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Autore: civia93    31/01/2009    7 recensioni
E se Bella, dopo l'abbandono di Edward non avesse mai sentito la sua voce nella mente?
Non si sarebbe buttata dallo scoglio e alla fine si sarebbe messa con Jacob. E quando Edward sarebbe tornato, l'avrebbe vista felice tra le braccia di Jacob e se ne sarebbe andato via di nuovo.
Passano 10 anni. Bella è diventata un avvocato ed è prossima alle nozze con Jacob. Insomma, conduce una vita serena.
Ma a volte basta un piccolo ricordo per farla cadere di nuovo nel baratro del dolore.... e sarà proprio il ricordo di Edward che la spingerà a compiere un viaggio importante, nel quale scoprirà tante cose...
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Isabella Swan
Note: Alternate Universe (AU), What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao ciao!!!
Allora, mentre "La vita secondo Nessie" procede a gonfie vele, inizio questa nuova storia, un po' malinconica e molto drammatica, che ha come protagonista assoluto la nostra Isabella Swan, Bella. Questa ff l'ho ideata appena finito di leggere New Moon e prima di inziare Eclipse, ma non l'ho mai scritta perchè non mi appassionava più di tanto.... ma poi, un giorno per caso, buttai giù una bozze del primo capitolo, e mi piacque molto tanto da decidere di continuare la storia.
Questa ff è dedicata soprattutto a due persone in particolare: Claudia, che si è subito appassionata nonostante poi abbia combiato il titolo centinaia di volte, e Federica, che mi spronava ogni giorno a scrivere nuovi capitoli. Grazie ragazze!
Naturalmente a voi cari lettori, chiedo solo il favore di recensire questa storia e di dire quello che pensate, anche se sono cose cattive!! ^_^'
Un bacio...

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1. Basta un ricordo...


Soffrivo. Vedevo Bella e soffrivo.
Eppure era quello che volevo, no?  Volevo che Bella avesse una vita normale, no? E ora l’aveva, una vita normale, da umana. Aveva trovato anche qualcuno che l’avrebbe protetta come avrei fatto io. Certo Jacob Black non era tra i miei preferiti, ma era pur sempre un licantropo e per i guai in cui di solito si cacciava Bella andava proprio bene. Inoltre la amava. E lei amava lui. Tutto era perfetto.
Ma allora perché soffrivo? Perché quando la vedevo felice tra le braccia di Jacob Black soffrivo? Perché avrei tanto voluto andarle incontro, abbracciarla, sfiorarle le guancie fino a farla arrossire, sentire il suo profumo, toccarle i capelli, baciarla? Perché?
Semplice: la amavo.
Volevo che lei fosse felice tra le mie braccia. Volevo proteggerla io. Volevo che passasse la sua vita con me.
Ero egoista. Lo sapevo. E nonostante questo continuavo a volerlo.
Forse lo voleva anche lei. Forse quello che provava per Jacob Black era soltanto una finzione. Forse mentre abbracciava lui pensava a me.
No.
Bella mi ha dimenticato. Bella si è rifatta una vita. Una vita in cui io l’ho abbandonata. Mentre dorme non sussurra più il mio nome.
Potevo farmi perdonare. Perdonare per averla abbandonata così, per aver lasciata, per averle mentito.
No, non dovevo, non ne avevo il diritto. Ho sconvolto la sua vita abbastanza. Dovevo essere forte abbastanza per lasciarla vivere, per evitare di dannarle l’anima per sempre. Devo farlo.
Sarà difficile per me avere la forza necessaria di non intromettermi più nella sua vita. Sarà difficile dimenticarla. Ma cosa dico? Non sarà difficile, ma impossibile. Bella è stata l’unica che mi abbia mai acceso il cuore, che lo abbia fatto ribattere nonostante fosse ormai freddo e morto. Bella è la mia vita.
Io la amo. Voglio che sia felice e che abbia una vita normale.
Ora è felice e si è rifatta una vita. Devo essere contento.
E allora perché continuo a soffrire?
Me ne andrò. Non so dove. Ho già provato a dimenticarla, ma non ce l’ho fatta. Ora riproverò.
Ce la devo fare. Lo farò per lei. Lo farò perché l’amo e  l’amerò sempre.
 
