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Autore: Megan204    23/09/2015    0 recensioni
Sequel di Non ci saranno altri malandrini, un altro trio. Soltanto delle nuove storie. NON è necessario leggere il prequel, si capisce comunque col tempo.
I Potter arrivano a Hogwarts, primo James.
Creeranno molto scompiglio, insieme ai loro compagni d'avventura, creando un mix di amore, solitudine, paura, segreti, coraggio, intelligenza e tanto altro.
La vita dei Potter non è mai stata tranquilla.
Un mondo magico ancora pieno di pregiudizi, che molti abbatteranno.
E credo che le battaglie del cuore, siano più difficili di quelle contro Lord Voldemort.
Forse i Potter, in quello, non sono così bravi.
E insieme ai Potter, il clan Weasley-Malfoy-Scamandro-Nott-Zabini e chi più ne ha ne metta porterà una ventata di freschezza.
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Lily Luna Potter | Coppie: James Sirius/Dominique, Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Ma buonasera! La vostra Megan più odiata è tornata.
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Ci Sentiamo al fondo.




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We are the heroes of our time.
 
He said go dry your eyes
And live your life like there is no tomorrow, son
And tell the others To go sing it like a hummingbird
The greatest anthem ever heard
We are the heroes of our time
But we’re dancing with the demons in our minds
We are the heroes of our time
 
Ha detto vai ad asciugarti gli occhi
e vivi la tua vita come se non ci fosse un domani, figliolo
e dillo agli altri Di andare a cantare come un colibrì
il più grande inno mai ascoltato

Siamo gli eroi del nostro tempo
ma balliamo con i demoni nella testa

Siamo gli eroi del nostro tempo
Heroes, Mans Zelmerlöw
 

 
 
