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Autore: Black Hayate    25/09/2015    2 recensioni
[I Dalton ]
Avete mai pensato a come sarebbe Lucky Luke se fosse ambientato ai giorni nostri? Che lavoro farebbe il nostro cowboy solitario?
E i Dalton? Riuscirebbero a scappare dall'infame penitenziario del Nevada in cui sono rinchiusi e a soddisfare la loro sete di crimini e denaro?
Beh, se siete curiosi non vi resta che leggere.
Genere: Avventura, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve giovani! Ho avuto un po’ da fare in queste settimane, così sono riuscita ad aggiornare solo ora. Sono contenta che questa storia abbia cominciato ad appassionare qualcuno e spero vivamente di continuare a farvela piacere ;) Ma vi lascio ai nostri amati Dalton e a quel figone di Lucky Luke. Come al solito, ogni recensione è ben accetta, anche per dirmi che vi fa tutto schifo e che sono una persona orribile (anche se spero proprio di non averne!)

 

 

“Lo stato del Nevada è quasi interamente interno al Grande Bacino, un deserto mite in cui scorre soltanto un fiume, lo Humboldt. È delimitato a nord dall’altipiano della Columbia, a sud dal deserto del Mojave, dove è situata la zona di Las Vegas, a est dalle Montagne Rocciose e ad ovest dalla Sierra Nevada”.

Le parole dell’enciclopedia che aveva letto in uno dei suoi tanti giorni di prigione risuonavano nella mente di William, mentre i suoi occhi stanchi e nostalgici osservavano la catena montuosa che incominciava ad intravedersi dal finestrino del furgone. Quella era senza dubbio la sierra, l’avrebbe riconosciuta ovunque: non per niente era il posto dove era nato e cresciuto.

Era uno spettacolo impressionante: la grigia strada asfaltata proseguiva dritta verso quei colossi che troneggiavano fieri alle propaggini del deserto. Osservandole dal basso verso l’alto, si poteva notare che una ricca vegetazione lasciava spazio al bruno secco delle rocce, per poi terminare in punte bianche, ricoperte da una neve appena accennata che non accennava ancora a sciogliersi. William diede un’occhiata al resto della compagnia: Averell dormiva della grossa, mentre Jack scrutava le montagne rapito quanto lui. Joe, invece, sul sedile anteriore, era più attento alla strada e al vecchio indiano che stava guidando. Sembrava sempre più impaziente.

-Chiedo scusa, quanto manca ancora?- chiese alla fine in tono apparentemente cortese, ma che lasciava trasparire una vena minacciosa. Il pellerossa rimase in silenzio per qualche attimo, facendo spazientire ancora di più il fratello maggiore, dopodiché rispose:

-Voi visi pallidi avete sempre fretta-. Joe assunse una sfumatura violacea, ma l’indiano proseguì seraficamente:

-Quella è la mia casa-

In effetti all’orizzonte si scorgeva un edificio di legno. Il pick-up cominciò a rallentare e, nel giro di qualche minuto, erano arrivati. La “casa” era più che altro un vecchio negozio con una pompa della benzina a fianco (William reputò abbastanza pericoloso avere così vicino legno e combustibile, ma evitò di esprimersi). L’indiano scese dalla macchina e fece cenno di entrare. Joe lanciò uno sguardo al resto dei fratelli e cominciò a sfregarsi le mani, ma non prima di aver tirato un calcio ad Averell.

Entrando, la prima cosa che si notava era il sottile strato di polvere che copriva ogni cosa. In realtà anche in penitenziario era così: il vento del deserto lasciava poche speranze alla pulizia. Per il resto il locale era composto da un bancone con una gran quantità di carne e fagioli in scatola, diverse taniche d’acqua e qualche pacchetto di sigarette. Il pellerossa porse l’acqua ai fratelli, dopodiché entrò nel retrobottega, dove presumibilmente si trovava la casa vera e propria. I quattro bevvero avidamente, dopodiché Joe cominciò a guardarsi intorno, bisbigliando:

-Il vecchio deve avere un’arma da qualche parte. Dobbiamo trovarla-

William e Jack si diedero un’occhiata d’intesa e iniziarono a rovistare nella stanza. Averell, d’altro canto, si mise una mano sulla pancia, borbottando:

-Ma Joe, io ho fame…-

Joe si voltò, stringendo i pugni con rabbia.

-Idiota! Prendi qualcosa dal bancone, non sai fare altro-

Il fratellino sorrise e si diresse verso le tante scatolette ammucchiate contro la parete. Joe scosse la testa, riprendendo a rovistare tra cumuli di giornali di un decennio prima. Ma, dopo nemmeno qualche attimo, sentì un tonfo. Aveva già una vaga idea di cosa fosse successo e svariate altre sulla punizione da dare ad Averell, quando udì proprio la sua voce dire:

-Ehi, sono scivolato e mi è caduto in testa un fucile. Pensavo che facesse male solo quando ti sparavano addosso!-

Elettrizzato, corse dal fratello minore e, dopo avergli tappato la bocca, sussurrò:

-Senti Averell, adesso tieni questo dietro la schiena e lo nascondi finché non te lo dico io, hai capito?-

Averell annuì incerto, ma a Joe bastò, anche perché aveva sentito i passi dell’uomo che stava tornando.

