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Autore: evelyn80    31/07/2015    5 recensioni
Dopo aver espresso il desiderio di poter salvare Boromir dalla sua triste fine, Marian si ritrova catapultata nella Terra di Mezzo grazie ad un gioiello magico che la sua famiglia si tramanda di generazione in generazione. Si unirà così alla Compagnia dell'Anello per poter portare a termine la sua missione. Scoprirà presto, però, che salvare Boromir non è l'unica prova che la attende.
Ispirata in parte al libro ed in parte al film, la mia prima fan fiction sul Signore Degli Anelli.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boromir, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La mia Terra di Mezzo'
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Moria

 

Fui svegliata, nel cuore della notte, da un ululato sinistro e prolungato, talmente vicino da farmi accapponare la pelle. Alzai la testa di scatto, spaventata: a parte gli Hobbit, gli altri compagni erano già tutti ben desti. Gimli aveva acceso un fuoco al centro della radura in cui ci trovavamo, evidentemente per tenere lontano gli animali pericolosi, ed ora affilava le asce al chiaro delle fiamme, alzando gli occhi di tanto in tanto. Aragorn fumava la sua lunga pipa di legno, seduto su una roccia ai margini della pozza di luce, dando la schiena al falò e fissando attentamente nell’oscurità. Boromir passeggiava nervosamente in cerchio intorno al fuoco, carezzando distrattamente sia il corno di Gondor sia l’elsa della sua spada. Gandalf stava appoggiato ad un tronco, con gli occhi chiusi, immobile come se dormisse. Legolas non era in vista, ma un lieve fruscio sopra la mia testa mi fece alzare gli occhi e scoprire che l’Elfo era appollaiato come un grosso uccello sopra ad un ramo. Anche lui scrutava le tenebre intorno a noi.
Troppo preoccupata per riprendere sonno mi alzai dal giaciglio, avvolgendomi ben bene nel mantello per proteggermi dal vento freddo ed arrotolando la coperta legandola sul mio zaino. Non appena pronta, mi misi a sedere accanto a Gimli.
Nonostante i rumori, gli Hobbit continuavano a dormire il sonno dei giusti, incuranti dei lupi che si andavano ammassando nella foresta intorno a noi.
"Siamo inseguiti" mormorò lo stregone, senza aprire gli occhi. "Temevo che sarebbe successo, ma non possiamo muoverci adesso, sarebbe troppo pericoloso! Spero solo che questi lupi non si avvicinino più di così. Non appena farà giorno dovremo partire, ed anche alla svelta.” Si interruppe, per trarre un breve sospiro, poi continuò. “Se non riusciremo a raggiungere i cancelli occidentali di Moria entro il prossimo tramonto, temo che non ci riusciremo mai. Forse per stanotte gli animali non ci assaliranno; ma lo stesso non potrà più dirsi, domani."
"Che prospettiva incoraggiante…" mormorai, incapace di trattenermi.
"Non temere!" riprese Gandalf, "le mura di Moria non sono poi così lontane. Abbiamo piegato verso sud durante la discesa dal Cornorosso: non dovrebbe essere troppo difficile trovare l’ingresso della miniera."
Ma, quelle, si rivelarono le sue “ultime parole famose": Gandalf non riuscì a trovare il Sirannon – il Rivo del Cancello – che, a suo dire, un tempo scorreva proprio davanti alle porte di Moria, neanche con il lanternino. Stavamo tutti con le orecchie dritte per sentire il gorgoglio dell’acqua ma persino Legolas, con il suo udito di Elfo, non riuscì a captare niente. Fu soltanto dopo mezzogiorno e dopo una frettolosa colazione, che Gimli – che i peli della sua barba possano allungarsi sempre più! – trovò un misero ruscelletto fangoso in cui scorreva a mala pena un filo d’acqua.
"Ecco il Sirannon!" esclamò Gandalf.
"Finalmente…" gli fece eco Pipino, massaggiandosi i piedoni pelosi, "non ne potevo più di arrancare tra queste rocce aride e aguzze!"
"Ora non ci resta che seguirlo a ritroso fino a raggiungere ciò che cerchiamo!"
E così facemmo e, mano a mano che avanzavamo, ci rendemmo conto che il paesaggio era cambiato molto dall’ultima volta in cui Gandalf era passato da quelle parti. Arrivati in cima alle Scalinacascate – dove un tempo il fiume scorreva impetuoso ed ora invece gocciolava mestamente – trovammo la strada sbarrata da un grosso lago immobile dalle acque stagnanti e puzzolenti, che invadeva tutta la vallata di fronte a noi.
"Ecco che fine ha fatto l’acqua del Sirannon!" esclamo nuovamente l’Istari, togliendosi il cappello e grattandosi la testa. "Bene, ora non ci resta che aggirarlo ed arrivare dall’altra parte!"
"Dobbiamo camminare ancora? Io non ce la faccio più!" si lamentò il più giovane degli Hobbit, lasciandosi cadere pesantemente su una roccia.
"A meno che tu non voglia fare una nuotata, Messer Peregrino, e sei liberissimo di farla, se ciò ti aggrada!” lo apostrofò Gandalf, “ma io non ho nessuna intenzione di attraversare nuotando queste acque malsane e, credo, nemmeno i tuoi compagni!"
Tutti scuotemmo la testa e Pipino si rimise in marcia con un lungo sospiro.
