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Autore: Usagi Kou    26/02/2009    20 recensioni
“… E quando si viene Scelti, allora il legame che li unirà sarà talmente forte e indissolubile che nulla al mondo sarà in grado di distruggerlo. Il tuo Compito è di vegliare su di loro. Il tuo Destino è di restare per sempre con loro” Quelle parole. Erano giorni che tormentavano i miei incubi, senza concedermi la pace del sonno. Non ne avevo mai compreso appieno il significato fin ad ora.
[...] Chiusi gli occhi. La mia Famiglia mi aveva lasciata. Poco tempo dopo ne avevo scoperto l’altra metà. Nuove prospettive, nuove emozioni, nuove avventure. Ma la Metà che era partita, che stava fuggendo da me per il mio bene la sentivo ancora presente.
Dentro di me, per la prima volta, avvertii tutti i miei Protetti
Un New Moon come lo immagino io: I Cullen sono partiti, e Bella è distrutta. Ma con l'arrivo di quattro nuovi, fantastici vampiri nella sua vita la piccola Bella scoprirà su di lei cose che nemmeno immaginava. Un potere talmnte forte da essere un pericolo per i Volturi stessi. Un legame con la sua Famiglia da non poter mai essere distrutto....
Genere: Romantico, Commedia, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, James, Nuovo personaggio
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: Spoiler!
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New Moon La custode delle anime

Ehilà! Sono tornata! 
Non spedo parole inutili per scusarmi, visto che è colpa mia, ma ringrazio di cuore gli angeli che mi hanno aspettato e quelli che leggeranno.
Da qui parte la narrazione di Bella. Il capitolo sarà incentrato sulla prima parte del loro incontro. Non svelo nulla, avviso solo che questo capitolo farà sorgere più domande che risposte. ^^

cullengirl: Tranquilla, non mi dispiace continuare a ricevere complimenti. Non temere, Bella tornerà, e, beh... è sempre umana. Solo che...
Rosalie_Hale_Cullen: Scusa il ritardo, ecco l'aggiornamento.
Toru85: Eccoti qua! Scusami, altro capitolo misterioso. Ma da prossimo prometto di darti qualche risposta... se tu mi farai le domande
Finleyna 4 Ever: Sorella gemella prezemolina come me regina del sarcasmo! PIacere di risentirti! Non ti preoccupare, il mio computer è messo peggio... bene, eccoti l'aggiornameto di questa storia. Questa sera quello di SOLO GRAZIE A TE. Aspetto i tuoi commenti.
Ele_Cullen: Eccoti accontentata!
Minako chan: Spero gradirai

Your arrive, my awekening

Il vostro arrivo, il mio risveglio

 

 

