Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Duncneyforever    14/09/2015    3 recensioni
Estate, 1942.
Il mondo, da quasi tre anni, è precipitato nel terrore a causa dell'ennesima guerra, la più sanguinosa di cui l’uomo si sia mai reso partecipe.
Una ragazzina fuori dal comune, annoiata dalla vita di tutti i giorni e viziata dagli agi che l'era contemporanea le può offrire, si ritroverà catapultata in quel mondo, circondata da un male assoluto che metterà a dura prova le sue convinzioni.
Abbandonata la speranza, generatrice di nuovi dolori, combatterà per rimanere fedele a ciò in cui crede, sfidando la crudeltà dei suoi aguzzini per servire un ideale ormai estinto di giustizia. Fortunatamente o sfortunatamente non sarà sola e sarà proprio quella compagnia a metterla di fronte ad un nemico ben peggiore... Se stessa.
Genere: Drammatico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Guerre mondiali, Novecento/Dittature
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



 

 

Cosa devo fare? Chiamare un'ambulanza? La vicina? I miei genitori? O tentare di rianimarlo da me, prima che possa creargli ulteriori disagi? 

Questi sono i pensieri che mi affollano la mente da qualche minuto. Sto andando in iperventilazione e, se non inizio a tranquillizzarmi, presto gli farò compagnia sul pavimento. La Grazia Divina gli ha impedito di battere la testa per terra, perché nessuno al mondo sarebbe potuto cadere tanto bene. Avrà solo un gran male alla spalla quando si rialzerà, visto che è stata quella ad avergli attutito la caduta. 

- Ehi, vuoi che ti chiami qualcuno? Un dottore? - Lo ammetto, mi sto sforzando di non apparire tesa. Se dovessi allarmarmi, anche lui si spaventerebbe e non questo non è ciò che voglio. 

- I-in c-che anno-o s-siamo? - La sua voce trema mentre continua a fissare il calendario... Perché una domanda così ovvia? Che abbia perso anche la concezione del tempo? Eppure anche io mi sento spaesata; non sarò tanto stranita quanto lui, ma nel rispondere alla sua domanda sento di star mentendo. È inequivocabile, deve essere quello l'anno, però... È come se lo percepissi lontano, passato. 

- Duemilaquindici - avverto quasi un fastidio nel scandire poche sillabe; so di aver arricciato le labbra, perplessa, benché ora sia il minore dei miei problemi: lui è pallido come un cencio, ha gli occhi sbarrati e sta balbettando qualcosa in tedesco. Non capisco.

- In che anno credevi di essere? - Mi esce spontaneo, naturale; forse non mi rendo davvero conto di ciò che sto dicendo...

- Quarantadue, millenovecentoquarantadue - risponde, guardandomi negli occhi, atterrito. Potrei fare un paragone con il cavallo nel quadro di Füssli, " L'incubo ", poiché bianco com'è, fa impressione. Respira a fatica, come se ancora non si capacitasse di ciò che ha detto e che ho detto. Anche io percepisco un senso di distorsione che sembra essere simile al suo e temo sia per questo che ancora non riesco a sbraitargli contro, dandogli del pazzo e sbattendolo fuori di casa a calci, se necessario. 

Continua a fissarmi, sa che non ci credo. Non ci crede neanche lui, in fondo: i suoi occhi azzurri sono uno specchio, così belli; lasciano trasparire ogni sua emozione. Sembrerà assurdo, tuttavia, è difficile non credere a quello sguardo... Una parte di me vorrebbe credere alle sue parole, l'altra preferisce credere alla scienza.

Nessuno ha mai viaggiato nel tempo, perciò perché dovrei essere proprio io la prima? In molti sostengono che non sia neppure possibile, ma anche se così non fosse, non sarebbe indispensabile, chessò, un macchinario? 

" Potrai non crederci, fatto sta che lui non sia il solo a sentirsi fuori luogo " interviene una vocina, dentro di me. 

Lo supervisiono con la coda dell'occhio, ispezionando la casa in cerca di conferme o di smentite. La cristalliera accanto alla finestra non dovrebbe essere lì... L'abbiamo spostata da un po', " perché prendeva polvere ", fu questa la giustificazione di mamma. Dovrebbe trovarsi nel mezzo tra il frigorifero e la cassettiera dove teniamo tutti i documenti; non è possibile che l'abbiano spostata di nuovo e che non me ne sia accorta. 

