Buona sera, signorini e signorine! Fin
da piccola ho sempre avuto una passione per i cartoni ed i fumetti di Lucky Luke e, guarda un po’, i miei personaggi preferiti erano
proprio i fratelli Dalton. Inutile dire che, quando sono incappata nel loro
cartone su K2, ho avuto una specie di rivelazione e ho deciso di scrivere questa
cagata. Insomma, avete mai pensato a come sarebbe Lucky
Luke se fosse ambientato ai giorni nostri? Beh, questa è la mia idea, poi fate
voi!
Adiós e ai
prossimi capitoli (se avrò voglia di scriverli. Purtroppo non sono brava con le
fan fiction lunghe. Ma confido in me. Forse.)
Black
Hayate
Il
sole stava tramontando.
Un
ultimo solitario raggio di luce filtrò da una mesa lontana che faceva capolino
oltre le sbarre della cella, andando a picchiare contro la fronte di Joe. Lui nemmeno
se ne accorse, intento com’era ad osservare il piccolo computer che teneva
sulle gambe suo fratello William.
-Allora,
a che punto siamo?- ringhiò impaziente, socchiudendo le palpebre per vedere
meglio ciò che era scritto sullo schermo. Non che servisse a molto, comunque:
non aveva idea di come funzionassero i codici che William aveva scritto, l’importante
era che penetrassero nel programma di sicurezza del penitenziario, facendo
scattare le serrature delle celle e rendendo lui ed i suoi fratelli liberi come
l’aria fredda del deserto.
William
sbuffò, alzando gli occhi al cielo. – Ho bisogno ancora di qualche attimo per
convertire il codice in programma ed inserirlo nel server della prig…-
-Va
bene, va bene, basta che ti sbrighi! Stanotte è la notte giusta- sbottò Joe,
scuotendo la mano con sufficienza. Il fratello minore si strinse nelle spalle e
continuò a digitare in silenzio.
***
Tutto
era cominciato qualche mese prima, quando William, nelle sue peregrinazioni
nella biblioteca del penitenziario, aveva trovato un manuale di programmazione
informatica di base. Dopo aver sfogliato qualche pagina, aveva trovato la
lettura decisamente interessante e aveva chiesto alla signorina Betty di
poterlo portare in cella assieme ad altri volumi più approfonditi, per continuare
a leggere in tranquillità (ovviamente nei momenti in cui lui e i suoi fratelli
non cercavano di evadere). Ma fu solo dopo il tentativo di fuga con i trapani
portati di nascosto da mamma Dalton per forare il muro e scappare dalle
fognature che l’idea aveva preso forma. Dopo quell’ennesimo fallimento, infatti,
Joe aveva preso la decisione di picchiare la testa contro il muro finché non
gli fosse venuta una buona idea, e nemmeno tutti e tre i fratelli insieme erano
riusciti a smuoverlo. Solo Averell l’aveva fermato
per qualche secondo. Si era messo a piangere, mugolando: -Ma Joe, così ti fai male…!-
Il
fratello maggiore si era voltato lentamente: un rivoletto di sangue gli
scivolava lungo il naso, mentre un gigantesco livido gli si allargava in
fronte. Aveva posato gli occhi arrossati sul fratello minore e aveva
pronunciato le seguenti parole:
-Se
non stai zitto ti unisci a me, hai capito Averell?-
Nella
mezz’ora successiva il silenzio era stato totale, tralasciando il rumore della
testa che batteva contro la parete. Poi Jack, da sopra il giornale che stava
leggendo, aveva lanciato un’occhiata implorante al gemello, e così William
aveva cominciato a raccontare a Joe le meraviglie del computer e di come si
potessero creare programmi per fare qualsiasi cosa.
-Pensa,
tecnicamente si potrebbe anche hackerare il sistema
di sicurezza del penitenziario, se fossimo collegati…-
disse speranzoso. Lasciò morire le parole in gola: Joe si era fermato e aveva cominciato
a lisciarsi il mento con interesse. Dopo qualche attimo alzò lo sguardo.
-Vai
avanti, forse ho un piano-
-Beh… bisognerebbe trovare un
collegamento alla rete del penitenziario e naturalmente avere un computer-
continuò William titubante. Forse non aveva suggerito una gran cosa. Chi mai
avrebbe concesso loro un PC e libero accesso alla rete?
-Un
computer per giocare a Pinball?- ripeté perplessa la
signorina Betty. Averell si grattò la testa e sorrise
timidamente.
-Quando
ero piccolo la mamma mi ci faceva giocare sempre…-
disse mestamente, ripensando con nostalgia alle sfide vinte contro i suoi
fratelli. Lui se la cavava piuttosto bene e Joe lo incitava fino allo
sfinimento, per poi perdere miseramente le tre palline al primo colpo quando
era il suo turno. A quel tempo non lo picchiava…
Una
lacrimuccia scese dagli occhi di Averell e la
signorina Betty sorrise conciliante.
-Beh,
non vedo perché non concederglielo, signor Averell!
La avviso però che non potrà essere collegato ad internet per ragioni di
sicurezza-
Averell le rivolse un sorrisone e prese
il vecchio portatile che la donna gli aveva portato. I suoi fratelli sarebbero
stati così fieri di lui…
-Imbecille!
