Capitolo 3: Lettere dal Ministero
"E'
più facile spezzare un atomo che un pregiudizio."
Albert
Einstein
Il
bagliore silenzioso delle stelle accompagnava una notte serena e fresca.
Tutta
la natura sembrava respirare tranquillità, mentre pian piano abbandonava il
dolore per lasciar spazio alle felicità.
A
pensarci bene, rispecchiava l’animo delle persone che erano sopravvissute fino
a quel giorno: il dolore bruciante per le perdite si stava a poco a poco
ridimensionando, curato dall’amore, che era come un balsamo particolarmente
efficace.
Ad
aiutare molto era anche la quotidianità ritrovata: ora che non c’era quel
terrore incessante della morte, era molto più facile sorridere e sostenersi
l’un l’altro.
Sembrava così facile, ricominciare.
Ma non era per tutti così.
Draco Malfoy guardava il cielo con aria assorta, sdraiato su un letto di ebano,
una leggera coperta verde smeraldo era scivolata via fino ai suoi piedi mentre
le sottili lenzuola di seta lo coprivano fino alla vita.
Aveva
le braccia poggiate dietro la testa, le labbra chiuse in una smorfia sinistra.
I capelli biondissimi ricadevano a ciuffi sulla fronte, profumati, ancora umidi
per via dello shampoo di poco prima. Il suo pigiama scuro lasciava liberi i
primi bottoni, così che si riusciva a intravedere il petto bianco come la neve.
Ad un tratto, i suoi occhi si strinsero.
Suo zio Rodolphus sarebbe stato processato e gettato ad Azkaban, senza possibilità
d’appello, senza poter dire qualcosa a sua discolpa.
I Carrow, avrebbero subito la stessa sorte.
Ricordava ancora gli occhi ridotti a fessure e i volti abbruttiti da un odio
feroce di Potter, Weasley e Paciock mentre chiedevano a Kingsley Shacklebolt,
il nuovo Ministro della Magia, una pena detentiva per Dolohov: avevano chiesto
per lui una reclusione più severa. Aveva ucciso Remus Lupin, avevano detto.
Il nuovo governo, infatti, aveva voluto che proprio loro, quelli che chiamavano
‘gli eroi della seconda guerra magica’, avessero il compito di condannare o
meno tutte le persone che in qualche modo erano state dalla parte di Lord
Voldemort.
Sarebbero
potuti diventare Auror anche senza diploma, per giunta.
San
Potter, ovviamente, era la voce più influente tra tutte.
Peccato,
pensò il ragazzo biondo, che in quella circostanza avesse mantenuto ben poco
del buonismo che lo aveva caratterizzato nei suoi anni a Hogwarts.
Draco
si chiese cosa sarebbe successo a Dolohov, dato che tutti sapevano che non
c’erano più Dissennatori ad Azkaban.
Inorridiva
al pensiero di punizioni ancora più gravi e dolorose.
Avery, Macnair, Mulciber erano ancora latitanti.
E,
Rookwood, soprattutto. Lui era il latitante numero uno, come si leggeva anche
dai numerosi manifesti appesi per tutta Diagon Alley. Gli Auror cercavano
soprattutto lui , e Draco, non avrebbe voluto certo essere nei suoi panni.
Quegli
straccioni dei Weasley gridavano vendetta; vendetta per uno dei loro figli. E
lo facevano senza ritegno, gridandolo ai quattro venti, dovunque capitassero.
Sentiva
ancora, dentro la sua testa, le urla irritanti della madre, che rimproverava
gli Auror per non averlo ancora trovato: era una mattina, a Diagon Alley e
Draco non aveva dimenticato lo sguardo che la signora Weasley aveva lanciato a
suo padre quando aveva detto che tutti i maghi oscuri avrebbero già dovuto
essere dietro le sbarre, e invece li vedeva girare a piede libero ogni giorno.
Fu allora che quella plebaglia si era unita alle ricerche, insieme agli Auror,
a quanto aveva sentito dire. Tutti loro: i Weasley, Potter, Paciock, e avevano
cercato di convincere persino quella svitata della Lovegood, che fino a quel
momento si era rifiutata di condannare qualcuno.
E
lo facevano con un ardore e una passione degna di un Mangiamorte, Draco doveva
ammetterlo.
Tutti.
Tutti tranne la Granger. Non sapeva cosa fosse successo alla Mezzosangue, ma la
sua partecipazione alle ricerche sembrava quasi … una forzatura.