 
 
10 anni dopo
 
Parcheggiai la mia Fiat Punto davanti casa di Jake. Era passati 8 anni da quando il mio pick-up si era spento. Jacob aveva provato in tutti i modi di aggiustarlo ma non ce n’era stato verso. Così prima di andare all’università aveva raccolto un po’ di soldi e mi ero comprata quella macchina, che non intendevo cambiare.
Presi le chiavi dalla mia borsa ed entrai: in casa regnava un silenzio assoluto, interrotto solo dal russare di Billy in soggiorno e di Jacob al piano di sopra. In punta di piedi, chiusi la porta del soggiorno e andai in cucina: come al solito c’era una pila di piatti sporchi da lavare. Sospirai e aprii l’acqua del lavandino. Quando non avevo da fare, venivo a casa di Jake per dare una mano con le faccende domestiche. A Billy non piaceva il fatto che gli facevo da cameriera, però non nascondeva mai il piacere di vedere la casa in ordine di tanto in tanto.
Poi sentii delle braccia bollenti cingermi i fianchi e un bacio sul collo. –Buongiono
Voltai la testa di lato e gli diedi un vero bacio, visto che avevo ancora le mani bagnate. –Buon pomeriggio Jake.
-Pomeriggio? Di già?
-Non dirmi che ti sei svegliato adesso?
-Ehmm…si.
-Sei incredibile Jake!
-Tu invece questa mattina ti sei alzata presto, non è vero?
Alzai le spalle. –Come sempre.
A volte io e Jake passavamo la notte insieme. Billy non ci diceva niente: ormai eravamo entrambi adulti e vaccinati, e decidevano da soli.
Jacob scosse la testa. –Questo lavoro ti sta facendo impazzire.
-Non è vero. Il mio lavoro mi piace e mi alzo presto tutte le mattine solo perché il mio studio si trova a Seattle. È un bel viaggetto tutte le mattine.
Dopo la scuola, ero andata all’università e poi mi ero diplomata in giurisprudenza, diventando avvocato. Il mio studio legale si trovava a Seattle, perché era impensabile aprire uno studio legale a Forks.
-Sarà, ma secondo me ti sta facendo impazzire.
-Invece di pensare, dammi una mano con i piatti.
Si staccò da me, prese un asciugamano e iniziò ad asciugare i piatti.
-Piuttosto,- aggiunsi io –tu non dovresti andare a lavoro?
Jake era il meccanico ufficiale di LaPush.
-Avrei del lavoro da fare, ma adesso non ne ho voglia.
Alzai gli occhi al cielo: Jake era sfaticato come pochi.
Finimmo il lavaggio con i piatti. Guardai il mio orologio: era ora di andare.
-Beh, adesso vado. Ho un appuntamento.
Jacob alzò gli occhi al cielo. –Non è possibile Bella! Hai sempre da fare con il tuo stupido lavoro! Non riusciamo mai a stare un po’ insieme!
Sospirai. –Non ho un appuntamento di lavoro. Devo andare a parlare con l’organizzatrice del matrimonio. Te lo ricordi che tra due settimane ci dobbiamo sposare?- gli sorrisi, facendogli vedere l’anello di fidanzamento che mi aveva regalato una settimana fa.
-Ah si, è vero. Non ti preoccupare, non me lo scordo: l’ho segnato sul calendario!
Risi e gli misi le braccia al collo. –E poi per passare un po’ di tempo insieme, abbiamo tutta la notte a disposizione, no?
Sorrise e mi baciò. –Si, hai ragione.
 