L’avevo raggiunta.
Non so come, non so con quali forze, ero riuscita a raggiungere il luogo del mio inferno, il Paradiso in mezzo alle fiamme dell’Ade.
La fatica immane che mi era costata per arrivare fin lì, i muscoli doloranti, il freddo e l’angoscia al pensiero di non trovare nulla svanirono in un attimo non appena i miei occhi si riappropriarono dell’immagine della radura, del nostro posto, della nostro segreto….
… della nostra fine….
Fuoco. L’incendio divagò doloroso nel mio corpo, sprigionandosi dal mio cuore per tutto il mio essere. Fuoco infernale, fuoco indomabile, fuoco atroce. Ma, più doloroso e insopportabile del dolore in sé, furono i ricordi.
La consapevolezza che tutto era finito.
Che il mio sogno si era infranto.
Che lui non sarebbe tornato mai più
Mi trattenei dal gemere per il dolore, per la tristezza, per i ricordi. Per la consapevolezza che, senza di lui, quel posto non valeva nulla. Non aveva niente di speciale. Era solo una stupidissima landa ghiacciata in mezzo alla foresta.
Perché mi stavo illudendo? Perché continuavo a soffrire per lui?
Ero un idiota. Ero un’illusa. Ero… umana.
Il disgusto che provai nei miei confronti fu immenso.
Lo sapevo che non ero nulla. Lo sapevo che non mi sarei mai dovuta illudere.
Lo sapevo, eppure non avevo badato al mio raziocino che mi metteva saggiamente in guardia e mi ero lasciata trascinare in un sogno, sperando, pregando perché si trasformasse in realtà.
Era stato tutto inutile.
Dopo un momento di mutismo interiore, rotto solo dallo straziante bruciore che mi lacerava le membra, chiusi gli occhi, e un flebile sorriso privo di allegria comparve sul mio viso
Mpf, alla fine l’ho trovata, pensai, Credevo che l’avrebbe distrutta... Si vede che aveva una gran fretta...
Sentii gli occhi bruciarmi terribilmente, ma non ne uscì una lacrima. Non mi erano rimaste più, ormai.
Lentamente, sconfitta e più vuota che mai, mi sedetti sulla neve e portai le ginocchia al petto, cingendole con le braccia.
Nascosi il viso e mi raggomitolai su me stessa, mentre una sola parola, in mezzo al vortice di ricordo mi risuonava nella mente.
Inutile.
Inutile io, i miei sogni, le mie speranza; inutili i miei sacrifici, le mie lacrime, le mie emozioni.
Inutile ogni istante passato lontano da lui.
Tremai scossa da un singhiozzo interiore, mentre il vento gelido mi colpiva le spalle.
Doveva essere gennaio, forse. Almeno credevo.
Ormai il tempo non aveva più nessuna importanza. Niente e nessuno aveva più importanza. Non da quando lui se ne era andato.
Un dolore lancinante mi trapassò il cuore, lasciandomi boccheggiane per un secondo.
No, no... non poteva essere vero. Non ci credevo, non riuscivo ad accettarlo.
Dopo tanti mesi ancora non riuscivo ad accettarlo.
Se n’era andato. Era partito senza di me, con le persone a lui veramente care, senza voltarsi indietro, senza darmi una motivazione chiara e precisa.
Mi aveva lasciato. Per sempre.
Non sarebbe mai più tornato.
Mi aveva detto di vivere la mia vita, di dimenticarlo.
Ma come potevo farlo? Come potevo dimenticare l’unico periodo in cui avevo vissuto veramente?
I momenti trascorsi insieme...
Il suo volto angelico...
La sua risata dolce...
I suoi baci... le sue carezze...
I suoi occhi d’oro liquido...
Il cuore mi bruciò in petto. Chiusi gli occhi e tentai di tranquillizzarmi. Non riuscivo a cancellare i suoi ricordi dalla mia mente. Non riuscivo a smettere di amarlo.
Non ci riuscivo. Né tanto meno volevo smettere.
Mi aveva detto di vivere la mia vita, senza ripensamenti. Ma come facevo a vivere se l’unica ragione della mia esistenza era partita e mi aveva abbandonato?
C’era un modo?
Se anche fosse, non volevo scoprirlo.