Le vacanze le amava e le odiava.
Le amava perché insomma, erano vacanze.
Poi le odiava, perché equivalevano ai parenti in casa.
E se c'era una cosa che odiava erano i suoi parenti francesi.
Era da circa 20 anni che per la prima settimana di maggio, gli studenti di Hogwarts avevano l'opportunità di tornare a casa per celebrare la festa della commemorazione* con i parenti, avendo subito più o meno gravi perdite.
La sua famiglia era stata duramente colpita e lei e i suoi cugini avevano l'usanza di passare la notte a spiaggia, nonostante il clima non favorevole.
Malgrado la tristezza dell'evento, la famiglia Weasley riusciva sempre a rendere onore ai morti con dignità e un pizzico di felicità giovanile.
Ma in quel momento, Dominique non capiva per quale sconosciuto motivo si trovava, due giorni prima del compleanno di sua sorella, sul divano ad ascoltare noiosissimi discorsi in francese.
Era sdraiata sulle gambe di Victoire, che le accarezzava i capelli, osservando sua zia Gabrielle e una lontana cugina di sua madre, Urielle o qualcosa di simile, borbottare in francese sotto lo sguardo delle figlie delle due, Chanel e Monique.
Le odiosissime Chanel e Monique.
Erano il classico stereotipo di ragazzina francese con la puzza sotto al naso, il totale opposto di Dominique e Victoire.
La differenza la si vedeva solo dal modo di stare sedute, le due francesi con la schiena dritta sulla poltrona e le gambe accavallate in una posa accattivante, mentre la Weasley bionda aveva le gambe incrociate, con la testa della sorella su esse mentre stava stravaccata sul divano.
Dominique sbuffava a intervalli regolari, alzando gli occhi al cielo e facendoli roteare, tranne quando aveva l'ispirazione momentanea e iniziava a imitare con espressioni stupide le due ragazze, facendo sorridere Victoire.
«Dominique, vous devriez vous habiller plus féminine!**» intervenì Chanel, rivolgendosi con voce melensa alla cugina.
Dominique le lanciò uno sguardo di fuoco, arricciando le labbra in una smorfia.
Odiava il francese, non l'aveva mai voluto studiare ma lo capiva a malapena.
Si guardò i vestiti facendo l'ennesima smorfia.
Aveva preso dei vestiti a caso, arrivando a infilarsi un paio di pantaloni della tuta di Louis e una maglia con disegnato un mostro.
Tutto l'opposto dell'abbigliamento curato ed elegante delle due.
Victoire aumentò le carezze ai capelli come a calmare la sorella, che rispose acidamente:
«No, voglio darti un argomento di cui parlare.» lo disse con uno stretto accento inglese, serrando gli occhi.
Chanel non rispose, tornando ad ascoltare i discorsi degli adulti, mentre Victoire si aprì in un ghigno, osservando la madre con disappunto.
Fleur sapeva l'odio delle figlie verso la parte della famiglia al sud della Manica, ma si ostinava a invitarle per un quieto vivere, cercando di mantenere l'equilibrio fragile della  famiglia francese, già abbastanza scosso dal burrascoso rapporto tra la donna e sua madre.
Non avevano avuto modo di riallacciare i rapporti, né la voglia.
Lei era felice in Cornovaglia, sua madre era felice nelle campagne poco fuori Parigi e le andava bene così.
Louis fece irruzione in salotto, in peno stile Louis, scuotendo dal torpore le sorelle.
Alle cugine scosse qualcos'altro, ma poco importava.
(Louis e il potere sugli ormoni femminili, commentò mentalmente Domi)
«Usciamo, su. » Dichiaró secco, indicando con un cenno della testa la porta.
Victoire scattò come una molla, alzandosi e affiancando il fratello minore.
Dominique assunse un'espressione da cane bastonato, mettendosi a testa in giù sul divano.
(Fleur non avrebbe nemmeno provato a fermarli, sapeva che erano una causa persa in partenza.)
«Louuu, mi porti fuori?» Biascicò con voce da bambina.
(E un pizzico di accento francese, chiara frecciatina alle cugine)
Louis scoppiò a ridere, seguito dalla sorella maggiore, tuttavia si avvicinò al divano, porgendo la schiena alla gemella.
Come una bambina a cui è stata appena regalata una caramella, a Dominique si illuminarono gli occhi, saltando sul divano come una piccola cangura.
Saltò sulla schiena del fratello, lasciandoli un bacio umido sulla guancia.
(Poco nel suo stile, ma molto nello stile di quelle due oche. La sua vita era piena di oche.)
«Grazie, sei il mio fratello preferito.» Disse convinta, sotto lo sguardo sconvolto della madre.
«Sono l'unico, ma grazie Domi, ti voglio bene anche io.» Concluse Louis afferrando una giacca e passandola alla sorella, mentre la portava fuori, sulla sabbia ancora fredda che circondava Villa Conchiglia.
«Voglio andare in un posto caldo, ma veramente caldo.» Borbottò Victoire stringendosi la giacca al petto.
Non faceva freddo, o perlomeno in Cornovaglia il freddo era altro, ma c'era il solito vento, proveniente dalle scogliere che circondavano la spiaggia.
Dominique lanciò uno sguardo alla tomba di Dobby, che sbucava dalla collina tra le piante che anni prima, molti anni prima, avevano piantato.
«Tra due giorni c'è il falò.» Sussurrò la ragazza mantenendo un'espressione risoluta, con il volto sferzato dal vento.
Victoire e Louis volsero lo sguardo nello stesso punto della sorella, sospirando appena.
Victoire si ricordava bene il significato di quella lapide per la sorella minore.
Aveva soltanto 2 anni e tra un passetto e l'altro era finita su quella collina, restando qualche minuto a fissarla con gli occhietti stretti in una linea sottile, arrivando poi a chiedere spiegazioni.
Dall'alto dei suoi sette anni, Victoire aveva spiegato in parole semplici le cose che sapeva, ossia che c'era stata una guerra e che parecchie persone, tra cui il gemello di zio George e quel piccolo elfo, erano andate in cielo.
Dominique era stata avvolta da una grande tristezza, così Victoire l'aveva abbracciata, promettendole che si sarebbero prese cura di quel posto, rendendolo allegro e piacevole.
Era inutile dire che avevano mantenuto pieno la promessa.
Il falò invece era venuto da se, con la crescita della famiglia e il bisogno di ricordare degnamente tutti coloro che avevano perso.
James, Lily, Sirius, Malocchio, Silente, Remus, Tonks e Fred.
Erano tenuti ad onorarli, uno ad uno.
Dominique prese a mordersi il labbro, segno che qualcosa evidentemente la preoccupava.
«Che c’è Dom?» Chiese Louis mettendola giù.
«Al falò voglio partecipino anche i genitori. Voglio che anche loro parlino intorno al fuoco.» Disse decisa, osservando i fratelli in attesa di una risposta.
Non avevano mai coinvolto gli adulti perché era troppo doloroso, ogni anno.
Ma Dominique sembrava convinta.
«Domi, non sarebbe troppo per loro?» Azzardò Victoire, esprimendo tutti i suoi dubbi.
«Sono passati vent’anni, Vic. E nessuno di noi sa più del dovuto. Sappiamo della Guerra, dei morti e di Voldemort, ma non sappiamo come stavano veramente loro, cosa provavano. I loro racconti sembrano fotocopiati da un libro. Non vi viene in mente, quando guardate papà e mamma, di chiedervi come sono rimasti uniti in una guerra dove lei poteva andarsene? O di come papà abbia vissuto i primi momenti dopo l’aggressione? Noi queste cose non le sappiamo.» Concluse, incrociando le braccia al petto.
Aveva ragione.
Sapevano tutto di quel periodo, tranne cosa avevano provato loro.
Sì, magari potevano immaginarlo, ma era frequente, quando erano bambini, che certe ferite risultassero più profonde del dovuto, senza apparenti ragioni.
Era quello il pezzo che mancava.
E mancava a tutti.
