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Autore: evelyn80    16/09/2015    4 recensioni
Dopo aver espresso il desiderio di poter salvare Boromir dalla sua triste fine, Marian si ritrova catapultata nella Terra di Mezzo grazie ad un gioiello magico che la sua famiglia si tramanda di generazione in generazione. Si unirà così alla Compagnia dell'Anello per poter portare a termine la sua missione. Scoprirà presto, però, che salvare Boromir non è l'unica prova che la attende.
Ispirata in parte al libro ed in parte al film, la mia prima fan fiction sul Signore Degli Anelli.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boromir, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La mia Terra di Mezzo'
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Incontri

 

La mattina dopo, al risveglio, scoprii con disappunto che il detto “la notte porta consiglio” non aveva alcun fondamento di verità, visto che mi sentivo ancora più confusa di prima.
Il dolore alla spalla era diventato sopportabile, niente più che un fastidioso prurito, quindi decisi di alzarmi per far fare un po’ di movimento alle gambe, che erano quasi più indolenzite della spalla stessa a causa della forzata immobilità. Stavo passeggiando avanti ed indietro per la stanza, subito dopo aver fatto colazione, quando la porta si spalancò e Pipino entrò di volata, senza nemmeno bussare. Lo guardai con aria interrogativa – e, forse, anche un po’ scocciata – stupita dalla sua irruenza. Nel vedere la mia faccia, si rese conto di essere stato molto maleducato e, senza dire una parola tornò indietro, bussò, aspettò che dicessi "avanti" e solo allora entrò di nuovo, con un’espressione così compunta da farmi scoppiare a ridere.
"Sciocco! Non volevo mica che tu entrassi di nuovo? Ormai eri dentro!" esclamai, cercando di trattenere le risa.
"E invece era doveroso che lo facessi!” mi rispose, serio. “Sono una guardia della Cittadella! Devo comportarmi come un gentilhobbit!"
La sua faccina tutta convinta mi fece scoppiare di nuovo a ridere. Fui costretta a mettermi a sedere sul letto perché le gambe, ancora deboli, rischiavano di cedere. Gli feci cenno di accomodarsi accanto a me e lui obbedì, facendo penzolare i piedi oltre il bordo del materasso.
"Lo sai che stai veramente bene con la divisa di Gondor? Sembri persino più alto!" osservai, scrutandolo attentamente.
"Sono più alto!" esclamò lui in risposta, rizzandosi di nuovo in piedi e mettendosi sull’attenti. "Ho bevuto l’acqua dell’Entalluvio nella foresta di Fangorn, quando io e Merry eravamo con Barbalbero!” mi spiegò. “Quell’acqua è veramente miracolosa! Anche Merry è cresciuto, ma non quanto me!"
"A proposito di Merry, come sta?" chiesi, sinceramente interessata. Benché sapessi che era sopravvissuto, avevo comunque a cuore la sua salute.
"Meglio adesso, anche se se l’è vista brutta, anche lui” rispose Pipino, rabbuiando lo sguardo. “Ha quasi perso ľuso del braccio destro e solo per aver dato una pugnalata in un ginocchio al Re degli Stregoni! Se ti va possiamo andarlo a trovare!"
"Molto volentieri!"
"Così almeno ci racconterai cosa ti è successo!" incalzò l’Hobbit, speranzoso.
"Certo” concessi, “e voi lo racconterete a me."
Seguii Pipino fuori della mia stanza ma, dopo aver fatto solo pochi passi, fummo fermati da un inserviente che avanzava verso di noi a passo di marcia.
"È Bor, il responsabile delle Case" mi sussurrò Pipino a mezza bocca mentre l’Uomo ci raggiungeva.
"Buongiorno, mia signora” disse quello, con un inchino. “Sono spiacente, ma devo pregarvi di tornare nella vostra stanza!"
Non ne vedevo il motivo, per cui puntai il pugno sinistro contro il fianco.
"E perché?" gli chiesi, con una nota di fastidio nella voce.
"Perché Sire Aragorn e Sire Boromir mi hanno raccomandato di tenervi a riposo!" rispose semplicemente Bor.
"Non voglio mica andare a fare la maratona di New York! Vado solo a trovare un amico, anche lui si trova all’interno delle Case" gli risposi, cercando di non alzare troppo il tono.
"Vi siete svegliata solo ieri pomeriggio. Dovete ancora recuperare le forze!" insisté l’Uomo, con un piglio che non ammetteva repliche.
