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Autore: evelyn80    22/10/2015    4 recensioni
Dopo aver espresso il desiderio di poter salvare Boromir dalla sua triste fine, Marian si ritrova catapultata nella Terra di Mezzo grazie ad un gioiello magico che la sua famiglia si tramanda di generazione in generazione. Si unirà così alla Compagnia dell'Anello per poter portare a termine la sua missione. Scoprirà presto, però, che salvare Boromir non è l'unica prova che la attende.
Ispirata in parte al libro ed in parte al film, la mia prima fan fiction sul Signore Degli Anelli.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Boromir, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La mia Terra di Mezzo'
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Testarda, io.

 

La sera, durante la cena, notai che tutti i nuovi arrivati erano stati equamente distribuiti fra i vari tavoli che affollavano il Salone delle Feste del Palazzo dei Re. Solamente uno di loro, e più precisamente un Nano, era seduto alla tavola alta, al fianco di Gimli. Guardandolo bene, mi accorsi che si trattava della Nana che quella mattina, al suo ingresso nella città, mi aveva guardato ammiccando. Il figlio di Gloin me la presentò. Si chiamava Gwina ed era sua cugina da parte di madre. Era un abile architetto ed avrebbe presieduto alla ristrutturazione di molti edifici; tra cui anche il Palazzo dei Sovrintendenti che, dopo l’incoronazione di Aragorn, sarebbe tornato ad essere la residenza di questi ultimi.
In qualità di Sovrintendente in carica Boromir mi chiese, come sua promessa sposa, di decidere in che modo dovessero svolgersi i lavori. La mattina dopo, quindi, ancora avvolta nel mantello elfico e col cappuccio calato fin sugli occhi, mi ritrovai a camminare al fianco della Nana che avanzava a grandi falcate – fendendo letteralmente la folla che si accalcava nelle strade – diretta al Palazzo dei Sovrintendenti.
Benché la sera precedente avessimo scambiato soltanto poche parole, avevo comunque capito che si trattava di una persona molto diretta. Infatti, dopo solo pochi metri si voltò verso di me e, senza rallentare, mi rivolse una domanda schietta.
"Perché ti nascondi dietro quel mantello e sotto quel cappuccio?"
"Perché mi vergogno" fui costretta ad ammettere, mormorando e chinando lo sguardo a terra.
"E di cosa ti vergogni?" insisté lei, in tono secco.
"Del mio aspetto…" cominciai, ma subito mi interruppe.
"E perché? Non c’è assolutamente niente che non va, in te!” esclamò, continuando ad avanzare a grandi falcate. “Checché ne dica la gente!" aggiunse immediatamente, dopo aver visto un vecchio bestemmiare e sputare al mio indirizzo.
"Sono un’Orchessa…" presi a lamentarmi, ma Gwina di nuovo mi bloccò, risoluta.
"Appunto! E, come tale, non ti manca assolutamente niente! Sei un’Orchessa perfetta sotto tutti i punti di vista!" decretò, in un tono che non ammetteva repliche.
"Forse è come dici tu, ma la gente mi insulta… Ahi!” esclamai, interrompendomi all’improvviso, colta di sorpresa. Qualcosa mi aveva colpito alla nuca. Mi voltai, appena in tempo per veder scappar via un gruppo di ragazzetti schiamazzanti. “E si prende gioco di me" ripresi, cercando di ripulire alla meglio il retro del cappuccio dal pomodoro marcio che quei monelli appena fuggiti mi avevano lanciato.
"Gli Uomini prendono in giro le altre razze perché hanno paura di tutto ciò che è diverso da loro!" commentò Gwina socchiudendo gli occhi, con l’aria di chi la sapeva lunga.
"Forse Gimli non ti ha detto che anch’io, prima, ero un essere umano" le rivelai, continuando a sfregare la stoffa.
"Certo che me lo ha detto! Mi ha raccontato tutta la tua storia, ieri pomeriggio!” esclamò ancora. “Quello che hai fatto per la Terra di Mezzo è semplicemente favoloso, e non devi certo lasciarti abbattere da due miseri insulti! Via quel cappuccio! Via quel mantello! Non sei tu che devi vergognarti, ma chi ti prende in giro!" proruppe, fermandosi bruscamente e strappandomi via di dosso il manto elfico.  "Bene!" riprese, dopo avermi contemplato con occhio critico dalla punta degli stivali all’elsa di Hoskiart, "ed ora, andiamo ad occuparci del Palazzo dei Sovrintendenti!".