Come mancava a loro mancava a Molly e Lucy, a Fred e Roxanne, a James Albus e Lily, a Rose e Hugo.
Mancava anche a Ted, che aveva perso le due parti migliori di lui, in quella guerra.
Era come un puzzle senza cornice, completo fino in fondo ma senza quel pezzo in più che da un senso all’operato.
Dominique si lasciò cadere sulla sabbia, studiando l’orizzonte.
Stava macchinando qualcosa.
Louis la stava osservando da qualche secondo quando sembrò illuminarsi.
«Domi, che mi dici di Ryan Halsen?» Chiese con un ghigno furbo, prevedendo la reazione della sorella, che gli lanciò un’occhiataccia in suo stile.
«Chi?!» Urlò Victoire indignata, dato che non era al corrente di nulla.
«Un idiota Victoire, niente di più.» Disse Dominique secca, continuando a fissare male Louis.
«È la sua nuova fiamma, diversa da quella che si trova al posto dei capelli, ovvio.» La scimmiottò Louis, facendo la linguaccia.
Louis 1, Dominique 0.
«In realtà è uno con l’ego più sviluppato di quello di Louis e James messo insieme.» Ribattè ghignando la rossa, ignorando il commento sarcastico sui suoi capelli.
Louis la guardò indignato, anche palesemente schifato dal paragone con quell’idiota.
Louis 1, Dominique 1.
Victoire si sedette, pronta ad osservare l’ennesima sfida tra fratelli, curiosa di scoprire il vincitore.
«Infatti non è un caso che ci provi con te, magari la tua acidità smorza il suo ego, e i suoi brufoli.» Riprese Louis dopo un attimo di smarrimento.
Louis 2, Dominique 1.
Dominique riprese a ghignare, segno che il colpo non l’aveva nemmeno toccata.
Adesso si preparava a tirare giù l’asso nella manica.
«Io almeno ho un rimedio. Tu che arma intendi usare con delle serpi? Infondo Hydra è una serpe nata.» Concluse la rossa con la massima scioltezza, incrociando le braccia al petto, godendosi l’immediata vittoria.
Louis tossì rumorosamente, in preda al nervosismo.
«Ma cosa stai dicendo?!»
Louis 2, Dominique 559864.
Victoire sorrise, fiera della sorella e tentando di ignorare l’assist lanciatole da Dominique.
A Louis piaceva Hydra?
Aveva sempre visto un legame tra i due, ma facilmente paragonabile a quello di Dominique e James, quindi un legame quasi fraterno.
Scacciò rapidamente il dubbio dell’effettiva natura del rapporto tra la sorella e il cugino, stringendo gli occhi.
«Ho un idea geniale.» Disse Louis riprendendosi dal momentaneo stato di shock.
«Del tipo?» Chiese la bionda scettica, conoscendo la definizione di geniale del fratello.
«Facciamo il bagno!» Esclamò felice come un bambino.
Victoire pensò per più di qualche secondo che suo fratello si fosse rimbecillito tutto insieme, perché fare il bagno a Maggio in Cornovaglia equivaleva a una broncopolmonite assicurata.
Già a luglio non era il massimo della vita immergersi in quel mare, ma a metà primavera era semplicemente da folli.
«Te sei completamente pazzo!» Ribattè quasi urlando, sgranando gli occhi.
«Invece è geniale! Sapevo che c’era qualche minima possibilità che tu fossi veramente mio fratello!» Esclamò Dominique sorridendo al fratello.
Victoire scosse la testa, rassegnata.
Quei due erano la sua rovina.
«Odio farvi da mamma, ma rischiate una broncopolmonite.» Concluse seria, facendo un lontano appello al minimo buonsenso dei due gemelli.
«Siamo maghi per curarci.» Rispose Dominique continuando a ghignare come una perfetta idiota.
Victoire scosse la testa, rassegnata.
(Di nuovo.)
Quei due erano una causa persa e ne era sempre più convinta.
Dominique scattò in piedi, togliendosi la giacca e lasciandola cadere sulla sabbia.
Con un calcio si tolse anche le ciabatte con cui era uscita e scosse le braccia.
Louis la imitò, scrocchiando il collo.
«Vuoi salire?» Chiese alla gemella, indicando la schiena.
Dominique sembrò illuminarsi, per l’ennesima volta, saltando subito in spalla al biondo.
«Vi prego, fate appello al buonsenso…» Sussurrò Victoire, sapendo che le sue parole sarebbero state vane.
I due la ignorarono bellamente, preparandosi all’ennesima follia del loro bagaglio.
«Pronta Dom?» Chiese Louis, stringendo di più la presa sulle gambe della rossa.
«Prontissima.» Rispose, stringendo le braccia intorno al collo del fratello, di riflesso.
Louis prese un respiro profondo, per poi partire di corsa lanciandosi tra le onde.
Victoire assunse un’espressione perplessa, mentre i fratelli rimasero qualche secondo sott’acqua.
La prima a riemergere fu Dominique, che spostandosi i capelli rossi appiccicati alla faccia, scoppiò in una risata isterica che si propagò per tutta la spiaggia.
Louis riemerse subito dopo urlando:
«Dannazione, è gelida!»
La rossa si lanciò subito sul fratello, tentando di affogarlo.
Louis, evidentemente preparato, la strinse in una morsa che da lontano poteva sembrare un abbraccio, ma Victoire sapeva che era una stretta quasi immobilizzante, infatti Dominique passò subito al contrattacco, mordendo non troppo forte, la spalla del fratello.
Victoire scoppiò a ridere, osservando quei due idioti fare a botte in mezzo alle onde.
«Voi siete squilibrati!» Urlò in preda alle risate, attirando l’attenzione dei due.
Dominique fece una smorfia, mentre Louis accennò un ghigno diabolico.
«Forza Vic, entra! Non è fredda… » Disse una poco convinta Dominique, appoggiata da Louis.
La bionda pensò qualche secondo a quanto fosse da stupide, ad un mese da M.A.G.O. buttarsi nell’acqua fredda insieme a due persone tutto fuorché con il sale in zucca.
Si morse il labbro, studiando la situazione.
Immaginava già le urla quasi isteriche della madre e lo sguardo rassegnato del padre, ma poco le importava.
Tanto valeva rischiare.
Si tolse anche lei la felpa, buttandosi in acqua.
Non appena fu completamente immersa sentì come mille aghi conficcarsi nella pelle.
Alla faccia del non era fredda!
Riemerse prendendo un respiro profondo, come a controllare di avere ancora i polmoni funzionanti e non trasformati in due cubetti di ghiaccio.
«Voi due siete da ricovero!» Urlò per l’ennesima volta tra le risate dei fratelli, che coalizzati, iniziarono subito una guerra a suon di spruzzi.
Poteva sembrare una cosa stupida e banale, ma Victoire stava bene così.
Nonostante l’incombenza dei diciotto anni, coi suoi fratelli si sentiva sempre una bambina ai primi giochi.
Era come scoprire un mondo nuovo ogni volta, come imparare di nuovo a camminare o a parlare.
Era pronta ad essere la studentessa di Magisprudenza che nei week end si ritrova coi fratelli a farsi scherzi idioti.
Sorrise a quel pensiero, cercando di ricambiare gli schizzi.
«Si può sapere cosa diavolo state facendo?!» Urlò una voce familiare, dalla spiaggia.
I tre si voltarono simultaneamente, trovando una Fleur parecchio incazzata, come testimoniavano le sopracciglia aggrottate e le braccia sui fianchi, postura tramandata anche alle figlie, insieme alle quattro francesi palesemente disgustate dal comportamento dei tre.
«Ci godiamo la vita mamma, a differenza di qualcun altro!» Rispose  Dominique, con un chiaro riferimento alle francesi.
Fleur sembrò studiare per qualche secondo le parole della figlia, per poi scoppiare in una risata quasi isterica.
Ormai, anche lei, sapeva che doveva rinunciarci coi suoi figli, dato che aveva messo al mondo due terremoti e mezzo viventi.
In fondo, qualche speranza per Victoire la nutriva ancora, ma i dubbi la assalivano sempre di più.
I terremoti erano tre.
Anche Victoire ormai era finita nel circolo vizioso dei gemelli e delle loro idee strampalate.
Ma non importava.
Nonostante tutto le andava davvero bene così.
 
