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Autore: SweetNemy    21/08/2015    1 recensioni
Cambiare, all'improvviso, continente, nazione, scuola, amici, tutto non dev'essere facile, ma si trova sempre qualcuno che incuriosisce e che ci fa dimenticare, anche solo per un secondo, di essere completamente soli in una città sconosciuta.
Così è cominciata l'avventura di Iris, una ragazza rivoluzionaria e intraprendente... :3
Genere: Commedia, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Scolastico
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CAPITOLO 2. IL PROGETTO

Dopo due ore di matematica in cui si è parlato di tutto tranne che della materia in questione, un’ora di inglese in cui ho subito un interrogatorio da parte del professore sulla cultura e sulle tradizioni canadesi, mezz’ora di educazione civica e mezz’ora di agronomia e territorio finalmente, arrivò l’ora di pranzo.
 La mensa della scuola era immensa, e davvero ben pulita. Come le aule, anche le stanze con i tavoli appositi per consumare i pasti erano tante quanti gli anni di corso. Per evitare di perdermi seguii Arsène.
-Quanti ricordi in questa stanza! – disse il mio compagno di banco sorridendo.
A pensarci bene, era la prima volta che lo vedevo sorridere da stamattina, tuttavia quel sorriso aveva un retrogusto amaro: portava con sé malinconia.
Forse era dispiaciuto di non essere più con i suoi amici dell’anno scorso.
-Posso sedermi accanto a te a pranzo? – gli chiesi.
-Non ti basta avermi accanto in classe? –
-Sei l’unica persona che conosco. – risposi semplicemente.
-D’accordo. Occupa quei due posti lì in fondo. – mi indicò un piccolo tavolo vicino a una grande vetrata che dava sul giardino sul retro della scuola.
Arrivò poco dopo con un vassoio in mano e si sedé di fronte a me.
-Quanto ti devo? – dissi mentre mi porgeva il vassoio.
-Nulla, figurati. –
Dopo vari tentativi di non farmi offrire il pranzo, vinse lui; ma una cosa mi lasciava ancora perplessa: lui aveva preso un solo vassoio e l’aveva dato a me. A lui nulla.
Mi venne spontaneo chiedergli perché non stesse mangiando.
Nessuna risposta. Fece spallucce e si appoggiò come al solito con la testa sul banco.
-Visto che non mangi, puoi farmi una panoramica sulle persone della classe? –
-Non le conosco tutte, ma ti posso dire che ci sono principalmente tre gruppi: gli asociali, cioè coloro che non fanno parte di grandi compagnie; gli snob e le snob. –
-Quindi per avere amici devi per forza essere snob? –
-Sì. Se volevi un’analisi più approfondita, mi dispiace. Al contrario degli altri non mi piace parlare della gente in loro assenza. – ritornò ad appoggiare la testa sul banco.
-Voglio solo un tuo parere, non è detto che sia la verità. Cosa mi dici di quella ragazza laggiù con la maglietta corta e la minigonna? –
-Vai a scegliere proprio il meglio, vedo. – mi guardò, poi spostò lo sguardo fuori dalla finestra.
-Lei è Giselle, è una troia, se proprio vuoi la mia opinione. L’ha data a mezza scuola e ci ha provato con tutti i ragazzi “snob” con cui aveva amici in comune. –
-E di quel tipo con gli occhiali che mangia il prosciutto con la forchetta? –
-So solo che viene chiamato Fin, lui fa parte degli asociali. –
-E tu, di che gruppo fai parte? –
-Io preferisco stare fuori da queste sciocchezze. Mi etichettano nei ripetenti, mi etichettano negli asociali. Comunque se vuoi fare amicizia con delle ragazze della classe ti consiglio il gruppo di Claire, sono un po’ più umili; anche se da quanto so, adorano passare i fine settimana nei centri commerciali. -
-Quando ero in Canada, passavo i week-end sulle sponde dei laghi della zona. I paesaggi erano davvero suggestivi e rilassanti. –
-D’accordo, forse è meglio che lasci perdere e.... sicuramente troverai qualche anima che ama la natura, tranquilla. –
-A te piace la natura? – gli chiesi, e la sua faccia divenne alquanto buffa: sbarrò gli occhi.