Era ormai pomeriggio inoltrato. Gandalf aveva allungato molto il passo, tanto che perfino Aragorn e Boromir stentavano quasi a tenergli dietro. Giunti alla parte più settentrionale del lago, però, ci rendemmo conto che, volenti o nolenti, avremmo dovuto per forza mettere i piedi nell’acqua, per attraversare una piccola baia che ci sbarrava la strada.
Il primo ad avventurarsi fu Gimli – l’unico veramente entusiasta di entrare nelle miniere – che, dopo aver proceduto con cautela sulle rocce viscide e scivolose del fondale, raggiunse sano e salvo l’altra sponda. Per fortuna l’acqua arrivava solo fino alle caviglie, quindi anche gli Hobbit riuscirono a superare l’ostacolo senza difficoltà, anche se rabbrividirono a lungo al contatto con l’acqua fetida.
Io fui l’unica ad avere problemi. Ero rimasta per ultima, e mi mancava ormai più solo un passo per arrivare di nuovo all’asciutto, quando i miei stivali persero la presa sul fondo ed andai a finire con il sedere a mollo, sollevando una miriade di spruzzi di acqua puzzolente. Fui costretta a mettere le mani a terra per risollevarmi e, quando le estrassi di nuovo dall’acqua, le trovai coperte di melma viscida color marrone verdastro, che odorava di foglie marce e chissà cos’altro.
"Bleah!" esclamai, scuotendo vigorosamente le mani per liberarle dalla poltiglia e finendo, così, per schizzare anche tutti gli altri membri della Compagnia, colpendo Merry in un orecchio e Legolas in un occhio.
"Fai più attenzione!" mi gridò Boromir, togliendosi lo schizzo di melma dalla guancia con il dorso del guanto, la bocca contorta in una smorfia di disappunto.
"Scusatemi… Non volevo…" balbettai, cercando di pulire l’orecchio di Merry con l’orlo del mio mantello ma finendo soltanto con il peggiorare la situazione, visto che anche quello era completamente fradicio e ricoperto di fanghiglia.
"Andiamo ora, non abbiamo tempo da perdere!" gridò Gandalf, rimettendoci in riga e ripartendo a grandi falcate ma, nel frattempo, asciugandosi la melma che gli era finita nella barba.
Dopo un'altra mezz’ora di cammino serrato arrivammo ai piedi di una parete rocciosa, talmente liscia che sembrava fosse stata levigata. Davanti ad essa, proprio al centro, si ergevano due enormi alberi di agrifoglio, le cui radici si immergevano nelle acque stagnanti del lago.
"Oh… Le mura di Moria" sospirò Gimli, con voce sognante.
"Sì Gimli, siamo arrivati finalmente! Ora non ci resta che trovare le porte nascoste!" disse Gandalf.
"L’unico problema è che non ho idea di come fare per trovarle. Le porte dei Nani diventano inaccessibili anche ai loro padroni, se il loro segreto viene obliato" replicò il figlio di Gloin, fissando la parete.
"Chissà perché la cosa non mi sorprende…" sussurrò sarcastico Legolas. A quel commento, Gimli rispose con un grugnito.
Ma non ci fu bisogno di ricordare segreti dimenticati da tempo perché, all’improvviso, la “Stella” si mise a brillare e sulla parete, proprio in mezzo ai due alberi secolari, iniziarono a tracciarsi delle deboli linee luminose.
Ben presto fu visibile un alto arco, sotto il quale brillavano un’incudine ed un martello, sormontati da una corona circondata da sette stelle, simbolo della Casa di Durin. Alle colonne che sostenevano l’arco erano attorcigliati due alberi con delle mezzelune appese ai rami, simbolo degli Alti Elfi. Al centro del portale, brillava una stella dalle molte punte.
"La Stella della Casa di Fëanor!" ridacchiò Gandalf, indicandola, "a quanto pare avevi con te la chiave per trovare le porte!"
"Come mai è incisa anche sulle porte di Moria?" gli chiesi, toccando involontariamente il gioiello che avevo al collo.
"Perché Celebrimbor, ovvero l’Alto Elfo che ha tracciato queste linee con l’Ithildin, era un discendente di Fëanor" mi spiegò, prima di mettersi di nuovo a fissare le linee brillanti. Sopra l’arco si era formata un’iscrizione.
"Cosa dice?" chiese Merry.
"Allora. C’è scritto “le porte di Durin, signore di Moria: dite amici ed entrate”!" rispose lo Stregone, seguendo le parole con la punta del suo lungo bastone mentre leggeva.
"E cosa vuol dire?" domandò Pipino.
"Ah, è semplice: se sei amico dici la parola magica e le porte si aprono!" e, puntandoci contro il bordone, Gandalf pronunciò una frase in elfico, senza risultato. Provò altre due o tre volte, ma sempre inutilmente.
"Non succede niente! E adesso cosa facciamo?" chiese di nuovo il più giovane dei Mezzuomini, con la sua vocetta petulante.
"Sbattici contro la testa, Peregrino Tuc! E se questo non le fracassa, e mi viene lasciato un attimo di tregua dalle domande sciocche, tenterò di trovare la parola giusta!" gli rispose lo Stregone, infuriato ed anche un po’ frustrato.
Sapevo perfettamente che la parola giusta era "mellon", ovvero "amici" in elfico, ma non sapevo se avrei fatto bene o meno ad alterare i tempi della storia, quindi preferii lasciar correre, anche a costo di incontrare il Guardiano, che era in agguato nelle profondità del lago.
Mentre Gandalf si spremeva le meningi suddividemmo il bagaglio di Bill, scegliendo cosa portarci appresso e cosa no, e raggruppammo il tutto in pile ordinate da aggiungere ai fagotti che già avevamo. Con la morte nel cuore, Sam tolse la cavezza al pony, che non avrebbe potuto seguirci all’interno della miniera, ed Aragorn lo rimandò indietro con una pacca sulla groppa.
