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Autore: evelyn80    13/08/2015    5 recensioni
Dopo aver espresso il desiderio di poter salvare Boromir dalla sua triste fine, Marian si ritrova catapultata nella Terra di Mezzo grazie ad un gioiello magico che la sua famiglia si tramanda di generazione in generazione. Si unirà così alla Compagnia dell'Anello per poter portare a termine la sua missione. Scoprirà presto, però, che salvare Boromir non è l'unica prova che la attende.
Ispirata in parte al libro ed in parte al film, la mia prima fan fiction sul Signore Degli Anelli.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boromir, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La mia Terra di Mezzo'
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Il dono di Galadriel

 

I giorni passati nella terra di Lòrien furono felici e quasi spensierati. In quel luogo pareva quasi di essere fuori dal mondo, e che Sauron e l’Anello fossero soltanto un brutto sogno. Legolas trascorse la maggior parte del tempo con i suoi simili ma, a volte, andava a passeggiare per il folto degli alberi in compagnia di Gimli, dando inizio a quella che sarebbe diventata un’amicizia di lunga durata.
Gli Hobbit erano più allegri che mai, persino Frodo, nonostante il potere dell’Anello stesse cominciando a gravare anche su di lui. Ogni volta che lo guardavo potevo vedere la sofferenza nei suoi profondi occhi blu; la nube nera del potere del Flagello di Isildur lo avvolgeva, sempre più strettamente, ogni giorno che passava. Anche Sam pareva essersene accorto e non si allontanava mai da lui, seguendolo praticamente come un’ombra.
Merry e Pipino trascorsero molto tempo con me ed anche Boromir fu più gentile del solito: sembrava quasi di essere tornati ai bei tempi di Rivendell, prima della partenza della Compagnia. Come nostra vecchia abitudine, riprendemmo gli allenamenti con la spada ed il Capitano di Gondor si dimostrò, ancora una volta, un ottimo insegnante, sia per me sia per i piccoli Mezzuomini.
Durante quel periodo, riflettei a lungo sulle parole che Galadriel mi aveva detto telepaticamente durante il nostro primo ed unico incontro: Boromir avrebbe dovuto accettare il mio amore e ricambiarlo, per poter essere salvato. In quei giorni il Gondoriano era stato talmente buono ed amorevole nei miei confronti – tanto da mantenere persino l’abitudine di condividere la sua coperta di pelliccia con me, stringendomi teneramente contro il suo petto mentre dormivamo – che un pomeriggio, in cui eravamo stranamente da soli – stranamente perché, di solito, Pipino mi stava sempre alle costole come una specie di cagnolino – decisi di farmi avanti.
Durante il nostro allenamento quotidiano iniziai a pungolarlo, prendendolo bonariamente in giro.
"Sei troppo lento" gli dissi, in tono canzonatorio, schivando agilmente i suoi affondi grazie agli insegnamenti che avevo ricevuto da Arwen a Gran Burrone. "Non colpiresti nemmeno un Troll!"
Lui mi lasciò fare per un po’, un lieve sorrisetto che gli aleggiava sulle labbra, poi sfoderò tutta la sua grinta ed, in un attimo, mi disarmò facendo volare Hoskiart lontana.
"Chi sarebbe troppo lento?" mi chiese, con il tono di voce di un’ottava più bassa del solito, guardandomi dall’alto in basso ed avvicinandomisi a tal punto da sfiorarmi.
Alzai il viso e lo guardai negli occhi, mentre si faceva sempre più vicino. Con un gesto repentino, gli passai le braccia dietro la schiena, stringendomi contro di lui.
"Boromir…" sussurrai a fior di labbra, alzandomi in punta di piedi per riuscire a raggiungere la sua bocca.
I nostri visi erano vicinissimi, sentivo il suo respiro caldo su di me. Socchiusi gli occhi e dischiusi le labbra e, tra le ciglia, vidi lui fare altrettanto. Ma, non appena le nostre bocche arrivarono in contatto, lui si riscosse e mi spinse via di mala grazia. Potei assaporare solo per un instante la morbidezza della sua pelle, prima di essere riportata bruscamente alla realtà.
