5- INCONTRI
Risata.
"Fammi capire: vi ha visti?".
Uno sbuffo da parte
mia e un'altra risata da parte di Greta. "Smettila, non fa
ridere", borbottai.
Lei mi ignorò, continuando a
ridacchiare e a darmi della stupida. Insomma, cosa potevo farci io se
mia madre era un'impicciona di prima categoria e amava spiarmi dalla
finestra del soggiorno? Come potevo immaginare, soprattutto, che lei
era nascosta lì, se avevo la testa completamente impegnata
in
qualcosa di più importante?
Un bacio
al sapore del miele.
Arrossii al
ricordo e non riuscii a trattenere un sorriso, che ovviamente non
sfuggì a Greta.
"Ah, lo sapevo! Continui a pensarci. Che
romanticona", esclamò guardandomi con gli occhi dolci.
Le
guance mi si infiammarono ancora di più dall'imbarazzo.
Non
avevo resistito e avevo raccontato tutto a Greta e, purtroppo, non me
ne pentivo. Era la mia migliore amica ed erano anni che sognavo di
potermi confidare con lei come vedevo nei film o nei libri, ma mi
sarei dovuta aspettare una reazione del genere da parte sua. Quando
le avevo rivelato che mia madre si era appostata dietro le tende era
scoppiata a ridere e aveva continuato per minuti interi. Per fortuna
eravamo a casa da sole e nessuno l'aveva sentita, altrimenti sarebbe
stato doppiamente imbarazzante, considerato il terzo grado a cui ero
stata sottoposta una volta entrata in casa.
Anche in quel
momento, dopo una cena all'insegna di battutine con mia madre e
riferimenti velati verso mio padre che non sapeva niente e non doveva
assolutamente sapere, Greta continuava a rivangare l'argomento e
l'avrei presa volentieri a padellate in faccia, se solo non avessimo
dovuto incontrare il suo ragazzo da lì a quindici minuti.
Sdraiate
sul mio letto, chiuse in camera come quando eravamo alle medie, le
avevo confermato che mi ero davvero presa una cotta per Carlo e,
fortunatamente, dopo qualche gridolino di gioia, si era limitata ad
abbracciarmi e a dichiarare di essere immensamente contenta per me.
Proprio Carlo stavamo aspettando, mentre la playlist del mio
computer continuava a scorrere, ed io ero tremendamente nervosa. Un
po' perché avrei finalmente conosciuto Lorenzo, un po'
perché mi
erano finalmente arrivate le mie cose, ma soprattutto perché
il mio
ragazzo -ed era veramente strano poterlo definire così- era
in
ritardo di ben venticinque minuti.
"Tranquilla, Chiara.
Tanto anche Lorenzo è sempre in ritardo", mi
rassicurò Greta
dopo l'ennesimo insulto.
Sbuffai. "Non vuol dire niente,
abbiamo un appuntamento e odio arrivare fuori orario".
"Cosa
dice Carlo?", mi chiese quindi.
Sbuffai di nuovo, per almeno
la centesima volta durante quel sabato. "Arriva tra cinque
minuti. E l'ha detto anche prima", le feci notare.
"Non
preoccuparti", mi ripeté. "Arriveremo in tempo".
"Non dovevo chiedere a lui di passarci a prendere",
borbottai stizzita.
"Lorenzo ha una moto e non ci saremmo
state entrambe", mi spiegò tranquilla. "E nessuna delle
due ha ancora la patente".
"Non vedo l'ora di compiere
i diciotto anni", mi lamentai, mentre il telefono mi vibrava tra
le dita. Lessi velocemente il messaggio e sospirai. "Andiamo,
finalmente è arrivato", le dissi, alzandomi dal letto.
Ci
infilammo le giacche e le scarpe e, salutati i miei genitori, uscimmo
di casa. Davanti al mio vialetto c'era la macchina di Carlo, dove lui
ci aspettava con un sorriso di scuse.
"Perdonatemi, ragazze,
ho avuto un'enorme contrattempo", disse quando entrammo.
"Cos'è
successo?", gli chiesi preoccupata, dimenticandomi di essere
arrabbiata con lui.
