Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Segui la storia  |       
Autore: evelyn80    10/08/2015    6 recensioni
Dopo aver espresso il desiderio di poter salvare Boromir dalla sua triste fine, Marian si ritrova catapultata nella Terra di Mezzo grazie ad un gioiello magico che la sua famiglia si tramanda di generazione in generazione. Si unirà così alla Compagnia dell'Anello per poter portare a termine la sua missione. Scoprirà presto, però, che salvare Boromir non è l'unica prova che la attende.
Ispirata in parte al libro ed in parte al film, la mia prima fan fiction sul Signore Degli Anelli.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boromir, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'La mia Terra di Mezzo'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




Il Bosco d’Oro

 

Procedemmo per il resto della giornata a ranghi serrati, fermandoci solo per un breve istante – su insistenza di Gimli – ad osservare il Mirolago e la Pietra di Durin, ovvero il punto in cui il più vecchio dei Sette Padri dei Nani si era specchiato per la prima volta nel Kheled-Zaram.
Sul far della sera arrivammo ai confini di Lòrien, nel punto in cui il Nimrodel si gettava nell’Argentaroggia, l’emissario del Mirolago. Guadammo il ruscello e ci accampammo ai piedi di un grosso albero, sbocconcellando qualcosa nell’oscurità che sempre più si infittiva.
Su suggerimento del Nano, Legolas decise di salire sull’albero sotto il quale ci eravamo sistemati, per vedere se fosse stato possibile passarci sopra la notte, togliendoci così da terra e dalla portata degli Orchi. Ma, non appena si aggrappò al ramo più basso, una voce gli intimò l’alt in una lingua a me sconosciuta ed un Elfo vestito di grigio fece capolino tra i rami, saltando agilmente a terra subito dopo. Si presentò come Haldir di Lòrien e chiese al principe di Bosco Atro ed a Frodo di seguirlo, salendo sulla pianta. Fu srotolata una scala di corda ed i due si arrampicarono; ovviamente anche Sam andò loro dietro, incapace di separarsi neanche per un attimo dal suo "padrone".
Noialtri rimanemmo seduti in silenzio, cercando di respirare il più silenziosamente possibile, visto che l’Elfo ci aveva detto sarcasticamente che avrebbero potuto colpirci anche al buio, tanto eravamo rumorosi.
Un quarto d’ora dopo Legolas tornò, informandoci sulle decisioni dei suoi simili.
"Possiamo passare la notte con loro sugli alberi: gli Hobbit su questo" disse indicando in alto l’albero da cui era appena sceso, "con Haldir ed i suoi due fratelli. Noi sull’altro" e puntò l’indice verso l’albero a fianco. "Hanno concesso anche a te di restare, Gimli, anche se gli abitanti di Lòrien non trattano con i Nani sin dai giorni oscuri” continuò, con tono lievemente sarcastico, “ma sono io il responsabile delle tue azioni, quindi cerca di comportarti bene e di non farmi fare brutta figura!"
Il Nano rispose con un cupo borbottio nella sua lingua, che a me sapeva tanto di imprecazioni. Aragorn ci fece prendere le nostre coperte, dopodiché nascose il resto dei bagagli sotto un mucchio di foglie. Merry iniziò a salire lungo la scala portandosi dietro le sue coltri; Pipino invece si rivolse a me.
"Non puoi venire anche tu con noi? Io ho paura di dormire per aria, noi Hobbit non amiamo le altezze" mormorò, guardando timoroso le fronde degli alberi che ci sovrastavano.
"Mi dispiace Peregrino, ma io non sono stata invitata sul tuo albero. E poi, ti confesserò che anch’io non faccio i salti di gioia all’idea di dover dormire appollaiata come un piccione" ammisi, fissando a mia volta i grossi rami nodosi.
"Non sarà necessario che tu ti appollai" mi rispose Legolas, che nel frattempo era salito sul secondo albero ed aveva buttato giù la scala. "C’è un talan anche su questa pianta."
"Un… cosa?!" chiesi, fissandolo come se fosse stato un alieno. Nonostante glielo avessi già ripetuto molte volte, non aveva ancora capito che io non avevo imparato quasi niente, in Elfico.