Torno a lui decisamente più impensierita. Friederick si è rimesso seduto; ha poggiato una mano su una gamba, che non accenna a stare ferma. La sua espressione è spensierata, nonostante la sua preoccupazione, lo shock, i dubbi e tutto il resto. Lui sembra tranquillo, nonostante tutto. Ogni volta che incrocia il mio sguardo, non dice nulla... Mi guarda, semplicemente. 

Mi alzo di scatto, vado avanti e indietro per la stanza. Lui resta fermo e mi fissa sorpreso, comprensivo e quasi divertito. 

Ma che diavolo è questa storia?! Dove sono le fottute telecamere... Questo dev'essere uno scherzo di cattivo gusto e la sua uniforme spiega tante cose. È un attore, è stato pagato per fingere, in modo che la mia reazione sembrasse più verosimile. Massì, massì, hanno spostato i mobili, mi avranno fatto ingerire qualcosa, LSD, metanfetamine, massì massì, in qualche via traversa avranno ottenuto il consenso di mamma e papà. Oppure è stato contagiato da una qualche forma di pazzia infettiva e me l'ha trasmessa... Non avrei dovuto toccarlo, cosa mi è saltato in testa?! 

- Non può essere vero... - Sussurro. Non mi sono neanche accorta di essermi fatta sentire. Ripeto questa frase più e più volte, fin quando diventa una vera e propria esclamazione. 

Mi precipito verso di lui, sbuffando aria dalle narici come un bufalo, tant'è che il nordico per poco non cade di nuovo dalla sedia per la sorpresa.

- Scherzi, vero? - Gli chiedo, assottigliando gli occhi per scrutarlo più attentamente. Spero davvero che risponda di sì, perché non saprei proprio come reagire altrimenti.

I suoi occhi sono persi, affranti nel non potermi accontentare; mi fa cenno di no col capo e questo mi è sufficiente per capire che non stia mentendo, non intenzionalmente perlomeno. 

Incurante di poter risultare scortese, mi metto ad ispezionare la sua divisa da cima a fondo, sfregando le mani sul tessuto, tirando il colletto, gettandomi per terra per controllare la fattura delle galoche e rubandogli l'elmetto, per poi rigirarmelo tra le mani. Me ne intendo di vecchie cianfrusaglie: le ho viste, le ho toccate con mano nella casa di un anziano signore che aveva deciso di conservare tutti i suoi trofei di guerra. Abita qui vicino, ma non posso certo citofonare nel mezzo del suo riposino pomeridiano, salvo poi dichiarare di avere qui un tedesco, o meglio, un probabile soldato tedesco! Sta di fatto che nulla sembra dozzinale; i materiali sono buoni e incredibilmente simili a quelli precedentemente esaminati. 

L'ho scosso come una bambola per almeno dieci minuti, ma se si aspetta che l'interrogatorio sia finito qui, beh... si sbaglia di grosso. 

- Dov'è il tatuaggio? Fammi vedere il tatuaggio! - Strillo, allontanandomi, pretendendo malamente che si spogli davanti a me, senza lasciargli alcuna privacy. Ricordo che i militari del corpo indicato dalla divisa, le SS, dovevano aver tatuato il gruppo sanguigno e il numero di matricola sulla parte interna del braccio sinistro e ora io pretendo di vederlo. 

Neanche a dirlo, il famigerato tatuaggio compare. 

Scatto all'indietro, mettendomi una mano sopra la bocca... Allora non sta mentendo!

- Oddio! - 

Non mi rendo conto della scenata a dir poco ridicola che sto facendo da quasi dieci minuti, finché non lo sento ridere. Ero così impegnata a capire il " come " che quasi mi ero scordata del " reperto da museo " che soggiorna nella mia cucina. Cosa provo esattamente in questo momento? 

Rabbia? Sorpresa? Smarrimento più totale? O forse qualcosa di più profondo e nascosto, mascherato dal peso di ciò che mi sta circondando, può essere... Soddisfazione? Avrei voglia di urlarlo al mondo intero! Io, la timida ragazza di provincia, io fra tutti sono stata scelta per questo! Non mi chiedo il perché; sono troppo... Non saprei neanche spiegarlo in questo momento. È come esser stata attirata in vortice: troppe domande, troppe perplessità per poter saltellare allegramente per la casa come se niente fosse. Ma no, che non è possibile! Lui potrà anche esser vero, ma dev'esser stato creato dalla mia immaginazione. Un sogno, ecco spiegato l'arcano. Mi è già successo di sognare la casa con altri connotati, di potermi muovere agilmente nel tempo e nello spazio... Ed ecco spiegata anche la strana sensazione di non appartenere al luogo in cui mi trovo ora, che è pur sempre casa mia. In un altro tempo, forse. 