Nell’attesa che lo Stregone trovasse infine la parola giusta ci mettemmo a sedere sotto gli alberi. Merry e Pipino, che non riuscivano a star fermi, cominciarono a lanciare pietre nel lago e, prima che Aragorn intervenisse, li aveva imitati anche Boromir, che non sopportava affatto quel luogo. Legolas stava in silenzio a contemplare le foglie degli agrifogli sopra la sua testa e Gimli fumava la sua corta pipa di terracotta.
"Vedrai, mio cugino Balin ci riserverà un’accoglienza regale!" mi disse, agitando la pipa davanti al naso.
"Non ne dubito" gli risposi, ben sapendo che, all’interno di Moria, di Balin avremmo trovato soltanto la tomba.
Finalmente Frodo, seduto con Sam dietro allo Stregone, si rese conto che l’iscrizione era in realtà un enigma e trovò la parola giusta. Le porte si spalancarono e tutti ci alzammo in piedi, con un sospiro di sollievo.
Gandalf entrò per primo, seguito da Gimli che fantasticava su quello che avremmo visto all’interno di Khazad-Dûm.
"Presto, Mastro Elfo, potrai gustare la leggendaria ospitalità dei Nani!" disse, rivolgendosi in particolar modo a Legolas. "Grandi falò, birra di malto, carne stagionata con l’osso! Questa, amico mio, è la casa di mio cugino Balin! E la chiamano una miniera… Una miniera!" concluse, con il tono lievemente offeso.
Ormai eravamo tutti dentro e, alla luce della luna che era appena sorta, potemmo vedere che l’ingresso e le scale che salivano davanti a noi erano disseminati di scheletri di Nani.
"Questa non è una miniera” mormorò Boromir, deglutendo a vuoto, in risposta alle parole di Gimli. “È una tomba…"
Solo allora il figlio di Gloin si rese conto della situazione e cominciò ad ululare come una sirena da nebbia. Legolas esaminò le frecce che avevano colpito i Nani e mormorò: "Gli orchi…"
A quelle parole tutti estraemmo le spade, guardandoci intorno come se, da un momento all’altro, un esercito di Orchetti avesse dovuto riversarsi fuori dalla miniera.
"Tutti fuori! Svelti! Non saremmo mai dovuti venire qui! Andiamo alla Breccia di Rohan!" gridò il Gondoriano, brandendo la lama e facendo cenno agli altri di retrocedere.
Non appena usciti, però, i tentacoli dell’Osservatore emersero dall’acqua, dirigendosi minacciosi verso Frodo. Uno di essi con uno scatto repentino afferrò l’Hobbit per la caviglia. Sam lanciò un grido e, mentre Merry e Pipino trattenevano il compagno perché non venisse trascinato via, Aragorn tranciò l’arto con un colpo di Andùril.
Il mostro non si dette per vinto, ed altri tre o quattro tentacoli schizzarono fuori dall’acqua ghermendo il Portatore, che questa volta fu strappato dalle braccia degli amici ed issato, urlante, a dieci metri d’altezza. Legolas iniziò a lanciare frecce all’indirizzo dell’Osservatore che, nel frattempo, aveva tirato fuori la testa e spalancato le fauci. Aragorn e Boromir si slanciarono in acqua, menando fendenti a destra e a sinistra, cercando disperatamente di liberare il povero Frodo, che gridava a squarciagola appeso a testa in giù sopra la bocca del Guardiano. Ripetendo dentro di me, come una specie di mantra, che sarebbe andato tutto bene, mi lanciai anch’io nell’acqua, facendo mulinare Hoskiart sopra la testa e colpendo a ripetizione i grossi arti scivolosi del mostro, che ruggiva di rabbia e di dolore.
Dopo diversi colpi, finalmente rimase un solo tentacolo a trattenere Frodo. Aragorn lo tagliò con un colpo netto di spada e Boromir afferrò al volo l’Hobbit, prima che questo si schiantasse nell’acqua bassa. Allora tornammo tutti di corsa verso le porte di Moria, mentre Legolas continuava a lanciare frecce verso i terribili occhi del Guardiano, nel tentativo di rallentare la sua avanzata. Non appena l’Elfo – che era rimasto per ultimo – fu entrato, il mostro sbatté le ante alle nostre spalle con i pochi tentacoli che gli rimanevano, mandando in frantumi le rocce all’esterno e sigillandoci all’interno della miniera, lasciandoci nell’oscurità più completa.
"Non abbiamo altra scelta: dobbiamo affrontare le tenebre di Moria!" sentenziò Gandalf, inserendo un grosso cristallo trasparente tra le radici nodose che formavano la punta del suo bastone ed illuminandolo, così da poter vedere qualcosa. "E’ un viaggio di almeno tre giorni da qui all’altra parte della montagna! Cerchiamo almeno di passare inosservati.” Si interruppe per un istante, il tempo di estrarre dal suo fagotto la bottiglietta contenente il cordiale di Imladris. “Tenete, beviamo un sorso di Miruvor. Non è più molto, e sono certo che dovremo berne ancora prima di uscire all’aperto; ma ora abbiamo proprio bisogno di essere rinfrancati, prima di partire".
Reggendo alto il suo bordone, cominciò a salire le scale, seguito a breve distanza da Gimli che, nonostante i cadaveri all’ingresso, sperava ancora di incontrare suo cugino. Dietro di lui veniva Legolas; poi gli Hobbit ed infine io, Boromir ed Aragorn, tutti e tre fradici come pulcini e puzzolenti delle acque del lago. Il ramingo aveva preso una vecchia torcia che giaceva a terra in fondo alle scale e l’aveva accesa, illuminando così la retroguardia.