"Una piattaforma" mi spiegò Aragorn mentre mi avvolgeva la coperta intorno alle spalle, per avere le mani libere e facilitarmi così la salita. "Gli Elfi sono agili, ma neanche loro riescono a dormire stando in equilibrio come gli uccelli."
Una volta salita faticosamente la scala – che non voleva assolutamente saperne di stare ferma – scoprii che il “talan” era una piccola piattaforma quadrata, senza parapetti né ringhiere di alcun tipo. L’unico accessorio di cui era dotato consisteva in un misero paravento pieghevole che poteva essere spostato per riparare dal vento, che quella notte spirava da sud. I miei compagni si prepararono subito per dormire, stendendo le nostre coperte ed utilizzando anche i manti di pelliccia che gli Elfi ci avevano messo a disposizione, ma io non accennai a muovermi. Mi misi seduta al centro della pedana; strinsi le ginocchia al petto, abbracciandomele; e lì rimasi, immobile, con gli occhi spalancati nell’oscurità.
"Tu non ti sdrai? Non hai sonno?" mi chiese Aragorn, già sistemato nel suo giaciglio.
"Non posso dormire… Se dormo cadrò… Lo so che succederà…” balbettai, convulsamente. “Sono caduta anche dal letto a castello quand’ero in gita con la scuola, è logico che cadrò anche stavolta… Ma il letto a castello era alto solo un metro e mezzo, qui come minimo siamo a dieci metri da terra…” continuai, in una specie di monotona litania sconclusionata. “Quella volta sono atterrata su un ginocchio e mi ha fatto male per dei giorni… Ancora adesso mi fa male, se lo tocco nel punto sbagliato… Se cado stanotte altro che ginocchio, mi sfracellerò al suolo! No, no… Io non dormo!" conclusi, con il tono ormai diventato quasi isterico.
"Non ho idea di come sia fatto un letto a castello ma, se ciò può farti stare più tranquilla, puoi stenderti qui, contro di me" mi disse Boromir, facendo cenno con la mano allo stretto spazio tra lui ed il Ramingo. "Per rotolare giù dovrai arrampicarti sul corpo di Aragorn… oppure sul mio."
Pronunciò quelle ultime tre parole abbassando la voce di un’ottava. Quel cambiamento di tono mi fece correre un piacevole brivido lungo la schiena. Muovendomi con cautela, stesi la coperta accanto a lui, avvolgendomi strettamente in essa. Con un colpo secco del braccio sinistro, l’Uomo mi coprì con il manto di pelliccia che aveva addosso, dividendolo con me. Mi spinsi verso di lui fino a che con la schiena non sfiorai il suo petto e così, cullata dal suo respiro e dal gorgoglio delle acque del Nimrodel sotto di noi, mi addormentai profondamente.

 
* * *

 

Quando Marian si strinse contro di lui, fino ad appoggiarsi al suo petto, a Boromir parve di impazzire. Il cuore prese a battergli all’impazzata ed il respiro gli divenne corto, proprio come se fosse stato un ragazzino alle prese con la sua prima cotta. Con la mano sinistra sfiorò i suoi lunghi capelli castani poi, lentamente, le cinse la vita con delicatezza, come se avesse avuto paura di farle del male. La stava ancora guardando dormire, con la testa appoggiata sul braccio destro ripiegato, quando Aragorn lo chiamò.
"Boromir?"
Alzò gli occhi verso l’altro Uomo, che riprese a parlare.
"Che cosa provi per lei?"
Il Gondoriano rimase sorpreso dalla domanda.
"Perché mi chiedi questo?"
"Ti ho osservato a lungo, ed ho visto come ti comporti con lei” gli rispose il Ramingo, fissandolo negli occhi. “A volte sei dolce ed amorevole, come stanotte. In altre occasioni la ignori completamente, come se neanche esistesse."
L’Uomo di Gondor scrollò la testa, indeciso.
"Non lo so… Io… Non lo so…" balbettò, confuso dai suoi stessi sentimenti.
"Ti chiedo solo una cosa: non farle del male!” gli intimò Aragorn, con tono serio.
"Perché mi dici questo?" gli chiese in risposta, con aria di sfida e di superiorità.
"Perché ho osservato anche Marian. E lei prova di sicuro qualcosa per te. Buonanotte" e, con quelle parole, il Ramingo gli voltò le spalle e giacque, immobile.