Nonostante il dolore che i suoi ricordi mi scatenavano, nonostante i ricordi mi tormentassero in ogni momento, mi rifiutavo di cancellarlo dalla mia vita. Forse perché la mia vita era lui.
La mia anima, la mia esistenza, l’aria che respiravo... potevo farne a meno, sarebbe bastato lui, la sua presenza, a donarmi la vita. La sua presenza mi forniva, anzi, continuava a fornirmi l’energia per tirare avanti.
Benché, in effetti, da quando se n‘era andato la mia vita si era come fermata.
Tecnicamente ero viva, ma in uno stato di zombie; mangiavo, dormivo, lavoravo, andavo a scuola... fingevo di vivere per far contenti i miei amici e la mia famiglia, ma non me ne importava granché. Non partecipavo più alle attività scolastiche, non avevo più alcun rapporto sciale, non andavo più da nessuna parte.
Vivevo perché il mio cuore batteva, i miei polmoni funzionavano e il mio corpo era intero.
Persino il mio corpo sembra contro di me. Perché si ostinava a vivere se la mia unica ragione di vita era sparita dalla mia vita? Perché non morivo?
Lui se n’era andato.
Cosa mi impediva di porre fine alle mie sofferenze?
Il mio cuore l’aveva seguito; la mia anima era con lui. Allora, perché non potevo abbandonare il mio santuario ormai vuoto e oscuro? Con la sua partenza mi aveva tolto tutto; le mie parti più importante, quelle che lui, forse, amava di più, l’avevano seguito. Vivevano con lui.
Oramai non mi restava più spazio per nulla se non il dolore del vuoto, della separazione.
Non ero più umana.
Non ero un vampiro.
Non ero nulla senza di lui.
Ma tiravo avanti, forse nella vana e sciocca speranza che tornasse.
Che avesse davvero, almeno in un primo momento, provato qualcosa di forte per me.
Perché ricordavo, anche se faceva male. Ricordavo i momenti passati con lui. Ricordavo lo sguardo dolce, caldo che mi rivolgeva quando mi fissava, anche solo per un istante. La voce che usava quando mi parlava. Il tocco dolce, le labbra morbide....
Strinsi i denti, mentre una lacrima solcava la mia guancia.
Basta, basta, basta. Non ce la facevo più.
Non potevo sopportarlo, bruciava troppo. Non riuscivo a sopportare, a ricordare... non riuscivo neanche a pronunciare, a leggere, a pensare il suo nome.
Il suo o quello di qualcuno della sua famiglia.
La nostra famiglia.
Ricacciai tutte le immagini indietro, sigillandole dietro un muro di cemento. Un muro che ogni notte, ogni volta che abbassavo la guardia, si sbriciolava con facilità.
Non riuscivo a non pensare a loro.
Mi odiavo. Odiavo me stesa perché ero stata la causa della loro partenza.
Odiavo me stesa perché avevo stravolto le loro esistenze.
Odiavo me stesa perché ero venuta in quella stupida città, e mi odiavo ancora di più perché non riuscivo ad abbandonarla.
Odiavo tutto ciò che mi rendeva così schifosamente umana. Non riuscivo più a sopportare la mia immagine riflessa.
La mia pelle, già di per sé pallida, era ormai cadaverica, di uno strano tono giallo-verde, da malata. Gli occhi erano infossati, marcati da lunghe e scure occhiaie, due pozze di nera pece senza nessuna luce, quella luce che lui adorava come il colore dei miei occhi...
Odiavo tutto di me, perché mi faceva ricordare quanto fossi mediocre, quanto fossi scialba, indegna di lui.
Un’altra folata di vento gelido mi fece rabbrividire.
Non ce la facevo più a restare lì, me ne dovevo assolutamente andare o sarei morta per il dolore.
Era incredibile… dopo tutto quello che avevo passato qualche mese prima, quando mi ero ritrovata a un passo dalla morte per proteggere il mio amore, era a causa sua che mi stavo lentamente spegnendo.
Che ironia.
Era proprio vero: feriscono più poche semplici parole che un migliaio di frecce.
Perché ero tornata lì? Ero davvero masochista fino a qual punto?
Non potei impedire alle immagini di tornarmi a scorrere nella mente.
 

