella stessa posizione.
Dopo un istante che parve infinito – durante il quale l’Uomo non si voltò mai verso di me – ruppi il silenzio.
"Sono venuta a chiederti perdono, Boromir…" mormorai, guardandolo.
Rimase zitto talmente a lungo che credetti non mi avrebbe mai risposto. Alla fine emise un lungo sospiro e parlò, continuando a fissare dritto davanti a sé.
"Ti ho quasi ucciso e vieni anche a chiedermi perdono?" mi chiese, in un misto di incredulità ed ironia.
"Ti ho offeso con quella mia stupida frase…" cominciai, ma lui mi interruppe scuotendo la testa.
"Non so che cosa mi sia preso. Se non fosse stato per quella" e, con il pollice, indicò la “Stella di Fëanor” che brillava nell’oscurità, "credo che non mi sarei nemmeno fermato."
"Ho offeso tua madre. So che hai sofferto molto quando è mancata" tentai di nuovo, ma lui scosse ancora il capo.
"Nessuno sa quello che ho passato” mormorò, cupo, lo sguardo fisso sulle acque del Bruinen. “Anzi, quello che abbiamo passato io e mio fratello. Ma non è stata la tua frase che mi ha fatto uscire di senno" ammise. “Ultimamente sono sempre più spesso nervoso e agitato. Sono stufo di stare qui. Gondor ha bisogno di me! Ho lasciato tutta la responsabilità della difesa del regno sulle spalle di mio fratello! Se dovesse succedergli qualcosa, io…” si interruppe, la voce improvvisamente tremante di rabbia e paura. “Ma ciò non mi giustifica” riprese subito dopo, nuovamente padrone di sé. “Sono io che devo chiedere scusa a te."
Per la prima volta si voltò a guardarmi. Al chiaro di luna, vidi che aveva gli occhi gonfi di chi ha pianto a lungo ed in silenzio. Sentii un’ondata di tenerezza nei confronti di quell’Uomo al tempo stesso così rude e così sensibile e, lentamente, allungai la mano sinistra scostandogli dolcemente una ciocca di capelli dalla guancia, passandogliela dietro l’orecchio.
"Perdonami…" mi supplicò, la voce di nuovo tremolante. "Meriterei di essere messo ai ceppi almeno per una settimana…"
Questa volta fui io a scuotere la testa.
"No, Boromir. Oggi non eri te stesso, e ti capisco. E’ l’influsso malefico dell’Anello…" mi lasciai sfuggire, prima di mordermi la lingua, piena di rabbia: non dovevo certo fargli sapere che ero a conoscenza di certe cose!
Al sentirmi nominare il "Flagello di Isildur" si irrigidì ma, dopo un momento, emise un altro sospiro ed appoggiò la fronte sulle braccia.
"Perché non sei venuto a cena?" gli chiesi, cercando di cambiare argomento.
"Non ho fame" mi rispose, la voce attutita dai suoi arti.
"Non ci credo…” mormorai, sorridendo. “Un Uomo grande e grosso come te ha bisogno di mangiare. A maggior ragione che, credo, questi saranno gli ultimi pasti decenti che faremo per un bel pezzo!"
Alzò di nuovo lo sguardo, fissandomi in silenzio.
"Ti piacciono i funghi?" chiesi ancora, il sorriso che mi si allargava in volto. Dopo un attimo di esitazione, annuì vigorosamente.
"Allora vieni! Ho tenuto da parte i migliori per te…" dissi alzandomi dalla sedia. Mi seguì con lo sguardo, un po’ inebetito, prima di decidersi ad alzarsi e accompagnarmi nel salottino, dove fece una scorpacciata di porcini ascoltando me, che raccontavo aneddoti divertenti sulla mia permanenza a Gran Burrone, fino a che non gli ebbi fatto tornare il sorriso. Nel profondo del mio cuore sentivo che mi stavo innamorando alla follia di quell’Uomo, e che avrei fatto veramente di tutto pur di salvarlo.
Eravamo ormai quasi giunti alla fine dell’anno. Presto sarebbero ritornati Aragorn, i Raminghi e gli Elfi. Dedicai quegli ultimi giorni di permanenza a Gran Burrone ai preparativi per la partenza, trascorrendo la maggior parte del tempo libero con Freccia, che avrei dovuto lasciare ad Imladris. Andavamo a passeggiare nei boschi, l’una accanto all’altra, ed a lei un giorno confidai tutte le mie paure.