Senza aggiungere altro, riprese il suo passo di marcia diretta verso la nostra meta.
I muratori Gondoriani incaricati della ristrutturazione non furono molto contenti delle loro superiori: una Nana con la barba lunga fino al petto, intrecciata in una decina di piccole trecce ornate di perline di vari colori, ed un’Orchessa puzzolente, oltretutto armata di spada. Fin da subito, con le mie orecchie anche troppo sensibili, li sentii borbottare commenti non proprio educati nei nostri confronti. Fui tentata di rimettermi il mantello e di sparire dalla circolazione, ma Gwina mi lanciò un’occhiataccia e scrollò le spalle, come a voler far scivolare via gli insulti. Poi, iniziò ad elencarmi le varie possibilità che avevamo per rimettere in sesto l’edificio, chiuso ormai da secoli, presentandomi i vari vantaggi e svantaggi di ognuna. Era talmente appassionata dal suo lavoro che riuscì a coinvolgermi appieno, tanto che dimenticai persino gli sguardi ostili che, di tanto in tanto, gli operai ci lanciavano. In breve tempo scelsi i lavori da portare a termine, con estrema soddisfazione della Nana che approvò gran parte delle mie scelte.
Gwina non aveva un solo cantiere da seguire: ne aveva diversi sparsi in tutta la città. Mi chiese se mi andava di accompagnarla nel suo giro di controllo ed io accettai. Lei era l’unica con cui mi trovavo veramente a mio agio, ancora più che con gli Hobbit, forse perché era anch’essa una femmina. Durante la giornata incontrammo molti dei suoi compagni di Erebor e, dai colloqui che ascoltai, ebbi modo di capire che doveva trattarsi di una Nana molto rispettata, poiché quasi tutti le chiesero consigli anche per i loro cantieri.
Il resto del pomeriggio trascorse piuttosto serenamente e la sera, a tavola, Boromir fu piacevolmente sorpreso di trovarmi senza mantello.
"Sono contento di vedere che hai finalmente deciso di toglierti quel manto sporco e consunto" mi disse, non appena gli fui seduta accanto.
"È stata Gwina a convincermi” gli risposi. “Mi ha fatto capire che non c’è niente che non va, in me, e che sono gli altri che sbagliano.”
Sorrise dolcemente.
"Ne sono felice" mormorò, avvicinandosi nel tentativo di baciarmi. A quel punto, qualcosa in me si bloccò di nuovo. Misi le mani avanti, come per respingerlo, mentre mi ritraevo con uno scarto. Il Sovrintendente mi guardò interrogativamente ed io scossi la testa.
"No, Boromir. Ti prego, non ancora…" mormorai, “non mi sento ancora pronta…”
Lui sospirò ed annuì, fissandomi serio.
"D’accordo. Aspetterò. Ma ricordati che non sarà per molto."
Quelle parole mi colpirono al petto come una pugnalata. Spostai lo sguardo sull’anello d’argento che portavo all’indice sinistro. "Vuole lasciarmi" pensai con un sospiro, “ e non ha tutti i torti… Io non sono più la donna giusta per lui."
Quando alzai di nuovo lo sguardo vidi che mi aveva voltato le spalle, impegnandosi in conversazione con Aragorn e Faramir. Pipino attirò allora la mia attenzione, facendo delle facce buffe. Mi voltai così verso gli Hobbit, che subito si misero a raccontarmi freneticamente in che modo si era svolta la loro giornata. Come sempre succedeva, con loro ritrovai il buonumore. Il giovane Tuc continuava, imperterrito, a lanciarmi sguardi adoranti che mi intenerivano. “Se Diamante lo venisse a sapere…” mi sorpresi a pensare, lasciandomi sfuggire un sorriso triste, “il suo Pipino, innamorato di un’Orchessa…”.
Una volta in camera, Boromir mi chiese quali decisioni avessi preso riguardo alla ristrutturazione del Palazzo dei Sovrintendenti. Seduta sul letto, al suo fianco, cominciai a raccontargli tutto quello che mi aveva spiegato Gwina ed a motivare le scelte che avevo fatto. Lui, però, non parve ascoltarmi troppo attentamente. Mentre parlavo, prese ad accarezzarmi lentamente prima le spalle e poi le braccia. La mia voce cominciò a tremare involontariamente, sopraffatta dal tocco delicato delle sue dita. Quando tentò di attirarmi a sé, tuttavia, mi liberai dalla sua presa, alzandomi di scatto dal letto e correndo verso la finestra. Lui rimase seduto, con lo sguardo fisso sulla mia nuca.