Dopo aver salito quella che mi parve la rampa di scale più lunga della storia – milleduecentocinquanta gradini senza nemmeno un pianerottolo – finalmente varcammo un’altra soglia e ci addentrammo nel cuore della miniera vera e propria.
In alcuni punti il nostro sentiero era largo ed agevole; in altri stretto e tortuoso, con voragini che si aprivano ogni tanto a destra ed a sinistra. A volte, queste si spalancavano all’improvviso anche sotto ai nostri piedi, costringendoci a saltare od a camminare su stretti cornicioni con la schiena contro la parete di roccia. In alcuni punti, il bastone di Gandalf e la torcia di Aragorn illuminavano qualche stalattite o qualche vestigia della vecchia miniera, come un carrello rovesciato o delle travature di legno marcio. Rabbrividivo spesso per la paura, nonostante l’aria stesse diventando sempre più calda ed i vestiti mi fossero ormai asciugati addosso.
"Di solito io adoro le miniere e le grotte, ma questo posto mette veramente i brividi…" sussurrai, ed il vuoto intorno a noi amplificò la mia voce tanto da renderla perfettamente udibile a tutti.
"A chi lo dici" mi rispose Pipino, che arrancava davanti a me prendendomi ogni tanto per mano, specialmente nei punti più difficili.
Stavamo percorrendo un lungo tratto di stretto sentiero dritto, con la parete alla nostra sinistra ed il nulla alla nostra destra, quando Gandalf si fermò.
"Le Miniere di Moria non sono famose per l’oro o per i gioielli, ma per un’altra cosa: Mithril" sussurrò, alzando un poco il bastone ed illuminando la voragine che si apriva sotto i nostri piedi e della quale non si vedeva il fondo. Le pareti luccicarono di piccole venature argentate. Boromir si sporse per guardare meglio ed io, per vincere la paura del vuoto, mi afferrai al suo braccio affacciandomi a mia volta. Quando ci rimettemmo in marcia, la mia mano scivolò nella sua guantata e rimase in quella posizione per qualche passo, finché le mie dita non persero la presa sul liscio cuoio del guanto. Per un attimo, ebbi la netta sensazione che lui stesse per riafferarmela, ma non accadde nulla ed il momento passò.
Dopo diverse ore di cammino l’effetto del cordiale di Imladris cominciò a svanire e cominciai a sentirmi le gambe pesanti. Avevamo camminato quasi ininterrottamente, facendo solo brevissime soste per bere, ed avevo letteralmente i piedi in fiamme.
Stavo per implorare Gandalf di fermarci almeno un minuto per metterci a sedere, quando lo Stregone ebbe il primo vero scacco. Ci trovavamo davanti ad un trivio e lui non sapeva più da che parte andare. Osservò attentamente i tre archi, facendosi luce con il bastone per vedere se trovava qualche indicazione, ma senza risultato.
"Non ho memoria di questo posto" mormorò, fissando prima il cunicolo di sinistra che scendeva verso il basso, poi quello centrale che continuava in piano, ed infine quello di destra che saliva con decisione. "E’ inutile proseguire ora: riposiamoci un poco, mentre cercherò di ricordare qual è la strada giusta."
Sul lato destro del corridoio che stavamo percorrendo si apriva una porta, da cui si accedeva in una piccola stanza. L’Istari fece strada all’interno, illuminando l’ambiente e rivelando un pozzo, aperto al centro del pavimento, che dava sulle profondità della miniera.
"Questa stanza doveva essere un ricovero per le guardie! Quel pozzo di sicuro serviva per attingere l’acqua!" commentò Gimli guardandosi attorno.
A quel punto ricordai dal libro che, non appena tutti si fossero sistemati per la notte, Pipino si sarebbe avvicinato di soppiatto al pozzo, facendoci cadere dentro un sasso per vedere quanto era profondo. Questo avrebbe risvegliato gli Orchi che vivevano parecchi livelli più in basso. Riflettei per un attimo.
"All’ingresso ho deciso di lasciar correre, e l’attacco del Guardiano è stato più violento di quello descritto nel libro. Cosa succederà se impedisco a Peregrino di buttare il sasso? Forse che gli Orchi non ci sentiranno? Oppure ci assaliranno prima? Voglio provare…" decisi, incuriosita di vedere quali effetti potevano avere le mie scelte sull’andamento futuro dell’avventura.
Mentre gli altri preparavano i loro giacigli io tenni d’occhio il giovane Hobbit e, non appena lo vidi strisciare furtivo verso l’apertura, lo richiamai all’ordine.
"Se butti un sasso dentro quel pozzo, Peregrino Tuc, ti giuro che la tua testa lo seguirà subito dopo, accompagnata dal resto del tuo corpo!" esclamai, in tono serio.
Il Mezzuomo trasalì e tornò di corsa accanto al suo fagotto, con sguardo colpevole. Gandalf mi strizzò l’occhio e si accese la pipa, andandosi poi a sedere davanti ai tre archi per riflettere sul da farsi.
Mi ero appena sdraiata avvolgendomi nella coperta, quando Pipino, adagiato vicino a me, mi chiese, meravigliato:
"Come facevi a sapere che volevo buttare un sasso nel pozzo?"
"Intuito femminile" risposi, sorridendogli.
L’Hobbit rispose al mio sorriso, guardandomi con occhi adoranti – fin troppo veneranti, per i miei gusti – poi si buttò giù e si addormentò all’istante. Anch’io ero esausta e dopo aver augurato la buona notte agli altri caddi in un sonno profondo.

