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Autore: Tormenta    12/11/2015    8 recensioni
Di ritorno ad Hogwarts dopo la guerra, Draco Malfoy ha cicatrici troppo profonde per essere quello di sempre. A Harry Potter basta poco per accorgersi che non sa accettare la sua assenza nella propria routine. Dal testo:
«Malfoy» chiamò, con voce cristallina e appena tremolante. [...]
«Che c’è, Potter?»
Harry si lasciò sfuggire una microscopica smorfia soddisfatta: per la prima volta da quando erano tornati ad Hogwarts, Malfoy gli aveva parlato. Era un inizio – di cosa, non lo sapeva neanche lui.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fuori fuoco'
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4.
 
Mai disperare troppo

 
 
 
        L’espressione di Malfoy si faceva di secondo in secondo più stranita, perché, per quanto si sforzasse, non riusciva a capire. Prima le occhiate a tutte le ore, e adesso quello – insomma, perché mai il Grifondoro avrebbe dovuto cercarlo? Il passato era lontano, la guerra era finita, i processi anche, e non si accaniva più su di lui e i suoi amici come ai vecchi tempi. Quindi, cosa poteva volere Harry l’eroe Potter da lui?

        Cosa posso offrirgli? si era chiesto; niente, ecco cosa. Eppure l’aveva chiamato, in quell’aula; gli aveva parlato. E dalla sua espressione, dal mondo in cui gli tremolavano gli occhi, sembrava che avesse mille motivi per farlo. Motivi che però non pareva voler esprimere, considerato che non faceva altro che fissarlo in silenzio.
        «Potter. Cosa c’è?» ribadì, deciso a riscuoterlo.
        Era maledettamente curioso – doveva sapere. Cosa diamine gli stava passando per la testa?
        Lanciò una veloce occhiata a Zabini e a Goyle che, poco lontani da lui, assistevano alla scena incuriositi. Si assicurò di dissimulare ogni traccia di emozione, così che non potessero intuire il caos e lo stupore e la soddisfazione – un momento, soddisfazione? – che gli crescevano dentro.
        Intanto, sotto gli sguardi sorpresi e spaesati di Hermione e Ron, Harry continuava ad esitare: si era appena reso conto di non avere la più pallida idea di cosa dire. Perché non mi parli più?, forse? Oppure: è vero che ti tagli? Ma sembrava inadeguato. A pensarci bene, tutto sembrava inadeguato sotto a quella pioggia di occhi che li fissavano.
        D’un tratto seppe come esprimersi. «Posso parlarti un attimo?»
        «Lo stai già facendo», sottolineò il Serpeverde, mettendosi sulla difensiva.
        «Intendo― da soli».
        Ron sgranò gli occhi. «Harry, che fai?»
        In tutta risposta, Potter, il più seriamente possibile, lo rassicurò con uno sguardo. «Potete aspettarmi qui fuori, per favore? Ci metterò solo due minuti».
        Hermione, con la fronte corrugata, studiò brevemente prima l’amico, poi Malfoy, e determinò che non avrebbero combinato disastri. Non più – quel tempo era passato. Così, sebbene fosse piuttosto titubante, decise di fare ciò che le era stato chiesto: si fidava di Harry, malgrado non sapesse cosa aveva intenzione di combinare.
        «D’accordo», mormorò. Uscendo, prese per un braccio Weasley, persuadendolo a seguirla.
        Non appena i due Grifondoro furono fuori dall’aula, Draco rivolse ai compagni di Casa rimasti uno sguardo molto eloquente: senza che proferisse una sola parola, Goyle imboccò la porta. Zabini si trattenne qualche secondo in più per salutarlo con un cenno approssimato del capo, dopodiché levò a propria volta le tende.
        La stanza si era praticamente svuotata. A fare loro da spettatori, ormai, erano rimasti solo il professor Rüf, che però non prestava attenzione, e la zucca intagliata di Halloween che troneggiava sulla cattedra.
        «Allora?» domandò Malfoy.
        Harry tentennò e abbassò appena la testa, passandosi una mano sulla nuca per temporeggiare e fare mente locale. Continuava a non avere idee valide per dare inizio alla conversazione, così si concesse una manciata di secondi per guardarlo semplicemente negli occhi.
        Poi finalmente fece, a bassa voce: «Perché mi hai guardato in quel modo, prima? Durante la lezione».
        «Tu lo hai fatto per settimane, ma non mi sembra di averti sottoposto a un interrogatorio».
        Sentendosi colto con le mani nel sacco, il Grifondoro s’irrigidì.
        «Già. Non sei stato propriamente discreto, Potter», commentò l’altro.
        «Se te n’eri accorto, perché non mi hai detto niente?»
        Draco alzò appena le spalle, noncurante. «Per lo stesso motivo per cui tu non hai detto niente a me, suppongo».
        La consapevolezza investì Harry come un treno in corsa: si era risentito perché Malfoy non gli aveva rivolto la parola, senza mai fermarsi a pensare che a lui poteva essere attribuita la stessa colpa. Si sentì stupido e, ancora una volta, rimase in silenzio per un po’.
        Il Serpeverde, spazientito, roteò gli occhi. «Perché mi hai chiesto di parlare, se non hai nulla da dire?»
        «Ho molte cose da dire». E le aveva, davvero.
        «Non mi sembra».
        Mordendosi le guance, Harry mormorò: «Non so come dirle». E già nella sua mente risuonava la voce dell’altro: “Per Salazar, Potty – il tuo cervello è regredito al punto da farti perdere il dono della parola?”
        Malfoy però non proferì nulla del genere. «Ti saresti dovuto preparare un discorso per aggirare il problema. Non tutti hanno tempo da perdere, sai?»
        La sua sembrava cattiveria edulcorata, come se si stesse frenando per non essere troppo acido. Dopo averlo osservato per tutto quel tempo, ancora Potter non ci si era abituato.
        Turbato dal recidivo comportamento taciturno del Grifondoro, Draco sbuffò sonoramente. «Beh, io devo andare. Ci si vede in giro», aggiunse con tono ambiguo, a metà tra lo spiritoso e l’irritato.
        «Aspetta!» lo richiamò Harry quando già gli aveva dato le spalle. «Devo seriamente parlarti di… cose. Dammi un minuto».
        «Non ce l’ho, un minuto; sono già in ritardo». E non stava mentendo – doveva correre se voleva arrivare all’aula di Incantesimi per tempo. «Comunque, Potter – non credo sia il caso». Era terribilmente serio.
        «A cosa ti riferisci?»
        «Al parlare. Non so cosa pensi di dovermi dire, ma― non è il caso», ribadì. Per un istante, la sua espressione si fece quasi triste. «Non abbiamo più nulla da spartire, io e te».
        Harry non reagì: rimase impalato a guardarlo uscire dall’aula e sparire nel corridoio, come incantato. 
        Quella conversazione non era andata esattamente nel migliore dei modi – oppure sì.
        Forse era vero, che non avevano più niente da spartire. Forse il fatto che fossero riusciti a trovare uno pseudo equilibrio senza insulti e con apparente rispetto reciproco – o perlomeno tolleranza – era il risultato migliore a cui potessero ambire. Forse era solo questione d’abitudine. Forse non c’era nulla che Potter potesse fare per non perdere brandelli qua e là; nello specifico, forse Malfoy gli era già stato portato via e non c’erano speranze di riaverlo indietro. Forse non aveva nemmeno senso rivolerlo. Perciò: , forse andava bene così.
        Forse.
 