 
 
 
All'esterno, la loro, era una classica villa a qualche kilometro da Londra, immersa nel verde.
Sembrava la casa di quelle pubblicità babbane di biscotti, dove la felicità è di casa, tra galline e mulini ad acqua.
Perfino quel campanello dorato, con i cognomi in un fine ed ordinatissimo  corsivo, sprizzava una strana idea di famiglia.
Ma bastava leggere Nott-Greengrass per ricredersi completamente.
Per quanto alle feste fossero una famiglia invidiata dall'elitè del mondo magico, dentro le mura domestiche era un dramma unico.
Nonostante la casa fosse grande, in quelle quattro mura riuscivano a malapena a convivere il carattere quieto e silenzioso di Theodore Nott, con quello della festaiola e modaiola moglie Daphne Greengrass.
A condire il tutto come una leggera salsa piccante c'era il carattere della piccola di casa, Hydra.
I rapporti tra lei e Daphne non erano mai stati morbidi, ma da quanto la biondina era stata smistata a Grifondoro la cosa era totalmente degenerata.
Daphne non era mai stata madre.
Sin da quando aveva scoperto di essere incinta la sua unica preoccupazione era stata non entrare più nei suoi costosi vestiti, ovviamente frutto della camera blindata della famiglia Nott.
Non che i Greengrass fossero poveri, ma nutrivano sicuramente meno prestigio della famiglia del marito.
E per questo si era dimostrata molto felice della gravidanza.
Era felice perché figlio significava eredità dei Nott, una cosa da salvaguardare.
Aveva passato nove mesi di dieta ferrea e pochi eccessi, facendo in modo che nascesse una o un erede degno di essere considerato tale.
La salute perfetta e il bell’aspetto erano fondamentali, in quel frangente.
Hydra era venuta alla luce facilmente, quando Daphne aveva appena venticinque anni.
Il nome derivava da una costellazione, come era frequente in tutte le più influenti famiglie.
Aveva a malapena preso in braccio la bimba appena nata, lasciandola subito in altre braccia, incurante di quel piccolo fagotto.
Non aveva mai allattato direttamente ed era sempre ricorsa all’aiuto di sua sorella, alla madre e alle innumerevoli tate.
Theodore, come ogni padre, si era innamorato a prima vista della sua bimba, non dandolo a vedere proprio apertamente.
Cercava sempre di mantenere un minimo di contegno ma diventava sempre più difficile.
Oltre a sua zia Astoria, i pomeriggi invernali passati con suo padre a giocare, mentre Daphne era in giro per negozi, era uno dei pochi ricordi felici nella mente di Hydra.
L’uomo era particolarmente felice di passare pomeriggi a giocare sul tappeto del suo studio o a correre per il giardino con quel diavolo biondo.
(Con l’altro diavolo biondo, meno simpatico, condivideva il letto.)
Theodore malgrado tutto aveva anche accettato che la figlia diventasse Grifondoro, sopportando soltanto grazie a una buona dose di Whiskey incendiario i lunghi monologhi della moglie a riguardo.
Hydra odiava le vacanze di Maggio anche per quello.
Tornava a casa perché a Hogwarts non rimaneva nessuno, ma ovviamente sua madre non festeggiava nulla.
Lei non aveva perso nessuno, ne tantomeno era mai stata in pericolo.
Serpeverde protetta fino alla fine.
Vagava per la casa sbuffando sonoramente ogni qualvolta si imbatteva nel profumo dolce e nauseante di sua madre.
Cercava di evitarla come la peste ma non era così facile.
L'unica alternativa era chiudersi in camera, sperando che sua madre uscisse per la sua dose di shopping.
Alternativa quell’anno improbabile siccome Pansy era partita con la famiglia per Scozia, in visita ai Parkinson.
Sbuffò nuovamente, lanciandosi nel letto.
Odiava condividere il tetto con sua madre e l'avrebbe ripetuto fino alla fine.
Quella casa era sempre, o quasi, troppo silenziosa per una persona iperattiva come lei.
Non aveva fratelli, né amici degni dell’approvazione materna.
Forse soltanto Scorpius, Electra e Maia avevano il benestare, grazie al loro sangue puro.
Sbuffò, per la milionesima volta, affondando la testa nel cuscino.
«Hydra!» La soave voce di sua madre la fece sobbalzare.
Quel tono voleva dire una sola cosa, guai.
Si alzò a malavoglia, andando al piano di sotto in salotto.
Trovò sua madre, seduta rigida sul divano a leggere, caso strano, una rivista di moda, mentre suo padre sorseggiava un bicchiere di Whiskey, leggendo La Gazzetta del Profeta.
«Eccomi.» Disse con una voce strascicata, beccandosi un’occhiataccia dal padre, che aveva tutto fuorché voglia di sentire la moglie e la figlia litigare.
«Domani abbiamo un ricevimento dai Montague, vedi di combinarti come si deve, non come al solito.» Disse acida, squadrando l’abbigliamento decisamente sportivo della figlia.
«Devo proprio esserci? Scorpius non c’è così come Electra e Maia, cosa diavolo vengo a fare?» Chiese con una punta di disgusto, mentre il padre si ritirava al piano di sopra nel suo ufficio, preventivando già le urla.
«Ci saranno altri giovani, poi avrai la possibilità di conoscere il giovane Montague, Anthony, è un ragazzo davvero educato, di sani principi, potresti trovare un’ottima compagnia.» Sentenziò Daphne, ed Hydra capì subito dove sua madre volesse andare a parare.
«Non mi importa un accidente di Anthony Montague, gli amici li ho e me li so fortunatamente scegliere da sola, senza il tuo aiuto. Grazie, ma declino l’invito.» No, non si sarebbe passata un’altra giornata in mezzo a Purosangue senza un minimo di cervello.
«Ah certo, vedo come sai scegliergli. La feccia.» Sputò acida Daphne, posando la rivista.
«La feccia, che a differenza tua, ha dei seri valori.» Hydra aveva aperto la bocca prima di pensare, senza fare i conti con le immediate conseguenze.
«Hydra sono tua madre, pretendo rispetto!» Urlò Daphne, alzandosi a fronteggiare la figlia.
«Sei mia madre soltanto quando ti fa comodo, Daphne! Non ci sei mai stata, nemmeno un secondo in cui hai finto ti importasse di tua figlia, la bambina che per nove mesi è stata nella tua pancia, che secondo te ti ha solo fatta ingrassare. Non mi hai mai riservato un gesto d’affetto, perché per te significavo, e significo tutt’ora, eredità dei Nott! Hai lasciato che tua sorella, la tua sorella minore che tanto disprezzi, crescesse tua figlia, senza preoccuparti di come io, crescendo, mi sarei potuta sentire. Sono cresciuta senza madre per tredici anni! Per cui, non fingere di essere mia madre, perché per quanto mi riguarda, non sei assolutamente quella figura.» Era scoppiata, come un vulcano in piena eruzione.
Dominique glielo aveva detto, che prima o poi sarebbe esplosa.
(E come al solito, la rossa aveva ragione.)
«E cosa pretendevi? Siamo tutti cresciuti così.» Ribattè composta Daphne, non toccata dalle parole della figlia.
«Pretendevo soltanto che fossi mia madre, non chiedevo l’America. Pretendevo ricoprissi il ruolo che, in teoria, ti spetta. Non chiedevo assolutamente nulla di più. Ma come in tutto il resto, non ti sei fatta carico dei tuoi doveri. Ma lo capisco sai, lo shopping con Pansy deve essere estremamente faticoso, vero? Molto più faticoso e importante di crescere una bambina. Chissà che argomenti brillanti trattate nelle vostre lunghe giornate insieme.» Continuò Hydra, assumendo un tono sprezzante ed ironico.
«A differenza tua, tengo ad apparire in modo dignitoso nella società.» Rispose Daphne, lisciandosi la gonna.
Quest’affermazione fece andare Hydra fuori di testa.