 
* * *

 

Prima di poter chiudere gli occhi a sua volta, Boromir si ritrovò a fissare Marian, che dormiva accanto a Peregrino. Ricordava ancora benissimo la sensazione che aveva provato quando lei si era aggrappata al suo braccio, per sporgersi a guardare nell’abisso, e quando la sua mano piccola e delicata aveva stretto la sua grande e guantata. Aveva sentito un brivido corrergli su per la spina dorsale, un fremito che gli aveva quasi mozzato il respiro. Quando, una volta ripresa la marcia, la mano di lei era sfuggita alla sua presa, per un unico istante aveva desiderato ardentemente di riafferrarla e tenerla ancora stretta. Ma poi si era riscosso. Non doveva cedere! Aveva amato un’unica donna nella sua vita, sua madre, e cosa era successo? Che lei lo aveva lasciato quando aveva appena dieci anni, spezzando il suo cuore e quello del suo fratellino. Non poteva fidarsi delle donne. Non voleva fidarsi delle donne! Ma non riusciva a convincere il suo cuore del contrario.
Il suo sguardo si spostò poi su Frodo ed indugiò, troppo a lungo, sul petto dell’Hobbit dove, sotto la casacca, era nascosto l’Unico Anello, appeso alla sua catena. Si grattò distrattamente il palmo della mano sinistra, dove negli ultimi giorni sentiva spesso un fastidioso prurito e, per un attimo ancora, pensò al “Flagello di Isildur”, al suo potere, ed a quanto sarebbe stato utile a Gondor per la guerra contro l’Oscuro Signore.

 
* * *

 

