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Autore: alberodellefarfalle    27/07/2015    1 recensioni
Salve a tutti. Questa è una prova. Chi mi conosce sa che pubblico solo storie originali, quindi questa è la mia prima ff. Siate clementi. Ho voluto provare e dato che Robert Pattinson mi piace molto (ho avuto la mia fase da Twilight anche io), ho deciso di cimentarmi con lui. Ovviamente è tutto di fantasia. Vi avviso che non essendo un'amante del gossip non mi sono basata su un evento particolare, ho solo immaginato come potrebbe essere Robert Pattinson (e come spero che sia) se si ritrovasse a Roma per lavoro e lì conoscesse una comunissima ragazza italiana. Titolo omaggio al film "Vacanze Romane" con Audey Hepburn e alla canzone omonima dei Mattia Bazar. Non mi resta che augurarvi buona lettura.
NB In data 7/1 ho aggiunto una piccola frase finale che chiarisce l'epilogo.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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AUTRICE: Buongiorno ... so che è presto, ma il mio orologio è ancora resettato per la sessione estiva e non è ancora entrato in funzione per le vacanze ... e volevo pubblicare quanto prima la seconda parte del capitolo. Quindi eccomi qui.
BUONA LETTURA!!!
PS Ringrazio chi ha recensito il capitolo precedente ... fatemi sapere che ne pensate di questo. Baci e alla prossima

 

Vacanze Romane
 
Party con sorpresa - parte 2 -
 
Cercai di seguire i loro discorsi, anche se il mio inglese era un poco carente. Robert era in Italia per un accordo per un film, di cui non fu nominato né il titolo né il regista. Credo c’entrasse anche il lavoro di mio cugino, ma brancolavano nel buio, in attesa dell’accordo definitivo. Poco dopo si unirono a noi alcuni colleghi di Gianni, o meglio Bob, come lo chiamavano tutti. “Ti annoi?” sussultai alla voce di Robert “No, tranquillo.” Sorrisi. Non mi annoiavo, ma mi sentivo un poco fuori posto. “Questi uomini di cinema quando cominciano a parlare di lavoro non smettono mai.” mi sorrise gentile “Li capisco. È normale che sia così. Anche io quando sto con i miei colleghi finisco sempre per parlare di università. Poi sai una star internazionale viene qui e forse diventerà il loro uomo per i prossimi mesi.” Si mise a ridere “Dici che è normale che vogliano programmare tutto?” annuii convinta “Ma l’esperto sei tu. È normale?” annuì lui. “Tu cosa fai? Perché è evidente che non ti occupi di cinema.” Lo guardai curiosa “E da cosa si capisce?” sollevai il sopracciglio “Dal fatto che sembri non essere molto felice di ascoltare i loro discorsi.” “Nemmeno tu sembri essere molto felice.” “Touchè!” mi misi a ridere “Ancora francese?” scrollò le spalle “Devo far colpo in qualche modo.” Disse scherzando. Lo guardai. Lui che doveva fare colpo? Sarebbe potuto anche restare fermo per ore, respirando semplicemente e avrebbe steso tutti ai suoi piedi. E non c’entrava niente il suo essere famoso. Era inevitabilmente un ragazzo che attirava l’attenzione, con quel colore di occhi e quello sguardo, quei capelli e quella barbetta incolta che lo rendevano misterioso e quel fisico statuario. Scossi la mano per indicare che aveva detto una sciocchezza. “Robert, scusami. Dovrei presentarti delle persone.” Disse Philip. Mr. Pattinson sbuffò. Probabilmente immaginava una serata diversa. Lo vidi allontanarsi mentre mio cugino mi diceva che anche lui avrebbe dovuto incontrare delle persone. Io decisi di far visita di nuovo al buffet. Me ne stavo sola soletta a godermi la mia scelta al buffet, quando Robert Pattinson fece capolino nel mio campo visivo. Ignorando qualcuno che lo chiamava, si avvicinò a me e mi sorrise. Come caspita faceva ad avere quel sorriso? “Ciao.” Mi disse in italiano “Ciao.” Risposi io nella stessa lingua “È una delle poche cose che so dire.” Proseguì in inglese “Posso dire che l’italiano è una lingua difficile. Troppa grammatica, troppe regole e troppe eccezioni. L’inglese è