"Ma cosa credevi di fare?!" ruggì, lo sguardo irato, strofinandosi le labbra con il dorso della mano guantata come per pulirsele. Quel gesto, più che le sue parole, mi ferirono nel profondo.
"Boromir… Io pensavo…" balbettai, stupita dal suo repentino voltafaccia.
"Cosa pensavi? A quali brillanti conclusioni è giunta la tua testolina di fanciulla?"
"Credevo che tu… provassi qualcosa per me…" balbettai ancora, sempre più stupita e mortificata dal suo atteggiamento.
"Che io provassi qualcosa per te?! E cosa, per esempio?!"
La rudezza nella sua voce mi fece tirar fuori la grinta, che nello sconcerto del momento avevo temporaneamente abbandonato.
"Amore, per esempio!" replicai, alzando il tono a mia volta, fissandolo negli occhi con determinazione.
"E cosa te l’ha fatto pensare?!" mi chiese, lasciandosi sfuggire una risata di scherno.
"Il modo in cui ti comportavi con me!” continuai, sempre più furibonda. “Da quando siamo qui, abbiamo dormito nello stesso giaciglio! Questo per te non vuol dire niente?"
"Di sicuro non che ti amo! Io sono un guerriero! Nel mio cuore non c’è posto per l’amore!” esclamò, tornando serio di colpo. Si interruppe per un breve istante, poi riprese, di nuovo in tono ironico. “E poi, a che pro accontentarsi di un’unica donna, quando posso averne quante ne voglio? A Minas Tirith le concubine litigano per passare una notte nel mio letto. Mi basta alzare un dito e tutte cadono ai miei piedi!"
Ancora una volta mi diceva di essere un "puttaniere" e quella fu la seconda pugnalata che mi dette. Ma il colpo di grazia doveva ancora arrivare.
"Se proprio fossi costretto a dover sceglierne una da sposare, per avere degli eredi, di sicuro ne preferirei una più bella di te” sibilò, in tono sprezzante, “un’insulsa fanciulla che non sa nemmeno da quale parte del mondo proviene!"
Dopo avermi dato quell’ultima staffilata al cuore mi voltò le spalle e si allontanò. Mentre lo guardavo andarsene vidi il potere nero dell’Anello protendersi dal suo braccio sinistro fino alla spalla, avvinghiandosi alla scapola ed alla clavicola, pronto a raggiungere il suo cuore.
Rimasi immobile per parecchi minuti, incapace di muovermi o di pensare. Alla fine andai a raccogliere Hoskiart, la riposi nel suo fodero e mi incamminai nella direzione opposta, andando a sedermi sul bordo di un laghetto appartato in cui, a volte, avevo fatto il bagno. Portai le ginocchia al petto, ci poggiai sopra il viso e piansi.

 

* * *

 

Dopo aver percorso una ventina di passi, Boromir si fermò. Ancora una volta, aveva negato ciò che il suo sogno sosteneva, rifiutando l’amore che lei apertamente gli dimostrava quando lui stesso, con il suo comportamento, l’aveva indotta a fare il primo passo. Stava per tornare indietro, per chiederle scusa e dirle che la amava – che si era innamorato di lei fin dal primo momento in cui l’aveva vista a Rivendell – quando avvertì come una specie di peso sul petto. Si poggiò una mano all’altezza del cuore e si massaggiò con lenti movimenti circolari, fino a che il senso di oppressione non si sciolse in un’onda calda. Allora, i suoi lineamenti si distorsero in un ghigno maligno. Riprese ad allontanarsi dalla radura in cui si erano allenati, senza nemmeno voltarsi indietro.
Anche se lui non ne era consapevole, quello fu il momento in cui il potere del “Flagello di Isildur” si impossessò del suo cuore.