"Ho trovato!" esclamò Gandalf, venendoci a svegliare dopo solo sei misere ore di sonno, "ora so qual è la strada che dobbiamo prendere!"
"Te lo sei ricordato!" esclamò Merry, balzando in piedi e cominciando a riavvolgere la sua coperta.
"No, ma non mi piaceva l’atmosfera del corridoio centrale, ed in quello di sinistra l’aria era troppo fetida. Quando non sei sicuro, Meriadoc, da retta al tuo naso!” esclamò l’Istari, dando una pacca sulla spalla del Mezzuomo. “Direi che la direzione giusta è a destra: è ora di ricominciare a salire!"
Percorremmo un lungo tratto di strada in salita, senza proferire parola. A mano a mano che avanzavamo, il corridoio diventava sempre più largo e più alto. Il pavimento era liscio e levigato, sicuramente dal passaggio di molti piedi naneschi.
Dopo otto ore di marcia, intervallate soltanto da due brevi soste, le pareti del corridoio sparirono e ci ritrovammo in una sala che, a giudicare dagli spifferi d’aria che ci arrivavano in faccia, doveva essere enorme.
"Voglio osare un po’ più di luce…" mormorò Gandalf, alzando il bastone sopra la testa.
Lentamente la sua luce si espanse, illuminando un salone immenso diviso in numerose navate da pilastri di pietra nera, finemente intagliata, che sorreggevano un soffitto ad archi a sesto acuto.
"Mirate l’antico regno della città dei nani: Nanosterro!" esclamò lo Stregone, mentre alzavamo gli occhi a guardarci intorno, con la bocca aperta per la meraviglia.
Boromir fece un giro su se stesso, fissando il soffitto con stupore, ed anch’io non potei fare a meno di sussurrare uno "Wow…" d’ammirazione per la maestria dei Nani, mentre sfioravo uno dei pilastri finemente decorati. Gli Hobbit sembravano persino scomparire nell’immensità di quel vasto salone mentre si guardavano attorno, estasiati.
La voce di Gandalf ci riscosse.
"Credo che non dovrebbe mancare più molto al lato orientale della montagna, anche se di sicuro siamo di parecchi livelli sopra ai cancelli” costatò, guardandosi attorno e grattandosi la testa, pensieroso. “Per oggi fermiamoci qui! Può darsi che, domani mattina, vedremo sorgere l’alba da qualche lucernario. Allora forse potrò anche orientarmi meglio!"
Ci accampammo ai piedi di uno dei pilastri, perché al centro delle navate la corrente d’aria era fin troppo fastidiosa. Dopo aver mangiato e bevuto l’ultimo sorso di Miruvor a testa, gli Hobbit, Gimli, Aragorn e Gandalf accesero le loro pipe. La luce del bastone dello Stregone si smorzò quasi del tutto, lasciandoci quasi completamente al buio, per cui i loro visi erano illuminati soltanto dalle braci nei fornelli. La “Stella di Fëanor”, che avevo tirato fuori della casacca, brillava debolmente nell’oscurità, rischiarando a malapena il mio volto. Boromir e Legolas, invece, erano immersi nel nero più assoluto: soltanto i loro occhi erano appena visibili, grazie al riflesso del debole chiarore del bordone dell’Istari.
La quiete calò sul nostro gruppo. Per parecchi minuti si poté udire solamente il suono del tabacco che si consumava, unito ai nostri respiri calmi e regolari. Solo Pipino sembrava non riuscire a star fermo, dimenandosi come in preda all’inquietudine.
"Il silenzio è troppo pesante in questa oscurità” sbottò alla fine, “potete cantare qualcosa?" e Gimli lo accontentò, cantando un’antica canzone nanesca che parlava di Khazad-Dûm ai suoi tempi di gloria.
"Ora cantane una tu, Marian!" mi pregò il più giovane degli Hobbit quando il Nano si zittì, timoroso forse di restare di nuovo vittima di un silenzio talmente intenso da far male persino alle orecchie.
Purtroppo per lui, non avevo alcuna voglia di cantare: il Miruvor mi aveva messo sonnolenza e l’odore inebriante dell’erba pipa mi faceva girare la testa.
"Allora facciamo almeno un gioco! Tutto questo buio mi deprime!" insisté il Mezzuomo, petulante.
Più per farlo smettere che per vero divertimento, decisi di accontentarlo.
"Pensate tutti ad un numero" dissi, trattenendo a stento uno sbadiglio. "Anche tu Gandalf, se vuoi!"
"Un numero come?" chiese Merry.
"Quello che vuoi, basta che tu poi sia in grado di farci operazioni aritmetiche" gli spiegai.
"Allora è meglio che ne scelga un altro" mormorò Sam, "non sono mai stato bravo in matematica."
Dopo un istante, ripresi.
"Ora raddoppiatelo." Attesi per un attimo, poi continuai. "Al numero che avete ottenuto, aggiungete dieci… poi dividete per due.”
Questa volta il silenzio si protrasse più a lungo: potevo quasi sentire il rumore delle meningi che lavoravano.
"Ed, infine, sottraete il primo numero che avevate pensato" conclusi.
Pipino aveva la lingua tra i denti quando finalmente esclamò, con soddisfazione: "Fatto!"
"Vi rimane cinque?" chiesi, trattenendo a stento una risatina.
La quiete della vasta sala fu rotta da diversi "Oh!" di sorpresa: dal grugnito di Gimli alla voce flautata di Legolas, passando dalle vocine degli Hobbit a quelle profonde dei due uomini. L’unico che non mostrò incredulità fu Gandalf: tutto ciò che fece fu mettersi a sghignazzare sotto i baffi. Evidentemente aveva capito subito il trucco: se prima moltiplichi per due e poi dividi per due, la soluzione è la metà del numero che hai fatto aggiungere.
"Come hai fatto?" chiese Sam, guardandomi con occhi sgranati.
"Io voglio provare di nuovo!" esclamò Merry, mettendosi più dritto contro il pilastro, come per ostentare una maggior concentrazione.
Sorrisi, indulgente, prima di ripetere il gioco.