Questo computer non è collegato alla rete!- urlò a pieni polmoni Joe. William
ribatté che non era poi così grave, sarebbero riusciti a trovare un punto d’accesso
nei fili che passavano nelle pareti della cella, ma era troppo tardi: Averell si era rintanato in un angolo e aveva cominciato a
girarsi i pollici imbronciato, mentre un esitante Jack gli dava delle leggere
pacche sulla spalla, cercando di consolarlo con qualche parola gentile. Dopo qualche
minuto il fratello minore si era calmato ed il gemello più piccolo si era
avvicinato a Joe, bisbigliando:
-Joe, come faremo ad uscire dal
penitenziario una volta che si saranno aperte le porte? Il cancello principale
è comunque sorvegliato dalle guardie-
-Ho
già pensato a tutto, ovviamente- ribatté il fratello maggiore con noncuranza. –In effetti io e te dovremo andare a cercare qualche cosa
per fare delle corde e dei rampini-. Qualcosa di tremendamente spiacevole si
contorse nello stomaco di Jack, ma evitò di commentare: era meglio non
contrastare i piani di Joe e, dopotutto, dal punto di vista pratico, era sempre
stato il fratello più abile. Forse sarebbero riusciti a cavarsela.
***
La
notte calò lentamente sulla vastità del deserto. La temperatura cominciò ad
abbassarsi, ma i fratelli Dalton quasi non vi badarono: erano ormai abituati
alla differenza climatica tra giorno e notte di quelle spoglie pianure e
praticamente non ne risentivano più.
-Manca
poco- sussurrò William, stropicciandosi gli occhi stanchi. Joe era rimasto
sveglio tutto il tempo al suo fianco, leggendo febbrilmente le stringhe di
codice e continuando a non capirci un accidente, ma si riscosse immediatamente.
-Ehi,
voi! In piedi, è giunta l’ora- borbottò, tirando un calcio a Jack ed Averell, accovacciati e sonnecchianti sulle brandine della
cella.
-Ma
Joe, stavo sognando che riuscivamo ad evadere…-
-Fermatemi
o giuro che lo ammazzo-
D’un
tratto si udì un piccolo scatto e la porta della cella sussultò, lasciando uno
spiraglio aperto. I fratelli guardarono William, che richiuse il portatile con
un colpo secco.
-Che
c’è, ho rovinato la suspense?- chiese, grattandosi la testa. Joe lo guardò
storto e poi fece un cenno verso la porta. Con circospezione i fratelli si
guardarono attorno: solo qualche detenuto si era accorto che la serratura era
stata sbloccata e i più erano rimasti appena fuori dalla cella, con la bocca
spalancata, increduli per il regalo di Natale anticipato.
-Svelti,
presto arriveranno le guardie!- sibilò Joe, correndo lungo le scale che
portavano al cortile. Aveva avuto premura che William disattivasse anche le
luci, così le guardie avrebbero faticato a vedere la loro silenziosa fuga.
Purtroppo non aveva tenuto conto del fattore Averell:
evidentemente il fratellino non era proprio abituato a camminare al buio ed era
caduto dalle scale, facendo un fracasso che aveva svegliato pure Rantanplan, il quale aveva cominciato a seguirli,
scodinzolando allegramente.
-Dannazione
Averell, non mi rovinare l’evasione o io rovinerò te-
sussurrò Joe, prendendo il fratello per un orecchio. Proprio in quell’istante le
guardie sfilarono di fronte a loro, senza nemmeno notarli. Il maggiore dei
fratelli ghignò compiaciuto e, in men che non si dica,
i quattro uomini e il cane da guardia furono nel cortile. Joe fece un cenno a
Jack e questi preparò l’attrezzatura. Alla fine se l’era cavata cucendo pezzi
di uniforme “presi in prestito” dalla lavanderia: il risultato era una lunga
corda gialla e nera, abbastanza simile ad un nastro segnaletico per galeotti, ma
senza dubbio solida. Il rampino era stato ottenuto con posate piegate. Jack
pregò silenziosamente che reggesse, ma ormai era tardi per fare prove. Tenendo la
lingua in mezzo alle labbra, prese attentamente la mira e lanciò l’attrezzo. In
un modo che a lui parve quasi incredibile, il rampino scivolò elegantemente
dall’altra parte delle mura, impigliandosi poi da qualche parte.
-Non
ci credo- disse incredulo.
I
fratelli cominciarono ad arrampicarsi in fretta sulla spessa parete di cemento.
Il filo spinato della cima si avvicinava sempre di più, così come l’agognata
libertà. Joe cominciò a sentire gli occhi lucidi ed accelerò, procurandosi un
brutto taglio sulla mano per colpa delle spine, ma che importava? Erano sul
tetto del mondo per quanto lo riguardava e l’aria frizzante della notte era
dolce come miele.
La
discesa fu ancora più facile della scalata e atterrarono quasi con delicatezza
sulla terra secca del deserto. Joe si guardò intorno: la strada che conduceva
verso la civiltà era poco distante e facilmente visibile, dato che le strisce
dipinte sul cemento rilucevano al chiarore della luna.
-Io
non lo so se esisti, ma grazie per averci fatto nascere nel 21° secolo- disse
ad alta voce. Camminando tutta notte sarebbero sicuramente giunti ad un paesino
o ad una stazione di servizio e da lì in poi sarebbe stato facile contattare la
mamma, il loro principale punto d’appoggio.
-Si
va verso nord- disse, puntando il dito verso la direzione opposta e cominciando
a correre, felice come non lo era da tempo.
Simpatico POST SCRIPTUM
Lo sapevate che un penitenziario nel
bel mezzo del deserto del Nevada esiste veramente al giorno d’oggi? Ecco la
prova! http://www.primadanoi.it/news/cronaca/499208/Nel-penitenziario-dove-i-detenuti-restaurano-auto-d-epoca-per-rifarsi-una-vita.html
E che dei detenuti sono riusciti
davvero ad evadere scavando un tunnel con dei trapani? http://www.ilpost.it/2015/06/07/evasione-new-york/
Ahahah!