 

* * *

 

Rimasi seduta su un sasso, sulla riva del laghetto, per tutto il resto del pomeriggio, anche dopo aver esaurito tutte le mie lacrime. Avevo la mente completamente sgombra da qualsiasi pensiero, ormai, mentre le ombre cominciavano ad allungarsi tra gli alberi. Stavo per alzarmi in piedi per tornare al nostro accampamento quando udii un fruscio alle mie spalle. Mi voltai e vidi una figura femminile avvolta in una pallida luce spettrale: Galadriel.
Mi alzai ed attesi che mi raggiungesse.
"Ha rifiutato il mio amore" le dissi, non appena fu al mio fianco.
"Lo so" mi rispose, con la sua profonda voce da contralto. "Quest’oggi, il potere dell’Unico Anello si è impossessato di Boromir."
"Non posso fare più niente per lui?" le chiesi, fissandola con tristezza.
"La speranza non è ancora perduta” mi rispose, lentamente. “Puoi ancora salvarlo, ma questo dipende dalla tua volontà. Sei ancora decisa a portare a termine la tua missione? Anche se, ora, conosci l’Uomo di Gondor per quello che in realtà è?"
Ci riflettei su per un attimo, poi annuii.
"Bene, allora. Vieni con me."
Scivolando sull’erba, eterea come uno spirito, mi guidò verso il cuore del Bosco d’Oro, dove cresceva l’albero più imponente di tutta Lothlòrien. Alla base del suo tronco si apriva una cavità che conduceva fin nel cuore della pianta, dove era stata ricavata una stanza dalla volta a botte. Al centro di questa si ergeva un piedistallo e, sopra di esso, era posata un’ampollina di cristallo contenente del liquido ambrato. La luce dorata che si sprigionava dall’ampolla si rifletteva sui nostri visi. Mi fissò a lungo con i suoi occhi senza tempo, poi parlò.
"Ciò che vedi è “Nén Cuivie”, o "Acqua di Vita”, una pozione elfica molto potente” mi spiegò. “Può essere distillata solo in presenza di particolari condizioni astrali, che si verificano una volta ogni cento anni. Questa, io l’ho preparata per te."
Abbassai lo sguardo sulla piccola fiala lucente, mentre lei proseguiva.
"Questa pozione è in grado di curare anche le ferite più mortali. Ne basta una sola goccia in ogni lacerazione per vederla guarire all’istante. Se la userai quando Boromir verrà colpito, lo salverai!"
Annuii. Galadriel era una veggente, ed anche lei sapeva quale sarebbe stata la fine di Boromir se io non fossi intervenuta. Feci per allungare la mano e prendere l’ampolla ma la Dama dei Galadhrim mi fermò, riprendendo a parlare.
"Ma, come ogni filtro magico, anche questo ha i suoi lati negativi: le ferite curate con Nén Cuivie guariscono sulla vittima, ma non scompaiono. Esse si trasferiscono in egual maniera su colui, o colei, che la utilizza. Mentre su un corpo si sanano sull’altro si aprono, con la stessa intensità!"
"Quindi" giunsi da sola alla conclusione, "visto che le ferite di Boromir saranno mortali, lo risulteranno anche le mie."
Lei annuì gravemente, chinando il capo.
"Ora sta a te decidere” concluse, gravemente. “Andare avanti, e compiere ciò per cui hai chiesto di venire fin qui; oppure tornare indietro, adesso."
Nel udire quelle parole, capii. Capii che la voce che avevo sentito, prima che Freccia andasse a schiantarsi contro il guardrail, era la sua. Era stata Galadriel a chiamarmi nella Terra di Mezzo!
Rimasi in silenzio, con il cervello annebbiato da tutte quelle informazioni che mi arrivavano in contemporanea. Per salvare Boromir sarei dovuta morire al posto suo. Se lo meritava? Per come si era comportato quel pomeriggio, avrei tanto voluto dire di no ma, nel profondo del mio cuore, sapevo che non avrei mai potuto abbandonarlo. Mi trovavo nella Terra di Mezzo da diversi mesi, ormai, e probabilmente i miei genitori mi avevano dato per morta, in quello che sicuramente ai loro occhi era apparso come un incidente d’auto. Non avevo più niente, a casa, che mi spingesse a tornare. Ed a che pro rimanere nella Terra di Mezzo senza l’amore del Gondoriano? Così, presi la mia decisione. Alzai di nuovo gli occhi e fissai fieramente Galadriel.