Non
era appassionata come loro, né sembrava provare un qualche sentimento di
vendetta. Sembrava sola, messa in una situazione che non le apparteneva.
Draco
l’aveva vista spesso a Diagon Alley in quei giorni immediatamente successivi
alla battaglia di Hogwarts, ma, aveva osservato il ragazzo, era sempre
silenziosa e assente.
Non
gli aveva neppure lanciato un’occhiata velenosa o uno spintone come aveva fatto
Weasley, e sembrava quasi scomparire dietro il ragazzo rosso che la seguiva
come un’ombra.
Si
mormorava che stessero insieme, quei due.
Una
smorfia di disgusto si dipinse sul suo volto pallido di Draco.
Poi
ripensò ai Mangiamorte, di nuovo: molti non riuscivano a sfuggire ai controlli
serrati degli Auror e a quelle ricerche.
Altri,
presi dal terrore, si erano già consegnati spontaneamente.
Pensò che loro, i Malfoy, in fin dei conti erano stati fortunati: non solo
erano ancora vivi tutti e tre, ma erano stati rimandati a giudizio, non essendo
in cima alla lista dei Mangiamorte da catturare.
Era stato Potter, ovviamente, a decidere, su tutti: gli occhi azzurri di
Lenticchia si erano spalancati per la sorpresa quando lo sfregiato aveva detto che
c’erano altri Mangiamorte più colpevoli da catturare e da giustiziare, quelli
che avevano ucciso con freddezza e lucidità. Di certo il rosso non condivideva
la decisione dell’amico: la sua bocca larga e sgraziata protestò, ma Potter fu
irremovibile. ‘Quella donna, per quanto
schierata dalla parte sbagliata, mi ha salvato la vita. Non è malvagia, lo so.
Ne sono sicuro’: aveva detto lo sfregiato al Ministro della Magia in
persona. Si riferiva a sua madre, ovviamente, a Narcissa Malfoy.
Naturalmente,
tutto il mondo magico aveva ubbidito agli ordini del suo eroe, e Narcissa Malfoy,
venuta a sapere delle parole di Potter dai giornali, aveva abbracciato suo
figlio tra le lacrime, mentre con un sorriso forzato aveva preso un po’ di
speranza per il futuro.
Non era stato lo stesso per suo padre Lucius: in quell’occasione, sebbene non
colpevole di aver ucciso a sangue freddo qualcuno, si mostrarono tutti
abbastanza decisi. ‘Ha ospitato Voldemort
in persona nella sua villa durante la guerra e ha guardato innocenti morire o
venire reclusi e torturati sotto il suo naso. E non ha mosso un dito. Mai.’
Aveva dichiarato Potter con disprezzo, mentre Weasley annuiva con vigore al suo
fianco, a quanto si diceva.
Persino
la Mezzosangue aveva fatto un segno affermativo con la testa quando fu
interrogata e costretta a dire la sua opinione, anche se lo fece tenendo
rigorosamente gli occhi bassi, per come avevano scritto i giornalisti.
Per
colpa di quella sentenza avrebbero dovuto abbandonare Villa Malfoy, che sarebbe
stata messa sotto sequestro.
Chissà
quando avrebbe potuto rivedere la casa dove cresciuto, dove aveva giocato da
bambino, dove aveva trascorso le sue vacanze e i suoi attimi di felicità, una
volta sequestrata.
La
malinconia si appropriò del suo sguardo, che si incrinò appena alla luce fioca
delle stelle.
Il giudizio era stato rinviato, era vero, e quasi sicuramente non ci sarebbe
stato niente da fare per Lucius ma, nonostante ciò, suo padre si riteneva
fortunato.
Perlomeno
non doveva più vivere nel terrore, come negli ultimi mesi: la paura di una
possibile vendetta di Voldemort su di lui e sulla sua famiglia era diventata
sempre più intensa durante la guerra, e tutti e tre sapevano bene che il loro Signore
non avrebbe più tollerato nemmeno un solo errore da parte loro.
A
ripensarci, un lungo brivido attraversò tutto il suo corpo.
Erano
stati mesi terribili, quelli della guerra.
E a ben pensarci, tuttavia, a Draco era andata decisamente meglio di Nott, lui
suo padre l’aveva perso. Era stato ucciso.
Ma,
naturalmente, nessuno tra gli Auror o tra i cosiddetti ‘eroi’ si preoccupava di Theo. Per loro, i Mangiamorte, e i loro
figli, non provavano sentimenti.