«E cosa conta la società quando in famiglia vali zero? Tua sorella ti odia, perché non hai mai provato a guardare oltre il tuo naso, facendo sempre la regina di casa. Astoria ha sempre provato a creare un qualcosa con te, durante la guerra, venendo solo malamente respinta, forse perché tu adoravi tanto Voldemort e lei no. Tuo marito ti ha sposato per uno stupido contratto, non ti ama minimamente e non ti tradisce solo perché ha rispetto di me, dato che per lui qualcosa conto. Tra di voi non c’è ne ci sarà mai nulla e non mi sorprendo se tu non l’avessi già tradito, con quella faccia tosta che ti ritrovi. E poi beh, come madre te l’ho già detto, fai abbastanza schifo. Tua sorella è stata una madre per me, non tu. Narcissa è stata una nonna per me, non Izar e Sirio. E pretendi di apparire perfetta in società, beh Daphne cara, non sei perfetta, tutt’altro. Sei una delle persone peggiori su questa terra, ma tranquilla, non lo dirò a nessuno.» Le si erano riempiti gli occhi di lacrime mentre parlava, perché era stanca di vivere in quello schifo di mondo.
Daphne, toccata nel profondo, le tirò uno schiaffo secco, ignorando le lacrime.
«Non osare parlarmi così piccola ingrata! Soltanto perché tu non vali la metà di me, sei soltanto invidiosa.» Disse acida Daphne, ghignando per nascondere la rabbia ceca che la stava colpendo.
«Me ne vado, non voglio stare in questa casa un minuto di più.» Concluse Hydra, correndo su per le scale.
Lasciò sfogare le lacrime, superando di corsa tutte le stanze, andando verso la sua.
Si sarebbe fatta una borsa e sarebbe andata via, a costo di stare sotto un ponte.
«Hydra.» La voce ferma di suo padre la richiamò, mentre passava davanti al suo studio.
Non si vergognò di alzare la testa, facendo vedere il volto segnato inevitabilmente dal pianto.
Theodore strinse le labbra, facendo cenno alla figlia di entrare e chiudere la porta.
Non appena chiuse quest’ultima, Theodore allargò le braccia, lasciando che Hydra ci si precipitasse, stringendola appena.
«Devi lasciare stare tua madre, lo sai com’è fatta.» Sussurrò, lasciandole un bacio sui capelli.
«Voglio andare via, non ne posso più papà.» Rispose tra i singhiozzi.
«Non puoi andare a stare sotto a un ponte o in un parco, è pericoloso. E tua zia Astoria non è nemmeno in città.» Continuò a bassa voce l’uomo, accarezzandole la testa.
«Troverò qualche altro posto, ma non voglio stare qua un minuto di più.» Sentenziò la bionda, non lasciando spazio a ulteriori repliche.
Theodore sospirò, mettendo in conto una chiacchierata con la moglie.
Daphne doveva cambiare l’atteggiamento nei confronti della figlia, o avrebbe fatto scoppiare il finimondo.
Hydra sarebbe rimasta una Nott per sempre, l’idea del divorzio non lo spaventava per nulla, al diavolo le regole del perfetto Purosangue.
Hydra era sua figlia e veniva prima di quell’isterica di sua moglie.
E se Hydra era felice a Grifondoro insieme ai Weasley francesi, gli andava bene così.
Non sprizzava felicità da tutti i pori, certo, ma accettava la scelta della figlia senza alcuna remora.
Aveva più volte discusso con Draco e Blaise a riguardo, trovando opinioni simili e contrastanti.
Draco definiva quella famiglia “non così male come sembrava” e gli amici di Hydra decisamente attivi, mentre Blaise aveva ancora fiducia nel figlio intermedio, Acrux, che pareva non essere coinvolto in quel giro strano chiamato Weasley-Potter-Scamandro.
Tra i tre, Draco era sicuramente l’uomo più fortunato, avendo sposato Astoria.
Blaise diceva di avere un gran bel pezzo di donna accanto, ma ogni volta che apriva bocca gli veniva voglia di ucciderla all’istante.
Theodore aveva sì una bella moglie, ma con una mentalità molto mal impostata.
Sua figlia restava sempre e comunque sua figlia, nonostante la mentalità troppo aperta e il carattere irrequieto.
«E dove diavolo intendi andare?» Protestò l’uomo, che ovviamente non voleva lasciare una bambina in balia di sé stessa.
«Troverò un posto, tu fidati di me.» Ribattè Hydra, alzando fiera la testa e non staccando gli occhi ancora rossi da quelli del padre.
Theodore si arrese allo sguardo determinato della figlia, che si avvicinò soltanto per lasciargli un lieve bacio sulla guancia, per poi lasciarlo nello studio e tornarsene in camera sua.
Si fermò a riflettere qualche secondo, per poi afferrare la prima sacca che c’era nell’armadio.
Senza controllare minimamente cosa afferrava, buttò un sacco di vestiti vari nella borsa, probabilmente anche più del necessario.
Fortunatamente il suo baule, e di conseguenza i suoi libri, erano rimasti sigillati nel suo dormitorio ad Hogwarts e ciò significava un peso in meno.
Infilò la bacchetta nella parte laterale della borsa, chiudendo la zip.
Era pronta.
Prese una felpa e uscì dalla camera, chiudendola a chiave.
Decise di portarsela via, onde evitare spiacevoli sorprese da parte di Daphne, che sicuramente non avrebbe usato l’Alohomora, o il marito si sarebbe parecchio alterato.
Ritornò nello studio del padre, torturandosi le mani.
«Allora io vado…» Sussurrò piano, dirigendosi verso il camino.
«Sta attenta, e fammi sapere dove sei. Se hai bisogno di galeoni o altre cose, trova il modo per contattarmi, chiaro?» Disse Theodore con un tono che non ammetteva nessuna replica.
Hydra piegò le labbra nella sua consueta smorfia di rassegnazione, fissando qualche secondo il padre.
«Certo, sta tranquillo.» Replicò con voce piatta.
Non aveva nemmeno la forza di parlare, voleva soltanto trovare un posto dove stare, dormendo magari ventiquattro ore consecutive, per eliminare qualsiasi traccia di debolezza che aveva mostrato alla madre.
Doveva rimettersi lentamente in piedi, e stare lontana da quella casa il più possibile.
Doveva cambiare semplicemente aria.
Per la prima volta, dalla discussione con sua madre, si sentì una stupida.
Sì stupida, perché aveva mostrato tutte le sue crepe e le sue debolezze ad una donna come Daphne.
E non lo meritava.
Non valeva la sua stanchezza, il suo nervosismo, la sua tensione e tantomeno le sue lacrime.
Non doveva valere assolutamente nulla per lei.
Mise entrambi i piedi nel camino, cercando di pensare ad un luogo dove passare un paio di giorni, almeno fino al ritorno di sua zia, in assoluta tranquillità.
La piccola casetta sul mare di Dominique le balzò chiara alla mente, magari avrebbe passato il pomeriggio lì.
«Villa Conchiglia.» Sussurrò, riprendendo a piangere.
Era esplosa definitivamente.
La consueta orribile sensazione di essere chiusa in una scatoletta di metallo le attanagliò lo stomaco.
Aprì gli occhi non appena sentì i piedi sbattere nel camino di casa Weasley-Delacour, sentendo un gridolino, tipico di una visita inaspettata.
Si trovò davanti i tre fratelli Weasley, bagnati da capo a piedi, che la fissavano dubbiosi.
Dominique inclinò leggermente la testa, mentre Hydra, per la prima volta dopo ore, scoppiò in una sonora risata.
Louis sembrava un piccolo barboncino bagnato.
«Cosa diavolo vi è successo?» Disse, cercando di ignorare i singhiozzi.
«Bagno in mare.» Rispose sbrigativa Domi.« Cosa diavolo è successo a te invece?»
«Scambio di opinioni non proprio carine tra me e mia madre, posso restare qui questo pomeriggio? Stasera andrò al Paiolo Magico o da Hannah***.» Concluse sollevando le spalle, rassegnata.
«Tu non ti muovi da qua. Stai con noi fino al rientro ad Hogwarts. E ora esci da questo camino e vatti a fare una doccia, hai una faccia impresentabile.» Fleur fece un cenno di assenso alle parole della figlia, che sembrava fin troppo determinata, ed allungò la mano aiutando la piccola Nott ad uscire da quel piccolo vano.
Hydra ringraziò tutti silenziosamente, dirigendosi al piano di sopra.
I gemelli Weasley si sentirono nello stesso modo.
Sentivano la rabbia ribollire dentro, come un fuoco pronto ad esplodere da un momento all’altro.
Prima o poi avrebbero ucciso Daphne Greengrass.
 