"Vado avanti! Salverò Boromir, anche a costo della mia vita!" dissi, risoluta.
Lei annuì di nuovo, prendendo l’ampolla e consegnandomela.
"Bene. Questo è il mio dono per te” pronunciò, in tono grave. “Tienilo nascosto, e non dire a nessuno ciò che intendi fare. Alcuni membri della Compagnia non capirebbero."
Mi lanciò un’occhiata eloquente, che mi fece pensare subito a Pipino ed alla forte devozione che mostrava nei miei confronti. Annuii a mia volta e nascosi la fiala nella tasca interna della casacca, per poi lasciare la piccola stanza arborea, diretta verso l’accampamento.
Vi arrivai che era ormai buio. Quando raggiunsi la radura, Pipino mi venne incontro di corsa, con aria spaventata.
"Marian! Finalmente! Eravamo in pensiero per te!" mi gridò, abbracciandomi ed affondandomi il viso nello stomaco. “Boromir ci ha detto che non ti vedeva dal primo pomeriggio! Aragorn voleva mandare gli Elfi a cercarti!"
"Mi dispiace di avervi fatto preoccupare" gli risposi, incamminandomi verso il nostro padiglione, posandogli una mano sulla spalla mentre lui si metteva al mio fianco, "ma avevo bisogno di stare un po’ da sola ed ho perso la cognizione del tempo."
Tutti i compagni tirarono un sospiro di sollievo quando mi videro entrare nella tenda in compagnia di Pipino. Persino Boromir anche se, subito dopo, distolse lo sguardo e si chiuse nel suo mutismo.
Dopo cena riuscii, per un attimo, ad avvicinarmi a lui.
"Sono venuta a chiederti perdono, Capitano Boromir, per il mio comportamento inqualificabile di oggi pomeriggio” gli dissi, fissandolo seriamente negli occhi, fingendo una tranquillità che ero ben lungi dal provare. “Non si ripeterà mai più!"
L’Uomo rimase interdetto per un attimo, fece l’atto di aprire la bocca per dire qualcosa ma poi si limitò ad annuire seccamente. Mi allontanai ed andai a sedermi accanto al fuoco, dove fui subito raggiunta dal giovane Tuc.
"Oggi è stata una giornata così noiosa!” esclamò, con la sua vocetta acuta. “So che non dovrei dirlo, perché gli Elfi sono tutti buoni e gentili… Ma sono così barbosi!” concluse, in un sussurro, strappandomi un mezzo sorriso. “Facciamo un gioco?" mi chiese, infine, guardandomi speranzoso.
Non ero proprio in vena di giocare, non dopo aver saputo che di lì a pochi giorni sarei morta per salvare un Uomo che nemmeno mi amava, ma strinsi i denti, feci buon viso a cattiva sorte e sorrisi al Mezzuomo.
"Va bene. Ma, prima vorrei pettinarmi i capelli. Sono talmente lunghi ed aggrovigliati che potrei usarli come trappole per topi!"
"Se vuoi posso pensarci io!" mi disse Gimli. "Noi Nani siamo esperti nell’acconciare le barbe" e, nel dir così, si accarezzò le lunghe trecce che gliela ornavano. "Potrei farti una bella treccia!"
"Oh, caro Gimli, lo apprezzerei veramente tanto! Sai che quando ero bambina ho sempre portato le trecce? Ma sono sicura che la tua sarà più bella di quelle che faceva la mia mamma!"
Il Nano gongolò tutto soddisfatto e si mise a sedere su uno sgabello dietro di me, cominciando a districare i miei capelli tutti arruffati in tre ciocche ben distinte.