Sorrise, poi rispose –Sì, mi piace. Anche se la preferisco senza serpenti, api, ragni e insetti rompiscatole. –
-Conosci dei posti immersi nella natura, tranquilli, dove l’anima e gli occhi si perdono? Intendo nei dintorni…-
-Sì, ma bisogna comunque prendere un pullman o due. Mi dispiace, ma siamo in una città molto popolata, vicino Marsiglia tra l’altro. Qui vicino c’è un parco ma è piccolissimo... bisogna salire, andare verso nord per trovare quei posti che ti piacciono tanto. –
-Beh, allora qualche volta ci andrò. – finii il pranzo e presi a fissare il tavolo per trovare il coraggio di chiedere una cosa al mio interlocutore –Oggi… ti va di studiare insieme? –
-Studiare il primo giorno di scuola? Non hanno assegnato nulla. –
-In realtà il professore di inglese ha assegnato a ogni due di noi un cartellone su uno stato, una città o un monumento anglo-sassone. E a me e te ha assegnato il Canada, dato che sono canadese. –
-Che due palle. – sospirò. – I cartelloni? Ma stiamo al liceo o alle elementari? –
-Se ti scocci faccio da sola e metto anche il tuo nome, non preoccuparti. –
-Addirittura? Allora non scherzavi quando dicevi di non credere alle opinioni altrui. – alzò la testa dal banco e si strofinò gli occhi –Non faccio così schifo da farti fare tutto da sola, non preoccuparti. Da me o da te? –
-Ti inviterei volentieri da me ma... – pensai a mio fratello –Ho… ho ancora problemi con il trasloco e non vorrei che ci fosse troppo casino, capisci? –
-Tranquilla, vieni pure da me. I miei non ci sono. –
-A che ora vengo? –
-Subito dopo scuola, oggi finisce alle 4. Anche se alle 15 c’è l’ora di laboratorio e come ogni prima lezione dell’anno si discuterà di come comportarsi durante l’anno per essere elogiati come migliore classe e avere la possibilità di fare qualche viaggio d’Istruzione. – parlò a caricatura, come se non ne fosse affatto entusiasta.
-Sembra un’iniziativa valida. Perché non ti piace? –
-Ehm... perché dovremmo eleggere il rappresentante di classe e sicuramente salirà quel gallo di Joёl. –
-Io non conosco bene tutti, per chi devo votare? –
-Vota per Noёl, è il secchione della classe, è super logorroico ma ha molte idee e non ha paura di parlare. –
-D’accordo. –
Passò velocemente la pausa pranzo e fummo costretti a ritornare nella nostra classe, ai soliti posti, aspettando la campanella per iniziare con le votazioni.
Dopo mezz’ora le votazioni furono concluse: Noёl e Joёl pari merito: carta, sasso forbici per decretare il vincitore (metodo alquanto discutibile) e per la gioia di Arsène trionfò Noël!
Usciti dalla scuola, chiamai i miei dicendo che sarei andata dal mio compagno di banco per fare un cartellone assegnatoci oggi in classe; e poi seguii Arsène verso casa sua.
Era una casetta davvero graziosa, con un piccolo cortile all’ingresso e le fondamenta alte tre gradini dal suolo; il tutto era molto armonico, delicato e piacevole, come le villette che si trovano in campagna.
Dentro, però, l’armonia che c’era fuori era disturbata da un po’ di disordine... no, non era solo un po’ di disordine.
-Scusa il casino. – mi disse grattandosi la testa. –Di solito metto in ordine dopo scuola. Se aspetti un po’ risolvo tutto. –
-Dove sono i tuoi? –
-Al lavoro. – rispose semplicemente.
Sembrava sgarbato chiederglielo... ma a me sembrava come se in quella casa non si desse una riordinata da un bel po’, come se sua madre non stesse lì da un po’ di tempo.
-Che lavoro fanno i tuoi? – chiesi, sperando di ottenere qualche informazione.