"Non lo farò di certo standomene a letto!” gli risposi, perdendo infine la calma. “Ed ora fatemi passare, per favore!"
Il responsabile mi si parò davanti, con le mani sui fianchi. Senza sapere bene il perché, estrassi la “Stella di Fëanor” dalla tasca dei pantaloni – dove l’avevo riposta dopo che Boromir ne aveva strappato la catena – e la feci oscillare davanti agli occhi di Bor, quasi come un ipnotizzatore con il suo pendolo. Per alcuni istanti l’Uomo ne osservò la fredda brillantezza, affascinato, poi all’improvviso il suo sguardo divenne vitreo. Lentamente si fece da parte e ci lasciò passare.
Pipino mi trotterellò accanto, continuando a guidarmi verso la stanza di Merry.
"Bella trovata quella di fargli vedere la “Stella”!” esclamò, “ma… mi spieghi cos’è la maratona di…" si interruppe, dubbioso, senza riuscire a ricordare lo strano nome che avevo pronunciato.
"Di New York? E’ una corsa lunga quarantadue chilometri che si svolge, appunto, nella città di New York, una volta l’anno. Ce ne sono molte altre, oltre a quella, nel mio mondo: Londra, Parigi, Tokyo, Roma…" elencai, tenendo il conto sulla punta delle dita.
In breve giungemmo da Merry. L’Hobbit fu molto contento di vedermi ma, anche lui, mi rimproverò per non avergli rivelato la mia vera identità.
"A me avresti potuto dirlo, che eri tu!" esclamò, incrociando a fatica le braccia sul petto, mortificato dalla mancanza di fiducia che avevo dimostrato nei suoi confronti.
"Scusami Meriadoc, ma avevo le mie buone ragioni” gli risposi, poggiandogli la mano sulla spalla. “Avanti, raccontatemi piuttosto degli Uruk-Hai e di Barbalbero!" ripresi subito dopo, in tono più allegro, sinceramente curiosa di conoscere la loro versione della storia.
Gli Hobbit si lanciarono subito in un frenetico racconto a due voci e, mentre l’uno parlava, l’altro annuiva e viceversa.
"Non immagini nemmeno quanto ho sofferto, quando Boromir mi ha detto che eri morta" mi rivelò Pipino interrompendo suo cugino, impegnato nel racconto dell’arrivo di Gandalf e degli altri ad Isengard dopo la sua distruzione da parte degli Ent. "All’inizio non ci volevo credere! Poi mi ha fatto vedere la "Stella" e le cicatrici… Ho pianto per un’ora di fila…" mormorò, le lacrime che tornavano a roteare nei suoi grandi occhi verdi al solo ricordo.
"Un’ora e mezza" interloquì Merry, "sulla mia spalla! Alla fine, ho dovuto stendere il gilet al sole per farlo asciugare!"
La battuta allentò la tensione, facendoci scoppiare a ridere. Avevo intuito, già parecchio tempo prima, che Pipino provava qualcosa per me ed il modo in cui mi aveva guardato, quando aveva pronunciato le sue parole, me lo aveva confermato. Incapace di trattenermi, lo strinsi d’impeto in un mezzo abbraccio, serrandolo contro di me con il solo arto sinistro, dato che l’altro era ancora immobilizzato dalla fasciatura. Per non fare differenze, ed evitare illusioni al mio piccolo amico, feci lo stesso con Merry prima di iniziare a raccontare la mia parte di storia.
All’ora di pranzo mi trovavo ancora nella stanza dell’Hobbit. Non appena uno degli infermieri portò il vassoio con il cibo, Pipino saltò in piedi tutto imbarazzato. Nella foga del racconto aveva completamente dimenticato che, nonostante la morte di Denethor, lui era comunque ancora una guardia della Cittadella e, quindi, agli ordini di Boromir. Avrebbe dovuto recarsi a palazzo almeno un’ora prima. Ci salutò in fretta ed imboccò la porta correndo come il vento, sferragliando come un vecchio treno per via dell’armatura che indossava.