"Non è mica da tutti avere un Nano come parrucchiere ed un Hobbit come massaggiatore!” esclamai, fingendo allegria. “Bene, allora, vediamo un po’… un gioco che si può fare anche da seduti. Ah sì! Con cosa oltrepassiamo la frontiera?” chiesi, alzando l’indice verso il cielo, in tono da banditore. “Può essere qualsiasi cosa: un oggetto, un animale, un mezzo di trasporto; però, ovviamente ci sono delle regole, ovvero non tutti possono varcare la frontiera con le stesse cose" spiegai, a grandi linee.
"Non ho capito…" balbetto il più giovane dei Mezzuomini, guardandomi interrogativamente.
"Non preoccuparti Peregrino, capirai” gli risposi, evasiva. “Comincio io. Allora: io varco la frontiera… avvolta in un bel mantello di lana!" esclamai.
"Anch’io!" mi fece eco Pipino.
"No, Peregrino, tu non puoi."
"Perché no?" mi chiese, deluso.
"Questo lo devi scoprire da solo."
"Ed io, invece? La posso varcare con il mantello?" chiese Merry, mentre si accendeva la pipa.
"Sì, Meriadoc, tu sì!" gli risposi, annuendo.
"Perché lui sì ed io no?" chiese Pipino, in tono molto risentito, ed io gli ripetei quello che gli avevo detto poco prima: avrebbe dovuto scoprirlo da sé.
"Io la varco con un vaso di fiori!" esclamò Sam, giardiniere fin nelle ossa.
"Mi dispiace Sam, ma non puoi" gli risposi, scuotendo la testa e rimediando un grugnito da parte del Nano – ancora intento a districare i miei lunghissimi capelli – che mi intimò di stare ferma.
Il figlio del Gaffiere ne fu deluso e si mise a rimuginarci sopra.
"Direi che io dovrò varcarla con l’Anello…" disse Frodo, soprappensiero, facendo voltare tutti a guardarlo. La cosa lo sorprese, perché non si era reso conto di aver espresso il suo pensiero ad alta voce.
"Bè, questo è innegabile Frodo, ma ai fini del gioco non puoi."
"Io la varcherò con il mio arco stretto in pugno" disse fiero Legolas, tendendone la corda e rilasciandola, come per scoccare una freccia invisibile.
"Idem come sopra: non puoi!" gli risposi, divertita. L’Elfo si offese e non parlò più. Gimli ridacchiò alle mie spalle.
"E tu, mastro Nano, cosa mi dici? Con cosa varchi la frontiera?" gli chiesi, visto che lui non aveva ancora partecipato.
"Io? Ma con la mia ascia, naturalmente!"
Feci schioccare la lingua alcune volte, nel tipico verso utilizzato per dire di no. Per tutta risposta, lui grugnì.
"Aragorn? Vuoi partecipare?"
"Stavo riflettendo…” mi rispose il Ramingo, pensieroso. “Tu e Merry potete varcarla con lo stesso oggetto, mentre Pipino non può. E tutti gli altri hanno sbagliato. Vediamo…"
"Io varcherò la frontiera di Gondor con la mano sull’elsa della spada e suonando il corno a pieni polmoni!" esclamò Boromir, lasciandomi di stucco. Non avrei mai immaginato che avesse voluto partecipare al gioco ma, forse, la sua era stata soltanto una riflessione.
"Molto lodevole da parte tua, ma non è la risposta esatta" risposi, comunque.
"Ci sono!" esclamò Aragorn, "io varco la frontiera con Andùril!"
"Bravo Aragorn! Con Andùril puoi!"
"Lui può con la sua spada ed io non posso con la mia?" chiese rabbioso Boromir, ricordandomi vagamente Pipino.
"Non avrebbe potuto con una semplice "spada", ma il fatto che la sua si chiami Andùril glielo consente!” spiegai. “Per assurdo, tra di noi l’unico che la può varcare con una spada è Sam."
"Eh?" mormorò il giardiniere, che stava ancora rimuginando sulla risposta di prima, alzando la testa e guardandomi inebetito sentendosi chiamato in causa.