Carlo si sbilanciò verso di me e mi diede un
veloce bacio a stampo. Sentii un brivido attraversarmi la schiena a
quel gesto tanto intimo quanto naturale e dovetti sforzarmi per
trattenere un sorriso smagliante. "Questo pomeriggio mia sorella
si è fatta male e ho dovuto accompagnarla al pronto
soccorso. Siamo
stati lì un'eternità e mi è morto
anche il telefono nel
frattempo", spiegò, mentre metteva in moto la macchina.
"Cavolo, sta bene?", esclamai preoccupata.
"Sì",
annuì lui. "Solo una distorsione alla caviglia".
Rabbrividii, ricordando per un secondo quando era capitato a me,
anni prima.
"Ma ora è a casa, tranquilla. Le è dispiaciuto
non poter finire la partita, oggi", disse con un tono talmente
tenero che mi fece sorridere.
"A cosa gioca?", gli
chiese Greta, seduta sui sedili posteriori.
"Pallavolo. Non
chiedetemi niente perché non saprei dirvi in che serie o
roba del
genere gioca", scherzò.
"L'importante è che non sia
nulla di grave", dissi con un sospiro di sollievo.
Carlo
annuì, voltandosi poi verso Greta. "Sai la strada?", le
chiese. "Ho capito più o meno dove si trova, ma sarebbe
meglio
non perderci, considerato che siamo già in ritardo".
"Vai
verso la scuola", disse lei. "Poi da lì ti guido io".
Carlo accelerò e mi ritrovai appiccicata al sedile. Non gli
dissi niente, soprattutto perché gli avevo già
fatto notare che non
era molto sicuro giudare a quelle velocità in paesini
piccoli come
il mio, ma lui si era limitato a rassicurarmi che sapeva cosa stava
facendo. Ero comunque contenta che, rispetto alle prime volte, aveva
diminuito notevolmente la velocità.
"Sono così contenta
che conoscerai Lorenzo!", esclamò poi Greta.
"Il tuo
ragazzo?", le chiese Carlo, curioso.
"Finalmente",
dissi io mentre lei annuiva. "Stavo iniziando a pensare che non
esistesse nemmeno".
"Esagerata", rise lei. "È
che non abbiamo mai avuto l'occasione di uscire tutti insieme. Poi
lui quest'anno ha iniziato l'università ed è
sempre
impegnatissimo".
"Come si chiama di cognome?", si
intromise Carlo. "Forse lo conosco".
"Fabbri.
Veniva nella nostra scuola".
"Sì, ho capito chi è",
rispose lui, mentre io rimuginavo su quel cognome. Aveva qualcosa di
familiare, ma non riuscivo a ricollegarlo a nessun volto nella mia
memoria.
"Ah, ora gira a destra", esclamò Greta,
accorgendosi all'improvviso della strada.
Carlo eseguì e per il
resto del viaggio si sentirono solo sue indicazioni per arrivare al
piccolo bar dove avevamo deciso di incontrarci quella sera. Ci
sarebbe stato Lorenzo con alcuni suoi amici, e avevo invitato anche
Vera con il suo ragazzo, Alessandro.
Quando entrammo nel
parcheggio riconobbi subito la mia amica e, appena scesa dalla
macchina, corsi ad abbracciarla. Non la vedevo da settimane: lei era
sempre impegnata in palestra, mentre io non avevo un mezzo di
trasporto per poterla andare a trovare al suo paese, che distava
quasi venti minuti dal mio.
"Sono felice di vederti",
esclamò lei. "Pensavo non arrivassi più".
"Sì,
Carlò è arrivato in ritardo", dissi indicando il
ragazzo che
intanto mi aveva raggiunto, accompagnato da Greta che continuava a
guardarsi intorno.
"Ah, il famoso Carlo!", disse lei
ridendo e allungando una mano per presentarsi. "Sono Vera".
"Il Famoso Carlo", si presentò invece lui, facendoci
ridere tutti.
Vera presentò anche il suo ragazzo, ma fummo
distratti da un urletto di Greta, che corse incontro a una macchina
che era appena arrivata, per poi saltare letteralmente addosso a uno
dei ragazzi che scese dalle portiere posteriori.
Quello, invece,
doveva essere il famoso Lorenzo. Da lontano non riuscivo a vederlo
bene in volto, ma era molto alto, forse anche più di Carlo,
con due
spalle enormi e le braccia muscolose. Dentro di me continuavo a
ripetermi il suo cognome, ma fu solo quando si avvicinò e
incrociai
i suoi occhi che capii dove l'avessi già sentito.