Non appena l’eco della corsa di Peregrino si smorzò salutai Merry a mia volta, lasciandolo con la promessa che sarei tornata a trovarlo, più avanti. Non avevo voglia, però, di rinchiudermi nella mia stanza. Quelle quattro pareti mi parevano tanto opprimenti da togliermi persino il respiro, così decisi di continuare a passeggiare per le Case di Guarigione, che erano immense e racchiudevano persino un giardino al loro interno. Il parco si apriva come una terrazza, affacciata sulle mura della città in direzione est. Trovandosi nella sesta cerchia e, quindi, piuttosto in alto, da lì la vista spaziava molto all’intorno. Quel giorno il vento soffiava da sud, portando con sé un vago sentore di salmastro, a dispetto dei fumi che ancora si alzavano da Mordor. Non era ancora finita: Frodo non aveva ancora raggiunto il Monte Fato e l’Anello doveva ancora essere distrutto.
Mi accostai al muro di cinta e socchiusi gli occhi, respirando la brezza marina e godendo del tepore del sole primaverile che riusciva a filtrare tra le spesse nubi. Dopo pochi attimi, le mie orecchie acute colsero un rumore di passi leggeri alle mie spalle. Un Uomo si schiarì lievemente la voce e pronunciò il mio nome, quasi con reverenza.
"Dama Marian?"
Già immaginando chi potesse essere il mio interlocutore, mi voltai lentamente. Per la prima volta, da quando ero giunta nella Terra di Mezzo, vidi Faramir.
Notai subito che non c’era una somiglianza molto stretta tra i due fratelli, anche se entrambi avevano i capelli biondo scuro, il naso piuttosto importante e lo stesso sguardo fiero. Mi sorrise dolcemente mentre mi affiancava.
"Vedo che sapete il mio nome, Capitano Faramir" gli dissi, rispondendo al suo sorriso.
"E voi conoscete il mio."
"Vostro fratello mi ha parlato di voi" gli spiegai, abbassando lievemente gli occhi.
"E lo stesso ha fatto con me, narrandomi di voi… molto a lungo" aggiunse, con una punta di malizia.
"Spero in termini positivi…" esalai, incapace di trattenermi, alzando di nuovo lo sguardo.
"Più che positivi, direi” mi rispose senza esitare. “Boromir è innamorato pazzo di voi! Non appena ho saputo che eravate qui ho subito provato il desiderio di conoscervi, di incontrare la fanciulla che è miracolosamente riuscita a fare breccia nel cuore di mio fratello" ridacchiò.
Al sentire quelle sue parole mi rabbuiai, ricordando l’ultimo scambio di battute che avevo avuto con il Sovrintendente. Faramir se ne accorse e riprese subito a parlare.
"State pensando a quello che è successo ieri, non è vero?" mi chiese, fattosi di colpo serio, fissandomi negli occhi con intensità.
"Siete molto perspicace…" mormorai.
"La perspicacia è l’unica cosa che abbia mai avuto in comune con mio padre" disse, quasi con amarezza, voltando lo sguardo verso Mordor. Gli posai la mano sinistra sul braccio, in un gesto che voleva essere consolatorio.
"Mi dispiace molto per quello che è successo al vostro genitore."
Lui scosse la testa, come a voler scacciare un brutto ricordo.
"Ve ne ha già parlato mio fratello?"
"No. In realtà ho avuto una visione… tramite questa" risposi, togliendo di nuovo la “Stella” dalla tasca.
"La “Stella di Fëanor”…" mormorò Faramir, osservandola con timore reverenziale. Conosceva, a grandi linee, la storia di quel gioiello: in parte perché ne aveva letto su antichissime pergamene, nella biblioteca della città durante i suoi studi con Gandalf; ed in parte perché Boromir gliene aveva parlato molto a lungo, durante la sua degenza.
"Sì” confermai. “Non appena l’ho presa in mano, dopo che vostro fratello me l’ha restituita, ho visto tutto quello che gli era accaduto, come se l’avessi vissuto in prima persona."
Lui annuì gravemente prima di continuare.
"Quindi, sapete anche che mio fratello vi ha detto la verità. Su tutto."
Lo guardai di nuovo, incredula. Evidentemente, Boromir doveva avergli raccontato ogni minimo particolare.
"Sì, ora lo so con certezza" ammisi, piena di vergogna, chinando il capo ed arrossendo.
"Ed allora, cosa c’è che ancora vi blocca?" disse di getto, senza riuscire a trattenere le parole. Si rese conto di essere stato maleducato e subito si scusò. "Perdonatemi, mia signora, sono stato molto inopportuno” tentò di giustificarsi, “ma è l’amore che provo per mio fratello che mi ha fatto dire ciò che penso, senza riflettere."