 
 
Il due Maggio era arrivato, come ogni anno, portandosi dietro felicità e dolori.
Felicità, per la vittoria e la nascita di Victoire.
Tristezza, ma il perché si sapeva.
Ted e Lysander, con l’aiuto di Bill Weasley, avevano acceso il falò da un’ora circa, aspettando tutti gli altri.
Dominique vagava per la spiaggia, ondeggiando nel suo vestito lungo, come una disperata, sotto lo sguardo di James, Hydra e Lou, nonostante tutti e tre trovassero l’orizzonte immensamente interessante.
Victoire era ferma accanto al falò, che beveva qualcosa di sicuramente forte, contro il petto del fidanzato.
Lysander e Lorcan, come al loro solito, erano chiusi nel loro beato silenzio, intorno al falò, in compagnia di Albus e Rose.
Hugo e Lily erano seduti nella sabbia, sollevandone un po’ di tanto in tanto.
All’appello mancavano solo Roxanne e Fred, con i genitori, Molly e Lucy, con i genitori anche loro.
Sapevano tutti a cos’era dovuto il ritardo.
Percy e George erano quelli che soffrivano più di tutti, forse perfino più di Harry e dei suoi maledetti sensi di colpa.
I toni di voce all’interno della casa crebbero di colpo, e poco dopo una esausta Roxanne e un rassegnato Fred, seguiti dai gemelli Baston, uscirono sulla spiaggia, lasciandosi circondare da tutti i cugini.
«Com’è andata oggi?» Fu James ad avere il coraggio di fare questa richiesta, in parte temuta da tutti.
«Peggio di tutti gli altri anni.» Rispose Roxanne, mordendosi un labbro.
«Non mi ha rivolto la parola, esattamente come ogni anno.» Riprese Fred, evidentemente a pezzi.
Victoire si avvicinò al cugino, lasciandogli un bacio in fronte e stringendolo appena.
Dei passi strascicati annunciarono l’arrivo di Lucy e Molly, che non indugiò un secondo nel buttarsi tra le braccia di Lysander, stremata anche lei.
«Mamma è tutto il giorno che cerca di far parlare papà, ha quasi avuto una crisi di nervi anche lei.» Rispose Lucy, alla tacita domanda degli altri.
Era sempre la stessa storia, George e Percy diventavano intoccabili quel giorno, chiudevano le mogli e i figli fuori dalla loro bolla di dolore.
Se per gli Weasley era ormai una cosa con cui fare i conti tutti gli anni, Hydra si sentì improvvisamente di troppo.
Non aveva mai visto così tanto dolore, nemmeno negli occhi di sua zia Astoria, quando si parlava della guerra.
Si sentiva un pesce fuor d’acqua, in grado di sentire quel dolore pungente ma non di condividerlo.
A interrompere il flusso di pensieri fu Ginny Weasley, uscita sulla spiaggia avvolta in un’enorme cardigan.
«Iniziate pure ragazzi, tra qualche minuto vi raggiungiamo.» Nel suo tono c’era rassegnazione, per una guerra che non aveva ancora finito di combattere.
Era vent’anni che lottava con mostri e fantasmi, e poteva considerarsi stanca.
Ci aveva messo anni a lasciare andare definitivamente Fred, ma suo marito sembrava sempre pressato da quelle cinquantun morti, come se un enorme macigno gli si fosse posato sulla schiena.
I ragazzi annuirono contemporaneamente, andando a sedersi sui tronchi disposti intorno al fuoco scoppiettante.
«Che dire, come ogni anno inizio io, perché in quella guerra io c’ero. Non fisicamente, ovviamente, ma c’ero. Avevo nemmeno un mese quando mia madre mi ha salutato per l’ultima volta, lasciandomi tra le braccia di Andromeda. Mi sono fatto raccontare quel momento così tante volte che sembro ricordarmelo… Mi ha lasciato un bacio in fronte, promettendomi che sarebbe tornata dopo. Ma mamma non è mai tornata, così come papà. Sono morti in quella Guerra come eroi, lo ripeterò sempre. Combattevano per un mondo migliore per me, per noi. Per anni li ho incolpati di avermi abbandonato, quando hanno soltanto scelto il mio futuro. Non smetterò mai di ringraziarli, spero soltanto di renderli orgogliosi del figlio che hanno messo al mondo…»
«Sono orgogliosi di te, Ted. Tuo padre sarebbe fiero dell’uomo che sei.» Interrompe Harry, con gli occhi lucidi.
Ginny tentava, con carezze leggere, di tranquillizzare il marito, visibilmente scosso.
Fleur ed Hermione osservavano il fuoco come ipnotizzate, come se le parole di Ted risuonassero nell’aria, mentre Bill, Angelina, Ron ed Audrey osservavano Harry.
Percy e George erano rimasti in casa, come previsto.
Victoire prese la mano a Ted, mentre Harry si sedeva accanto a lui, iniziando il suo racconto.
«La Guerra non è stata come quella descritta nel libro. Su questo hai ragione, Domi. Manca la parte sentimentale, le sensazioni e i dolori. Vedere morire il tuo padrino e colui che è stato un importante professore e mentore. Vedere morire l’amico che ha sempre portato gioia. Andare incontro alla morte. Questa è stata la mia Guerra. Lasciare la ragazza che amavo per proteggerla, dormire nei boschi coi miei migliori amici, scoprire verità che per una vita mi sono state nascoste. Non so raccontarvi come mi sentivo, perché a parole è inspiegabile. Il dolore e la preoccupazione che bruciano dentro come fuoco vivo, è l’unica cosa che riesco a esprimere.» Conclude Harry, con un profondo sospiro.