più semplice, anche se non lo è per me.” mi sorrise gentile “Ma non lo parli male.” sospirai “Anni di sacrifici.” Dissi melodrammatica e lui scoppiò a ridere, prima di rubarmi qualcosa dal piatto. “Scusa …” bofonchiò con la bocca piena. Era bello pure così. “Sembrava squisito.” “E infatti volevo provarlo.” Feci la finta offesa e lui scrollò le spalle. “Mi farò perdonare.” Lo guardai scettica mentre mi faceva segno di seguirlo fuori. Ci fermammo al bordo della terrazza a guardare Roma, la città eterna. “Cos’è, ora mi dici che tutto quello che vedo alla luce del sole è tuo? E io ti chiedo cosa siano i posti all’ombra?” non so da dove mi uscì quella citazione de “Il re leone” ma di sicuro divertì molto Mr Pattinson “Il re leone, il mio film preferito.” Scrollai le spalle “Uomini. Mio fratello me lo faceva vedere quasi tutti i giorni. Ma devo ammettere che è anche il mio film preferito anche se alcune scene mi fanno ancora paura … non guardarmi così! Quando gli gnu scendono di corsa per uccidere Mufasa io tremo di paura, come una bambina chiudo ancora gli occhi!” “Ma è terribilmente bello.” Annuii “Concordo in pieno.” Sorrise “Quindi hai un fratello. Com’è avere un fratello?” sollevai le spalle “Bello, perché siamo cresciuti insieme. Anche se litighiamo ci manchiamo da morire quando non ci vediamo. Invece com’è avere una sorella?” qualche cosina la sapevo pure io “Vorrai dire due sorelle. Bello anche se litighiamo e ci manchiamo quando non ci vediamo.” Disse semplicemente e capii che mi stava dicendo la verità e chi meglio di me poteva capirlo. “Héloïse, ti ho trovata.” Gianni ci raggiunse “Scusami per averti lasciata sola.” “Tranquillo, ricordi? Per te è lavoro.” Gli sorrisi. Lui mi guardò strano, sembrava studiare me e il mio compagno. Rientrammo dentro tutti e tre insieme e ci unimmo a Philip e gli altri. La discussione ricadde nuovamente sul cinema e io mi limitai a seguire i loro discorsi, fin quando Robert non mi affiancò “Da quanto tempo Bob lavora in questo mondo?” mi chiese porgendomi un flute di champagne “Più di sei anni.” Risposi prima di sorseggiare il contenuto del bicchiere “E da quando state insieme?” Quasi mi strozzai alla sua domanda “Io e Gianni? Siamo cugini, è come se fosse mio fratello, quasi lo è. Sono cresciuta con lui come …” Robert si passò la mano nei capelli “Scusami, avevo frainteso. In effetti sembrate più sorella e fratello.” E ridacchiò imbarazzato. Molti ci scambiavano per una coppia e qualche volta noi ci giocavamo su, ma se ci guardavano bene era ovvio che il nostro rapporto era ben diverso. “Lui è il figlio della sorella di mia mamma e ha nove anni più di me. Siamo cresciuti insieme, peccato che lui si sia trasferito qui e ci vediamo così poco. Sono venuta a trovarlo per dieci giorni. Sono anni che mi invita, ma io trovo sempre una scusa. Io sono una studentessa e prima con la scusa del diploma poi con quella dell’università, ho sempre declinato i suoi inviti.” “Non c’è nulla senza sacrifici. Vedi il mio lavoro: molti pensano che sia solo divertimenti e feste e donne, ma non sanno le ore di prove, di studio, di fatica, i viaggi, i fan senza controllo, le rinunce.” Forse aveva solo bisogno di una pausa da tutto quello o meglio avrebbe voluto essere più libero. Avevo sentito di paparazzi a ogni ora del giorno e di fan che non lo lasciavano in pace “Mi chiedo sempre come facciate a reggere tutto lo stress che vi mettono addosso. Io non riuscirei a stare sempre al centro dell’attenzione. So che è il vostro lavoro, ma credo sia necessario per qualche ora essere nessuno, non preoccuparsi di cosa si dica di te o cose simili.” “Già.” Soffiò, sconsolato “Non credi che questa festa si stia afflosciando un po’?” chiesi per stemperare la tensione “Sì! E vogliamo parlare della scelta musicale? Dovremmo animare un poco la cosa. Mi sa che sono tutti dei vecchietti.” Ridacchiò indicando le persone di fronte a noi. Gianni ci guardò divertito. Mimai uno “scusa” e lui sollevò le spalle “Tutta colpa di Philip. Adesso ci penso io a smuovere questi vecchi.” Frugò nelle tasche e prese il suo cellulare, poi si dileguò. Tornò poco dopo tutto soddisfatto. “Héloïse, vorresti aprire le danze con me?” lo guardai stralunata, ma lui mi trascinò al centro della sala. Avrei ucciso Gianni molto presto “Ti odio!” sibilai “Dobbiamo far vedere a Mr Pattinson cosa si perde se non si da una mossa.” Mi disse con tono saccente “Sei pazzo?” scosse la testa prima di prendermi per i fianchi e cominciare a farmi volteggiare al suono di una musica latino americana, non ben definita. A salvarmi fu Chiara, che si presentò ridendo al nostro fianco con altri ragazzi. Non sarei morta di imbarazzo per essere la sola a ballare “Philip ti ucciderà!” disse a Gianni “Il suo ospite si era scocciato delle feste tutte infiocchettate.” Si giustificò facendo l’occhiolino a me. Gli schiaffeggiai una spalla e scoppiò a ridere. “Sta attenta, non ti dico altro.” Lo guardai storta “Anche se sei tu quello grande, di solito sono io che ti tengo d’occhio. Che ti succede?” si mise a ridere “Per una volta fammi svolgere il mio ruolo e tu divertiti, fai pure l’irresponsabile, ma con moderazione.” Mi prese in giro. Da sempre ero stata io l’adulta della situazione, nonostante le nostre carte d’identità dicevano ben altro. La festa si animò anche se la faccia di Philip era poco contenta, almeno fino a quando Robert non gli diede una pacca sulla spalla e si tuffò anche lui tra la folla danzante. Fu risucchiato perché non lo vidi più, almeno per qualche minuto, poi riuscii a vedere una donna accalappiata a lui. Era un bell’uomo, una star, era ovvio che avrebbe trovato la donna giusta in quella serata. La musica era di nuovo cambiata e qualcosa di familiare era riuscito a sovrastare i rumori della sala: “Stockolm Sindrom” dei Muse. Sorrisi a mio cugino e iniziai a ballare. Ero in una bolla: io, la musica, il mio cuore. Nient’altro. Almeno così credevo. “Serve una diagnosi, dottoressa.” Sussultai alla voce di Robert Pattinson, incredibilmente vicina al mio orecchio. Lo guardai senza capire e mi fece segno di ascoltare la musica. Giusto, il titolo della canzone. “Sindrome di Stoccolma. La diagnosi l’hanno fatta i Muse.” Sorrisi “Li conosci!” annuii di nuovo, lasciandomi cullare dalla musica. “Mi hanno salvato da un esame.” Sul serio erano stata la mia salvezza per quell’esame andato male. Lui cominciò a muoversi con me e mi sorpresi. Non mi era mai capitato di ballare con qualcuno appena conosciuto, non mi ero mai sentita a mio agio con qualcuno come in quel momento. “E come li hai conosciuti?” mi chiese poggiando una mano sul fianco, quando la musica cambiò. Guardai sbalordita la mano e poi lui, che si allontanò, forse vedendomi smarrita. “La risposta sta nella musica.” Gli dissi avvicinandomi per farmi sentire. Erano i Muse di nuovo ad accompagnarci. Sorrise. Forse si aspettava quella risposta, manipolatore. Cercai di allontanarmi, ma lui ritornò a poggiare la mano sul mio fianco. Ci dondolammo lenti al suono di “Neutron Star Collision”, in silenzio, occhi negli occhi. Mi prese la mano e se la portò al petto, all’altezza del cuore “Se mi tocchi non scompaio.” Mi prese in giro. Tutto era possibile dato che probabilmente ero in un sogno: stavo ballando ad una festa, a Roma, con il ragazzo più carino (ok carino è dire poco) della sala, nonché super star, desiderata da mezzo mondo, solo mezzo perché il resto ha altri gusti sessuali. Sorrisi al mio assurdo pensiero e lui mi guardò scettico. Scossi la testa e la mano, non impegnata sul suo petto, e lui ne approfittò per recuperarmela e portarsela quasi al collo. Avevo praticamente le mani su di lui, entrambe. Mi resi conto che a due millimetri dalle mie dita c’era il suo collo, libero, nudo e mai come allora avrei voluto sfiorare la pelle di qualcuno. Distolsi gli occhi dalla mia mano e mi concessi uno sguardo alla sala. Ci