"Allora: pensate ad un numero… raddoppiatelo… aggiungete sei questa volta… dividete per due… sottraete il primo numero… vi rimane tre?"
Ci furono altre esclamazioni di meraviglia ed ancora Gandalf ridacchiò, strizzandomi l’occhio.
Sospirai profondamente. Il fumo passivo dell’erba pipa cominciava a confondermi i pensieri e mi sentivo stranamente leggera. Aggiunto poi all’ebbrezza del Miruvor, che avevo bevuto prima, ne venne fuori una miscela letteralmente esplosiva.
"Io voglio sapere come hai fatto?" mi chiese petulante Pipino, scatenando involontariamente la mia parlantina.
"Una maga non svela mai i propri trucchi, caro Peregrino" gli risposi, sorniona.
"Te l’ho già detto tante volte: gli amici mi chiamano Pipino! Perché continui ad usare il mio nome intero?" domandò ancora, con tono insistente.
In effetti, aveva ragione. Non l’avevo mai chiamato con quel nomignolo, mentre con Merry o Sam non avevo nessun problema nell’usare i loro soprannomi. Il perché di questo mio comportamento glielo rivelai nello stordimento di fumo ed alcool.
"Perché, mio caro, nella mia lingua con il nome “Pipino” indichiamo un'altra cosa" dissi, ammiccando all’Hobbit che mi sedeva accanto il quale, dal canto suo, continuò a guardarmi stupito.
"E cioè?" chiese, inarcando le sopracciglia.
"L’attributo maschile!”
Pipino divenne rosso come un pomodoro; gli altri Hobbit ridacchiarono, imitati dal Nano.
"Voi chiamate "pipino" il… il pene?" concluse in un sussurro il giovane Mezzuomo, diventando ancora più paonazzo nel pronunciare quella parola.
"Sì! Ed usiamo anche altri nomi! Come pisello, per esempio… oppure fava. Qualcuno lo definisce anche banana" elencai, tenendo il conto sulle dita.
"Che cos’è la banana?" chiese Merry, con un’innocenza tale da farmi sorridere.
"E’ un frutto di forma cilindrica allungata” gli spiegai.
"Anche nella Contea utilizziamo nomi di vegetali: lo chiamiamo, per esempio, carota!" disse Sam, vincendo la sua naturale ritrosia, forse anche lui grazie al Miruvor.
"Oh sì, e anche cetriolo a volte!" rincarò la dose Merry.
"Ma non utilizziamo solo nomi di vegetali" ripresi, ormai partita per la tangente, "usiamo anche nomi di animali, come uccello, oppure anguilla!"
"Noi usiamo serpente!" disse Merry, mentre Pipino diventava sempre più rosso, assumendo sfumature addirittura violacee alla luce tenute del bastone.
"Noi Nani usiamo solo termini relativi alle rocce ed ai minerali, ed a ciò che concerne le miniere in generale" si intromise Gimli che, evidentemente, si divertiva un mondo, "come, ad esempio, cristallo oppure mazza!"
"E per indicare tutto l’insieme” continuai, ormai senza più alcun ritegno, “si usa il termine pacco. Vi faccio un esempio pratico: se un uomo ha un bel rigonfiamento nel cavallo dei pantaloni, una donna può esclamare “che pacco!”"
"Nella contea viene usato il termine fagotto, che comunque mi pare molto simile!" spiegò Merry, tirando una boccata dalla sua pipa e sbuffando il fumo in faccia a Pipino. "E per quanto riguarda le femmine?" mi incalzò subito dopo.
"Merry!" esclamò il giovane Tuc, ormai completamente livido per la vergogna, "ma ti sembrano domande da farsi?!"
"Domandare è lecito, rispondere è cortesia” declamai, citando un detto popolare tipico delle mie parti. “Per le donne si può usare patata, oppure susina, per quanto riguarda i termini vegetali."
"Patata lo usiamo anche noi" si intromise Frodo per la prima volta, pensieroso. Il giovane cugino si voltò a guardarlo come se gli fossero spuntate altre due teste.
"In ambito animale utilizziamo passera, topolina, ed un sacco di altri termini dialettali che ora non vi sto ad elencare: andremmo troppo per le lunghe" conclusi, stiracchiandomi ed appoggiandomi meglio contro il pilastro.
"Noi la chiamiamo caverna, oppure tana. Ahhh…" sospirò Gimli, con la mente forse rivolta a qualche Nana lontana.
La conversazione aveva preso una piega decisamente "osé". Pipino era scioccato e Legolas completamente scandalizzato! Guardava alternativamente gli Hobbit, il Nano e me come se fossimo stati delle specie di maniaci sessuali. Gandalf aveva chiuso gli occhi, ma dal sorrisetto divertito che aveva sulle labbra si capiva che stava ascoltando attentamente le nostre parole. Aragorn e Boromir non avevano fatto commenti, ma si vedeva chiaramente che i due uomini erano in imbarazzo, e che preferivano tacere onde non fomentare ulteriormente il discorso.
Percepivo gli occhi dell’Uomo di Gondor puntati su di me, la testa mi girava e mi sentivo leggera come una piuma. Avevo la netta sensazione che, da un minuto all’altro, avrei preso il volo, fino a raggiungere l’alto soffitto sopra di noi. Scossi violentemente la testa nel tentativo di schiarirmi le idee.
"Accidenti! Credo che il mix "Erba Pipa-Miruvor" mi abbia fatto sragionare… Ora sarà meglio che mi metta a dormire…" biascicai, alzandomi a fatica per prendere la mia coperta e traballando vistosamente mentre la stendevo a terra, tanto che anche Boromir si alzò e mi sostenne.
"Grazie…" mormorai, non appena fui al sicuro, stesa nel mio giaciglio.
Stava per sedersi di nuovo accanto ad Aragorn, quando la mia voce lo fece fermare di schianto.
"Boromir?” biascicai ancora, totalmente inconsapevole di cosa stavo per dire, il cervello ormai completamente ottenebrato dai fumi di alcool e tabacco. “Lo sai che hai proprio un bel pacco?… Buonanotte…" e mi addormentai, praticamente di botto, non appena conclusi la frase.