…Non sono la persona giusta per te, Bella…

Non era vero. Tu eri tutto ciò che una donna… che io volessi. Eri il mio sogno, eri la mia luce, eri la mia vita. E continui ad esserlo, da qualche parte nel mondo. Sono io che non esisto più senza di te.
Ma questo non l’hai capito….

 

…Non voglio che tu venga con me.…

Ma io si. Voglio stare con te per l’eternità, voglio rimanerti accanto per tutta la tua esistenza, per tutti i giorni che illumineranno la tua vita. Però tu questo non l’hai mai capito; non hai mai provato a soffermarti sulla mia concezione del nostro rapporto, forse perché [un tempo] volevi solo il mio bene. Ma se ne avessimo parlato, se ci fossimo chiariti subito, adesso…

 
…Sono stanco di fingere un’identità non mia…

Hai sempre finto di amarmi, allora? Hai finto di interessarti a me, ti tenere a me, di… Sono stata io a obbligarti a portare una maschera fasulla, che tu odiavi? O ti sei semplicemente accorto di quanto io sia insignificante?

 
…Tu non sei la persona giusta per me, Bella…

Io l’ho sempre saputo. E te l’ho detto. Non sono mai stata una bella donna, né interessante, né più dotata di altre persone. Io sono insignificante. Ma eri tu che ogni giorno mi ricordavi quanto fossi speciale, mi illudevi che ero quella giusta per te, che avevo doti che nessun’altra aveva, che ti affascinavo per quello. E ora mi chiedo: era solo per il mio sangue che mi stavi vicino?

Per dimostrare che potevi controllarti?

 
…A quelli come basta poco per trovare una distrazione…

Una distrazione, un trastullo… come lo ero stato io fino a quel momento? Avresti cercato in qualcun’altra ciò che io non potevo darti? Ciò che mi mancava, ma che fino a poco tempo fa mi avevi detto che possedevo in quantità?  Per te sarà facile, tu puoi avere sempre il meglio…

 
Tu… non… mi vuoi?
No

 