"Credo di aver capito anch’io" disse Legolas, facendo penzolare le gambe dal ramo dell’albero sul quale si era messo a cavalcioni. "Io varco la frontiera con un cesto di lamponi!"
"Mmmm, buoni i lamponi…" mormorò Pipino, strofinandosi lo stomaco.
"Bravo, mastro Elfo, hai indovinato!" mi complimentai.
Anche Gimli, che aveva appena finito di pettinarmi, parve aver capito perché disse, titubante.
"Vediamo un po’… Con i Gioielli del Tesoro di Smaug?"
"Bravissimo Gimli, anche tu hai indovinato!"
Il nano fece una faccia soddisfatta, gongolando apertamente. A quel punto, anche il viso di Merry si illuminò.
"Io la varco a dorso di mulo!"
"Ottimo Meriadoc!” esclamai, soddisfatta. “Allora: per chi non ha ancora capito, continuiamo il gioco. Io varco la frontiera con una mazza ferrata!"
"Anch’io!" esclamò di nuovo Pipino, alzando la mano.
"Nooo, non hai ancora capito, Peregrino? Merry può varcare la frontiera con le cose che uso io, ma tu no!" esclamai, quasi esasperata dalla cocciutaggine di quell’Hobbit.
"Perché lui sì ed io no?" chiese ancora, petulante.
"Perché sì!” gli risposi, secca. “Frodo?"
"Con il mio amico Sam?"
"No, ma potresti farlo con una fionda, per esempio” gli spiegai, per farlo giungere più facilmente alla soluzione, “oppure con…"
"Con la mia forchetta preferita! Peccato che sia rimasta a Casa Baggins…" esclamò, interrompendomi, arrivato finalmente a capire come funzionava il gioco.
"Esatto! Boromir? Vuoi ancora partecipare?"
"No, sono stanco di questo stupido gioco!" grugnì, voltandomi le spalle.
"Molto bene, ma sappi che tu la frontiera la puoi varcare in barca. Sam?"
Il cervello dell’Hobbit stava ancora lavorando alacremente, sembrava quasi di poter sentire gli ingranaggi muoversi macchinosamente dentro la sua testa.
"Credo di esserci arrivato!” esclamò, infine. “Con un sacco! Magari pieno di sabbia, o di sassi!"
"Bravissimo, mastro Samvise! Ora ci rimani solo tu, Peregrino…" esalai, mettendomi i pugni sui fianchi.
Il Mezzuomo mise la lingua tra i denti, mentre pensava.
"A cavallo?" chiese, speranzoso.
"No."
"Correndo?"
"Nooo."
"Con una ciotola di zuppa! Mmm, buona la zuppa…" mormorò, strofinandosi di nuovo lo stomaco.
"Nemmeno…" esalai ancora, esasperata.
"Sei proprio un idiota, Pip!" si spazientì alla fine Merry. "Devi dire cose che cominciano con la lettera P, l’iniziale del tuo nome!"
"Come patate?” chiese, guardandomi, come ad avere conferma che suo cugino aveva detto la verità. “Mmm, buone le patate…" mormorò di nuovo subito dopo, sfregandosi la pancia per la terza volta.
"Sì, proprio così!" confermai, contenta che il gioco fosse finalmente finito; ma Pipino continuò, sempre più petulante.
"Be, ora che so la soluzione, posso dire che era facile! Ne facciamo un altro?"
"Mi dispiace Peregrino, ma ora ho proprio voglia di fare una bella dormita” mormorai, fingendo di sbadigliare. In quel momento provavo mille sensazioni fuorché il sonno, ma non me la sentivo più di fingere un’allegria che non provavo. “Buonanotte!" dissi infine, alzandomi e raggiungendo la mia coperta, ancora stesa accanto a quella di Boromir.
Avrei tanto voluto spostarla e mettermi a dormire da un’altra parte, possibilmente lontana da tutti gli altri ma, di sicuro, mi avrebbero chiesto spiegazioni ed io non avrei saputo cosa rispondere. Così, mi avvolsi nel mio giaciglio voltando la schiena a quello del Gondoriano, la fiala di cristallo che mi premeva contro le costole, ricordandomi il mio destino. La strinsi da sopra la stoffa della casacca e chiusi gli occhi, cercando di trattenere le lacrime e fingendo di dormire.