Strinse gli occhi, mentre guardava il Marchio Nero stampato sull’avambraccio:
era ancora di un nero vivo, ma, negli ultimi giorni, Draco aveva notato che si
stava sbiadendo.
Chissà,
forse si sarebbe cicatrizzato, pensò il ragazzo, mentre tornava a guardare il
cielo.
Sentì bussare alla sua porta qualche istante dopo.
“Madre?” sussurrò.
Non
poteva che essere lei.
Di fatti, pochi istanti dopo, la porta si aprì mostrando una bella donna
bionda, alta e slanciata.
“Draco, tesoro” esordì Narcissa “Volevo parlarti di una cosa”.
Il
suo tono era dolce e pacato, come sempre, quando si rivolgeva a suo figlio.
Draco la invitò con un gesto a sedersi ai piedi del letto, cosa che la donna
fece un minuto dopo, spostando un po’ la coperta che toccava il pavimento, e
fissando il figlio negl’occhi.
“E’ arrivata una lettera dal Ministero.
Sono tempi bui per noi, figliolo, ma anche il mondo magico pensa che è ora di
collaborare. Sono sicura che con un po’ di fortuna saremo tutti scagionati,
stiamo preparando una buona difesa”ammise con un sorriso.
Il
suo tono ora era lento e misurato, come se cercasse di infondere coraggio al
ragazzo, benché non lo avesse nemmeno lei.
Draco serrò gli occhi con espressione sinistra: il verde chiaro dell’iride
divenne quasi grigio perla, illuminato dalla luce delle stelle, l’unica fonte
di luce che entrava nella stanza.
Non voleva ricordare ciò che aveva appena detto sua madre.
Non
voleva più ricordare il giorno in cui sarebbero stati tutti e tre sotto
giudizio.
Si
era ripromesso più e più volte di cancellare il volto compiaciuto di Potter
mentre lo graziava, come sognava tutte le notti.
Si
era anche ripromesso di cancellare quei sogni ben più cupi, nella loro amara
veridicità, dove veniva condannato ad Azkaban per un periodo indeterminato.
Perché
Draco sapeva bene che allo sfregiato non gli sarebbe bastato umiliarlo per ben
due volte, no.
Era
deciso ad andare fino in fondo, evidentemente.
Forse
provava un certo senso di rivalsa e di rivincita quando lo umiliava.
Forse,
gli faceva dimenticare le umili origini da cui proveniva, avendo madre e
parenti babbani.
Si
sentiva sicuramente migliore calpestando i suoi nemici.
“E sono sicura che riusciremo a fare
qualcosa anche per tuo padre, se solo ci mettiamo in buona luce con la gente
che conta!” continuò la donna con un sussurro, all’orecchio di Draco, quasi
come se fosse una ninna nanna.
Draco,
tuttavia, reagì di scatto: si sedette sul letto, le braccia conserte, gli occhi
grigi che gridavano rabbia.
“La gente che conta? Collaborare? Madre,
riesci solo a capire cosa significa per me sottomettermi a gente come Potter,
Paciock, o, ancora peggio, a fecce come i Weasley e la Nata Babbana?”rispose,
risentito.
Il
suo tono era incredulo e rabbioso allo stesso tempo.
Forse
sua madre si era scolata una bottiglia di Burrobirra, prima di fare certi
discorsi con lui. Non voleva essere troppo duro con lei, non in quel momento,
ma non poteva permettere che gli consigliasse di collaborare con simili rifiuti
della società.
“E’ per loro che siamo ancora liberi,
Draco” continuò lei, implacabile. “E’
per loro che non siamo ancora chiusi in una cella, ad Azkaban, che possiamo
ancora abitare in un luogo sano e pulito , anche se hanno deciso di sequestrare
la nostra bella villa, e lo faranno a momenti. Saremo senza la nostra antica
eredità, senza più gloria, né onore, forse è meglio che te lo metti bene in
testa. Abbiamo perso tutto. Tutto. E
non pensare che a me faccia piacere collaborare con il Ministero o con quella
gentaglia, ma dobbiamo farlo. Non possiamo più permetterci di fare altri passi
falsi” finì, teatralmente, allungando il collo bianco per guardare la
notte. “La magia Oscura … i maghi oscuri,
il potere, la vittoria … non esiste più niente, e se vogliamo un posto in
questo nuovo mondo, dobbiamo abbandonare le nostre vecchie abitudini” aggiunse,
con la voce incrinata.