Alla fine, vince la curiosità. 

- Di dove sei, Friederick? - 

- Sono nato e cresciuto a Berlino, abito in Goethestraße, nel distretto di Charlottenburg. Vicino all'Opera, hai presente? Ma c'è ancora l'Opera, almeno? Chissà come dev'essere cambiata la mia città... - Anche il tedesco decide di sciogliersi. Nemmeno lui si capacita di tutto questo o, più semplicemente, la mia mente ha capito il trucco e non c'è più bisogno di proseguire con la farsa. 

- Ma certo che c'è! L'ho vista in TV, sai? Non hai nulla di che temere; probabilmente non la riconosceresti, ma è una città meravigliosa. - 

- TV? Ah, la televisione dici! La prima e l'ultima volta che ne vidi una, stavano trasmettendo i giochi olimpici... questo sei anni fa, quand'ero ancora un ragazzino entusiasta. Se posso chiedere, tu quanti anni hai? Sembri una bambina... -

- ... Nel senso buono - aggiunge, dopo aver visto la smorfia dipinta sul mio viso.  

Maledizione, a lui e al suo sorriso radioso! È impossibile essere arrabbiate con questo ragazzo... Come l'ho creato bene! Un " vecchiarello " simpatico e pure vagamente carino! 

Resta il fatto che la sua domanda sia inopportuna: proprio perché è così anziano, non dovrebbero avergli insegnato che ad una donna l'età non si chiede? Non sono sicura di cosa dover replicare; non sento di avere gli anni che dovrei dichiarare, anche perché questo duemilaquindici non mi convince proprio. 

- Quattordici? - Lui pare colpito da questa simil-rivelazione, avendomene attribuiti un paio di più. 

Eh... Può darsi, il bello è che non me lo ricordo nemmeno io. 

- Ma veramente? Io ne ho diciotto appena compiuti, non credevo. - 

- Così pare. - Obietto, alzando le spalle. 

Parliamo come se ci conoscessimo da una vita, dei nostri gusti, del nostro carattere... Di noi. Dopotutto, che senso avrebbe prenderci troppo sul serio? È un dannatissimo sogno, dovrei pure farmi scrupolo riguardo alla sua uniforme? Pur non avendo fiducia nell'umanità, credo ancora nella bontà di alcuni uomini e lui, per come si comporta, per l'innocenza che trapela dal suo volto fanciullesco, non è un assassino nazista. Indossa una maschera che non rispecchia le sue idee, né la sua personalità; non ne conosco il motivo, ma sento un certo feeling, come se sapessi di potermi fidare. 

- I tuoi occhi sono del mio colore preferito. - Lo informo, percependolo nitidamente. In sogno, non mi era mai successo di vedere per così tanto tempo la stessa persona, senza che questa sfumasse o perdesse consistenza mano a mano. 

- Ja, scelta interessante... A me piace molto l'ambra a dire il vero. - Simpatico e donnaiolo pure! Mi piacerebbe sognare più spesso uomini e donne reali, piuttosto che mostri orrendi. 

- Scemo che sei - rido, tirandogli un leggero buffetto sulla guancia. Anche lui ride, soffocando un " dicevo solo la verità ". È davvero molto realistico come sogno... riesco persino a percepire le consistenze e, prima, quando l'ho sollevato, la fatica l'ho avvertita per davvero. Ma che sto facendo nel letto? Sto pedalando? 

Friederick, però, è un ragazzo aperto, dolce ed estroverso. A volte utilizza qualche termine caduto in disuso da mezzo secolo, ma è anche normale, vista la sua vera età. 

Ridiamo entrambi finché l'occhio non mi cade di nuovo sulla sua divisa. SS. 
Come può un ragazzo come lui avere proprio questa diversa che, tra tutte le altre, è senza alcun dubbio la peggiore? Ok che non lo ritengo un genocida, ma non avrebbe potuto arruolarsi, chessò, nella Heer, l'esercito regolare? 

Potrei decidere di surclassare, però io devo sapere. Io lo voglio sapere. 

- Fried... Dove lavori? - Alla mia domanda è rabbuiato. Azzurro nel marrone, cielo nel cioccolato.

Nasconde il viso fra le ginocchia e fissa il pavimento, poi mi rivolge un'occhiata penosa, prima di rispondere: 

- nel complesso di Auschwitz-Birkenau, al confine tra Germania e Polonia. Non so se il nome di questo luogo sia venuto fuori nel corso dei decenni... Con tutto il cuore, mi auguro di no. - 

 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Duncneyforever