"Buonanotte…" rispose Boromir, sempre più indeciso. Anche se non riusciva ancora ad ammetterlo a se stesso lui, di quella bizzarra fanciulla, si era proprio innamorato.
Rimase ad osservarla ancora a lungo, dopo che il silenzio era caduto, riflettendo sulle parole del Numenoreano. Infine si sdraiò ed, affondandole il naso tra i capelli, si addormentò.

 
* * *

 

La mattina dopo, quando mi svegliai, ero voltata verso Boromir. Lui dormiva ancora della grossa, mentre io ero stata destata da un raggio di sole che mi batteva proprio sugli occhi. Scivolai verso l’alto, per eliminare il fastidio, e rimasi a contemplare il volto dell’uomo che amavo, studiando attentamente ogni particolare: le rughe sulla sua fronte, i peli della sua barba, i pori della sua pelle. Scostai con delicatezza un ciuffo dei suoi capelli biondo scuro che lo solleticavano sul naso e, nel far così, gli sfiorai la guancia. Nonostante il contatto fosse stato minimo, abituato com’era a dormire sempre all’erta Boromir aprì subito gli occhi, ed il loro balenio grigio-verde mi sorprese.
"Buongiorno" mormorò, sorridendomi.
"Buongiorno… Scusa, non volevo svegliarti…" mormorai, arrossendo.
"Nessun problema… Anzi, mi piacerebbe molto essere svegliato così tutte le mattine" mi sussurrò, in risposta.
Il mio cuore perse un battito al sentire quelle parole, ma non feci in tempo a dire o a fare niente che lui si era già messo a sedere, scivolando fuori del manto di pelliccia che ci aveva fatto da coperta.
Mi guardai attorno, alzandomi con cautela: Aragorn e Legolas erano già svegli mentre Gimli dormiva ancora, russando come un trombone.
Sull’altro albero, dirimpetto a noi, gli Hobbit stavano già facendo colazione. Pipino si sbracciò per salutarmi, agitando un pezzo di pane imburrato, ed io risposi allegramente al saluto. La frase di Boromir mi aveva messo di buon umore, e sentivo che niente avrebbe potuto turbarmi per il resto della giornata.
Purtroppo, la mia previsione si rivelò errata. Dopo aver fatto pochi passi con Haldir come guida, ci ritrovammo a dover attraversare l’Argentaroggia. Non lo si poteva guadare, perché le sue acque erano troppo fredde e turbinose, ma non esistevano nemmeno dei ponti per passare dall’altra parte, visto che in quei tempi oscuri gli Elfi non ne costruivano.
"Allora come dobbiamo fare? Dobbiamo forse volare come uccelli?" chiese Sam, guardando preoccupato il letto del fiume in piena.
Per tutta risposta, sull’altra riva apparve un altro Elfo che, con un gesto elegante, lanciò una corda ad Haldir, il quale la afferrò al volo e la legò ad un albero vicino alla riva. Dall’altra parte, il suo compagno fece altrettanto.
"È così che attraversiamo" ci disse la nostra guida e, salito sulla fune, andò dall’altra parte del fiume e tornò camminando come un funambolo.
"Io posso percorrere questo sentiero, ma non credo che i miei compagni ne siano in grado" replicò Legolas, con un mezzo sorriso che pareva quasi di scherno.
"Io no di certo" aggiunsi in risposta, pensando già al bagno nelle acque gelide che, di sicuro, mi aspettava.
"Abbiamo altre due funi: ne legheremo una all’altezza della vita e l’altra a quella delle spalle. Così sarà più facile per loro attraversare!" continuò il Galadhrim.
"Eh, come no…" dissi a mezza voce, pur sapendo che gli Elfi mi avrebbero udito comunque. Infatti, sia Legolas che Haldir si voltarono verso di me e quest’ultimo, con un ampio gesto del braccio, mi indicò le funi appena legate.
"Prima le fanciulle."
"Grazie…” gli risposi, in tono sarcastico. “Preparate degli asciugamani, perché di sicuro faro il bagno!"
Con le mani che mi tremavano mi aggrappai alle corde e, pian piano, scivolai dall’altra parte del fiume, che rombava impetuoso sotto i miei piedi. Cercai di non guardare mai in basso e quando, finalmente, arrivai dall’altra parte – asciutta contro le mie più funeste previsioni – mi feci per tre volte il segno della croce e mi misi a sedere contro un albero, spossata come se avessi appena corso la maratona di New York.