"Perché mi respingi?" mi chiese con un sospiro.
"Non puoi veramente desiderarmi, Boromir…" mormorai, triste.
"E perché non potrei? Sei la mia Promessa."
"Sono un’Orchessa…" protestai debolmente.
"Non mi interessa il tuo aspetto” mi rispose, scuotendo la testa. “Io ti amo per quello che sei. Mi pareva di aver capito che la cugina di Gimli ti avesse aiutato ad accettarti."
"Sì, è vero, l’ha fatto… Ma tu…" la mia voce si smorzò e lui mi incalzò a continuare.
"Ma io?"
"Ma tu meriti di meglio, Boromir…" conclusi, infine, con un sospiro.
Lui scosse di nuovo il capo, poi si alzò e mi raggiunse.
"Io desidero solo colei che ho scelto" disse, prendendomi per le spalle e facendomi voltare. I suoi occhi grigio-verdi si fissarono nei miei e, per un attimo infinito, mi persi dentro di essi. Riuscii a riscuotermi solo quando avvertii il suo naso sfiorare il mio. Con uno scarto mi allontanai, correndo alla porta.
"No, Boromir. Mi dispiace ma… io non merito il tuo amore!" e, con quelle parole balbettate tra i singhiozzi, spalancai l’uscio e mi allontanai di corsa senza voltarmi indietro, per paura che potesse inseguirmi e raggiungermi, il suo richiamo disperato che mi seguiva come un’eco.
Scesi nella sesta cerchia, fino alle scuderie. Freccia d’Argento era sveglia e vigile, come se mi stesse aspettando. Le salii in groppa senza neanche sellarla e lei non ebbe nemmeno bisogno di essere spronata. Mi aggrappai forte alla sua criniera argentea, lasciando che le lacrime mi scorressero copiose sul viso mentre lei si allontanava dalla città, galoppando nella vastità dei Campi del Pelennor.
Con la morte nel cuore, durante quella corsa sfrenata presi la mia decisione. L’unico modo per consentire a Boromir di dimenticarmi era allontanarmi da lui. Per fare ciò avrei dovuto restituirgli “l’anello della promessa” e cercare un’altra sistemazione, possibilmente quanto più lontano dalla Cittadella.  Lo avrei fatto quella mattina stessa, pensai confusamente prima di abbandonarmi al sonno, abbracciata al collo della giumenta, mentre la luna tramontava dietro il Mindolluin ed il cielo ad est cominciava a tingersi dei colori rosati dell’alba.
Le strade di Minas Tirith erano di nuovo affollate quando, in groppa a Freccia d’Argento, tornai a salire verso la settima cerchia. Mi ero avvolta strettamente nel manto di Lòrien, calando il cappuccio fin sugli occhi, ma non soltanto per non farmi vedere dalla gente. Il sole del mattino mi feriva dolorosamente gli occhi e pareva quasi bruciarmi sulla pelle.
Le guardie all’ingresso della Cittadella mi fecero entrare, senza però riuscire a trattenere i rimbrotti. Seguendo il consiglio di Gwina li lasciai scivolare via, scrollando le spalle. Poi, con un sospiro profondo, mi feci annunciare.
Boromir si trovava nella Sala del Trono in compagnia di suo fratello Faramir, di Aragorn e di Gandalf. Tutti e quattro si voltarono a guardarmi. Non appena mi vide, l’espressione sul volto del Sovrintendente si distese, passando dall’ansietà alla dolcezza. Decisa a non farlo nemmeno parlare mi diressi risoluta verso di lui e, quando gli fui di fronte, sfilai lentamente l’anello d’argento dal dito, senza distogliere lo sguardo dal suo volto.  
"Sono venuta a restituirti questo, Boromir" dissi in tono solenne, stendendo il braccio destro davanti a me ed aprendo le dita, lasciando cadere il piccolo gioiello. Il tintinnio che produsse, rimbalzando sul pavimento di marmo, riecheggiò per tutta la stanza amplificato dalla vastità dell’ambiente.