 

        Una volta uscito dall’aula di Storia della Magia, Draco passò accanto a Weasley e a Granger, che stavano aspettando l’amico come era stato loro chiesto di fare. Li ignorò, tirando dritto.
        In quel momento, tremava. Non fisicamente, per carità – tremava mentalmente: aveva appena sbattuto piuttosto violentemente la porta in faccia a Potter, ed era una cosa inebriante e spaventosa allo stesso tempo.
        Non aveva ben capito perché l’avesse cercato, perché gli avesse voluto parlare, ma s’era detto che non doveva perdere tempo a pensarci. Tanto, di qualsiasi cosa si trattasse, non avrebbe potuto – né voluto, s’intende – far nulla per lui. Anche se non l’avrebbe mai ammesso a voce alta, infatti, non si sentiva più all’altezza.
        Da quando Potter aveva vinto quella maledetta guerra era diventato qualcun altro. Non era più il ragazzino di Hogwarts da provocare e da sfidare; era la persona che aveva monopolizzato i titoli di giornale per settimane, quella che era definitivamente entrata nella Storia. Una persona in grado di intervenire durante i dannati processi e testimoniare in suo favore. Era così in alto.
        E io, invece? si chiedeva Draco, retorico.
        Beh, lui, accompagnato da ricordi difficili da gestire e dosi massicce di senso di non appartenenza, era caduto in basso. Con una maschera di dignitosa freddezza sul viso, certo, ma pur sempre caduto in basso. Lo guardavano male, e lingue biforcute sparlavano alle sue spalle pressappoco costantemente. Non si lamentava: era troppo orgoglioso per farlo. E per questo stesso motivo, si asteneva anche dal cercare attenzioni: non voleva che lo vedessero così, sotto quella luce. Si sentiva debole, e se ne vergognava troppo. Fortunatamente, era riuscito ad andarsene da quell’aula prima che il Grifondoro mettesse a fuoco la sua condizione.
        Senza dubbio, quindi, fuggire da Potter era stata la scelta giusta. Eppure, la sola idea di averlo fatto lo spinse a sospirare.
        Merlino solo sapeva quanto gli avrebbe fatto piacere avere il cuore tanto leggero da riprendere a giocare con lui. Ma non poteva farcela. Le prese in giro, gli scherzi, la rivalità di un tempo – ormai nulla gli sembrava più realizzabile; non in quelle condizioni, col ricordo dello shock causato dalla paura ancora così vivido nella mente.
 