Le lacrime scesero copiose dalle mie guance, in silenzio.
Non avevo la forza di combattere il dolore.
Non avevo la forza di smettere di pensare a lui.
Non avevo la forza per vivere, semplicemente.
Ero tornata in quel posto speciale, e mi ero fatta del male. La voragine nel mio petto si era intensificata, quadruplicando il mio dolore. Non lo credevo possibile.
Dovevo muovermi, tornare a casa. Ma il mio corpo non mi rispondeva.
Dopo ore, o forse mesi o anni chissà, le mie lacrime si fermarono.
Decisi di tornare a casa, di fare qualcosa prima che il dolore mi assalisse di nuovo.
Mi alzai e mi asciugai le lacrime dalle guance, tremando [di freddo o di dolore?]
Stavo per voltarmi verso il sentiero da cui ero venuta quando, tutto a un tratto, una brezza proveniente dal folto del bosco mi fermò, portandomi un odore a me stranamente famigliare.
Mi voltai e iniziai a scrutare il folto degli alberi.
L’istinto, per un secondo, mi suggerì di fuggire. Ma una voce interiore, più forte e potente, mi ordinò di restare al mio posto, in attesa.
Sentii che qualcosa di importante era vicino.
Qualcosa di vitale importanza stava per ricongiungersi a me.
Trenta.
Un minuto…
E poco dopo li sentii.
Passi. Troppo veloci per essere umani. Una corsa a me famigliare.
Ed eccoli spuntare dal folto degli alberi, fermandosi con grazia di fronte a me, dall’altro capo della radura.
Quattro creature assurdamente belle e perfette.
Quattro angeli dalle ali nere.
Quattro vampiri dai volti sconosciuti, ma stranamente famigliari allo stesso tempo.
Mi immobilizzai, trattenendo il respiro, la schiena appoggiata al tronco di un albero.
E li studiai mentre i nostri sguardi si fondevano.
Erano tre uomini e una donna, di una bellezza inimitabile.
Due di loro, che dimostravano apparentemente diciotto e diciannove anni, erano molto simili: stessi capelli biondo pallido, stesso corporatura, stessa espressione sbalordita sul volto candido.
Il primo, leggermente più alto, portava i capelli acconciati in un lungo codino biondo, il viso ovale dai lineamenti nobili sgomento; il secondo, invece, aveva i capelli corti, con una frangetta a coprirgli la fronte, i lineamenti delicati e fini.
Sembravano due principi
L’altro uomo era sicuramente più grande di loro, quasi sulla trentina, a occhio e croce: moro, con i capelli corti e leggermente mossi, aveva una corporatura più robusta dei suoi compagni, il viso mostrava un’aria più prudente, in qualche modo calma e pacifica, saggia.
E l’ultima… era stupenda.
Alta, di una bellezza stupefacente anche per i canoni dei vampiri, doveva dimostrare almeno vent’anni. Corpo formoso, grazia impeccabile, lineamenti delicati e morbidi… e lunghissimi capelli neri a coprile la schiena.
Quel nero corvino che mi mancava terribilmente…
Ma ciò che mi colpì di più, furono quei quattro paia di occhi di uno stupefacente oro caramellato che mi studiavano rapiti, quasi a volersi colmare della mia vista.
Così dannatamente famigliari…
Un battito di ciglia, e i quattro vampiri si mossero.
Mi ritrovai stretta in un abbraccio gelido, sovrastata dai quattro.
Sollevai di poco gli occhi, troppo stupefatta per muovermi, e vidi i loro visi immersi tra i miei capelli, sollevati, commossi.
Che cosa significava?
Chi erano?
“Finalmente, Isa…” mormorò la mora con voce spezzata dalla commozione. La sua voce era soave e delicata, dolce. “Finalmente sei qui…”
“Sei tornata da noi, piccola” disse quello col codino
“Ti abbiamo ritrovato” disse l’altro “Non ti lasceremo mai più, Isabella, mai più”
“E non ti permetteremo di allontanarti un’altra volta” concluse quello moro
Non capivo, non riuscivo a capire.
Come facevano a conoscermi? Che cosa volevano?
Io non li conoscevo, non li avevo mai visti prima…
… e allora perché li sentivo così famigliari, così vicini a me? Perché desideravo che quel abbraccio non finisse mai?
Sentii un verso sorpreso provenire dalla vampira bruna, che aprì gli occhi di scatto e mi rivolse uno sguardo ancora più stupefatto del primo.
“Ma che…?” disse, mentre gli altri scioglievano l’abbraccio e mi fissavano