"Perché…" sussurrò infine il Gondoriano, quando cadde di nuovo il silenzio.
"Perché è giusto così. Dimenticami, Boromir."
E, con quelle ultime parole, girai sui tacchi e lasciai la stanza.

 
* * *

 

Non appena il pesante portone si richiuse alle spalle di Marian, Aragorn e Faramir si lanciarono uno sguardo sconcertato, mentre Boromir rimase a fissare il fondo della sala con sguardo spento. Solo Gandalf pareva tranquillo e perfettamente padrone di sé. L’improvvisa ed eclatante decisione della fanciulla sembrava non averlo turbato affatto.
Il silenzio si protrasse per un lunghissimo minuto poi, finalmente, il Sovrintendente parve riscuotersi. Si chinò lentamente a raccogliere l’anello e, mentre lo contemplava nel palmo della mano, chiese allo Stregone:
"Cosa devo fare ora, Gandalf?"
"Assolutamente nulla" gli rispose quello, in tono calmo.
L’Uomo alzò lo sguardo sull’Istari, fissandolo incredulo.
"Come sarebbe a dire, "nulla"?"
"Mi hai capito bene. Assolutamente nulla!" ripeté lo Stregone, calcando l’accento sull’ultima parola.
"Ma…" tentò di protestare il Sovrintendente.
"Sì, lo so cosa stai per dire”, lo interruppe Gandalf, “avete fatto una promessa che tu intendi rispettare. Ma devi avere ancora un po’ di pazienza! Non è ancora riuscita ad accettarsi. Ma vedrai che, prima o poi, Marian capirà di aver fatto un grosso errore."
"Prima… o poi?" sospirò il Gondoriano.
"Questo dipende dalla sua testardaggine. E, se oltre all’aspetto, ha preso anche il carattere degli Orchi, credo che dovrai aspettare un bel po’!” esclamò l’Istari. “Ma stai tranquillo” aggiunse subito dopo, sorridendo. “I suoi amici l’aiuteranno. Abbi fiducia negli Hobbit… e nelle Nane!"
Gandalf concluse il suo discorso dando una pacca sulla spalla di Boromir, che annuì con un sospiro rassegnato.

 
* * *

 

Adesso, non mi restava altro da fare che cercare un posto dove dormire nell’attesa di una sistemazione definitiva. Visto che dovevo per forza rimanere nella Terra di Mezzo, avevo deciso di trovarmi un lavoro – sempre che qualcuno fosse stato disposto ad assumere un Orchessa, per quanto Portatrice della Stella – e di cercarmi un modesto alloggio in cui vivere dignitosamente. Ovviamente sarebbe stato molto difficile attuare il mio piano e, nell’attesa di veder realizzate tutte le mie più rosee aspettative, scesi di nuovo lungo le varie cerchie, alla ricerca di una locanda disposta ad alloggiarmi nel frattempo.
La cosa, però, risultò molto più difficile del previsto. Nonostante, il giorno prima, Gwina mi avesse spinto ad avere più fiducia in me stessa, l’atteggiamento dei Gondoriani nei miei confronti non era cambiato minimamente. Tutti continuavano a guardarmi con sospetto e, per quanto chiedessi e pregassi con tutte le mie forze, non ci fu verso di trovare una stanza in nessuna delle taverne delle cerchie più alte della città.
Stavo giusto per scendere nelle parti basse, e più malfamate, di Minas Tirith quando mi sentii chiamare.
"Marian! Eccoti finalmente!” gridò una voce alle mie spalle. “È tutta la mattina che ti cerco, dove diavolo ti eri cacciata? Perché non sei venuta a seguire i lavori al Palazzo, stamani? Dovevamo discutere dei decori delle colonne!"
Gwina, con indosso un lungo grembiule di cuoio e la parte centrale della barba acconciata in un'unica treccia, camminava a passo di marcia, agitando sopra la testa un enorme mazzuolo di legno e metallo al ritmo con le sue parole. In molti furono costretti a chinarsi ed a spostarsi in fretta, per evitare di essere colpiti da quella specie di arma impropria.
"Mi dispiace, Gwina” le risposi, fermandomi ad attenderla, “ma i lavori al Palazzo dei Sovrintendenti non sono più di mia competenza."