"Non preoccupatevi” replicai, scuotendo la testa, “sono a conoscenza del rapporto di amore fraterno che vi lega.” Alzai di nuovo lo sguardo su di lui, fissandolo negli occhi, quasi perdendomi nella loro profondità. “Vi parlerò del dilemma che mi affligge, se mi promettete che non direte nulla a Boromir…" esalai, tendendo la mano verso di lui, come in cerca di un appiglio.
"Ve lo giuro sul mio onore" mi rispose, stringendomi la sinistra con entrambe le sue.
E lì, nel giardino delle Case di Guarigione, aprii il mio cuore a Faramir, raccontandogli tutto quanto era successo tra me e suo fratello, dall’inizio alla fine: dalla prima volta in cui ci eravamo visti, a Rivendell, al nostro ultimo incontro a Minas Tirith. Ogni frase, ogni gesto, ogni allusione, ogni rifiuto. Poi, gli parlai della missione che ancora mi attendeva e del timore di tornare ancora una volta diversa, oppure di non tornare affatto.
"Ora sapete perché ho ancora dei dubbi. Io amo vostro fratello, e non voglio farlo soffrire inutilmente" conclusi con un sospiro.
Faramir trasse un lungo respiro, lo sguardo fisso sulle Montagne dell’Ombra.
"Mio fratello ha sofferto molto per la morte di nostra madre” disse, infine. “Vedete… lui ha dovuto fare da padre, da madre e da fratello, per me. E, all’epoca, aveva solo dieci anni" mi spiegò, in tono cupo.
"Ma, vostro padre…" cominciai, ma lui mi fermò, alzando una mano.
"Mio padre non ha mai avuto alcun interesse per me” disse, secco. “È stato Boromir a fare di me quello che sono diventato, ed io gliene sarò grato per sempre!” esclamò, voltandosi infine dalla mia parte. “Anche se forse potrà sembrarvi strano, mio fratello non è un donnaiolo, anche se ve lo ha fatto erroneamente credere.” Si interruppe per un istante, come valutando quali parole dovesse usare. “È vero, ogni tanto ha i suoi passatempi” ammise, infine, “ma quale uomo, nel suo pieno vigore, non ne ha? Anch’io, ogni tanto, mi diletto…” Si interruppe all’improvviso, notando lo sguardo omicida che, involontariamente, gli avevo lanciato, gli occhi ridotti a due fessure e le labbra compresse a tal punto da farle quasi scomparire. Alzò le mani, in segno di resa, prima di riprendere a parlare in tono accorato. "Non guardatemi a questo modo, ve ne prego! Non abbiamo moglie… Non facciamo torto a nessuno, se non forse a noi stessi…"
Sospirai, rilassando i lineamenti.
"Sì, probabilmente avete ragione…" fui costretta ad ammettere.
Rincuorato dalla mia reazione, Faramir proseguì.
"Ma se mio fratello sostiene di amarvi, potete credergli fino in fondo. Alla morte di nostra madre ha giurato a se stesso che non avrebbe mai amato nessun’altra donna. Se ha infranto il suo giuramento deve pur esserci un motivo."
"Mi fido delle vostre parole” gli risposi con enfasi, “ma questo mi riporta al mio dilemma! E se non dovessi tornare? L’ho già fatto soffrire una volta, quando ha creduto che fossi morta. E se, questa volta, dovessi morire davvero? Ne sarebbe distrutto, stando a quello che mi dite anche voi."
A malincuore, Faramir annuì.
“Ne morirebbe…” mormorò a mezza voce, chinando lo sguardo.
"Allora, credo sia meglio non dirgli niente, per il momento. Almeno, se non tornerò lui si sarà già messo il cuore in pace” riflettei ad alta voce. “Se, invece, dovessi ritornare, allora gli racconterò tutto."
L’Uomo annuì ancora.
"È una scelta che spetta solamente a voi e, qualunque essa sarà, io la rispetterò” disse, serio. “Vi avverto, però, che al vostro ritorno potrebbe essere già troppo tardi. Se il suo cuore si indurisce troppo potrebbe non accettarvi mai più" aggiunse, incupendosi.
A quelle parole le mie spalle si incurvarono. Con quella frase mi faceva sprofondare di nuovo nel dubbio. Mi sarei presa volentieri a schiaffi, pur di potermi schiarire le idee.
Ringraziai Faramir per avermi prestato ascolto. Egli fece un piccolo inchino, baciandomi la mano. Dopo un ultimo cenno di saluto lo lasciai da solo nel giardino. Volevo andare a trovare Éowyn e ringraziare anche lei per tutto l’aiuto che mi aveva dato.