Viaggiavo tranquillamente sulla strada verso Seattle. Dovevo fare ancora tante cose per il matrimonio: la prova del vestito, la scelta dei fiori, gli inviti da spedire…. Ecco perché avevo deciso di rivolgermi ad una organizzatrice: avrebbe pensato a tutto lei, mentre io mi sarei concentrata sul mio lavoro.
Forse Jacob aveva ragione: quel lavoro mi stava facendo impazzire. Ero impegnata dalla mattina alla sera e a volte anche nei weekend. Non che la cosa mi dispiacesse: amavo il mio lavoro. Il fatto di essere avvocato mi dava una stabilità d’animo mai sentita prima: mi faceva sentire importante, e ogni volta che vincevo una causa ne ero felice e orgogliosa, anche se devo ammettere che alcune volte mi era toccato difendere la parte del torto. L’unico inconveniente di quel lavoro era che il mio studio legale si trovava a Seattle, e fare il tragitto Forks-Seattle tutte le mattine non era proprio una passeggiata. Ma non mi preoccupava molto: dopo il matrimonio io e Jake avevamo deciso di andare a vivere a Seattle: era una città più grande, e soprattutto stavamo per comprare un appartamento vicino al mio studio.
Risi tra me e me: ancora non mi capacitavo del fatto che tra due settimane mi sarei sposata. Quando Jacob me l’aveva chiesto, per poco non mi era venuto un infarto. All’inizio pensavo che fosse una cosa stupida sposarsi, ma poi l’idea mi piacque, e così avevo accettato. Tutti ne furono contenti: Billy, Sam, e tutti quelli del branco. Chissà come l’avrebbe presa Charlie…
Mi asciugai una lacrima con stizza: ormai erano passati 4 anni dalla morte di Charlie, e ancora mi faceva male ricordarlo qualche volta. Mi mancava terribilmente il mio papà, mi sarebbe mancato terribilmente il giorno del matrimonio. Sospirai e cercai di concentrarmi sulla strada, ma la sapevo a memoria, e così la mia mente vagò nel ricordo di quel giorno terribile: Charlie che aveva fatto tardi la sera, io che ero rimasta ad aspettarlo fino a mezzanotte, le sirene dell’auto della polizia, io che correvo alla porta per aprirgli credendo che fosse lui, lo stupore nel vedere che era il suo vice, il dolore alla notizia dell’incidente stradale. Scacciai quel pensiero dalla mente: stavo per sposarmi e dovevo essere felice, Charlie avrebbe voluto così. La sua… nostra casa a Forks l’avevo messa in vendita, sia per risparmiare dei soldi per comprare l’appartamento a Seattle, sia per liberarmi di ricordi dolorosi…
Per evitare che mi deprimessi, cambiai discorso, ripassando la lista degli invitati, che ormai sapevo a memoria. E questo mi fece ricordare che ancora non avevo ricevuto una risposta da Renèe, dopo che le avevo inviato un e-mail quando avevo detto si a Jacob. Non potevo neanche chiamarla, perché non sapevo dove fosse in questo periodo: Phil era diventato un professionista molto bravo, e diverse squadre di tutto il mondo lo volevano nella loro formazione. Per cui lui e mia madre cambiavano spesso casa, all’inizio sempre negli Stati Uniti, ora anche oltre oceano (l’ultima volta stavano in Cina!). Per mia madre chiamarmi era diventato un incubo: non riusciva mai ad indovinare il fuso orario giusto, e parecchie volte mi svegliava all’una di notte. Anche se da due anni le sue telefonate “soffocanti” erano totalmente cessate, e questo lo devo anche al mio fratellastro Tom, che non ho mai visto in vita mia. Quando mi chiamò Phil per dirmi della notizia, rimasi scioccata, e volevo anche venire a vederlo, ma in quel periodo si trovavano in Spagna. Ero contenta di avere un fratellino, ma adesso iniziavo ad odiarlo: Renèe si era totalmente gettata nel suo ruolo di mamma, che si era dimenticata della sua prima figlia. Il fatto che non mi avesse ancora risposto alla mia e-mail riguardante il matrimonio ne era la prova. E a me mancava la mia mamma.
Parcheggiai davanti al bar in cui io e Mel, l’organizzatrice, ci eravamo date appuntamento. Quando entrai, non la vidi per cui mi sedetti su un tavolino e ordinai un caffè. Dopo pochi minuti, la vidi entrare e le feci un segno con la mano. Mel venne a sedersi di fronte a me e iniziò subito a parlarmi del matrimonio, facendomi vedere cataloghi su cataloghi di composizioni floreali, torte nuziali e roba simile. Ero contenta di aver dato le redini dell’organizzazione a una tipa come Mel: superattiva, veloce e scattante, una che sa sempre quello che fare e che si prende carico di tutte le responsabilità. Io non sarei mai stata in grado di fare una cosa del genere.
Rimanemmo a parlare per tutto il pomeriggio. Quando Mel si accorse che era diventato buio, mi propose di andare a cenare insieme in un ristorante li vicino.
-Vedrai,- mi disse –cucinano dei piatti di pesce buonissimi.
-Perché no?- sorrisi e uscii dal bar andando alla mia macchina, che si trovava vicino a quella di Mel, riconosciuta per via del peluche attaccato al finestrino uguale a quello che aveva attaccato alle chiavi della macchina. Spostai lo sguardo dal peluche alla macchina. Mi bloccai.
-È un locale non molto lontano da qui. Ci si arriva con dieci minuti di macchina- e tolse l’allarme alla sua Volvo grigio metallizzata.
Una Volvo grigio metallizzata.
-Ehi Bella! Tutto bene?
Una Volvo grigio metallizzata.
-Bella! Che ti prende? Sembra che hai appena visto un fantasma!
-Scusami Mel, ma mi sono ricordata di un appuntamento urgente… devo andare… ci sentiamo domani…- ed entrai di corsa nella mia auto, facendo manovra e andandomene dal bar. Tutto questo senza guardare la Volvo.
 