 

        Vedendo sfilare Malfoy nel corridoio, Hermione e Ron presero a fissare la porta dell’aula, convinti che Harry ne sarebbe uscito di lì a poco. Lasciarono passare dieci, venti, trenta secondi, ma niente – non voleva sapere di fare la propria comparsa.
        I due si scambiarono un’occhiata d’intesa, poi avanzarono.
        «Harry?» chiamò Ron, affacciandosi sulla stanza.
        Potter, con un denso malumore dipinto sul viso, si voltò verso gli amici subito dopo aver recuperato le proprie cose, in precedenza abbandonate sul banco. «Arrivo», mormorò, raggiungendoli.
        Camminando veloci, si allontanarono subito dall’Aula di Storia della Magia.
        «Cos’è successo là dentro?» chiese Weasley, impaziente.
        «Niente di che», generalizzò Harry.
        Hermione gli scoccò un’occhiata indagatrice. «Di cosa dovevi parlargli?»
        «Mi aveva guardato in modo strano, durante la lezione. Gli ho chiesto perché, tutto qui».
        Lei inarcò un sopracciglio, con l’espressione di chi la sa lunga. «E cosa ti ha detto?»
        Ripensandoci, Potter si rese conto di non aver spillato al Serpeverde neanche una piccola spiegazione. Sospirò, prima di ammettere: «Non mi ha risposto».
        Ron mise su una faccia vagamente disgustata. «Spero che ora che gli hai parlato non ricominci a darci fastidio», borbottò – nella sua voce non c’era alcuna traccia di biasimo per il gesto dell’amico, ben inteso.
        «Tranquillo. Dubito che lo farà», lo rassicurò Harry, sentendo ancora rimbombare nella mente il “non abbiamo più nulla da spartire” di Malfoy.
        Per qualche istante Hermione sembrò decisa a dire qualcosa, ma poi desistette sciogliendosi in uno sbuffo. «Io devo andare, la lezione di Aritmanzia inizierà tra poco. Ci vediamo dopo». Sfiorò il braccio di Ron dedicandogli un rapido sorriso, per poi rivolgere un saluto ad entrambi e imboccare un altro corridoio.
        Harry avrebbe giurato di aver visto un’insolita sfumatura nell’espressione dell’amica, ma decise di non dar peso alla questione.
        «La prossima volta che ti viene in mente di parlare con quello, per favore, avvertimi con un po’ d’anticipo», pigolò Ron una volta che furono soli.
        Potter non poté fare a meno di sorridere lievemente. «Perché dici così?»
        «L’hai chiamato senza preavviso, e sembravi così serio, e ci hai chiesto di lasciarti da solo! Seriamente, Harry, è stato strano». Dalla sua gestualità, emerse una nota di preoccupazione.
        «D’accordo, ti avviserò» rise l’altro.
 
 
* * *
 
 