"Cosa?!" gridò ancora mentre mi affiancava, piantandosi i pugni sui fianchi. "E che novità sarebbe mai, questa? Chi l’ha deciso?"
"Io. Stamattina ho restituito l’anello di fidanzamento a Boromir…" cominciai a spiegare, ma il suo ennesimo urlo mi interruppe.
"COSA?!" strillò, così forte da farmi fischiare le orecchie, "CHE COSA HAI FATTO?!"
Mi afferrò di malagrazia la mano sinistra per controllare che stessi dicendo la verità. Quando si rese conto che era tutto vero prese a sbraitare in nanesco tirandosi la barba e, contemporaneamente, sbatacchiando il mazzuolo a destra e a sinistra, finendo per rompere un vaso di fiori che stava su un davanzale lì vicino. Alle sue urla si unirono quelle della proprietaria dell’abitazione, piuttosto alterata per i cocci e per la piantina rovinata.
Lo spettacolo alquanto inconsueto cominciava a radunare parecchi curiosi perciò, per evitare di attirare ulteriori attenzioni, afferrai Gwina per un braccio trascinandola via, chinando la testa ogni volta che il mazzuolo roteava in aria. Una volta giunte al sicuro dentro un vicolo, buio e privo di gente, mi fermai e la lasciai andare. Solo allora la Nana smise di parlare nel suo dialetto e tornò alla Lingua Corrente.
"Tu devi essere matta!” urlò. “Sei fidanzata con l’Uomo più affascinante di tutta la città – dopo Elessar, naturalmente – e tu cosa fai? Gli vai a restituire l’anello?! Ma cos’hai in testa al posto del cervello, fango e foglie marce?!"
"Può anche essere… Non so che cos’abbiano gli Orchi in capo" le risposi alzando le spalle.
"Hanno un cervello, come tutte le altre creature della Terra di Mezzo! È solo che tu non lo stai utilizzando! Sentiamo un po’: per quale motivo avresti restituito l’anello?"
"Perché io non posso sposare Boromir…" cominciai a spiegare, ma Gwina subito mi interruppe.
"E perché no?"
"Perché un Sovrintendente non può sposare un’Orchessa…" ripresi, per essere di nuovo bloccata.
"E chi lo dice? E non rispondermi "Io"!" mi prevenne, togliendomi così le parole di bocca.
Per un attimo rimase ferma a fissarmi, con la faccia ancora rossa di rabbia e la treccia della barba mezza disfatta, prima di riprendere a parlare.
"Smettila di commiserarti” disse in tono più calmo. “Se continuerai a piangerti addosso, nessuno riuscirà mai ad accettarti. Accetta te stessa, e vedrai che lo faranno anche gli altri. Boromir ti ama, gliel’ho letto negli occhi dal primo momento che l’ho visto. Non buttare via quello che la vita ti offre!"
Chinai lo sguardo a terra e lei parve acquietarsi del tutto.
"Nessuno stamani è venuto a dirmi che c’è un altro responsabile dei lavori” riprese, “per cui, fino a prova contraria, il compito spetta ancora a te. Andiamo, il Palazzo ci aspetta!"
Mi prese per mano e mi trascinò sul cantiere, dove fui costretta a rimanere fino all’ora di pranzo.
Quando stavo per accingermi a scendere di nuovo in cerca di una locanda per la notte, fui fermata nuovamente da un coro di voci che mi chiamava.
"Marian, aspettaci!"
Questa volta si trattava dei quattro Hobbit – Pipino in testa – che mi correvano incontro, trafelati e con lo sguardo preoccupato.
"Ma è vero?" mi chiese il giovane Tuc non appena mi ebbero raggiunto, appoggiandosi con le mani sulle ginocchia per riprendere fiato.
"Che cosa?" chiesi, con finta ingenuità.
"Che hai restituito l’anello a Boromir" intervenne Merry, visto che Peregrino stava ancora boccheggiando.
Annuii semplicemente.
"Perché l’avete fatto, Dama Tingilindë?" mi chiese Sam, accorato.
"Avevo le mie buone ragioni" mormorai in risposta, incerta.
"L’essere diventata un’Orchessa, per caso?" mi domandò Frodo, fissandomi negli occhi. Chinai lo sguardo, senza sapere cosa rispondere, e lui continuò. "Non mi sembra una ragione valida."
Feci per ribattere ma Pipino, che finalmente aveva ripreso fiato, si intromise.
