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Autore: Ignis_eye    26/09/2015    1 recensioni
Non esiste solo un mondo, ce ne sono parecchi, o meglio, ce ne sono tanti raggruppati in uno solo, dove gli umani trascorrono tranquillamente la loro esistenza e dove le creature magiche vivono in armonia e talvolta si fanno la guerra.
Gli esseri magici svolgono le loro faccende quasi con normalità, tenendole nascoste agli uomini, ma... che cosa succederebbe se un terribile segreto venisse rubato e due razze si scontrassero?
Genere: Guerra, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le fitte al petto le fecero inarcare la schiena e aprire gli occhi.
Tutto si muoveva attorno a lei, ma i suoni  le arrivavano attutiti e le immagini distorte. A occhio e croce, però, c’era un gran bel daffare lì vicino.
«Si è svegliata! Si è svegliata!» urlò qualcuno.
«Ha aperto gli occhi!».
«E’ viva!».
Tutte quelle esclamazioni fatte da voci sconosciute la intontivano  e la innervosivano terribilmente ma non trovava le forze per farle smettere.
Con le mani toccò il suolo sentendo sotto le dita un soffice manto erboso.
Voltò la testa a destra e a sinistra e man mano che la vista tornava nitida, si accorgeva di non essere accanto alla stradina dove aveva teso l’agguato al traditore.
Al ricordo della lotta con Gaspare una fitta alla testa la costrinse a portarsi le mani alle tempie e a stringere i denti dal dolore; tutti i ricordi, prima molto vaghi, le tornarono in mente come se stesse vedendo un film: l’imboscata, tutto lo scontro, il sangue, la dimensione spiritica, il Gran Maestro, la rabbia.
Qualcuno le toccò il braccio ma lei si scansò e gli ruggì contro.
«Sembra non stare bene» commentò qualcuno.
«Dopo quello che ha passato» rispose un altro.
«Lasciamola stare per un po’».
«Buona idea».
Chi diavolo era tutta quella gente? Dal loro odore sembravano licantropi ma non riusciva ancora a vedere bene perciò non era in grado di riconoscerli.
La luce del sole la costrinse a chiudere gli occhi e a girare il volto. Quanto tempo era passato?
Si distese su un fianco e poi si mise a sedere barcollando un po’. Si massaggiò la faccia e le tempie, poi si decise a guardarli in faccia uno per uno: erano tutti licantropi e cercatori di Villanova, gente che conosceva.
Subito l’ansia si impadronì di lei.
“Dov’è mia mamma? E mio papà? Sefora? Chan?”.
Non c’era nessuno di loro attorno a lei.
Si alzò a fatica e anche se sentiva le gambe molli, decise che doveva andare a cercarli. Avanzò qualche passo ma subito venne bloccata da alcuni uomini.
«Sei debole, non ti sforzare».
Lo guardò senza proferire parola.
Ma che cazzo voleva da lei?
«Resta seduta, ti porteremo noi quello che vuoi».
Non lo ascoltò e proseguì verso una discesa che collegava la radura nella quale si era svegliata a una molto simile e si accorse, non senza stupore, che distante meno di un chilometro c’erano le rovine di un castello a lei fin troppo familiare.
“E’ quello dei mannari… Abbiamo vinto? Cosa è successo?”.
La tranquillità di tutti i licantropi le suggeriva che sì, avevano vinto la battaglia.
Guardò giù e vide che c’erano delle persone, compresi  i suoi genitori. Loro la videro arrivare e in un secondo furono da lei.
«Elsa!» esclamò sua madre gettandole le braccia al collo «Oddio, Elsa! Avevamo paura che non ti risvegliassi più!».
«Gioia, non essere catastrofica…» disse il marito «Si è appena svegliata, accogliamola con un sorriso».
Lui le strinse entrambe in un abbraccio, ma ben presto i due genitori si accorsero che la figlia non ricambiava in alcun modo.
«Credo che mi dobbiate delle spiegazioni» disse con voce roca «Partendo dall’inizio. Non tralasciate nulla».
«Elsa, di cosa stai parlando?» domandò Fulvio.