Dopo pochi minuti, anche gli altri si sistemarono per la notte. Sentii Boromir scivolare dietro di me ed avvolgersi nelle sue coltri ma, quella sera, il manto di pelliccia degli Elfi rimase inutilizzato e, per la prima volta da quando eravamo arrivati a Lòrien, il suo braccio non venne a cingermi la vita.
La mattina dopo, Celeborn ci fece convocare: era giunto il tempo di parlare del nostro viaggio. Era passato un mese dal nostro ingresso a Lòrien ed ora era venuto il momento, per noi, di riprendere il cammino. Frodo doveva portare a termine la sua missione.
Aragorn non aveva ancora deciso da che parte andare: se piegare a sud in direzione di Minas Tirith oppure puntare dritto ad est, verso Mordor. Boromir continuava ad insistere, chiedendo di raggiungere la sua città, ma il Ramingo era titubante, perché se Frodo avesse scelto di passare per gli Emyn Muil lui avrebbe dovuto seguirlo. Celeborn ci donò tre barche, con le quali avremmo potuto seguire per un certo tratto il corso dell’Anduin. Di ciò il ramingo fu molto grato: così avrebbe potuto rimandare la sua scelta ancora per qualche tempo.
Il giorno dopo, un gruppo di Elfi capitanati da Haldir ci scortò fin sulle rive dell’Argentaroggia, dove le tre barche ci aspettavano. Ci donarono abiti e mantelli elfici per il viaggio – chiusi da spille a forma di foglia dalle venature d’argento – e ci riempirono di vettovaglie, tra cui il lembas, il pan di via. Pipino ne fu così entusiasta che se ne mangiò quattro, prima che uno degli Elfi che caricavano il nostro bagaglio sulle barche gli dicesse che un solo morso bastava a sostentare un Uomo adulto per una lunga giornata di marcia. Due ore dopo, il Mezzuomo era piegato a metà con le mani strette sullo stomaco ed un’espressione sofferente in faccia, come se la pancia stesse per scoppiargli.
"Credo che non mangerà mai più lembas per il resto della sua vita" mi sussurrò Merry, ridacchiando, mentre mi passava il suo fagotto, che caricai su una delle barche.
"Io, invece, credo che ne mangerà ancora, quando ne avrà bisogno" gli risposi a mezza voce. Ricordavo dal libro che ne avrebbe perfino raccolto le briciole, durante il periodo di cattività con gli Orchi.
"Sì, forse hai ragione” ammise il Mezzuomo, sorridendo mentre fissava il cugino contorcersi in preda ai dolori di stomaco. “Pipino ama alla follia qualsiasi tipo di cibo, come forse ti sarai accorta…"
Non appena i bagagli furono tutti caricati a bordo prendemmo posto sulle tre piccole imbarcazioni: Aragorn, Frodo e Sam sulla prima; Boromir, Merry e Pipino sulla seconda; Legolas, Gimli ed io sulla terza. Gli Elfi ci consigliarono di risalire il fiume per un breve tratto in modo da prendere dimestichezza con le barche, e così facemmo. Stavamo per tornare indietro e riprendere quindi il nostro viaggio quando fummo affiancati dalla barca a forma di cigno di Celeborn e Galadriel. Dopo un mese passato nel loro regno, si erano finalmente ricordati di non aver mai desinato con noi e, così, ci invitarono a pranzo sull’erba lungo la sponda dell’Argentaroggia.
Tutti fecero onore al pasto, tranne Frodo e me. L’Hobbit a causa del potere dell’Anello che continuava a crescere inesorabile, assorbendo ogni sua energia vitale e togliendogli anche l’appetito; io, perché travolta da una miriade di sentimenti contrastanti, che si accentuavano sempre più mano a mano che si avvicinava il momento in cui avrei dovuto portare a termine la mia missione, ciò per cui ero arrivata fin lì. Ad ogni passo che muovevo, l’ampolla di cristallo contenente la pozione batteva contro le mie costole, ricordandomi costantemente quello che mi aspettava.