Si ricompose in fretta, aiutando Averell ad alzarsi e fulminandolo con lo sguardo.

Il pellerossa fece nuovamente capolino dalla porta del retrobottega, accompagnato da una donna gigantesca e  da un uomo… con una maschera di legno sul volto.

I fratelli lo guardarono inquietati.

-Questi sono Ayasha, mia moglie, e mio nipote nonché socio in affari Vero Falco, o Chayton- disse il vecchio indiano. -Non spaventatevi, è talmente brutto che preferisce tenere una maschera- aggiunse sottovoce.

L’uomo con la maschera si fece avanti, battendo le mani con soddisfazione.

-Benvenuti, signori, nella nostra umile dimora! E adesso veniamo agli affari: per l’acqua, la scatola di fagioli e la benzina che mio zio ha consumato per portarvi fino qui sono 50 dollari-

-COSA?! Ma è un FURTO!- sbottò Averell tutto d’un fiato -E io che pensavo foste delle persone gentili!-

-La gentilezza ha sempre un prezzo- ribatté Vero Falco, schioccando le dita. -Dunque, avete intenzione di pagarci o dobbiamo usare le maniere forti?- continuò, mentre la donna rovistava sotto il bancone. Si rialzò furente.

-Dove diavolo l’avete messo? Devo sempre mettere a posto il vostro disordine!- cominciò ad urlare, tirandosi su le maniche. Joe colse teatralmente l’opportunità.

-Forse state parlando di questo?- chiese con dolcezza, prendendo il fucile nascosto dietro Averell e puntandolo contro i tre indiani. Da pellerossa quali erano sbiancarono all’istante.

-Vi prego, siate ragionevoli…- cominciò il vecchio, alzando le mani lentamente.

-Imbecilli! Siamo appena scappati di prigione, come pensate che possiamo essere ragionevoli?!- sbraitò imbestialito Joe.

-E come vi permettete di fare questi prezzi!- continuò Averell, girandosi sdegnato. Il resto del gruppo lo fissò sbalordito. Poi Joe continuò:

-Tu, vecchio. Dammi le chiavi del furgone-

-E della benzina- continuò William.

-E anche dell’acqua- aggiunse Jack.

-E 10 lattine di carne in scatola!- completò Averell.

-Ma è l’unico mezzo che possediamo…-

-Dovevi pensarci prima di minacciarci! Noi siamo i Dalton, che cosa pensavi?- rispose Joe con un ghigno. -E adesso muoviti o sarò costretto ad usarlo-

 

***

 

Il recupero del ragazzo aveva richiesto più tempo del previsto e ormai si era fatta sera. Quando rientrò in centrale, c’era una piccola comitiva ad accoglierlo.

-Ehi Luke, un altro colpo a segno?- chiese un agente baffuto e dalla pancia prominente.

-Così sembrerebbe, Patrick- rispose l’uomo alto, ammiccando verso l’altro, il quale stava già ridendo sotto i baffi.

-Sei incredibile, devo offrirti un’altra birra!-

-Un’altra volta, adesso voglio solo tornare a casa-

-Non ancora, Luke, la signora di vuole- disse un altro agente, sottolineando il termine con un filo di stizza.

-Porta rispetto, Jenkins- gli rispose di rimando Patrick, dandogli una pacca sulla testa.

L’uomo alto rise e lanciò un’occhiata oltre le spalle dei suoi colleghi, verso un’ampia porta a vetri. Una targa segnava che quello era l’ufficio di Canary-Burke. Avanzò a grandi passi varcò la soglia.

-Mi cercava, signora?-

-Luke, piantala o ti faccio passare quell’aria baldanzosa-

L’uomo smise di sorridere all’istante. Era meglio non contraddire una donna di quel calibro.

-Mi spiace Jane, cercavo di sdrammatizzare- si scusò Luke, passandosi una mano fra i capelli.

-Sì sì, evitiamo. Tanto lo so che quegli idioti dei miei sottoposti continueranno a prendermi per il culo-

-Non sanno con chi hanno a che fare- replicò duramente l’uomo.