«Perché non lo chiedi a tuo fratello? Oh già, che sbadata, è morto con sua moglie per proteggere me».
«Allora lo sai» sussurrò con un fil di voce.
«Già, lo so, ma avrei preferito venirne a conoscenza da te invece che dal Gran Maestro, il vampiro che ha organizzato questo gran casino».
Gioia strinse la mano del marito.
«Elsa, ci dispiace…».
«Già, anche a me» disse interrompendola «Me lo avete sempre nascosto, mi avete mentito!».
«Era per il tuo bene!».
«Bugiarda!» l’accusò «Avete preferito omettere perché sarebbe stato più facile per voi tenermi a bada! L’avete fatto per voi stessi!».
«Elsa, stai farneticando!».
«No invece!» urlò fuori di sé «Non sono mai stata più lucida di così! Non ho mai visto le cose con tanta chiarezza: tutte quelle restrizione, quegli impedimenti, quelle regole, la sorveglianza pressoché costante… tutto per evitare che io prendessi coscienza della mia natura».
Sua madre mosse un passo verso di lei.
«Credici se ti diciamo che l’abbiamo fatto per il tuo bene e non per nostra comodità» la supplicò «Se tu avessi scoperto le tue capacità avresti rischiato di cacciarti nei guai».
Sentendoli urlare, gli altri licantropi erano accorsi e li osservavano da lontano, facendo finta di non badare al loro battibecco.
Purtroppo per la privacy della famiglia, non sarebbero serviti chilometri di foresta per impedire all’udito finissimo degli uomini-lupo di ascoltare le loro parole.
«Se mi aveste educata a usare coscienziosamente il dono non avrei corso rischi, invece avete preferito tacere e per colpa vostra sono quasi morta!».
Quest’ultimo sfogo, più rabbioso dei precedenti, ferì profondamente i due genitori.
«Quando sono finita nel mondo spiritico, non sapevo  dov’ero, cosa stesse accadendo e soprattutto non sapevo come difendermi da quel mostro che voleva assorbire la mia energia e rubare il mio corpo!».
Senza che i litiganti se ne accorgessero, agli spettatori si unirono anche Chan, Sefora e i suoi genitori.
La ragazza avrebbe voluto intervenire per placare gli animi ma il buon senso la trattenne: dovevano vedersela tra loro.
«Siete dei bugiardi!» li accusò ancora Elsa.
«Nemmeno tu sei stata tanto sincera!» esplose il padre, rosso in viso per la rabbia di vedersi trattato tanto male «Non ci hai detto che stai assieme alla cercatrice!».
Elsa sbiancò di colpo.
Gioia spalancò gli occhi, incredula.
Tutta la piccola folla si voltò verso Sefora che era impietrita dalla paura.
La ragazza-lupo si girò per la prima volta a guardare le persone che ascoltavano i loro discorsi e vide che Sefora si mordeva un labbro per non piangere.
Sentì improvvisamente caldo.
«Cos’ hai fatto?!» ruggì contro suo padre.
Lui, pentitosi di quello che aveva appena detto, tentò in tutti i modi di scusarsi ma fu inutile.
«Elsa, davvero, mi dispiace» le disse «Io… io non volevo dire questo».
«A no? E cosa avresti voluto dire, allora?».
Gioia intervenne.
«Elsa, calmati…».
«No che non mi calmo! Erano affari nostri e lui l’ha urlato ai quattro venti!».
Lei la prese per il braccio nel tentativo di avvicinarla e farla tranquillizzare ma la ragazza  si liberò con uno strattone e le ringhiò contro.
Senza più degnarli di uno sguardo, andò fino da Sefora e la prese per mano allontanandola dalla folla curiosa e dai suoi genitori che la guardavano con un misto di rabbia e preoccupazione.
Le fece strada senza sapere nemmeno lei dove portarla e si decise a fermarsi solo una volta raggiunta una macchia d’alberi più rada del resto del bosco.
Sì, lì sembrava abbastanza lontano e tranquillo.
Voleva parlarne con Sefora ma lei le si gettò al collo piangendo. La strinse tra le sue braccia e la cullò dolcemente finché i singhiozzi non diminuirono.