Narcissa
Malfoy soffriva almeno quanto il figlio Draco per quella loro vergognosa fine,
ma allo stesso tempo era sollevata dal fatto che almeno suo figlio e suo marito
erano ancora vivi.
Era
dura abbandonare il loro stile di vita, i loro pregiudizi, i loro rituali, le
loro credenze, ma non c’era altra via d’uscita.
Draco, con quelle parole, mandò giù un rospo particolarmente difficile da
digerire. Con una smorfia sul viso di puro disgusto dovette ammettere che sua
madre aveva ragione: non potevano più mettersi passi falsi, non ora.
“Non ti sto chiedendo ti trattarli con
gentilezza, o di essere loro amico. Ma facciamo quello che il Ministero ci
chiede, almeno come facciata, tesoro” insistette Narcissa, intuendo che il
silenzio di Draco poteva solo significare che stesse cominciando a capire.
“Hai detto che è arrivata una lettera.
Cosa vogliono?” chiese Draco, passandosi una mano tra i capelli ancora
umidi, cercando di cambiare discorso per non ammettere che sua madre aveva
ragione.
Narcissa si schiarì la voce, cercando di assumere un tono più imperioso verso
il figlio. “Vogliono ascoltarci, sentire
cosa abbiamo da dire in nostra difesa davanti … davanti al Tribunale della
Legge Magica” gli passò un braccio attorno alle spalle, mentre lei stessa
rabbrividiva al solo pensiero di quel Tribunale.
Draco
si liberò di lei con un gesto, cercando di mostrarsi forte e sprezzante, per
quanto dentro di se avesse bisogno di quell’abbraccio per superare la brutta
notizia.
Non era abituato a certi segni d’affetto e non li cercava.
Era
un uomo, ormai.
Tuttavia,
per quanto si atteggiasse, doveva ammettere che aveva una paura tremenda di
quel processo, di parlare davanti a tutti i membri della Corte, e di spiegare
che aveva fatto tutto perché obbligato dal Signore Oscuro sotto minaccia.
Non
sapeva se stava peggio in quei giorni, o quando il Signore Oscuro lo aveva
incaricato di uccidere Silente e lo aveva reso un Mangiamorte.
Draco
Malfoy gettò un’occhiata al Marchio Nero ancora ben visibile sull’avambraccio.
“Sarà
tutto inutile” dichiarò alla madre “Basterà
il Marchio Nero a farmi rinchiudere … non dimenticare che Potter e i suoi
scagnozzi faranno da testimoni!” aggiunse, guardandola “Non vedono l’ora di farmela pagare!”.
Era
vero.
Già
si immaginava i volti di Potter e dei Weasley soddisfatti, mentre lui veniva
dichiarato colpevole, come aveva sognato tante volte.
“Sei solo un ragazzo,
Draco” lo rincuorò dolcemente Narcissa “Vedrai che capiranno, non possono
accusarti di niente …” aveva cercato di continuare la donna.
“Mi accuseranno di
tentato omicidio al professor Silente!” proruppe Draco, ormai
stanco di quelle parole incoraggianti che non sarebbero servite a niente, in
ogni caso.
“E questo solo per
dirne una! Diranno che ero un Mangiamorte dichiarato, che lavoravo per il
Signore Oscuro, che lo abbiamo ospitato a casa
nostra !”.
La
voce del ragazzo, a quel punto, si spezzò.
Draco
avrebbe voluto dire che era finita, che sì, forse non avrebbero avuto una pena
esemplare come gli altri Mangiamorte, ma sarebbero stati puniti in ogni caso.
Sarebbe
stato gettato ad Azkaban, lo sapeva.
Il
terrore gli soffocò il petto, mentre Narcissa Malfoy si gettava su di lui, in
lacrime, abbandonando tutte le sue vane speranze.
Angolo dell’Autrice:
Eccomi di nuovo qui con questo nuovo capitolo, che, devo ammettere,
è stato particolarmente difficile da scrivere. Non sapevo come rendere il
carattere di Draco nel suo ambiente naturale, a casa, e con la persona a cui
vuole più bene, sua madre. Non volevo renderlo troppo smielato e dolce, ma allo
stesso tempo nemmeno troppo distaccato. Descrivere i suoi pensieri, poi, è stato
ancora più difficile, anche se ho cercato di immedesimarmi nella situazione,
senza essere troppo banale o melodrammatica.
Spero di essere riuscita nell’intento, ma mi raccomando, non
siate timidi e fatemi sapere cosa ne pensate!
Al prossimo capitolo,
Ariel