La vampira mi toccò gentilmente lo stomaco, come a tastarlo, mentre i suoi occhi uscivano quasi fuori dalle orbite. Mi girò intorno tre volte, osservandomi nei minimi particolari, prima di fermarsi davanti a me, togliermi il capello e infilarmi il viso tra i capelli. Il suo profumo mi stordì; com’era buono e famigliare…
Stupefatta, poso l’orecchio sul mio petto per qualche secondo, per poi staccarsi e cacciare un piccolo urlo, portandosi le mani alla bocca.
Io ero letteralmente pietrificata dalla sorpresa.
“O SANTO DRACULA!” gridò, orripilata
“Che c’è? Che le è successo?” chiese ansioso quello biondo con codino
“Lei… lei…” esclamò scioccata. Sembrò che i suoi occhi si fossero riempirsi di lacrime.
“Oh, mia piccola Isa!” singhiozzò lanciandosi contro di me e stringendomi forte al suo petto, nascondendosi tra i miei capelli “Che ti è successo?! Come hai fatto a ritornare umana?!”
“CHE COSA?!” urlarono i suoi compagni, increduli
“Ma non lo sentite?!” singhiozzò disperata quella, quasi soffocandomi tanto mi stringeva forte “Lo sentite il battito del suo cuore, o sto uscendo di testa? E poi è bollente! Oh, mia piccola Isabella!”
Nascose il volto marmoreo nel mio collo, singhiozzante. Io rimasi perfettamente immobile, stupefatta.
Ma chi erano questi? E come mai mi conoscevano?
E perché mi credevano vampira?
“Isa... Isabella...” continuò a gemere
“Non è possibile che sia tornata umana!” esclamò frustrato il biondo dai capelli corti “Non è possibile, la trasformazione non è reversibile! Ci dev’essere una spiegazione, per forza!”
“Sarebbe il primo caso nella storia della nostra specie che si sia verificato” disse ansioso il moro “Sempre se di questo si tratta”
Còmo es possible?” esclamò angosciato l’altro biondo, portandosi una mano sulla fronte, l’espressione addolorata “La nostra nĩna non può e non deve essere tornata umana! No acepto! No acepto, no acepto, no acepto! Non per un nostro errore!”
“Non vedo... non capisco, maledizione! Non capisco come accidenti sia possibile che si sia ritramutata in un essere umano se sono millenni che è una vampira” ringhiò l’altro biondo “L’unica cosa che mi viene in mente, al momento, è che ci possa essere il loro zampino...”
Quattro ringhi sommessi nacquero nei loro petti; la presa della mora attorno a me si fece più stretta, protettiva.
“Non temere, Isa” sussurrò per rassicurarmi “troveremo una soluzione. Non ti lascieremo da sola”
Fremetti tra le sue braccia, sbalordita.
Che cosa stava succedendo?
Chi erano quei quattro? Che cosa volevano da me?
E perché diavolo credevano che io fossi in precedenza vampira, quando io ero così maledettamente umana?
Troppe domande mi vorticavano in testa, troppe emozioni nel mio cuore.
Sapevo che dovevo fare qualcosa, qualsiasi cosa per smuovere la situazione, eppure...
Non volevo.
Nonostante non li conoscessi, nonostante non sapessi che intenzioni avessero, se fossero psicopatici o meno, se mi volessero fare del male o no, non riuscivo a bloccare quella sensazione di famigliarità, quasi di calore che provavo nell’osservarli.
Attraverso uno spiraglio nell’abbraccio della vampira riuscivo ad osservare i tre uomini discutere animatamente a bassa voce su di me; le espressioni erano tutte ugualmente preoccupate e ansiose, ma avevano un modo diverso di dimostrare le loro emozioni.
Il moro manteneva un contegno dignitoso, sebbene una ruga di preoccupazione gli solcasse la fronte bianca. Le mani incrociate, la posizione tesa, ascoltava ogni singola parola che il biondo con i capelli corti stava dicendo, perso nei suoi ragionamenti.
Il biondino parlava guardandolo fisso, concentrandosi su di lui. Il suo corpo fremeva, sembrava vibrare per il nervosismo e l’impotenza che lo dilaniava. Il volto era una maschera di concentrazione, rabbia e dolore.
L’altro, invece, non cercava di nascondere la sua preoccupazione in alcun modo. Stringeva i pugni lungo i fianchi, tremando, concentrato sul discorso, ma con un’espressione addolorata e struggente.
“Sta tranquilla” continuò a ripetermi piano la vampira, accarezzandomi i capelli “Ci siamo qui noi”
Non capii se si rivolgeva più a sé stessa che a me.
Un singhiozzo soffocato le nacque in petto, mentre continuava a cullarmi e a sussurrare di stare tranquilla.
Le loro espressioni addolorate, la loro sofferenza che in un attimo mi era sembrata così familiare, così sbagliata per loro... mi fece reagire.