-Sono avvocati. – continuava a dare risposte secche –Adesso aspetta qui, io riordino un po’ e poi torno e facciamo... il cartellone. –
-D’accordo. – dissi togliendomi la tracolla e appoggiandola sullo schienale di una sedia. – Se vuoi ti do una mano. –
-No, tranquilla. Faccio in un attimo. –
Aveva un metodo alquanto discutibile di riordinare, più che altro spostava il disordine da una parte all’altra.
Dopo una decina di minuti si presentò da me, acclamando di aver finito.
-Scusa, ma la donna delle pulizie viene una volta alla settimana e dovrebbe venire domani. Quindi c’è un po’ di casino. –
-Figurati. Ma quindi i tuoi genitori stanno poco a casa con te? –
Il suo sguardo si spense e prese a guardare il pavimento, la sua bocca si mosse –Tornano di sera tardi e vanno via la mattina presto. – cercò di cambiare discordo, avevo capito che quest’argomento lo infastidiva – Dovrebbero esserci dei cartelloni nello studio di mio padre, seguimi. –
-D’accordo. –
-Ci metteremo in camera mia. –
Salimmo la rampa di scale fatte di legno scuro e, mentre lui proseguì fino in fondo al corridoio, invitò me ad accomodarmi in un’altra stanza, probabilmente la sua. Entrai.
Diedi uno sguardo intorno: almeno la sua stanza era in ordine e davvero molto bella. Presentava i muri bianchi arricchiti con tante foto e il pavimento dello stesso colore, la scrivania di legno scuro era molto vintage e si abbinava al letto e all’armadio e consentiva di creare un contrasto perfetto con la parete luminosa.
Dalla porta-finestra del balcone lasciata aperta entrava un filo di vento, che faceva muovere le tende in modo, definirei, armonioso.
Mi incamminai verso l’interno osservando più nel dettaglio quelle foto: su quelle pareti c’era tutta la vita di Arsène, tutte cose che a lui piaceva ricordare.
Tra tutte le foto, (vi erano quelle in cui il mio compagno di banco giocava a calcio, in cui suonava la chitarra e insieme ai suoi genitori e amici, credo fossero), ce n’era una che m’incantai a guardare: egli aveva un sorriso puro, che faceva brillare anche gli occhi, il sorriso di chi è davvero felice e che rendeva i suoi occhi di un celeste acceso come il cielo sereno.
La guardavo e mi chiedevo cosa fosse potuto succedere per essere cambiato così radicalmente, ma in quell’istante Arsène varcò la soglia della porta con il cartellone in mano, sorprendendomi a guardare fissa e con aria pensierosa una delle sue foto.
-A che pensi? – mi chiese curioso.
-A nulla – sussultai – stavo aspettando che venissi e mi è caduto l’occhio sulle foto. Scusa. – gli dissi abbassando il viso.
-Beh, l’importante è che non mi farai domande sul perché io le abbia ancora in camera se sono foto del passato. –
-Tutti abbiamo in camera nostra foto che raccontano di noi, dei nostri ricordi. –
-Eppure sì, sembra naturale averle. Ma… possibile faccia così male ricordare i momenti felici quando sai di non poterli più rivivere e sei consapevole che la tua completa esistenza non avrà senso? Quando l’unica cosa che ti tiene aggrappato alla vita non è più il desiderio di cambiarla, di perfezionarla, ma solo la paura di rinunciare ad essa? –
-Cosa è successo per farti pensare questo? – gli chiesi, e per certi versi aveva completamente ragione. Ma sta di fatto che la penso così dopo la storia di mio fratello, di quello che è successo e per cui sono cambiata, anche se cerco di nasconderlo e a volte finisco per negarlo a me stessa. Deve essergli capitato qualcosa di altrettanto grave, che l’ha scosso profondamente.
-Troppe cose. – sospirò, poi abbozzò un sorriso – dovevamo fare un cartellone, no?
Dopo la discussione malinconica di pochi secondi prima, era davvero ora di iniziare il cartellone.
Prendemmo gli strumenti necessari e ci mettemmo all’opera: un lavoro che durò quasi tutto il pomeriggio fino alle 7 di sera, orario in cui decisi di andarmene. Tuttavia, una frase di Arsène mi insospettii e decisi di prendere una strada diversa.
  
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