«Hey, basta piangere» sussurrò «le tue calde lacrime faranno restringere la mia maglietta. Hai idea di quanto faccia fatica a trovare vestiti che mi piacciano?».
Si accorse che la battuta aveva ottenuto l’effetto sperato perché Sefora aveva accennato una piccola risata mischiata al pianto.
Le accarezzò la testa passando le dita tra i capelli, meravigliandosi di quanto fossero tornati belli dopo un solo giorno di libertà.
Ma cosa era successo mentre lei non c’era? Avrebbe voluto chiederlo, ma parlare dell’accaduto con Sefora era assai più urgente.
Le lasciò un piccolo bacio sulla testa e la sentì rilassarsi un po’.
La maga appoggiò la testa al suo petto asciugandosi le lacrime e si lasciò cingere dalle braccia protettive della licantropa.
«Elsa» sussurrò con voce ancora insicura per via del pianto.
«Dimmi».
«Elsa, io non so come abbia fatto a scoprirlo. Quando hai fatto quella cosa e sembravi morta, io e Chan ti abbiamo portata dagli altri. Io mi sono presa cura di te secondo le istruzioni del maestro ma ti assicuro che le mie premure non erano eccessive».
La ragazza la strinse ancor di più, le faceva una tenerezza indescrivibile.
«Sefora, non è colpa tua» la rassicurò «Deve averlo capito in qualche altro modo».
«Come faremo?».
«Come fanno tutti» rispose con naturalezza.
«Non credo sia possibile, tuo papà non sembrava affatto contento di averlo scoperto».
Elsa sospirò: aveva ragione.
«Ti chiedo scusa per quello che ha detto, non spettava a lui parlare».
Sefora alzò il viso e le baciò le labbra, sentendo di averne bisogno ora più che mai. Portò le mani tra i capelli ricci della ragazza-lupo e vi affondò le dita per attirarla a sé il più possibile.
Le mani dell’altra scesero sui suoi fianchi mentre la sua lingua si insinuava tra le labbra rosee delle cercatrice.
Il bacio si faceva sempre più passionale e le due si staccavano di tanto in tanto solo per prendere un breve respiro e tornare poi a nutrirsi l’una delle labbra dell’altra.
Le mani di entrambe scorrevano sui loro corpi ma non c’era alcuna intenzione di andare oltre: il sesso non era nelle loro intenzioni, desideravano solo essere sicure che l’altra ci fosse, volevano essere certe di averla accanto, di non farla scappare.
Sefora staccò le labbra da quelle della licantropa e sussurrando a pochi centimetri dal viso dell’altra fece una domanda che da un po’ la tormentava.
«Elsa… quando sei quasi morta non hai finito una frase. Cosa volevi dirmi?».
La ragazza avvampò e d’un colpo sentì la gola secca.
«Io… io volevo dirti che credo di amarti» disse tutto d’un fiato , ma resasi conto di quanto suonasse strana una confessione d’amore basata su un “credo”, si affrettò a spiegare.
«Non so se l’amore possa nascere in così poco tempo, ma non ho mai provato nulla del genere per nessuno. Senti» disse prendendole la mano e poggiandosela sul petto, sopra il cuore «Ti giuro che non ha mai battuto così per nessuna persona al mondo».
Gli occhi verdi di Sefora tornarono umidi per l’emozione.
Aprì le labbra in un sorriso meraviglioso senza sapere bene cosa dire. E poi, cosa c’era in fondo da dire? Nemmeno lei, come la licantropa, sapeva con esattezza cosa fossero quei sentimenti che provava.
Una cotta? Una semplice infatuazione? Un amore appena sbocciato?
Non ne aveva la minima idea.
«Anche il mio cuore batte così da quando ti conosco, Elsa».
Le prese una mano e ne baciò il palmo.
Era caldo, bollente come tutto il resto del suo corpo.
«Allora… noi stiamo insieme?» chiese imbarazzata la ragazza-lupo.
Sefora rise per l’espressione di Elsa.
«Sì, direi di sì» rispose strappandole un sorriso a trentadue denti.
L’altra la prese in braccio dalla felicità, ma essendo ancora stanca per gli sforzi fatti, perse l’equilibrio e cadde indietro con conseguente risata di entrambe.