All'improvviso
mi sentii catapultata all'indietro nel tempo, mentre nella mia testa
partivano immagini del mio passato in compagnia di un ragazzino che
abitava vicino a me.
"Saremo
sempre amici?".
"Finalmente
ti conosco!", esclamò lui, allungando una mano verso di me e
riportandomi alla realtà.
La strinsi,
incerta, e cercai di
sorridere. Mi aveva riconosciuta? Dal suo sguardo era chiaro che non
aveva la minima idea di chi fossi e, per un attimo, mi chiesi cosa
dovessi fare.
Prima che
potessi decidere, tutti si incamminarono
verso l'entrata del bar e mi ritrovai a seguirli automaticamente.
Carlo mi prese per mano e mi lanciò un'occhiata
interrogativa, alla
quale risposi scuotendo la testa. Non era quello il luogo e il
momento per rivelargli i miei trascorsi con Lorenzo.
Mi lasciai
per un attimo distrarre dal posto: era un locale abbastanza piccolo e
rustico, ma accogliente e informale, perfetto per una serata senza
pretese tra amici. All'improvviso mi accorsi di non aver nemmeno
sentito i nomi degli amici di Lorenzo e mi diedi della stupida e
della maleducata. Erano due ragazzi e una ragazza, che camminavano
con la sicurezza di chi conosce il posto, e ridevano tra loro come se
si conoscessero da sempre.
"Ehi",
richiamai Carlo,
tirandolo per la mano. "Come si chiamano?", gli chiesi a
bassa voce, mentre un cameriere ci portava a un tavolo.
Carlo
abbozzò un sorriso. "La tipa si chiama Marta, i due ragazzi
Giulio e Alberto", mi rispose. "Pensavo li conoscessi".
Scossi la
testa. "Non esco spesso con Greta", gli
rivelai, evitando di dire che recentemente non ero uscita spesso e
basta.
Ci sedemmo a
un tavolo rotondo ai lati della sala, vicino
alle finestre. Mi trovai tra Carlo e Vera e, mentre scambiavo qualche
parola con la mia amica, sentii Lorenzo rivolgersi al mio ragazzo.
Evidentemente si conoscevano entrambi di vista, come aveva ipotizzato
Carlo poco prima in macchina e, essendo seduti vicini, si trovarono a
conversare per un po' sulla scuola e i vecchi professori.
Mi
ritrovai a sorridere al pensiero che, forse, avrei potuto
riallacciare la profonda amicizia che mi aveva legato a Lorenzo da
bambini. Certo, eravamo entrambi cambiati molto, ma all'epoca gli
avevo voluto bene e, anche se in quel momento Carlo ricopriva ormai
quel ruolo, ero certa di provare ancora dell'affetto nei suoi
confronti.
Ordinammo da
bere e passammo la serata a chiaccherare
tranquillamente. Scoprii che Marta e Alberto stavano insieme da anni
e che i due ragazzi erano gemelli. La ragazza, inoltre, era
simpaticissima con le sue battute spigliate e gli insulti verso i
ragazzi, che trattava come se fossero la sua famiglia. Parlai anche
un po' con Lorenzo, cercando di tenermi su un territorio neutro per
capire se si ricordasse di me o meno, ma non riuscii a intuire cosa
si nascondesse dietro i suoi occhi verdi. Quell'incertezza mi
stordì
al punto che Carlo mi trascinò fuori dal locale con la scusa
di una
sigaretta. "Si può sapere che ti prende?", mi chiese
quando fummo fuori all'aria aperta.
Presi un
grosso respiro per
calmarmi. "Lo conosco", dissi. "Lorenzo, intendo".
Carlo
agrottò le sopracciglia, mentre si accendeva la sigaretta.
Poi si sedette su uno dei gradini e mi fece segno di imitarlo.
"Da
bambini abitavamo vicini ed eravamo inseparabili, ma poi lui si
è
trasferito e non ci siamo più sentiti", gli spiegai.
"Sei
sicura che sia lui?".
"Praticamente
certa. Ha lo stesso
cognome e gli stessi occhi. Non potrei mai dimenticare il suo
sguardo", mormorai nostalgica.
"Devo essere
geloso?",
mi chiese Carlo ridacchiando e stringendomi le spalle con un braccio.
Sorrisi e
scossi la testa. "No. Lorenzo era il mio migliore
amico e non riuscirei mai a pensare a lui come a qualcosa di diverso
di un fratello".