Finito il pranzo, Galadriel ci fece bere dalla coppa dell’addio, poi chiamò uno alla volta i miei compagni per dare loro un dono speciale da parte sua. Ad Aragorn regalò uno splendido fodero per Andùril, a Boromir una cintura d’oro, a Merry e Pipino uguali cinture d’argento, a Sam dette una matassa di corda elfica ed una scatoletta contenente terra e semi del Bosco d’Oro, a Legolas un arco dei Galadhrim ed a Gimli, che glieli aveva chiesti, tre capelli della sua chioma dorata. Infine, donò a Frodo la fiala contenente la luce di Eärendil, intrappolata nell’acqua della sua fontana. Quando giunse davanti a me, mi fissò con uno sguardo che sembrava contenere tutte le ere del mondo e mi carezzò dolcemente il viso.
"Arinya" mi sussurrò, posandomi un bacio sulla fronte. “A presto, Tingilindë.”
Stavamo per prendere di nuovo posto sulle barche quando Pipino mi si avvicinò e, tirandomi per la manica della casacca, mi fece chinare verso di lui.
"Perché Dama Galadriel ha dato a tutti noi un regalo mentre a te non ha donato nulla?" mi chiese, innocentemente.
"Pipino!" gli sibilò Merry, inorridito per l’insolenza della domanda di suo cugino.
"Non c’è problema, Meriadoc, dalle mie parti si dice "domandare è lecito, rispondere è cortesia". Anche a me ha fatto un regalo. Me lo ha dato qualche giorno fa” dissi, rivolta al giovane Tuc.
"Ah… E cosa ti ha regalato?"
Merry si sbatté la mano sulla fronte, scuotendo il capo e borbottando qualcosa in lingua Hobbit.
"Oh, un dono molto prezioso, che di sicuro mi tornerà utile a breve…" risposi enigmatica prima di raddrizzarmi per non fargli vedere che gli occhi mi si stavano riempiendo di lacrime.
Una volta saliti a bordo, ci lasciammo scivolare lungo la corrente dell’Argentaroggia, fino a quando il fiume non confluì nell’Anduin. Lì, ci voltammo tutti a guardare Lòrien: Galadriel era in piedi sulla punta estrema del suo regno e sembrava scivolare via, lontana da noi. Rimanemmo voltati all’indietro finché il Bosco d’Oro non scomparve dietro un’ansa. Allora Legolas afferrò la pagaia, imitando Aragorn e Boromir che si erano già allontanati dalla corrente principale del Grande Fiume.
Era il sedici di Febbraio, e fu così che lasciammo Lothlòrien.

Spazio autrice: Salve gente, eccovi un altro capitolo della storia di Marian... Questo è ispirato per la maggior parte al libro, sia riguardo al tempo di permanenza a Lòrien, un mese; sia riguardo la descrizione della partenza e del pranzo finale; sia i regali che sono stati fatti dalla dama. Nel film dona agli Hobbit dei pugnali, mentre nel libro delle cinture.  L’unica cosa che ho ripreso dal film è Pipino che si è mangiato 4 lembas!
Non l’avevo mai detto prima, ma anche Andùril è ripresa dal libro. Mi spiego meglio: nel libro Andùril viene riforgiata prima della partenza della Compagnia da Gran Burrone, ed infatti nella mia storia Aragorn ha già la sua spada; mentre nel film gli viene portata da Elrond prima della partenza verso il sentiero dei morti.
La parte del gioco, ricordi di bei tempi scolastici, è stata pensata come sempre per portare un po’ di comicità ed allentare la tensione, che da qui in avanti diventerà palpabile.
Ed ora, finalmente sapete cosa dovrà fare Marian per salvare Boromir. La storia sta entrando nel vivo, e spero che vi piacerà la direzione che prenderà! Aspetto i vostri carissimi commenti!
Bacioni a tutti!
Evelyn
  
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