«Elsa, non devi sforzarti» la riprese bonariamente «Hai già fatto abbastanza».
«Abbastanza?» chiese confusa.
«Tu non lo sai, ma è grazie a te se abbiamo vinto».
«Cosa?!» esclamò mettendosi a sedere.
Una mano dalle dita affusolate le si posò sul petto e la invitò a sdraiarsi di nuovo sull’erba.
«Quando sei finita nel mondo spiritico, io e Chan ti abbiamo portata dagli altri e per strada lui mi ha spiegato a grani linee cosa stesse accadendo».
Elsa le prese la mano e ne intrecciò le dita con le sue mentre ascoltava il racconto di Sefora.
«Quando siamo arrivati là, i licantropi avevano appena attaccato: Chan non aveva fatto in tempo ad avvertirli. Pensavamo fosse troppo tardi, ma dopo qualche minuto, da una stanza del castello si è sprigionata una luce accecante e i nostri sono riusciti a sopraffare i nemici».
«Chan ti ha parlato del Gran Maestro?».
«Un po’. Nessuno era veramente certo della sua esistenza finché non ne abbiamo ritrovato la mummia nella stessa stanza da cui si era sprigionata la luce».
«Quindi pensa che io abbia fatto qualcosa».
«Lui sa che hai combinato qualcosa».
Elsa rimase qualche secondo a pensare. Avendo ucciso il Gran Maestro, aveva eliminato la mente e forse distrutto dei vincoli magici essenziali per la vittoria dei vampiri.
«E’ tutto finito? Non c’è più nessuna guerra?».
«No» rispose Sefora accarezzandole un livido sul viso che stava già guarendo «dobbiamo prendere il Necronomicon».
Se ne era quasi scordata.
Maledetto libro, era cominciato tutto a causa di esso.
«Non lo hanno trovato?».
«In realtà sanno dov’è ma non riescono a prenderlo».
Elsa non capiva.
«Spiegati».
La cercatrice si mise a sedere per evitare un raggio di sole che da un po’ la tormentava.
«Il Necronomicon è nei sotterranei, precisamente tra le mani della mummia del Gran Maestro».
Pure Elsa si alzò, incredula.
«Sefora, io ci capisco sempre di meno» disse massaggiandosi le tempie «Cos’è questa storia?».
«Da quello che mi ha raccontato Chan, il Gran Maestro è morto mentre si trovava nel mondo spiritico; il suo corpo è stato mummificato da qualche suo seguace e, nonostante lui sia definitivamente morto, conserva un’energia strana».
Elsa trovò corrispondenza tra la teoria di Chan e la storia raccontatale dal vampiro ed esortò Sefora ad andare avanti.
«Pare che il suo cadavere, non decomponendosi completamente, funga da batteria e alimenti un incantesimo che impedisce di prendere il Necronomicon e riportarlo a Roma».
«E cosa si può fare? Se esistono altri vampiri che lavoravano per il Gran Maestro, certamente vorranno impadronirsi di nuovo del libro maledetto e di sicuro sanno come disattivare l’incantesimo!».
«E’ quello a cui abbiamo pensato tutti» rispose l’altra «e c’è una cosa alla quale abbiamo pensato io e Chan ma che non abbiamo detto a nessuno».
«Non tenermi sulle spine».
Sefora si asciugò la fronte realizzando solo in quel momento che nonostante fosse piena estate, l’ansia la faceva sudare più del caldo soffocante.
 
 
 


 
 
«Quindi sarebbe questo il posto» rifletté Elsa a voce alta.
«Sì. Fa uno strano effetto, vero?».
«Decisamente».
La ragazza-lupo avanzò di qualche passo nella stanza circolare illuminata da una luce violacea. Diversamente dal resto del castello si era conservata bene: le pareti non mostravano né crepe né muffa e il pavimento non era disseminato di calcinacci.
Su un trono addossato alla parete, stava accomodata la mummia del Gran maestro, sorridente come la prima volta che l’aveva visto.
La pelle raggrinzita ne copriva il volto sfigurato da un ghigno inquietante, nelle orbite brillavano due pietre nere che assieme alle folte sopracciglia rendevano angosciante il suo sguardo vuoto.