        Harry e Ginny passarono il primo giovedì pomeriggio di Novembre insieme. Nulla di anomalo – il giovedì era il giorno delle coppie, in fondo.
        Si trattava una ricorrenza settimanale che, per l’appunto, cadeva di giovedì; insieme con Hermione e Ron, ne avevano concordato l’esistenza durante i primi giorni ad Hogwarts. Era sembrata a tutti una buona idea; in quel modo, infatti, ritagliare un po’ di tempo da dedicare all’intimità non sarebbe mai stato un problema, e non avrebbe messo i bastoni tra le ruote alla loro amicizia.
        Harry aveva sempre apprezzato la cosa, ma in quella particolare occasione detestò il giovedì come mai prima in vita sua. Non che non volesse trascorrere del tempo con Ginny, anzi; il problema era che dal suo punto di vista tra loro le cose non si erano ancora totalmente appianate. Lei, infatti, continuava a non fare riferimento all’episodio accaduto a Hogsmeade, lasciandolo in sospeso.
        Ormai, Potter aveva iniziato a pensare di aver dato troppa importanza alla vicenda: magari Ginny non ci pensava neanche più. Si sarebbe dovuto lasciare anche lui tutto alle spalle e poi, probabilmente, avrebbe smesso di percepire quell’alone di tensione che si creava ogni volta che erano insieme.
        Peccato che lasciar perdere gli risultasse impossibile. Ci aveva provato, persino più di una volta, ma non c’era stato verso – l’aveva vissuto come un momento importante, e non poteva accettare che la sua ragazza non si fosse nemmeno accorta di averlo ferito, restando in silenzio.
        Si convinse di aver aspettato abbastanza. La scelta migliore era parlarle con sincerità, e l’avrebbe fatto subito, qualsiasi cosa avessero deciso di combinare quel pomeriggio.
        Di certo, non si aspettava che Ginny gli chiedesse di studiare in biblioteca. Di solito improvvisavano attività un po’ meno serie – Quidditch se il campo era libero, una passeggiata se non faceva troppo freddo, qualche chiacchiera in Sala Comune, le coccole.
        «Mi dispiace tanto, Harry», sussurrò lei, onestamente rammaricata. «So che è il nostro giorno, ma ho davvero un sacco di cose da fare! È un problema, per te? Se non ti va, capisco, non sei obbligato a venire».
        «Non preoccuparti. Vorrà dire che studierò anche io».
        Così, si recarono in biblioteca. Camminando tra i vari scaffali, si misero alla ricerca di un tavolo libero.
        Per un solo, fatidico istante, una testa biondo platino fece capolino nel campo visivo di Potter. Non impiegò più di mezzo secondo a riconoscerla. Si voltò da quella parte automaticamente, e si distrasse a guardare Malfoy chino sui libri. Poi però si ricordò che doveva decisamente smettere di pensare a lui, e soprattutto non doveva più fissarlo – l’idea che se ne accorgesse nuovamente lo infastidiva. Così, tornò a dare attenzione a Ginny, che nel frattempo si era seduta poco più in là.
        Prese posto accanto a lei, recuperando il libro di Trasfigurazione.
        «Sarà un lungo pomeriggio», la sentì mormorare con tono lamentoso, mentre leggeva distrattamente la pergamena su cui aveva scritto le materie e i relativi argomenti da studiare.
        Adesso, pensò lui. «Posso chiederti una cosa, prima di iniziare?»
        «Certo, dimmi».
        «Ricordi quello che ti ho detto a Hogsmeade?» La vide farsi seria e stringere i denti, e dedusse che aveva capito perfettamente a cosa si stava riferendo. «Non hai risposto in alcun modo».
        Ginny abbassò lo sguardo, colpevole.
        «Non devi sentirti costretta a dire che ricambi», mise in chiaro Harry. «A me basta che non facciamo più finta che non sia successo niente».
        Annuì. «Scusami». Si portò un ciuffo di capelli dietro un orecchio, facendo un respiro profondo. «Ci ho pensato. Parecchio. Ho un po’ di casino in testa, al momento; ma hai ragione, non mi sarei dovuta comportare così». Alzò gli occhi su di lui, «L’ultima cosa che voglio è farti stare male. Ti voglio davvero molto bene, Harry».
        Cercò di sorriderle, ma la punta di tristezza nella sua voce lo frenò non poco. Quando poi lei si sporse per abbracciarlo, ricambiò debolmente, colto da un profondo senso di perdita. «Anche io ti voglio bene».
        Iniziarono a studiare senza dirsi molto di più.
        Potter non combinò granché. Si limitò a leggere qualche nozione qua e là, a scrivere una ventina di righe su un certo argomento e a sfogliare svogliatamente le pagine di un paio di libri. Più che altro, rifletté sulla breve discussione appena avuta con Ginny.
        Aveva veramente ignorato la faccenda, dopotutto. E cosa significava che aveva del “casino in testa”?