"Frodo ha ragione, Marian. Non è una ragione valida!"
"Ma si può sapere a voi chi l’ha detto?" sbottai, infine, incrociando le braccia sul petto, lievemente seccata da tutto questo interesse.
"Ce l’ha detto Gandalf" mi rispose Merry.
"E anche Gwina!" aggiunse Pipino, facendogli eco.
Non riuscii a trattenere uno sbuffo.
"Mai nessuno che si faccia gli affari suoi" borbottai, alzando gli occhi al cielo.
"Ma questi sono affari nostri!" disse con enfasi Peregrino, accorato. "Facciamo ancora tutti parte della Compagnia, nel bene e nel male! Boromir ti ama, Marian, perché lo rifiuti?"
"Io non vorrei farlo! Che diamine, lo amo ancora più del primo giorno!” esclamai a mia volta. “Ma non posso diventare sua moglie, non posso! Riuscite a capirlo, almeno voi?"
I quattro Hobbit si guardarono l’un l’altro, sconcertati, senza sapere cosa rispondere. Fu Frodo il primo a riscuotersi ed a trovare le parole adatte.
"Marian, non devi aver paura dei giudizi degli altri. Conta solo ciò che volete tu e Boromir!"
"Lo so, Frodo” ammisi, “ma è più forte di me! Non riesco a sopportare il fatto che, se Boromir mi sposa, diventerà lo zimbello di tutta Gondor!”. Mi interruppi per un attimo, sospirando, poi ripresi. “Preferisco lasciarlo e permettergli di rifarsi una vita, per quanto doloroso possa essere, piuttosto che renderlo ridicolo davanti alla sua gente."
"Quindi, vuoi dire che non ci ripenserai?" mi chiese tristemente il giovane Brandibuck.
"No, Meriadoc, ho preso la mia decisione! Stavo giusto andando a cercarmi un nuovo alloggio…"
"Non lo fare, Marian! Boromir ne morirà!" mi interruppe Pipino, congiungendo le mani in atto di preghiera.
"Sciocchezze! Boromir se ne farà una ragione…” gli risposi scrollando le spalle benché, dentro di me, mi sentissi malissimo. “E ora scusatemi ma devo proprio andare, se non voglio passare la notte nelle stalle."
Gli voltai le spalle e me andai, lasciandoli a guardarsi l’un l’altro. Ero ben consapevole che avevano ragione, ma non riuscivo ad accettarlo. L’essere diventata un’Orchessa aveva sconvolto totalmente la mia vita, proprio quando speravo che tutto sarebbe andato a finire per il meglio. Purtroppo per me, la mia storia non avrebbe avuto un lieto fine.
Come avevo temuto, non riuscii a trovare nessun oste disposto ad alloggiarmi, nemmeno nelle più infime bettole della prima cerchia. A tarda notte, con lo stomaco che mi brontolava, mi arresi e con passo pesante mi diressi alle scuderie. Freccia pareva aspettarmi. Mi salutò con un nitrito acuto e, con un cenno della testa, mi invitò a salire in sella. Non mi feci pregare e la assecondai nella sua corsa, lasciandomi trasportare nella piatta distesa del Pelennor. Ben presto, però, mi resi conto che la giumenta si dirigeva verso le rovine di Osgiliath. Immaginai, con disappunto, che qualcuno doveva averle chiesto di portarmi laggiù. Non avevo nessunissima voglia di spiegare ancora le mie motivazioni a chicchessia, per cui cercai in ogni modo di farle cambiare direzione, ma né le lusinghe né le minacce sortirono l’effetto sperato. Per tutta risposta, Freccia d’Argento nitrì nervosamente mostrandomi i denti, aumentando l’andatura per arrivare prima alla sua meta. Si fermò solo nel cuore della città in rovina dove, impennandosi, mi fece scendere malamente.
"Ahio!" urlai, massaggiandomi le natiche. "Ora ti ci metti anche tu, Freccia? Ed io che credevo che almeno tu mi fossi rimasta amica!"
"Lo è, infatti, come lo sono anch’io" mi rispose una voce dall’ombra. Lentamente, una figura incappucciata uscì da dietro ciò che restava di un antico palazzo, avvicinandomisi. Solo quando fu a pochi metri da me riconobbi il mio interlocutore.
"Faramir…" mormorai tristemente, trattenendo a stento un sospiro.