Elsa, tuttavia, non fu attirata particolarmente dal suo viso ma dal suo petto: dove avrebbero dovuto esserci cuore e polmoni, c’era una strana sostanza viola che irradiava luce propria e illuminava tutta la stanza proiettando sui muri le ombre delle visitatrici.
«Ecco» disse Sefora indicandole la mummia «il Necronomicon è quello che tiene tra le mani».
Le dita ossute ghermivano un libro non molto grande e chiaramente antico e le unghie nere erano quasi conficcate nella copertina di cuoio.
«Me lo immaginavo… diverso».
«Più grande? Più bello? Più strano? Sì, pure io».
In effetti, il Necronomicon appariva insignificante. Un semplice libro che, a parte un pentagono disegnato sulla copertina, non aveva nulla di particolare.
«Ma sei sicura che sia quello?».
«Sì, un cercatore che aveva lavorato a Roma e che lo aveva custodito se ne è accertato».
Elsa storse il naso. Possibile che quel mucchio di polvere e muffa avesse causato così tanti problemi?
«Sefora, ti ricordi quel libro che il prete di Milano aveva nascosto?».
«Sì».
«Non era forse più pericoloso? Insomma… era stato scritto da un demone, mentre il Necronomicon è stato scritto da diverse persone».
«Credo che la sua pericolosità risieda in quello che contiene, non in chi l’ha scritto. Con questo libro è possibile riportare in vita i morti».
Elsa annuì.
In quel momento però non c’era tempo per pensare, si doveva portare via il libro.
«Non mi hai ancora spiegato in cosa consiste esattamente il tuo piano».
«Io e Chan abbiamo pensato che se sei riuscita ad ucciderlo, puoi anche rubargli il Necronomicon».
«Sì, ma come? Mi hai detto che gli altri che ci hanno provato sono rimasti ustionati appena hanno avvicinato le mani!».
«E’ vero, ma gli altri non sono te!».
L’altra si portò le mani alla faccia. Cosa poteva fare? Si sentiva spaesata come non mai e Sefora, intuendo il suo turbamento, l’abbracciò.
«Nessuno ti ha mai insegnato a usare il dono e nonostante ciò hai ucciso il Gran Maestro. Chan dice che devi liberare il tuo spirito per farcela».
«E come si fa? Cosa vuol dire?» domandò stizzita «Perché Chan non è mai esplicito?».
«Bella domanda, nemmeno io so cosa intendesse di preciso».
“Liberare lo spirito… liberare lo spirito… dovrei uscire di nuovo dal mio corpo? E se non tornassi più indietro? Non posso farlo” pensò.
Avvertiva una certa tensione dentro e attorno a sé, una tensione angosciante: quando erano tornate, avevano attirato sguardi stupiti e curiosi, qualcuno disgustato, qualcun altro confuso. Le avevano lasciate andare al castello senza proferire nemmeno una parola, quasi non parlassero la stessa lingua e dovessero comunicare solo a gesti.
“La smetterebbero di fare così se recuperassi il Necronomicon?” si domandò “Tornerebbe tutto come prima? Mi direbbero in faccia quello che pensano di me?”.
Quella fase di stallo la faceva sentire lontana dagli altri licantropi, non poteva sopportarlo; per farsi accettare doveva camminare a testa alta e non mostrare debolezza, doveva compiere un atto di grande coraggio e il recupero del libro era l’occasione perfetta.
Doveva farlo per sé stessa e per Sefora, si sentiva in obbligo di tirarla fuori dal guaio in cui suo padre l’aveva cacciata.
Sciolse l’abbraccio e prese il viso di Sefora tra le mani.
«Se mi succedesse qualcosa, promettimi che non ti farai schiacciare da loro».
«Lo prometto. E tu giura che farai di tutto per tornare da me».
«Lo giuro» sussurrò sulle sue labbra «Farò qualunque cosa».
La baciò, lentamente, venerandone la bocca il più a lungo possibile, sperando che quell’istante non finisse mai.
«Adesso vado».
«Sì» rispose Sefora accarezzandole il volto «Vai e torna da me».