Riesce a leggere la sorpresa e lo sconforto negli occhi di tutti i presenti, anche in quelli di James.
Hydra era scossa.
Era entrata, per la prima volta in vita sua, nel mondo della Guerra.
La mano che aveva appoggiata sulla gamba tremava leggermente, tanto era turbata.
Louis accanto a lei, se ne accorse, afferrandole la mano.
La circondò con un braccio e la sentì abbandonarsi contro di lui. Non disse niente, perché non c'era bisogno di parole. Anche lei rimase in silenzio, appoggiando la testa sulla sua spalla, e fu colpito dalla sensazione che non ci fosse niente di meglio al mondo(4) come se anche in quella situazione, riuscisse ad aggrapparsi a qualcosa di bello.
Perfino Dominique, la forte Dominique, si appoggiò alla spalla di James, sconvolta.
Fred sospirò rumorosamente, attirando l’attenzione su di sé.
«Sapete, non è facile portare il nome Fred. Ci sono giorni in cui essere Fred Weasley è un onore e altri in cui non so veramente come comportarmi. A volte mi sento come l’ombra dello zio, che pesa ancora sulle spalle di papà. Come oggi, fa male vedere che tuo padre non riesce a stare nella stessa stanza con te perché gli ricordi il fratello defunto. Mi sento come l’ombra dello zio, quasi in dovere di emularlo. Lo leggo negli occhi della nonna, quando mi rimprovera per qualcosa, ecco, in quel momento sembra tornare tutto al suo posto, anche solo per poco, come se trovasse sollievo nell’urlare contro a Fred Weasley. Vorrei essere come Roxanne, a volte. Libero da ogni fardello che comporta avere un nome di un defunto.» Concluse, lanciando un’occhiata alla sorella, che strinse le labbra, comprensiva.
«Chiamarsi Fred Weasley, James Sirius e Albus Severus pesa. Ce ne siamo accorti tutti Fred, bene o male. Ma sta anche a noi, insomma guardateci, siamo tutti uno stereotipo. Io e Fred reincarniamo ciò che il nostro nome comporta, ossia confusione allo stato puro. Albus, esattamente come lo erano Silente e Piton, è ambiguo. Vive in un mondo tutto suo, studiando ogni singolo particolare. Perfino Lily! Insomma, mia sorella è ancora una bambina eppure guardala, è cocciuta come poche, esattamente come Lily. Sapete quella frase babbana, “anche chi non c’è più ci protegge da lassù?” (5) ecco, trovo sia perfetta. Sento che in qualche modo, loro ci stanno aiutando. Perché non seguiremo mai le loro orme nonostante le somiglianze, Fred, tu sei molto più sensibile dello zio, Albus, tu continuerai la tua vita senza immensi atti eroici nascosti, perché sei troppo tranquillo, non che tu sia codardo, e non adatto a queste cose. E io beh, non cadrò ai piedi della Lily Evans della nostra generazione. In qualcosa ci distingueremo sempre e comunque, dobbiamo andare fieri di questo.» Rispose James, con sguardo serio.
Dominique lo studiò, riuscendo a pensare che, finalmente, suo cugino aveva detto qualcosa di intelligente.
«Tutti di aspettano tanto da noi, perché siamo Potter-Weasley e siccome i nostri genitori hanno salvato il mondo, per gli altri noi dovremmo fare lo stesso, essendo perfetti in tutto e per tutto, quando non lo siamo. Perché Victoire è troppo emotiva, Molly troppo esuberante, io litigo con me stessa e ho problemi con il mio aspetto, Ted è troppo calmo e troppo poco lupo mannaro, Lysander e Lorcan troppo poco strambi per essere figli di Luna Lovegood, Roxanne troppo scura per essere una Weasley e Fred troppo riflessivo per essere figlio di George Weasley. Rose sarà sempre troppo timida per essere la figlia di Hermione Granger e del Re Ronald Weasley, mentre Albus sarà troppo Serpeverde per essere un Potter. James sarà troppo nell’approcciarsi al genere femminile per essere il figlio di quell’imbranato- scusa zio- di Harry. Louis sarà troppo Veela per essere un maschio e Dominique troppo acida. Lily sarà sempre troppo uguale a sua madre e Hugo per niente amante del Quidditch. Perfino Scorpius ed Hydra, che con la Guerra centrano poco, saranno sempre troppo poco Serpi. Tutti, semplicemente, si aspettano che noi siamo gli eroi del nostro tempo. E potremmo anche esserlo, ma mai nel modo in cui gli altri vogliono.» Concluse Lucy, mentre il fuoco si rifletteva nei suoi capelli sciolti.
Anche questa volta si dimostrava la cugina più intelligente.
Perché era vero.
Tutti si aspettavano qualcosa che probabilmente non sarebbe mai arrivata da nessun Weasley.
Loro erano loro, i loro genitori erano tutt’altra storia.
Se volevano rivivere quella storia, tanto valeva leggere quel tomo, tanto amato da Hermione, di Storia della Magia, dove era stata aggiunta la Guerra.
Loro dovevano rimanere quello che erano.
«A quello che siamo, e che mai non saremo.» Disse Domi, alzando il bicchiere con la sua bibita analcolica.
«Alla nostra.» Risposero in coro, sperando che con quel liquido dolciastro, sparisse anche l’amaro che il falò lasciava.
 