Legolas fu il secondo a passare ed in due passi mi raggiunse, sedendosi accanto a me. Poi fu la volta di Boromir, che fece piegare parecchio le funi verso il basso, a causa del peso della cotta di maglia, del corno e delle armi che si portava appresso. Anche lui si mise seduto al mio fianco, e subito prese a grattarsi la mano sinistra.
I suoi movimenti attirarono la mia attenzione e, quando si sfilò il guanto per grattarsi meglio, rimasi senza fiato per lo choc: aveva la mano completamente nera!
"Boromir!" esclamai, incapace di trattenermi.
"Mmm?" mugolò in risposta, senza smettere di grattarsi.
"La tua mano! È…" ma non riuscii a finire la frase: in quel momento, mi resi conto che solo io la vedevo in quelle condizioni.
"È da un po’ di tempo che mi da fastidio, ma non riesco proprio a capire cosa c’è che non va” mi rispose, senza prestare attenzione al mio tono allarmato. “Non riesco a vedere assolutamente nulla di strano!"
Nella mia mente, apparve come un lampo il momento in cui lui aveva raccolto l’anello, quando era caduto a Frodo lungo la strada per il Cancello Cornorosso. I tentacoli neri si erano avvinghiati alla sua mano, ritirandosi solo quando gli avevo toccato il braccio. Evidentemente, un piccolo frammento di potere dell’Anello aveva attecchito sul suo palmo, ed ora si stava espandendo. Fino ad allora non l’avevo notato, perché lui indossava sempre i guanti ed a Moria l’oscurità era stata quasi totale. Ora che eravamo di nuovo alla luce del giorno, però, potevo vedere chiaramente quanto fosse cresciuta in lui la brama dell’Anello e mi spaventai, anche se cercai di non darlo a vedere.
"Posso vederla?" gli chiesi timidamente, e lui mi porse la mano.
Non appena la toccai vidi il nero impallidire: evidentemente il potere bianco della “Stella di Fëanor” combatteva contro quello oscuro del Flagello di Isildur. Gli sfiorai il palmo con le dita, fingendo di esaminare la sua pelle, poi alzai leggermente la manica della sua cotta di maglia. Un filamento si stava già arrampicando lungo il braccio, diretto verso il suo cuore. Quando lasciai la sua mano, il potere oscuro prese di nuovo il sopravvento. In breve tempo, il desiderio di potere l’avrebbe afferrato a tal punto da diventare insuperabile, anche per un uomo forte come lui.
Nel frattempo, ci avevano raggiunto anche Gimli, Merry e Pipino, ed ora era la volta di Sam. Il povero Hobbit si era avvinghiato alle corde con entrambe le braccia e, mentre avanzava a tentoni, teneva lo sguardo fisso sulle acque vorticanti.
"Sam! Non guardare in basso, è peggio!" gli consigliò il più giovane degli Hobbit, mentre il giardiniere borbottava qualcosa di incomprensibile riguardo al suo Gaffiere. Non appena raggiunse la sponda si lasciò cadere a terra, chiuse gli occhi e lì rimase, immobile, fino a che Aragorn – che era rimasto per ultimo – non ebbe attraversato.
Adesso potevamo riprendere la marcia ma, secondo quanto stabilito tra Legolas e Haldir la sera prima, Gimli avrebbe dovuto proseguire bendato. Ovviamente, il Nano non fu per niente contento di questo, ed avrebbe preferito piuttosto tornare indietro da solo, affrontando tutti gli Orchi di Moria, che non subire quell’affronto. Purtroppo per lui, il Galadhrim non gli consentì nemmeno di tornare sui suoi passi: ormai aveva varcato i confini del Naith di Lòrien e non sarebbe potuto andarsene senza prima aver incontrato il Sire e la Dama.
Gimli puntò i piedi, ostinato, e decretò che non si sarebbe mosso da lì se anche Legolas non avesse subìto lo stesso trattamento. Inutile dire che anche l’Elfo si impuntò, incrociando le braccia sul petto e guardando in cagnesco il Nano, che gli rispose con uno sguardo altrettanto eloquente. Per riportare la pace, Aragorn propose ad Haldir di bendarci tutti, così fummo costretti ad affrontare la prima parte di cammino – che durò un giorno e mezzo – senza poter vedere dove mettevamo i piedi.