La trovai alle prese con il responsabile delle Case di Guarigione. Pure lei voleva uscire per fare una passeggiata e l’Uomo stava cercando di impedirglielo. Non appena mi vide arrivare, Bor si immobilizzò guardandomi terrorizzato, poi si allontanò veloce come il vento, lasciandoci sole. Éowyn seguì la sua ritirata spalancando gli occhi per lo stupore, voltandosi poi a guardarmi con aria interrogativa.
"Ho già avuto un incontro con lui questa mattina: non voleva far uscire neppure me” le spiegai, cercando di trattenere una risata. “Come state, dama Éowyn?" le chiesi infine, incamminandomi al suo fianco.
"Forse dovrei dire bene… ma sarebbe una bugia, dama Ennòna. Non sono riuscita a salvare l’uomo che amavo come un padre” mi confidò, abbassando lo sguardo a terra.
"Ma avete sconfitto il Re degli Stregoni, e questa non è certo un’impresa da poco" le ricordai, cercando di risollevarle il morale.
"Non è servita a nulla, se tutti continuano a considerarmi debole ed indifesa!” esclamò, piena di rabbia, cogliendomi di sorpresa. “Non mi è permesso neppure allontanarmi dalla mia stanza! Sono ancora chiusa in una gabbia… ciò che temo di più."
"Vedrete che le cose si sistemeranno… ancora prima di quanto crediate” le risposi, enigmatica. “Sono venuta a ringraziarvi per il vostro aiuto" aggiunsi, prendendola sotto braccio.
Lei non mi rispose ed io non aggiunsi altro. Era ancora molto turbata e quello, riflettei, era forse il momento giusto per farle incontrare Faramir.
"Questo posto ha un giardino bellissimo! L’avete già visto?" le chiesi in tono leggero, cercando di mascherare la malizia che mi aveva spinto a pronunciare quelle parole.
Lei scosse la testa, apparentemente priva di interesse. Non demorsi e la guidai risoluta verso il parco, cedendole poi il passo una volta giunte sulla soglia. Faramir era ancora in piedi, vicino al muretto di cinta. Non appena udì i nostri passi si voltò con un sorriso. Lei procedette all’esterno ma io rimasi ferma all’ingresso.
“Voi non venite, Ennòna?" mi chiese la Scudiera di Rohan, voltandosi a guardarmi piena di sorpresa.
"No… Perdonatemi, ma ho già visitato il giardino. Comunque, non sarete da sola: quello che vedete laggiù è il Capitano Faramir, il figlio minore del Sovrintendente Denethor. È un ottimo anfitrione. Vi lascio in buona compagnia…" e, dopo averle strizzato l’occhio, ricevendo in cambio un’occhiata scandalizzata, mi ritirai, tornando a percorrere in lungo ed in largo l’edificio e raggiungendo nuovamente la mia camera solo nel tardo pomeriggio.
Mi ero da poco messa a sedere sul letto quando qualcuno bussò alla porta. Era Pipino, che tornava dal Palazzo dei Re portando le ultime novità.
"Domani l’esercito parte nuovamente: andiamo al Morannon, al Cancello di Mordor! Aragorn e Gandalf pensano che sia un buon espediente per tenere lontano l’occhio di Sauron da Frodo e Sam” mi informò, la voce resa ancora più acuta dal nervosismo. “L’ho appena detto anche a Merry e quell’idiota mi invidia, perché io posso andare con loro e lui no. Povero scemo! Se potessi me ne starei anch’io qui, al sicuro dentro Minas Tirith, ma Aragorn ha detto che dovranno essere presenti tutti i rappresentanti delle diverse razze della Terra di Mezzo che sono nemiche dell’Oscuro Signore…"
"Partite di già?!” esclamai, interrompendo il suo fiume di parole. “Cavoli, io non mi sono ancora ripresa! Devo farmi assolutamente togliere queste bende!" aggiunsi, cercando di liberare il braccio destro da quel viluppo di stoffa e finendo soltanto con l’annodarmi ancora di più. "Posso chiederti un favore?" continuai, sempre tirando disperatamente per sciogliere i nodi. "Potresti far riparare la “Stella” da qualcuno? La catena d’oro si è rotta."
Tolsi di tasca il gioiello e glielo porsi, senza smettere di dimenarmi come un’anguilla. Prima di partire con gli altri alla volta di Mordor, per compiere la mia ultima missione, la “Stella di Fëanor” doveva assolutamente essere riparata.