Scusami Jake. Sono molto stanca: l’incontro con l’organizzatrice mi ha stressato molto! È meglio se stasera dormo da sola. Ci sentiamo domani.
Inviai questo sms a Jacob, mentre salivo precipitosamente le scale del mio ufficio. Aprii la porta con violenza e per poco non rompevo la chiave. Lanciai la mia borsa per aria e urlai più forte che potevo, riempiendomi gli occhi di lacrime.
Ma perché, perché, PERCHÉ? Perché ogni volta che la mia vita sembrava aver preso una piega giusta, lui doveva ricomparire in un modo o nell’altro? Perché quando credevo anche solo per un secondo di averlo dimenticato, doveva apparire qualcosa che me lo ricordasse?
Ma soprattutto, perché io ci stavo ancora così male?
Erano passati dieci anni, e allora perché il suo rifiuto mi pesava ancora? Perché ogni volta mi riecheggiavano le sue parole nella testa, e la mia mente focalizzava un’immagine sfocata della sua espressione dura di quel giorno, e perché mi sentivo rifiutata come se fosse successo ieri?
La risposta la sapevo, ma non volevo ammetterlo.
Io lo amavo ancora. Io amavo Edward.
Ammetterlo mi fece urlare ancora più forte, e poi mi accovacciai sul pavimento, scoppiando in lacrime in una crisi isterica. Odiavo ammetterlo. Odiavo ammettere che non lo avevo ancora dimenticato. Odiavo ammettere questa debolezza.
Ma era più forte di me. Ogni volta ripensavo a quei suoi occhi dorati, quel suo viso perfetto, quei suoi capelli castano ramati, quel suo sorriso sghembo mozzafiato. Piansi più forte, pensando che per un po’ tutta quella bellezza era stata mia, che potevo abbracciare il suo corpo marmoreo, accarezzare la sua pelle bianchissima, udire la sua voce melodiosa nelle orecchie, sentire il suo respiro sul mio collo, baciare le sue labbra fredde come il ghiaccio.
Un altro urlo di dolore.
Ma perché mi aveva lasciato? Perché non mi voleva più? Perché?
Perché eravamo diversi. Io umana, lui vampiro. In fin dei conti, forse l’ho sempre saputo che sarebbe andata a finire così. Che lui prima o poi si sarebbe stancato di me, una semplice, goffa, insignificante umana. Lo sapevo che prima o poi mi avrebbe lasciata. Ma in quei momenti ero troppo felice di stare con lui, che il resto non contava. E adesso lui mi ha dimenticata.
Ma io no.
Ci ho provato, e ci sono anche riuscita in parte: la storia e il futuro matrimonio con Jacob ne erano la prova. Ma poi bastava un niente, come vedere una Volvo, per ritornare in questo vortice di dolore. Io lo sapevo: l’amore che provavo per Jacob era un niente in confronto a quello che continuavo a provare per Edward. Amavo Jacob, ma non come Edward. Questo mi fece rabbia, e ricominciai ad urlare battendo i pugni per terra.
Dovevo smetterla. Dovevo dimenticarlo. E più me lo ripetevo, più sentivo che lo amavo con tutta me stessa.
Stanca dalle urla e dal pianto, con la testa gonfia di quelle considerazioni, caddi in sonno profondo.
E dopo dieci anni, ricominciai a sognare Edward.
   
 
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