Anche se il sentiero era pianeggiante inciampai diverse volte e quando, a metà del secondo giorno, ci fermammo per una sosta, dichiarai che non avrei mosso un passo di più con gli occhi bendati, a costo di rimanere lì per il resto della mia vita. Per mia fortuna, un gruppo di Elfi ci comunicò che la Dama aveva dato ordine di sbendarci e, con sollievo di tutti, potemmo finalmente guardarci attorno.
Eravamo ai piedi di una collina, sulla cui sommità crescevano due anelli di alberi: il primo completamente spoglio, il secondo coperto di foglie d’oro. Haldir invitò Frodo e Sam a salirvi sopra, mentre noi ci mettemmo seduti nella radura a mangiare: Merry, Pipino e Gimli ed io facemmo onore al pranzo, mentre Boromir sbocconcellò appena qualcosa ed Aragorn non mangiò per nulla. Il Ramingo continuava a fissare la cima della collina, mormorando "Cerin Amroth" ed altre parole in elfico, e sembrava perso nei suoi ricordi.
Rimuginando sul “Signore degli Anelli”, ricordai che in quel punto Aragorn aveva incontrato Arwen per la prima volta, lì si era innamorato di lei e l’Elfa gli aveva a sua volta giurato amore eterno.
Boromir, invece, mi sembrava turbato. Continuava a grattarsi distrattamente la mano ed a volte girava la testa di scatto, come se avesse udito dei rumori sospetti.
"Deve sentire la voce di Galadriel…" pensai tra me e me, sempre memore delle parole del libro.
Dopo pranzo riprendemmo la marcia e, dopo altre due ore, arrivammo in vista del cuore di Lothlòrien.
"Ecco Caras Galadhon" annunciò Haldir, "dimora di Sire Celeborn e di Galadriel, la Dama della luce!"
Davanti a noi si innalzavano gli alberi più grossi che avessi mai visto. Le loro chiome svettavano molto più in alto di quelle di tutte le altre piante ed i loro tronchi avevano circonferenze tali che ci sarebbero voluti almeno venti uomini, se non di più, per abbracciarli.
Entrammo nella capitale dei Galadhrim sul far della sera; i talan erano illuminati da centinaia di piccole lanterne, che li facevano risplendere come se fossero stati trapunti di stelle.
Al centro della città si ergeva l’albero più grande e maestoso, talmente alto che da terra non si riusciva a scorgerne la cima. Su di esso si trovava la dimora dei Signori degli Elfi. Una lunga scala a spirale si avvolgeva intorno al tronco. Ci volle un bel po’ per percorrerla fino al flet dove si trovava il palazzo di Celeborn.
I due Elfi ci accolsero in pompa magna. Si dispiacquero per la caduta di Gandalf e si interessarono molto al resoconto del nostro viaggio che fece Aragorn. Poi, Dama Galadriel ci guardò tutti negli occhi, dicendoci che la nostra missione era sulla lama di un coltello, ma che c’era ancora speranza, fin quando la Compagnia fosse rimasta unita. I suoi occhi indugiarono a lungo su Boromir, che fu incapace di sostenere il suo sguardo e chinò quasi subito la testa, tremando. Io ero l’ultima della fila: quando arrivò davanti a me e mi scrutò con i suoi occhi profondi, leggendomi nella mente, mi sembrò di essere nuda.
"Benvenuta, Marian delle Terre Obliate" risuonò la sua voce nelle mie orecchie, "Portatrice della Stella. Il cuore dell’Uomo che ami è ottenebrato dalla forza dell’Anello, ma tu puoi ancora salvarlo. Per farlo, però, Egli dovrà accettare il tuo amore, e ricambiarlo."
Il tutto durò pochi istanti, ma a me parve un’eternità. Stavo ancora riflettendo sulle sue parole che già venivamo congedati.
"Che i vostri cuori non si turbino. Stanotte dormirete in pace” ci salutò la Dama.
Con un inchino, lasciammo il palazzo e riprendemmo la scala. Gli Elfi avevano allestito per noi un padiglione proprio ai piedi dell’albero, con grande gioia degli Hobbit ed anche mia: non mi andava proprio a genio di dormire per aria!