        Per un attimo si sentì colpevole. Pensò di aver scelto il momento sbagliato per fare una dichiarazione di quella portata, oppure un luogo poco consono. Poteva aver combinato un disastro.
        E se, invece, semplicemente lei non desiderasse sentirsi rivolgere quelle parole? In fondo, non si erano mai detti nulla di simile da quando erano tornati insieme dopo la guerra. Magari non si sentiva pronta, non ancora. E lui, invece, era pronto? Davvero provava quei sentimenti nei suoi confronti?
        Il solo fatto di aver partorito tali domande fece fiorire il seme del dubbio nella sua mente.
        Si sforzò di ragionare lucidamente.
        Stava bene con lei, era contento del rapporto che avevano. Ogni tanto immaginava il loro futuro insieme, per quanto incerto potesse essere. Ma il trasporto? Il caldo alla pancia di cui Ginny stessa gli aveva parlato? C’erano, quelli?
        Appoggiando i gomiti sul tavolo, si prese il capo tra le mani, assalito dalla confusione. Sospirò, non avendo idea di cosa fare per mettere ordine tra i propri pensieri. Parlarne con qualcuno avrebbe aiutato? Ma con chi – Hermione? O direttamente con Ginny?
        Le scoccò un’occhiata di sottecchi. No, con Ginny no. Solo a vederla, si sentì pervadere da un forte disagio; ben più forte di quello avvertito nei giorni precedenti. Perfetto, si disse, ora è persino peggio di prima.
        Era passata forse un’ora, poco più, quando con uno sbuffo chiuse e poi ripose tutti i libri – non era affatto dell’umore per studiare.
        Ginny alzò gli occhi dalle varie pergamene di appunti. «Hai finito?»
        «Sì. Per oggi basta, non ne posso più».
        «Io sono più o meno a metà». In quel momento lui soffiò e chiuse brevemente gli occhi, come se fosse stanco. «Mi ci vorrà ancora parecchio. Non serve che resti qua ad annoiarti, Harry».
        Non sapendo come replicare, rimase in silenzio.
        «Dico davvero; non sentirti obbligato. Potresti andare in Sala Comune – magari mio fratello ed Hermione sono rientrati».
        Potter tacque ancora. Per un orribile momento pensò che Ginny gli stesse suggerendo di andare via perché anche lei, come lui, si sentiva a disagio in sua compagnia, e preferiva restare da sola.
        Si passò una mano tra i capelli, annuendo. «D’accordo. Vado in Sala Comune», affermò. Cercò di ricambiare il sorriso che lei gli rivolse – purtroppo con risultati discutibili –, poi raccolse le proprie cose e si alzò dalla sedia. «Ci vediamo dopo, allora. Al massimo per cena».
        «Certo. A dopo, e grazie per essere venuto con me».
        Fece un cenno che voleva dire: figurati. «A dopo». E detto ciò, s’incamminò verso l’uscita.
        Percorse al contrario il tragitto fatto in precedenza. Si sentiva pesante ed era parecchio distratto, perciò non mise in conto che, in quel modo, sarebbe passato vicino a dove aveva scorto Malfoy. Per questo, nel momento in cui l’inconfondibile testa bionda entrò nuovamente nel suo campo visivo, fu colto alla sprovvista.
        Rallentò il passo fino a fermarsi tra gli scaffali. Provò il forte desiderio di guardare dalla parte del Serpeverde – se l’avesse fatto solo una volta, velocemente, magari non se ne sarebbe accorto nessuno. Ma no – non doveva, sarebbe stata un’azione inutile e insensata. Scosse appena il capo, strizzando gli occhi.
        Non doveva. Ma lo fece ugualmente.
        E così, poté godersi una piccola sorpresa: contro ogni probabilità, Draco stava dedicando uno sguardo circospetto proprio a lui. Aveva stampata sul volto un’espressione confusa e insinuante, che una voce nella sua testa associò alla frase: “Perché ti fermi in mezzo agli scaffali per fissarmi, Sfregiato?”
        Mantennero il contatto visivo finché Malfoy non abbassò gli occhi. A quel punto, dopo un attimo di esitazione, Harry si costrinse a riprendere a camminare verso la porta.
 
 
» …




 
Angolo di Tormenta

Ugh, Draco ai miei occhi resterà sempre un (tenerissimo) batuffolo di angst, non c'è niente da fare. Comunque - spero di essere riuscita a far chiarezza sul perchè del suo comportamento (e che le sue ragioni siano almeno un pochino credibili). :)
Intanto, il gioco di sguardi prosegue. E' tipo eye sex. 
No comment su Ginny. Delucidazioni giungeranno presto, promesso.

Mille grazie a chiunque stia seguendo la storia, commentando e/o leggendo in silenzio. Love you all! ♥ c: Sapere che ci siete mi sprona a far del mio meglio (e ovviamente a proseguire)! 

Baci baci e a presto,
T. ♪
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(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)
   
 
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