fissavano, molti ci fissavano e io entrai nel panico. Mi staccai brusca da lui, rovinando l’atmosfera e il ballo. “Che succede?” mi chiese cercando di avvicinarmi, ma io mi allontanai prontamente. “Ci … ci guardano.” Balbettai come una scema. Sentivo il calore sulle guance e non riuscivo a guardarlo negli occhi. “Scusa.” Mormorò lui e io mi decisi a guardarlo. Era veramente dispiaciuto. Che scema che ero stata: avevo rovinato uno dei momenti più beli della mia vita, lo avevo messo a disagio e l’avevo offeso. Era ovvio che ci guardassero: lui era Robert Pattinson, che ballava una canzone colonna sonora di un film che lo aveva reso famoso, con una ragazza sconosciuta ad una festa. “Scusami tu, solo che non sono abituata ad essere guardata. Io di solito sono quella che sta a bordo della stanza, quella che non viene mai notata.” Quanto mi ero lasciata sfuggire? Mi sentivo più in imbarazzo di prima e cercai di sfuggire dal suo sguardo penetrante. Lui mi bloccò e mi accompagnò a bordo pista, quando ormai la canzone dei Muse era finita da un po’ e io nemmeno me n’ero accorta. “Sta tranquilla, non mi sono offeso. Capisco che possa essere difficile, prima anch’io non venivo notato. Sai, a volte mi manca quel periodo: girare libero, non pensare a cosa fare ogni secondo con la paura di sbagliare ed essere visto e giudicato.” Lo guardai e notai il suo disagio: si sentiva in colpa “Non ti sentire in colpa e ti chiedo scusa per … per aver rovinato tutto. Solo non sono abituata a stare al centro dell’attenzione.” e sollevai le spalle. Lui si avvicinò un po’ di più e mi posò la mano sul fianco, come quando stavamo ballando, e mi guidò in un angolo quasi buio. La mia spalla sfiorava la tenda e potevo scorgere oltre le sue spalle la terrazza e la città, con le sue luci. “Credo che fino ad adesso tu abbia incontrato persone molto sciocche, perché meriti di stare al centro dell’attenzione.” lo guardai stupita: stava forse scherzando? “Mi hai capita, vero?” annuii, ma non potevo smettere di guardarlo così. Lui, Robert Pattinson, era in un angolo con me, Héloïse, l’invisibile studentessa, e mi aveva appena fatto un complimento, un complimento, a me. “Scusa è solo che …” Solo che cosa? Dai, Héloïse, parla! Lui non smetteva di guardarmi e di … di sorridere. Dio, con quel sorriso poteva vendere tutto. “Quanto tempo resti?” chiesi di botto e lui si sorprese “Sai, sono qui per dieci giorni e il mio intento è quello di fare la turista, dato che sono stata a Roma solo una volta nella mia vita e dato che mio cugino lavora sarei sola. Pensavo che se avessi un po’ di tempo libero, potresti fare il turista con me, solo se ti va, ovvio.” Quanto velocemente avevo parlato, inglese permettendo? Mi sorrise “Mi piacerebbe tanto.” Sorrisi anch’io “Ti do il mio numero, così mi chiami quando puoi e possiamo vederci da qualche parte. Mi trovi sempre in giro per la città.” Frugai nella mia pochette a tracolla ed estrassi una penna e un blocchetto, dove scrissi il mio numero e glielo porsi. “Sai, ho un cellulare e …” scoppiai a ridere. “Non ti sei offesa, vero? Solo mi sono stupito di vederti con carta e penna.” Scrollai le spalle “Nessuna offesa. Lo so che sono strana e … e tradizionalista, ma carta e penna sono la mia vita: mi ostino ad avere un’agenda cartacea e a portarmi dietro libri di carta e block notes dove appuntare le mie idee. Che ci vuoi fare, sono una all’antica!” sollevai le spalle. Prese il foglietto e se lo mise in tasca. “Tu non vuoi il mio numero?” “Tu hai il mio. Se vuoi vedermi mi chiami. So che sei molto impegnato, non vorrei disturbare.” Anche perché se avessi avuto il suo numero sarei stata a chiedermi milioni di volte se era il momento giusto per chiamarlo e io avrei voluto sicuramente chiamarlo. Io l’avevo invitato, ora toccava a lui fare un passetto. 

*La storia è totalmente inventata e con questa non voglio recare offesa a nessuno

  
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