"Buonasera, Marian."
“Anche tu vuoi chiedermi perché ho lasciato tuo fratello?" gli chiesi, cupa.
"Non hai perduto la tua perspicacia" mi rispose, calmo.
"Ma ho perso tutto il resto…"
"Non è vero, non hai perso nulla" disse, scuotendo il capo.
Prima Gwina, poi gli Hobbit ed infine lui. Quella, per me, era stata veramente una lunga giornata e la mia poca pazienza era oramai terminata da un pezzo.
"Guardami Faramir!" sbottai, arrivando a pochi centimetri da lui, ghermendogli le braccia. "Guardami!” ripetei, fissando i miei occhi nei suoi. “Sono un mostro! Nessuno mi rispetta più! Ho cercato per tutto il giorno e non c’è stato alcun oste, nemmeno uno, che abbia voluto darmi una stanza, neanche nella bettola più lurida della città! Lo sai cosa mi hanno detto?” gli gridai in faccia, scrollandolo lievemente. “Che puzzo come una carogna! E tu credi che io possa diventare la moglie di tuo fratello? La moglie del Sovrintendente?” gli chiesi ancora, la voce distorta dalla rabbia. “E cosa dirà la gente? Che Boromir ha sposato una carogna? Un mostro?"
"Ti preme così tanto l’opinione della gente?" chiese lui pacatamente in risposta, liberandosi delicatamente, ma con fermezza, dalla mia stretta e poggiandomi le mani sulle spalle.
"Sì, Faramir! Mi interessa!" replicai, dura.
"E non pensi invece ai sentimenti di mio fratello?" insisté, stringendo dolcemente la presa sulle mie scapole.
"Certo che ci penso! Ed è proprio per questo che l’ho lasciato. Lui non può essere felice con una come me…" mormorai, chinando lo sguardo.
"Tu sei la donna che ama!" esclamò Faramir, scrollandomi lievemente a sua volta.
"No. Non lo sono più, ormai…"
"Quindi non tornerai indietro?" mi chiese ancora, la voce che si incrinava leggermente mentre lasciava scivolare via le mani dalle mie spalle.
"No, Faramir. Non lo farò!" gli risposi, secca.
"Allora ti dirò un’ultima cosa soltanto…” sussurrò, infine. “Così, uccidi mio fratello."
Mi voltò lentamente le spalle e, mentre si muoveva, un raggio di luna gli illuminò il volto. I suoi occhi erano lucidi di lacrime. Fu solo questione di un istante. Un secondo dopo, Faramir sparì di nuovo nell’ombra, silenzioso come un fantasma.
Di nuovo sola, chiamai Freccia d’Argento perché tornasse a prendermi. La cavalla mi rispose nitrendo da lontano, rifiutando di avvicinarsi. A quel punto la mia rabbia si trasformò in frustrazione, e la frustrazione in amarezza. Mi lasciai cadere a terra, piangendo tutte le mie lacrime.
Era il quattro di aprile, e così ruppi il fidanzamento con Boromir.


Spazio autrice: Salve a tutti! Siamo ormai arrivati alle battute finali della revisione di questa storia, mancano più soltanto un capitolo e l'epilogo. Volevo spiegare un po' meglio la presenza del personaggio di Gwina, la cugina di Gimli. All'inizio, nella prima stesura della storia, l'avevo inserita come nuovo personaggio perché, nel mio cervello bacato e dato il mio stato d’animo dell’epoca, questa storia doveva durare molto più a lungo, con Marian in versione Orchessa. La immaginavo già vittima di non so quali soprusi ed angherie, prima di poter coronare finalmente il suo sogno d’amore. Poi, mi sono resa conto che la storia, così, sarebbe diventata noiosa e ripetitiva, quindi decisi di accorciare, ed ora mantengo questa mia decisione. Ho deciso comunque di lasciare la Nana perché il suo personaggio mi piace, e chi lo sa che non si ripresenti ancora in qualche altra storia… Detto questo, ringrazio ancora tutti quelli che leggono, sia in silenzio che commentando.
Per finire, vi lascio con due immagini, realizzate con il solito giochino di dress up: la prima mostra Gwina con il suo famigerato mazzuolo in mano; la seconda rappresenta Faramir durante il suo colloquio con Marian tra le rovine di Osgiliath.
Bacioni a tutti!
Evelyn



 
 
  
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