"Temo che non ci rivedremo Freccia, amica mia…"
Lei scosse la testa, facendo ondeggiare la lunga criniera, in segno di diniego.
"Invece credo proprio che sarà così” continuai, “ma sono tranquilla, perché ti lascio in buone mani!"
La cavalla mi strofinò il muso contro il fianco e poi mi poggiò la testa su una spalla, come a voler dire che aveva tutta l’intenzione di seguirmi, ma io rifiutai.
"No, Freccia, non puoi venire con me!” esclamai, fermandomi per fissarla negli occhi, due pozzi neri di intelligenza.  “Attraverseremo le miniere di Moria e quello non è posto né per cavalli, né tantomeno per auto, anche se coraggiose come te! Pure Bill, il puledro di Sam, verrà rimandato indietro. No, Freccia, ti prego! Non rendermi le cose ancora più difficili!" esclamai, quando lei cominciò a mordermi affettuosamente la spalla. "È già abbastanza dura così. Credimi, amica mia: qui starai bene!".
Quando infine l’avanguardia tornò, riferendo ad Elrond tutte le notizie che avevano appurato in quei due mesi di ricerche, il Mezzelfo decise che la Compagnia avrebbe lasciato la valle tre giorni dopo, per dare modo ad Aragorn di riposarsi un poco prima di partire di nuovo. Prima di lasciarlo, Elrond gli consegnò anche la sua nuova spada, Andùril, nata dalla riforgiatura dei frammenti di Narsil, la spada di Elendil che aveva mozzato il dito a cui Sauron portava l’Anello.
La sera prima della partenza lui ed Arwen sparirono ben presto da tavola. Quando fecero ritorno vidi che il gioiello di lei, la “Stella del Vespro”, era ora al collo del Ramingo; capii quindi che l’Elfa gli aveva giurato amore eterno, donandogli il suo cuore.
"Beati voi…" sospirai, quando si mise seduta al mio fianco nella Stanza del Fuoco. Mi guardò interrogativamente ed io ripresi.
"Beati voi che vi amate così tanto! Io avrò mai questa fortuna?" chiesi, quasi a me stessa. Boromir era ancora molto scostante: a volte dolce ed amorevole, a volte duro e freddo come il ghiaccio. Non riuscivo proprio a capire che cosa provasse veramente nei miei confronti.
Arwen mi posò la mano sul braccio e mi sorrise.
"Certo che l’avrai” mi rispose dolcemente. “Devi solo avere un po’ di pazienza."
I suoi occhi si fissarono sull’Uomo di Gondor, seduto come al suo solito in fondo alla sala, stravaccato sulla sedia. Seguii il suo sguardo, sospirando ancora e lui, quasi come in risposta, mi guardò negli occhi così intensamente da farmi avvampare.
"Non sarà facile, perché ha chiuso il suo cuore all’amore" riprese Arwen, "ma si ricrederà, con il tempo."
E, con quelle parole di speranza stampate nella mente, trascorsi l’ultima notte a Gran Burrone.
La mattina dopo, di buon'ora, ci ritrovammo tutti nel cortile principale. Gli Elfi avevano preparato provviste ed abiti di ricambio per tutti. Bill, il puledro di Sam, era carico fino all’inverosimile ma felice di partire; al contrario di Freccia che, ancora offesa per averle impedito di seguirmi, si rifiutò persino di uscire dal suo box per venirmi a salutare.
"Cominciamo male…" pensai, uscendo mestamente dalle scuderie, sistemandomi lo zaino sulla schiena mentre raggiungevo gli altri. Non appena giunsi in vista del resto del gruppo lasciai vagare lo sguardo, contemplandoli.
Gli Hobbit avevano i loro bravi fagotti sulle spalle e quello di Sam era il più gonfio di tutti, con tanto di padelle appese a dei legacci che, ad ogni movimento del Mezzuomo, cozzavano tra loro facendo un rumore d’inferno. I due Uomini, l’Elfo ed il Nano portavano invece solo le loro armi; al pari di Gandalf, che si appoggiava al suo lungo bastone con l’elsa della spada, Glamdring, che gli scintillava al fianco.
Anche l’elsa di Andùril brillava al fianco di Aragorn che, appeso alle spalle, portava pure un lungo e robusto arco in legno di tasso. Quello di Legolas, invece, era in legno di quercia, ed era molto più sottile ed elegante; così come le frecce dal piumaggio leggero che riempivano la sua faretra. Le asce di Gimli, appese incrociate alla sua schiena, mandavano lampi di luce gelida ogni volta che un raggio di sole le sfiorava, e pure la spada di Boromir – che si accompagnava al corno appeso al balteo dal lato sinistro ed allo scudo rotondo con la grossa borchia metallica che il Gondoriano aveva a tracolla – luccicava ogni volta che l’Uomo spostava il peso da un piede all’altro.