Mentre scendevo lentamente le scale, fissando Boromir che mi precedeva nella discesa, il mio pensiero tornò alle parole della Dama. Così distratta, mancai un gradino e persi l’equilibrio; per non cadere mi appoggiai al tronco dell’albero. La sensazione fu così strana che mi lasciai sfuggire un "Oh!" di sorpresa: la corteccia era liscia come la seta e calda. Potevo sentire perfino la linfa che vi scorreva al di sotto. Mi trattenni a guardare la pianta, stupita, mentre anche gli altri si fermavano, richiamati dalla mia esclamazione.
"Tutto bene?" mi chiese Aragorn.
"Sì..." risposi con aria sognante, senza smettere di carezzare il tronco, "sento la vita che scorre nell’albero…"
Poggiai entrambi i palmi sulla corteccia ed, all’improvviso, la mia mente fu rapita dalla pianta. Mi sentii sollevare in alto, trascinata dalla spinta della linfa, ed il mio sguardo si sollevò sopra il resto della Compagnia – su, sempre più su – fino a che non arrivai all’ultima foglia, quella che stava più in alto di tutte, e la mia vista spaziò su tutta Lothlòrien ed anche oltre. Ma la sensazione durò solo un istante, perché la linfa tornava già a scorrere verso il basso, riportandomi verso il mio corpo. Tornai in me con un sussulto e, solo allora, mi resi conto che avevo smesso di respirare. Staccai le mani dal tronco ed alzai lo sguardo verso i rami sopra la mia testa, con la faccia da ebete.
I miei compagni mi avevano circondato e mi guardavano preoccupati.
"Sei sicura di stare bene?" ripeté Aragorn.
"Sì… Mai stata meglio…"
"Che cosa hai visto?" mi chiese Legolas, curioso.
"Tutta Lothlòrien… Mi ha portato lassù… Fino in cima…" dissi con voce sognante, alzando a malapena un dito ad indicare la chioma dell’albero.
L’Elfo sorrise e mise a sua volta le mani sulla corteccia ma, dopo pochi secondi, le ritirò con sguardo pieno di disappunto. Evidentemente a lui non era successo nulla.
Gli altri continuarono a fissarmi preoccupati, mentre pian piano il mio sguardo si andava schiarendo.
"L’ha rapita la coscienza dell’albero" spiegò Legolas, "le piante di Lòrien sono molto potenti."
Feci di sì con la testa, mentre tornavo completamente padrona di me stessa.
"Penso che tu abbia ragione. La linfa mi ha trascinata via e mi ha portato fin sulla foglia più alta. Ho sentito la vita crescere nell’albero."
Riprendemmo lentamente a scendere e Pipino mi rimase accanto.
"Dev’essere stato bello…" mi disse, anche lui in tono sognante.
"Sì, molto…" risposi, abbassando gli occhi a guardarlo. Ancora una volta, notai il suo sguardo adorante.
"Temo che questo Hobbit si stia invaghendo di me…" pensai, preoccupata.
Quella notte dormimmo veramente in pace, per la prima volta dopo la partenza da Gran Burrone. Sarebbe andata ancora meglio se gli Elfi non avessero cantato un infinito lamento per Gandalf di cui, oltre tutto, Legolas si rifiutò di farci la traduzione.
Era il diciassette di gennaio, e fu così che arrivammo a Lothlòrien.

Spazio autrice: Buongiorno e buona settimana a tutti. Eccoci finalmente a Lothlòrien... Questo capitolo è ispirato nella prima parte al libro: l’incontro con Haldir, la notte sui talan, l’attraversamento dell’Argentaroggia con le corde e la marcia da bendati, infatti, non appaiono nel film, o quanto meno, nella long version sono solo accennate alcune parti.
Dal momento in cui la Compagnia avvista Caras Galadhon, invece, ho scelto la versione cinematografica.
La scena con l’albero, in cui la linfa rapisce Marian, è un omaggio al mondo vegetale: sono sempre stata convinta che anche le piante, come esseri viventi, siano in qualche modo senzienti e, di sicuro, gli alberi di Lòrien contengono molta magia, al loro interno!
Ringrazio ancora una volta tutti coloro che leggono, ed in particolare le mie fedeli commentatrici!
Evelyn
  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: evelyn80