 
 
Bonus Scene.
ca. 10 maggio.
 
Male.
Troppo male.
L’unica cosa a cui riusciva a pensare era quello, il dolore lancinante che le avvolgeva ogni singola fibra del corpo, dalla punta del piedi alla misera doppia punta che poteva avere nei capelli.
Nemmeno urlare le avrebbe fatto passare quel dolore, mentre si domandava mentalmente come diavolo aveva fatto sua madre a partorire due gemelli con parto naturale.
«Fa male!» Urlò esasperata all’infermiera del San Mungo che le stava accanto.
«Kath, sta calma.» Borbottò Aalyah, accarezzando la mano alla sorella.
«Sono in travaglio da sette ore e mezza! Nanetta(6) vuole restare ancora per tanto a farmi soffrire?» Imprecò, rivolgendosi alla sua enorme pancia.
Aalyah si scambiò un’occhiata con Iris, seduta su una poltrona in un angolo della stanza, che rispose alzando gli occhi.
Gli ultimi mesi di gravidanza di Katharina erano stati esattamente come il travaglio, incasinati e strambi, alternando la mora che parlava con la pancia alle sfuriate, probabilmente dovute agli ormoni, portate dal non riuscire a dormire a pancia in giù.
Drew si era dimostrato l’uomo paziente che era, assecondando isterismi e voglie.
Aveva anche dato tutti gli esami, per quell’anno, cosa che era riuscita a fare anche Katharina, tra lo stupore generale, infatti l’ultimo esame l’aveva sostenuto due giorni prima, passandolo a pieni voti.
La pancia non le aveva impedito di continuare a pieno ritmo la sua vita, studio compreso.
Si era anche presentata alla porta di sua madre, con un pancione di sette mesi, per annunciarle finalmente che diventava nonna, provocando alla donna uno svenimento.
Ma i rapporti non si erano riconsolidati, anzi.
Infatti, in quella camera modesta, c’erano soltanto i suoi fratelli, Iris e Drew, mentre in sala d’aspetto c’erano Ted e Luke, che probabilmente stavano giocando a solitario, giusto per ingannare l’attesa.
Katharina rise un attimo, facendosi probabilmente per pazza, pensando a Victoire in versione isterica, imprecando contro la McGranitt che l’avrebbe lasciata uscire, per soltanto un’ora, soltanto quando la creatura sarebbe venuta al mondo.
E quel momento doveva essere vicino, dato che il dolore aumentò di colpo, portandola a stringere la mano di Drew, in cerca di salvezza.
Inconsapevolmente, sentì una lacrima scorrerle sulla guancia, prontamente asciugata da sua sorella.
«Ci siamo quasi, un’ultima spinta signorina Smith e vedrà sua figlia.» Disse il medico, in tono strettamente professionale.
E per la prima volta in vita sua, obbedì ad un semi sconosciuto.
Fu un attimo, dal dolore ad una strana sensazione di vuoto, riempita subito da un pianto, anzi un urlo, proveniente dallo scricciolo ancora in braccio al medico, intento a tagliare il cordone ombelicale con la bacchetta, tra le sue ginocchia.
«Complimenti signorina, è una bellissima bambina.» Riprese l’uomo, avvolgendo la bambina in un panno rosa.
Non si rese nemmeno conto di quel che faceva, fino a quando l’uomo gliela posò sul seno, tra le braccia.
Katharina non credeva nella perfezione, ma quella bambina lo era.
Aveva tanti capelli neri, la bocca piccola e carnosa, esattamente come la sua, e gli occhi chiusi, come a bearsi del calore materno.
Sentiva il cuore della piccola battere esattamente dove batteva il suo, come due melodie che insieme suonano fin troppo bene.
Le toccò la manina con la sua, accarezzandole le dita.
Era così piccola.
«È perfetta…» Sussurrò Drew, poggiando la fronte su quella della fidanzata, respirando profondamente per non piangere.
Quella era la loro bambina.
Non fecero nemmeno caso agli altri tre occupanti della stanza, tutti con gli occhi lucidi, perché quella bambina era ormai il centro delle loro attenzioni.
Erano una famiglia.
Sentirono la voce ovattata dell’infermiera chiedere il nome della piccola, mentre loro annuirono, scuotendosi dal torpore, e si guardarono.
«Alison Aalyah Cough.» Dissero in contemporanea, lanciando uno sguardo alla sorella maggiore di lei, che si sciolse definitivamente in lacrime.
Anche Alison era pronta a diventare la prossima eroina della famiglia.
 
 
 
 
 
*inventata dalla sottoscritta, per il 2 maggio, battaglia a Hogwarts e data di nascita della prima Weasley, alias Victoire.
** viva Google traduttore, non ho mai fatto francese, viva lo spagnolo, incazzatevi con Google per gli errori, anyway.
***Hannah Abbott, moglie di Neville, ha preso da Madama Rosmerta I Tre Manici Di Scopa, così ci ha detto la Row.
(4)  “Vicino a te non ho paura” di Nicholas Sparks.
(5) Re Leone 2, Siamo un’unica realtà.
(6) Soprannome ufficiale della figlia di Kath.


Eccoci!
Come al solito, mi scuso per l'immenso ritardo, ma tra caldo scuola e ristrutturazioni sono stata un po' incasinata.
Quest'anno devo studiare molto, quindi sono piuttosto impegnata, ma veniamo a noi!
Il capitolo, beh, si commenta da solo.
La scena di Kath è stata aggiunta poichè, arriva IL SALTO TEMPORALE (PLL IS THE WAY)
Sarà di quattro anni, e tratterà la piccola generazione, con la vecchia conciata sempre peggio.
Detto ciò, vi rilascio la pagina, e ci sentiamo al prossimo capitolo
(https://www.facebook.com/Megan204efp)
Megan

 
  
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