"Per questa non c’è problema” mi rispose, afferrando il monile, “ma per quando riguarda la nostra partenza no, non se parla! Tu non ti muovi da qui! Sei ancora troppo debole!” esclamò, preoccupato. “Non fare anche tu come Merry, adesso…" sospirò, cingendomi la vita con le braccia ed affondandomi il viso nello stomaco.
Smisi di contorcermi e sorrisi, passandogli dolcemente la mano libera tra i ricci castani. A quel tocco l’Hobbit alzò il capo, fissandomi con sguardo accorato ed adorante allo stesso tempo, facendomi arrossire.
"Se dovesse succederti qualcosa, non me lo perdonerei mai… E neanche Boromir…" mormorò, tornando a nascondere il viso nelle pieghe dei miei abiti.
"Io non ne sarei così sicura, se fossi in te" gli risposi, allontanandomi da lui e mettendomi a sedere sul letto. Considerando i termini con cui ci eravamo lasciati, nonostante le parole di Faramir non riuscivo proprio a credere che a Boromir importasse ancora qualcosa di me.
"Ed invece ha proprio ragione" disse una voce roca dalla soglia. Alzai lo sguardo e vidi Gandalf che mi guardava con uno strano sorriso.
"Gandalf! Che bello vederti!" esclamai, lanciandomi ad abbracciarlo. Rispose al mio saluto dandomi delle affettuose pacche sulla spalla, poi mi rispedì subito a letto, mettendosi seduto al mio fianco.
"Per oggi ti sei stancata anche troppo! Ora devi pensare a guarire, per portare a termine la tua ultima missione!"
Lo guardai stupita.
"Come lo sai?"
"Sono uno Stregone!” mi rispose, fingendosi offeso dalla mia domanda. “E poi”, aggiunse, “ho parlato con Faramir, questo pomeriggio, dopo che lui ha casualmente incontrato Éowyn di Rohan." Mi scappò da ridere a quell’accenno, ma lui continuò il suo discorso. "Nonostante tutto quello che è stato detto o fatto, Boromir è veramente innamorato di te. Non temere anche tu di lasciarti andare."
"Io non ho paura di lasciarmi andare… Ho paura di non tornare!" replicai, seria.
"Timore più che lecito. Ma non credo che sia questo il tuo caso. In fondo, devi fare una cosa buona! Non lasciare quel poveretto nel dubbio, proprio ora che la partenza incombe."
Sospirai, ma non feci in tempo a ribattere: Gandalf si rialzò dal bordo del letto, dirigendosi verso la porta.
"Chiederò ad Aragorn di venire a controllare le tue ferite, così magari potrai cenare con noi, stasera” aggiunse con un mezzo sorriso, voltandosi a guardarmi. “Andiamo Peregrino Tuc: Marian ha bisogno di dormire, ora. Smettila di importunarla con in tuoi inutili discorsi da Hobbit!" concluse infine, redarguendo il povero Mezzuomo.
Pipino annuì e, dopo avermi salutato con un altro abbraccio, seguì lo Stregone lasciandomi sola. Solo allora mi resi conto che, in effetti, ero veramente stanca. Mi stesi sul letto e, dopo poco, mi addormentai.
Era il diciassette di Marzo, e fu così che incontrai vecchi e nuovi amici.


Spazio autrice: Salve! Buongiorno a tutti! Questo capitolo, nella versione originale della mia storia, era molto più lungo, e comprendeva anche gli avvenimenti della sera e della notte successive. Appunto perché era così lungo (e dopo la revisione si è allungato ancora di più) e dato che, comunque, si prestava bene ad essere scisso in due parti, ho pensato bene di dividere il malloppo originale in due capitoli diversi. Questo ha mantenuto il titolo originale, ovvero “Incontri”, mentre il prossimo avrà, ovviamente, un nuovo titolo
Ancora un’annotazione prima dei ringraziamenti. Non ricordo se il responsabile delle Case di Guarigione ha un nome, nel romanzo originale. Ho scelto di chiamare il mio Bor, il cui significato è “Uomo fidato”.
Voglio ancora ringraziare, con tutto il cuore, tutti coloro che seguono la mia storia e la leggono silenziosamente. In più, voglio citare ancora coloro che hanno recensito la revisione della storia: didi_95, Fjorleif, Flo_Rian23, Laura Mars, Silvye 91, Tielyannawen e Virgo00.
Bacioni!
  
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