Lei fece spallucce, per poi distendersi in una rauca risata. Eppure Luke era stato serissimo con quell’affermazione. Martha Jane Canary-Burke era stata una delle prime donne ad entrare nella Highway Patrol e il primo agente in assoluto a fronteggiare da sola (ed uscirne viva) una sparatoria di narcotrafficanti per difendere un collega ferito. Questo intervento, oltre ad una medaglia al valore, le aveva fatto guadagnare il soprannome di Calamity Jane. Da quel momento la sua carriera era stata in continua salita, anche se non priva di difficoltà: pur essendo un bravissimo poliziotto sul campo e altrettanto competente in faccende burocratiche, era stata sempre e comunque guardata con una certa malizia dai colleghi dell’altro sesso. Lei, con la sua grinta inarrestabile e la sua risata raspante, sembrava non risentirne più di tanto, anche se a volte (come quel giorno) si capiva quanto le pesasse non essere considerata una pari.

In effetti Luke era l’unico ad essere riuscito a conquistarsi la stima della donna, anche se molto più giovane di lei. Dopotutto lui stesso era veramente ammirato che, all’età di 55 anni suonati, Jane riuscisse a svolgere in modo eccellente il proprio lavoro, nonché ad aver avuto una figlia ed averla cresciuta tutta da sola. Lui probabilmente non ci sarebbe mai riuscito e non intendeva nemmeno provarci.

La donna lasciò sopire la risata, dopodiché prese un sigaro da un astuccio nascosto sotto la scrivania. Ne porse un altro a Luke, che rifiutò con gentilezza. La donna mugugnò qualcosa a proposito di quanto le sigarette fossero insulse e invitò l’uomo a sedersi. Infine disse:

-Bel colpo, Luke. Dovrò offrirti una birra-

L’uomo rise e replicò: -Già me ne ha offerta una Patrick, volete farmi ubriacare?-

Jane gli soffiò addosso il fumo del sigaro e rispose:

-Naaah, tanto lo sappiamo tutti che tu bevi solo limonata. Si fa per dire. Che poi che razza di uomo beve limonata ad un pub?-

Luke sorrise placidamente. -Uno con la mira perfetta-

La donna si fece una grossa risata.

-Hai un punto, figlio mio. In effetti ti servirà, dato che i Dalton sono di nuovo in circolazione- disse a bassa voce.

L’uomo si fece serio, stirandosi sulla sedia e armandosi di cartine e tabacco.

-Sappiamo qualcosa?-

-Hanno lasciato qualche traccia. Sembra che siano stati avvistati da quegli indiani che vivono in mezzo al deserto che ti stanno tanto simpatici.-

-Come? Lupo Pazzo e Vero Falco?- chiese stupito Luke, mentre si rollava la sigaretta.

-Proprio loro. I Dalton hanno rubato il loro pick-up e qualche provvista, dopodiché sono partiti verso le montagne della sierra-

Jane osservò l’uomo incupirsi mentre gli porgeva l’accendino. -Stanno andando dalla madre- disse lui, dopo qualche boccata di fumo. Stranamente, non sembrava compiaciuto della considerazione. Spiegò le sue perplessità qualche istante più tardi.

-La sierra è un ottimo posto per nascondersi e mamma Dalton lo sa: è piena di rifugi che conoscono solo i pastori e i minatori e che a volte non si vedono nemmeno con le ricognizioni in elicottero-

La donna annuì pensierosa e si godette il sigaro per un po’, in silenzio.

-Organizzare delle squadre costerà un sacco di soldi-

Luke si accarezzò il mento, riflettendo. -Forse non servirà. È possibile che facciano qualche passo falso e si facciano beccare. Dopotutto sono i Dalton- disse, spegnendo la sigaretta nel portacenere di Jane. -Domani mattina andrò a fare visita alla loro mamma. Magari scopro qualcosa-

Si alzò, osservando i fili sottili di fumo ormai espansi in nubi grigiastre nell’ufficio. Teoricamente non si poteva fumare in locali come quello, ma era l’unico vizio che lui ed il suo capo si permettevano di tanto in tanto e, in fin dei conti, non sarebbe mai riuscito a rinunciarvi. Rimase in piedi, mentre Jane, la stanza e lui stesso si facevano sempre più opachi.

-Come sta tua figlia?- chiese, dopo un po’. -So che stava cercando lavoro-

Jane inarcò un sopracciglio.

-Molto bene- rispose con soddisfazione. -Adesso sta facendo un dottorato al Caltech-

-Ottimo- replicò Luke, ed uscì dall’ufficio.

 

 

Qualche link utile (come al solito):

-Qualche bella immagine della Sierra Nevada:

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/4/4a/Mount_Alice_and_Temple_Crag_in_the_Sierra_Nevada_(U.S.).jpg

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/a3/Sierra_Nevada-terabass.jpg

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/16/Sierra_Nevada_(Spain).jpg

-Chi era Calamity Jane? Ho deciso di introdurla perché volevo inserire un bel personaggio femminile, così la mia scelta è caduta su di lei (ma non solo, come poi si capirà).

https://it.wikipedia.org/wiki/Calamity_Jane

-Che cos’è il Caltech?

https://it.wikipedia.org/wiki/California_Institute_of_Technology

 

 

   
 
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