 

* * *

 

Non appena sentirono l’ultima frase borbottata dalla ragazza Merry, Sam ed il Nano sghignazzarono. Boromir trattenne invece il fiato per la sorpresa, sentendosi avvampare per la vergogna. Nessuna donna gli aveva mai detto una cosa del genere: nemmeno Moran, la sua concubina preferita, colei con cui aveva diviso le sue lenzuola più spesso. Per una frazione di secondo i suoi pensieri corsero al viso di quella giovane donna e, con grande meraviglia, si rese conto di non riuscire quasi più a ricordarne i lineamenti, ormai soppiantati da quelli di Marian.
Non appena tornò nel cerchio di debole luce videro che era diventato rosso come un peperone.
"Ah, non prendertela! Ti ha fatto un bel complimento, sai?" esclamò Gimli, agitando la sua corta pipa. L’Uomo borbottò qualcosa di inintelligibile, mentre il ramingo gli dava una consolatoria pacca sulla schiena.
Marian dormiva proprio di fronte a lui, per cui gli era impossibile non guardarla così, placidamente addormentata, con una mano sotto la guancia e la bocca socchiusa. Se avesse dato retta al suo cuore, si sarebbe coricato accanto a lei e l’avrebbe stretta tra le sue braccia; ma il suo cervello si rifiutava di dare alle sue gambe un comando del genere. Si grattò distrattamente ancora una volta il palmo sinistro: ultimamente gli aveva dato parecchio fastidio, ma non c’era assolutamente niente che non andasse, nella sua mano.
"Riposatevi amici. Farò io il primo turno di guardia!" disse Aragorn, e gli altri si sistemarono per la notte. Prima di chiudere gli occhi, Boromir fissò nuovamente la fanciulla di fronte a lui, chiedendosi ancora una volta se, come diceva il sogno che aveva fatto, lei sarebbe stata il suo destino.

 
* * *

 

Quando Boromir mi svegliò per il mio turno di guardia avevo il cervello finalmente sgombro dai fumi dell’alcool e dell’erba pipa. Non appena aprii gli occhi ricordai con chiarezza l’assurda conversazione che avevo intrattenuto e, soprattutto, l’ultima frase che avevo detto al Capitano prima di addormentarmi. Avvampando per la vergogna mi avvicinai all’Uomo, che si stava sistemando per riprendere il sonno interrotto.
"Boromir" sussurrai per non svegliare gli altri, "devo chiederti scusa."
Nei suoi occhi si rifletté il brillio della “Stella” quando li alzò per guardarmi.
"Ieri sera mi sono comportata come una perfetta idiota” continuai, “ma avevo il cervello confuso dal Miruvor e da tutto quel fumo… Perdonami per quella mia ultima uscita poco elegante. Spero di non averti offeso…"
Lui rimase in silenzio per un attimo, poi scosse la testa.
"In fondo ha ragione Gimli" sussurrò in risposta. "Dopotutto, mi hai fatto un complimento…" e, con quelle parole, si sdraiò e mi voltò la schiena, lasciandomi a guardarlo perplessa. Dopo qualche secondo mi strinsi nelle spalle e mi apprestai al mio turno di guardia, nascondendo la “Stella” sotto i vestiti per rimanere nell’oscurità. Oscurità interrotta soltanto dai due occhi vigili di Gollum – che ci seguiva ormai da tre giorni – che spiava dall’ingresso della sala.
Era il quattordici di gennaio, e così trascorremmo la notte nella sala Numero Ventuno di Moria.

Spazio autrice: Buongiorno! Ecco il nuovo capitolo rivisto. E’ decisamente lungo, ma spero che non vi sia risultato noioso, se siete arrivati a leggere fin quaggiù!
Anche qui, ho deciso di fare un mix tra libro e film; mix che spero sia riuscito bene. Innanzi tutto devo precisare che mi ispiro alla “extended version” del film, come forse avrete capito dalla scena in cui Gandalf si sofferma ad illuminare la voragine con le venature di mithril, o da altre scene in capitoli precedenti. La scena della ricerca del Sirannon e dell’attraversamento della baia è presa dal libro, mentre l’assalto dell’Osservatore è quello del film. Così come i tre che lanciano i sassi nell’acqua: nel film sono Merry e Pipino a farlo, mentre nel libro è Boromir. Nella mia versione li ho fatti buttare a tutti e tre!
Inoltre, nel libro Pipino getta il sasso nel pozzo quando si fermano al trivio per la notte, risvegliando gli orchi che però attaccheranno solo due giorni dopo; mentre nel film sarà lo scheletro del Nano a cadere nel pozzo della Camera di Mazarbul, risvegliando subito l’attacco. Come avete visto, Marian ha impedito a Pipino di fare sciocchezze, ma cosa succederà nel prossimo capitolo? Lo scoprirete presto, spero!
La parte finale del capitolo, con la digressione sui “1000 e più modi di chiamare il “pipino”” fatta da Marian è forse un po’ fuori luogo per Il Signore degli Anelli. Ho deciso di mantenerla, però, in primo luogo perché, comunque, la mia storia vuole essere anche comica, ed in seconda battuta perché mi piaceva allentare un po’ la tensione durante un capitolo così lungo e riguardante uno dei luoghi più oscuri della Terra di Mezzo.
Bacioni!
Evelyn
  
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