Elsa le prese le mani e le baciò, poi si voltò verso la luce viola che illuminava con la sua aura di morte la mummia del Gran Maestro.
I piedi le sembravano pesanti tonnellate e all’improvviso le si seccò la gola.
Allungò una mano verso la luce percependo un calore bruciante ma non si fermò; lentamente la spingeva avanti per raggiungere il libro maledetto mentre il dolore sempre più intenso le dava l’impressione di consumarle la carne. Strinse i denti ma il calore era troppo, insopportabile, sembrava di affondare la mano nella lava.
“Libera lo spirito, libera lo spirito, libera lo spirito” si ripeteva come un mantra “Libera lo spirito, libera lo spirito…”.
Pensava quelle parole senza sortire alcun effetto, anzi, provava sempre più dolore. Stava per mettersi a piangere, ne era certa: sulla pelle arrossata erano apparse vesciche purulente sul punto di scoppiare e si stavano espandendo sul braccio.
“No, no, no!”.
Era disperata ma non riusciva ad allontanarsi, era bloccata.
Come nel mondo spiritico.
Copiose lacrime le scorrevano sul viso senza che potesse controllarle e una vescica era scoppiata mettendo a nudo la carne viva che sanguinava colando per terra e seccandosi immediatamente.
In quel momento provava soltanto terrore, sudava freddo dalla paura, sentiva di essere sul punto di svenire.
Il respiro si fece affannoso, la vista sfocata, i rumori ovattati e all’improvviso l’insopportabile calore scomparve. Una fioca luce biancastra avvolse tutto il suo corpo dandole un’anormale sensazione di calma: le dita sanguinanti non sentivano più dolore e poterono raggiungere con facilità il libro; ne tastarono la copertina, dura e ruvida, e poterono strappare il Necronomicon dalle mani ossute e artigliate del cadavere.
Appena strattonò il libro verso di sé, la luce viola perse intensità e si ridusse al solo torace della mummia, così come l’aura lattiginosa che si dissolse nell’aria come vapore.
Tremante e incredula, Elsa si guardò la mano destra: i bubboni si stavano riassorbendo e la pelle ricresceva dove era stata bruciata, ricoprendo i muscoli.
In pochi secondi guarì ad una velocità strabiliante anche per un licantropo.
«Elsa, Elsa!».
Si voltò spaventata.
A causa del ronzio nelle orecchie non si era accorta che Sefora la stava chiamando e che per attirare la sua attenzione aveva dovuto scuoterle le spalle.
Deglutì e prese un bel respiro.
«Ce l’hai fatta! L’hai preso!».
Annuì guardandola ancora un po’ smarrita.
«Cosa è successo?» domandò con voce roca.
«Ma come, non hai visto?».
«Sì, intendevo: come è successo? Perché ce l’ho fatta?».
Sefora alzò le spalle.
«Non lo so, ma è incredibile».
La ragazza-lupo alzò la mano destra e le mostrò il Necronomicon.
Da quando l’aveva toccato, avvertiva l’insana voglia di aprirlo e leggerlo dalla prima all’ultima pagina. Sarebbe stato pericoloso anche solo sfogliarlo?
Si guardarono.
«Elsa, non credo sia una buona idea…».
«Lo so, ma con tutto quello che abbiamo passato a causa sua, non credi sia un nostro diritto leggerlo? Non abbiamo il diritto di sapere per cosa abbiamo rischiato di morire?».
Aveva un strana luce negli occhi che mostrava una curiosità morbosa e pericolosa, una curiosità che la contagiò all’istante.
«Aprilo» disse affiancandosi a lei «Aprilo e leggiamolo».
 








Angolo dell'autrice:
Il momento dell'outing delle due ragazze è arrivato e ha creato grandi tensioni. 
Il Necronomicon è stato preso e addirittura letto... porterà a grossi guai? Per scoprirlo, leggete il prossimo capitolo!


Ignis_eye


P.s: al contrario delle altre volte, non vi toccherà aspettare a causa di ritardi: ho finito di scrivere tutti i capitoli di questa storia, perciò gli aggiornamenti saranno regolari :)
  
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