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Autore: moira78    24/01/2009    1 recensioni
Una storia che sognai e scrissi mentre stavo al lavoro, tanto mi aveva fulminato con la sua trama e bramava di uscire dalle mie mani. Ve la propongo così come mi venne, terribile e bruciante come la sentivo. Sempre per la serie: almeno tento di farmi perdonare per Koshitagi. XD
Edit del 26/1/2009: ff interamente riveduta e corretta da Tiger eyes.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Ryoga Hibiki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo II

Il dolore dell’anima




Ranma si fermò davanti al cancello di casa Tendo. Sapeva che non lo avrebbero mai accolto come una volta, ma prese un bel respiro ed entrò.
Tu sei il responsabile della scomparsa di Akane! Gli aveva gridato Soun e lui si era sentito morire. Strinse i pugni. Diavolo, l’aveva cercata tutta la notte e per un mese intero; poi avevano deciso che sarebbe stato meglio che lui andasse a vivere da sua madre con Genma. Ed era finito tutto. Aveva continuato ad avere incubi in cui lei moriva, sparendo per sempre dalla sua vita. In casa Tendo era scomparsa tutta l’armonia di un tempo e perfino Shampoo, Ryoga, Ukyo e gli altri erano rimasti in un silenzio appartato e attonito dopo la scomparsa di Akane.
Ma lui sapeva che non era morta. Se lo sentiva nel profondo del cuore, per quello strano fenomeno che lega indissolubilmente le persone che si amano.
Ora, davanti a quel cancello, i ricordi gli passavano davanti come le scene di un film in bianco e nero e rivide la sua Akane in piedi nell’angolo che gli mostrava la lingua con la cartella sulle spalle e la divisa del Furinkan. Si accorse a malapena delle lacrime che gli pungevano gli occhi. Se le asciugò col pugno ed entrò.


Akane pensava che il suo letto fosse diventato scomodo, DAVVERO scomodo. Le pareva di stare su un materasso di pietra, si era forse addormentata nel dojo? No, perché
(aveva litigato con Ranma)
la sera prima era uscita, decisa a restare fuori almeno per una notte a
(doveva chiarirsi con lui una volta per tutte)
riflettere. Lo aveva baciato e poi
(l’avevano aggredita… erano in sei…)
era fuggita e in riva al fiume…
L’urlo partì dalle viscere e le salì alla gola con un fiotto denso e acido.
(cosa ho mangiato ieri sera?)
Guardò esterrefatta il terreno
(quelli sono solo i miei succhi gastrici, ieri ho digiunato)
e si tirò a sedere. Si guardò.
La camicetta era buttata in un angolo e i bottoni erano saltati tutti. Indossava solo il reggiseno bianco che le aveva regalato tempo prima la madre di Ranma, solo che adesso era nero di terriccio.
La gonna verde acqua che indossava era stappata, lacerata, sporca, come le gambe. Non indossava biancheria intima e avvertiva un sordo pulsare tra le gambe
(avevano lacerato qualcosa in lei)
un dolore feroce
(sporco)
e allora ricordò tutto.
Si alzò barcollando, scorgendo appena il sangue che le scivolava tra le gambe viscido, assieme a qualcos’altro
(non voglio pensare a cosa sia, non voglio pensare non VOGLIO PENSARE!)
denso e biancastro.
Vide il fiume e seppe che non era nel luogo dove la sera prima l’avevano
(violentata)
presa.
(abusato di lei)
Sicuramente l’avevano trascinata per qualche chilometro perché non la ritrovassero che fuori città, lontana da casa.
(da Ranma)
Si passò le dita fra le gambe, le guardò istupidita.
(sangue e…e…)
Urlò, più forte di prima, sull’orlo della follia, artigliandosi la faccia e i capelli, strappandone ciocche su ciocche e corse nell’acqua per
(purificarsi)
lavarsi, disgustata, disperata, persa. Rimase lì a urlare e a strofinarsi per ore, poi tornò a riva, stordita, coi ricordi annebbiati, nella mente un unico imperativo: NON TORNERO’ MAI A CASA, NON DOPO QUESTO! NON POTREI PIU’ GUARDARE IN FACCIA NESSUNO
(Ranma)
NESSUNO!
(Mio padre, le mie sorelle)
Si addormentò piangendo mezz’ora dopo.