Ad una seconda occhiata, notai che anche i Mezzuomini erano armati: Sam, Merry e Pipino con le spade dei Tumulilande che aveva donato loro Tom Bombadil; e Frodo con Pungolo, regalatagli da suo zio Bilbo proprio il giorno prima insieme alla cotta di maglia di Mithril, che ora indossava, invisibile, sotto le vesti.
Mi accodai alla Compagnia, con Hoskiart appesa come al solito alla schiena, sotto allo zaino.
Tutti gli abitanti di Imladris si fecero intorno a noi per salutarci ed Elrond ci lasciò con la benedizione degli Elfi, degli Uomini e di tutti gli altri popoli liberi della Terra di Mezzo. Circondata dalle sue ancelle, Arwen fissò a lungo Aragorn – ricambiata – fino a che l’Elfa non abbassò gli occhi. Quello fu, in un certo qual modo, un segnale. La Compagnia si mise in marcia con Frodo in testa, seguito a ruota da Gandalf.
In quel momento Boromir portò il Corno di Gondor alle labbra e soffiò con forza, facendolo risuonare per la stretta gola di Rivendell. Tutti quelli che lo sentirono balzarono in aria per la sorpresa; me compresa che, sbilanciata dal peso dello zaino, andai a finire con il sedere per terra.
"Infilatelo nel culo quel corno, la prossima volta, e suonalo con una scorreggia!" esclamai a mezza voce, inviperita, mentre mi rialzavo in piedi rassettandomi il fondo dei pantaloni. Pipino e Merry mi udirono e si misero a ridacchiare, incamminandosi poi dietro al Gondoriano.
Non appena il Portatore dell’Anello ebbe superato il portale di pietra che segnava l’uscita dal cortile principale del palazzo di Elrond, si fermò per un attimo e chiese allo Stregone, con voce incerta:
"Da che parte è Mordor? A destra o a sinistra?"
"A sinistra, Frodo" gli ripose lo Stregone, posandogli la mano sulla spalla, in un gesto di incoraggiamento. Girando tutti da quella parte prendemmo il sentiero per uscire da Gran Burrone.
L’Ultima Casa Accogliente era già lontana dietro le nostre spalle quando sentii un forte nitrito alla mia sinistra. Alzammo tutti lo sguardo in quella direzione e vedemmo Freccia, rampante sopra una rupe con il sole alle spalle, che era venuta a salutarci.
"Addio amica mia! Abbi cura di te!" le gridai, sventolando la mano, e lei rispose con un nuovo alto nitrito che si perse nel vento.
Era il venticinque di dicembre, e così lasciammo Imladris.


Spazio autrice: Salve gente! Eccovi il sesto capitolo riveduto e corretto! Finalmente ci siamo, da qui in avanti la storia entra nel vivo.
Mentre rileggevo, mi sono resa conto che avevo scritto alcuni termini, facendoli pronunciare a Boromir, che di sicuro non fanno proprio parte del lessico della Terra di Mezzo, quindi ho cercato di correggere al meglio. Ho cercato invece di mantenere alcune parti comiche, di solito di cui Marian è protagonista, proprio per mantenere fede ad una delle caratteristiche della storia originale, cioè l’essere comica!
Volevo fare, inoltre, un’altra precisazione: avrete sicuramente notato che a volte ho scritto Uomo, altre volte uomo. Ho usato l’iniziale maiuscola per indicare la “razza”: Elfi, Uomini, Nani ecc; mentre l’iniziale minuscola indica il genere maschile/femminile.
Ringrazio ancora chi ha già letto, chi sta leggendo e chi leggerà, ed in particolare Tielyannawen, per avermi lasciato il suo gradito commento!
Vi lascio, infine, con l’immagine della mia versione della Compagnia dell’Anello. Direi che quelli più alti sono facilmente identificabili XD; per quanto riguarda gli Hobbit invece abbiamo, da sinistra verso destra: Merry, Pipino, Frodo e Sam. (Il disegno è sempre realizzato grazie al giochino di dress up sul Signore degli Anelli; il nome della creatrice del programma  è scritto al centro dell’immagine stessa)
Bacioni!
Evelyn



 
  
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