"Bene,
perché stavo iniziando a
preoccuparmi che mi avresti mollato per quel tipo".
Alzai un
sopracciglio, guardandolo sorpresa dal basso. "Che stai
dicendo?".
Lui
buttò fuori il fumo e spense la sigaretta
sotto la scarpa. "Sei strana da quando l'hai visto. Che ne
potevo sapere, magari ti aveva fatto qualche incantesimo e ti eri
innamorata di lui".
Scoppiai a
ridere davanti a quella
prospettiva che trovai inaspettatamente dolce e tremendamente tenera.
"Sei carino quando sei geloso", sussurrai appoggiando di
nuovo la testa sulla sua spalla.
Lui mi strinse
di più a sé.
"Sì, beh, però vedi di non innamorarti davvero",
borbottò
imbarazzato.
Io risi di
nuovo, per poi allungarmi e dargli un
piccolo bacio ad occhi aperti. "Sto con te, no?", gli
chiesi retorica.
Lui
annuì e mi rapì le labbra in un nuovo
bacio, questa volta più profondo. Adoravo baciare Carlo:
ogni volta
mi perdevo tra le sue braccia e nel suo profumo, che si trasormava
sempre in quello del miele del nostro primo bacio.
"Dovresti
smettere di fumare", gli dissi quando ci staccammo, sentendo
sulla lingua il sapore del tabacco.
Lui
sospirò. "Sono anni
che ci provo", mi rivelò. "Ma rinizio sempre quando sono
nervoso".
"Io non ti
vieto di fumare perché non sono
tua madre e nemmeno te stesso. Però preferirei baciare una
bocca che
sa di miele, piuttosto di una che sa di fumo".
Lui
annuì,
comprensivo. "Hai ragione", disse, frugando nella tasca e
estraendo una caramella al miele. Se la mise in bocca e poi mi
guardò
con un sorriso. "Ora posso?".
"Non dovresti
nemmeno chiederlo", dissi piano, avvicinandomi di nuovo a lui.
Quella sera
non dissi niente a Lorenzo, anche perché la passai
tutta tra le nuvole al sapore di miele, ma decisi che avrei chiesto
il suo numero a Greta e che lo avrei chiamato. Volevo riallacciare i
rapporti con lui e il fatto che fosse il ragazzo della mia migliore
amica semplificava enormemente le cose.
Non sapevo
quanto fosse
cambiato e cosa gli fosse successo in tutti quegli anni, ma ero certa
che averlo di nuovo al mio fianco sarebbe stata la scelta giusta.
Dopo mesi infiniti ecco che
finalmente riesco ad aggiornare.
Vorrei scusarmi con le poche persone che mi hanno seguito e aspettato,
ma tra l'ansia della maturità, l'eccitazione dell'estate e
di nuovo l'ansia per l'università questa storia è
passata in secondo piano. La finirò, prima o poi, ma non
garantisco aggiornamenti puntuali. Anzi, molto probabilmente passeranno
settimane tra un aggiornamento e l'altro e di questo vorrei scusarmi in
anticipo.
E ci terrei anche a fare una precisazione, facendo riferimento a un
messaggio privato che mi è arrivato e che mi ha dato
parecchio fastidio. Ho risposto lì alla diretta interessata,
ma vorrei che questo fosse chiaro a tutti. Il fatto che lo scorso
capitolo non abbia avuto molto successo mi ha fatto capire che la
svolta presa dalla storia è diversa da quella immaginata da
voi lettori, ma, e mi scuso se sembro cattiva, acida, mestruata o
quello che volete, ma questa è la mia storia e decido io
cosa fare succedere. E no, se c'è altra gente che se lo sta
chiedendo, non ho intenzione di lasciare carta bianca ai lettori. Non
è così che funziona, almeno secondo me. Quindi mi
fa piacere se leggete la mia storia e mi fa ancor più
piacere se lasciate un commento, ma, per favore, non venite a dirmi
cosa dovrebbe succedere "per aumentare le recensioni". Non è
per questo che scrivo, mi dispiace. E se la storia non è di
vostro gradimento, potete sempre smettere di leggerla.
Spero di avere chiarito ogni dubbio e mi dispiace per questo sfogo, ma
davvero non riesco a tollerare queste cose.
Nella speranza di risentirci presto, auguro buon inizio di scuola a
tutti
Mikchan