Kasumi lo squadrò un attimo e poi gli sorrise.
"Ciao Ranma!"
Ma non era la Kasumi di sempre, qualcosa dentro di lei pareva incrinato.
"Ehm… ciao Kasumi… io… ecco… Nabiki è in casa?"
“È all’università con Kuno adesso, però c’è papà, entra pure!"
Nella voce gentile gli parve di scorgere altre parole.
(vieni che papà ti dà un’altra bella strapazzata e magari accresce un tantino i tuoi ENORMI sensi di colpa, finché non ne rimarrai soffocato e allora…)
"No, grazie Kasumi… io… credo che la raggiungerò all’università, grazie."
Fece per voltarsi e andare via, ma sentì la mano di lei sulla propria spalla e si voltò. Nei suoi occhi vide solo dolcezza e compassione.
"Torna quando vuoi Ranma. Qui sei sempre il benvenuto."
Sì, come no… pensò e per un attimo ebbe l’impulso di abbracciare Kasumi e gridarle che non era stata colpa sua se Akane era fuggita, che lui l’amava e… ma sarebbe stato inutile. Fece un sorriso sbilenco e guardò la più grande delle sorelle Tendo.
"Certo… grazie Kasumi."
E così com’era venuto si allontanò.


Si era perso di nuovo. Credeva di essere giunto a Tokyo, invece si trovava nel bel mezzo di un bosco. Si sistemò meglio lo zaino sulle spalle e soffiò via un ciuffo ribelle. Fu a quel punto che sentì le voci. Una di quelle era… di Akane? No, com’era possibile? Non era sulle strade affollate di Nerima, eppure…
Udì il rombo di un motore e si affacciò da dietro un cespuglio per sbirciare. Kami era proprio Akane! Fece per correrle incontro ma rimase paralizzato: quella era davvero la sua Akane? Era sporca, i suoi bei capelli scuri spettinati e appiccicaticci, i vestiti lacerati
(indossa solo il reggiseno)
e accanto a lei c’era qualcuno. Era una donna alta e snella e le stava mettendo qualcosa sulle spalle.
Un’aura enorme di combattimento lo avvolse come fuoco. Chi aveva osato conciare Akane in quella maniera?! E chi era quella donna che la stava portando via?! Cominciò a correre, ma la sua reazione era stata ritardata dai pensieri contrastanti e prima che potesse raggiungerla, Akane era già salita su un fuoristrada con quella donna. Saltò su un albero, seguendolo con lo sguardo, non c’era un dannatissimo tetto nel raggio di un chilometro e i rami sotto i suoi piedi continuavano a spezzarsi. Corse per un po’, finché non precipitò nel sottobosco con un grugnito di disappunto.


Ranma passò in rassegna tutte le finestre prima di trovare quella giusta. Eccola finalmente, con i capelli a caschetto e un penna sulle labbra, intenta a prendere appunti. Sulla lavagna file di numeri facevano bella mostra di sé. Già, cos’altro se non Scienze della Finanza per Nabiki Tendo?
Ranma scivolò fino al lato in cui sedeva e bussò leggermente alla finestra. Si voltò qualche testa e molti lo indicarono, ma anche lei lo vide. Quello che aveva negli occhi era odio allo stato puro. Ranma inghiottì e le fece segno di uscire. La ragazza si alzò, parlò brevemente all’indirizzo della professoressa e uscì dalla classe.
Ranma scese giù all’entrata, aspettandola.

"Cosa vuoi?" Gli domandò freddamente. Ranma ebbe l’impulso di dire qualcosa di stupido come Non si tratta così una persona che non vedi da un anno! Ma tacque saggiamente.
"Dov’è Kuno? Non l’ho visto." Disse invece.
“È nell’altra classe, quella di Letteratura Giapponese… senti, cosa sei venuto a fare? Non ho molto tempo da perdere."
"Voglio sapere cosa hai scoperto. So che l’hai cercata e voglio sapere cosa sai."
Nabiki lo guardò con occhi scintillanti e Ranma arretrò istintivamente di un passo.
"E tu pensi – fece lei rabbiosa – che se anche sapessi qualcosa lo verrei a dire a te?! Ti direi: accomodati Ranma! Falle ancora del male! Avanti!"
"Nabiki…."
"No, ascoltami Ranma! Tu non la rivedrai mai più! Se anche fossi sulle sue tracce preferirei dirlo a Kuno piuttosto che a te! Almeno lui la ama e non l’avrebbe mai trattata male come hai fatto sempre tu!"
La mano di Ranma partì da sola, senza che lui ne avesse controllo. La schiaffeggiò duramente e vide lo stupore trasformarsi in rabbia con velocità sorprendente sul volto della ragazza. Ma ormai non poteva più fermarsi.
"Tu che cavolo ne sai di me?!" Le ringhiò. "Come puoi permetterti di giudicarmi?! Tu, che pensi sempre e soltanto ai soldi, come puoi pensare di conoscere i miei sentimenti?! CHE NE SAI TU DI QUANTO LA AMO?!"
Ecco, l’aveva detto, ci aveva messo quattro anni ma l’aveva detto, finalmente. Se si fosse trovato ancora al Furinkan, probabilmente avrebbero sciorinato coriandoli e striscioni con su scritto Congratulazioni! Ranma lo ha detto!
Il viso di Nabiki rimase freddo, ma parve ammorbidirsi un poco, in fondo, molto in fondo a tanto ghiaccio.
(Nabiki l’iceberg…)
"Ti aspetto alla sala da tè all’angolo dopo le lezioni. Non tardare o me ne vado."
Ranma sorrise. "Sarò puntuale come un orologio."
"Sarà meglio per te." Commentò allontanandosi.
"Nabiki!"
Lei si voltò a guardarlo da sopra la spalla. "Cosa?"
“È viva, vero?"
"Sì… credo proprio di sì."
Era fatta. Ora sapeva che lei era viva e avrebbe potuto cercarla con più speranze di prima. Mentre si avviava al luogo dell’appuntamento si ritrovò a fischiettare e per la prima volta in un anno si sentì quasi felice.


Quando si svegliò, la prima cosa che vide fu il viso di una ragazzina. Ma mise a fuoco solo i tratti del volto e la sua mente si rifiutò di formulare pensieri e di trasformarli in parole.
"Finalmente ti sei svegliata!" Akane arretrò d’istinto, ma la ragazza continuò a parlare. "Io mi chiamo Kurumi, e tu?"
Non poté risponderle, qualcosa la teneva lontana dalla realtà e come in sogno le sue corde vocali si bloccarono. Tanto meglio così. Non avrebbe dovuto dare spiegazioni. La ragazzina accanto a lei sospirò.
"Ho capito, sei muta. Comunque ti hanno conciata maluccio, ragazza mia! Vieni con me, la mia casa è nel prossimo villaggio a est, abito lì con mia madre. Non hai fame?"
Akane aggrottò le ciglia e poté solo scuotere la testa in segno di diniego.
"Va bene, ma almeno un cambio di vestiti lo vorrai! Senti, sai che facciamo? Tu resta qui, io vado a chiamare la mamma e ti veniamo a prendere col fuoristrada, d’accordo? Hai l’aria di non riuscire a camminare per molto. Resta qui, ok? Sarò di ritorno in un battibaleno!"
Detto questo, Kurumi si allontanò nel fitto del bosco, lasciando Akane stordita, una vaga espressione di sorpresa negli occhi.


Nabiki sorbiva il tè con calma, aumentando il nervosismo di Ranma: il suo non l’aveva neanche toccato.
"Allora?! Vuoi dirmelo?!"
"Con calma, Saotome. Ce l’ho ancora con te. Non solo hai lasciato fuggire mia sorella…"
"L’ho cercata per mesi dopo che mi buttaste fuori di casa!"
"….ma mi hai anche schiaffeggiata."
"Ti chiedo scusa Nabiki, umilmente, ma ora…"
"Ripetilo."
Ranma rimase interdetto.
"Cosa?"
"Ho detto: ripetilo."
"Ho capito, ma COSA devo ripetere?! Che mi scuso? Scusam…"
"No, non quello. Ripetimi che ami mia sorella."
Ranma ammutolì.
(Piccola ricattatrice che non sei altro!)
Nabiki lo fissò.
"Prima mi sembrava che dicessi la verità, Saotome, ma ora non ne sono più tanto sicura."
"Nabiki…"
"Magari vuoi cercarla solo per scusarti con lei e poi abbandonarla di nuovo. Sai che ti dico? Io me ne vado."
Nabiki si stava DAVVERO alzando, stava DAVVERO andandosene. Ranma sbatté un pugno sul tavolo.
"E va bene, te lo ripeterò! Io LA AMO! La amo disperatamente, amo tua sorella come non credevo di poter mai amare nessuno e non ho mai avuto il fottuto coraggio di dirglielo perché avevo paura che lei ridesse di me! Ma se potessi tornare indietro, glielo griderei contro con quanto fiato ho in gola!"
Nabiki rimase un attimo in piedi, una vaga espressione di sorpresa sul volto
Saotome, se mi hai sorpresa!
ignara di quelli che si erano voltati ad ascoltare quell’indiretta dichiarazione d’amore. Poi si ricompose e sedette nuovamente, notando il rossore diffuso sul volto del ragazzo.
"Così va meglio." Disse semplicemente. Poi aggrottò le sopracciglia, seria. "Ora, ascolta…"
   
 
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