Non volevo che stessero male. Per non so quale assurdo, inspiegabile motivo non volevo che loro soffrissero. Non sapevo perché, ma dovevano essere felici.
Non aveva molto senso, io non li conoscevo. Ma non ci badai in quel momento.
Non badai a nulla se non a loro.
Loro, quattro perfetti sconosciuti.
Che dovevo aiutare.
Mi separai delicatamente dalla mora, che rimasta sconvolta dal mio gesto restò a fissarmi ammutolita. I tre uomini si voltarono a fissarci, attenti.
Io posai lentamente un palmo sulla guancia perfetta di lei, sfiorandola con dolcezza e lasciandole il tempo di scansarsi se non avesse gradito il contatto. Ma lei chiuse gli occhi e cercò con scarsi risultati di mascherare il dolore e il sollievo che quel mio piccolo gesto le procurava dentro. Sapevo che se ne avesse avuto la possibilità sarebbe scoppiata in lacrime.
“No. Non piangere” sussurrai. La mia voce era arrochita dal troppo tempo passato in silenzio, e indusse la vampira a riaprire gli occhi, lanciandomi uno sguardo preoccupato.
“Isa, che è successo alla tua voce?” chiese apprensiva stringendo la mia mano tra le sue.
Scossi il capo. “Bella” dissi “Il mio soprannome è Bella”
I quattro si scambiarono uno sguardo sorpreso, tornando poi a fissarmi.
“Non... non ti è mai piaciuto” sussurrò dopo qualche secondo il biondo, mentre quello con i codino si avvicinava “Ci hai sempre detto... che non era tuo. Che tu non eri Bella
Come Isa non sono io” mi sentii in dovere di chiarire; in qualche modo, anche se non capivo come, quel suo discorso aveva un senso. Il guaio era che, sebbene lo capissi a grandi linee, non riuscivo a ricordare – o a scoprire – perché, su quale base le sue parole mi erano famigliari.
Perché loro mi erano famigliari?
“Qual è il tuo nome, ragazza?” chiese cortese il moro
“Isabella Swan, per l’appunto Bella” spiegai volgendomi verso di lui.
Mi studiarono intensamente, più sorpresi di quanto non lo fossero fino a tre secondi fa.
“Non può essere...” chiese la mora
“E quanti anni hai, Bella?” proseguì lui
“Di-diciotto” ricordai con un fremito chiudendo per un attimo gli occhi
“Stessa età” sibilarono in coro i due biondi
“Ma sono nata il 13 settembre del 1987, a Forks” dissi, bloccando la loro felicità sul nascere
“COSA?!” urlarono “Ma... ma... MA NON È POSSIBILE!”
“Tu non sei Isabella?!” esclamò la mora afferrandomi per le spalle e facendomi voltare verso di lei
“Non la vostra” dissi imbarazzata
“Ma non è possibile! Sei tu per forza!” esclamò lei abbracciandomi “Sei tu, sei tu, sei tu! Devi essere tu! Stessa età, stesso corpo, stessa voce, stesso viso... accidenti, ti conosco da tre secoli!”
“Mi conosci da quanto?” non potei fare a meno di domandare. La sua età era pari a quella....
“Va beh, forse è meglio dire due, ma non c’entra ora!” liquidò lei “Tu mi conosci! Tu devi conoscermi! Io non ti permetto di cancellarmi dalla tua memoria, Isabella!”
Si gettò contro di me e mi strinse forte, affondando il viso nell’incavo del mio collo, singhiozzando.
“Per favore, Isa, per favore!” singhiozzò “Tutto ma non questo! Ti prego, non dimenticarti di me!”
Raggelai tra le sue braccia, ancora.
Quante volte avevo sussurrato quella frase, negli ultimi mesi?
Quante lacrime avevo versato mentre la ripetevo sussurrando, come una macabra litania, pregando con tutte le mie forze che, ovunque fossero [fosse], esaudissero questo mio ultimo desiderio?
Portai una mano sui suoi capelli e li accarezzai piano, sorprendendomi del loro profumo delizioso.
Una stretta al petto mi fece tremare.
“Mi dispiace” sussurrai “Non ho tuoi ricordi. Io non ti ho mai conosciuto”
Un singhiozzo più alto degli altri mi fece dolere il petto, e mi affrettai a continuare.
“Ma se vuoi possiamo costruircene insieme”
La vampira si separò da me e mi rivolse uno sguardo affranto, ma piacevolmente sorpreso
“Ma... come fai?” sussurrò il biondo con il codino, arrivato alle spalle della mora.
Il suo sguardo era piacevolmente colpito. Da vicino, il suo viso, oltre ad apparirmi bellissimo, sembrava anche gentile e simpatico.
“A far cosa?” domandai
“Sai chi siamo?”
Un sorriso amaro mi sfuggì dalle labbra. “Vampiri”
“Non hai paura?” continuò
“Come fai a conoscere la nostra razza?” chiese l’altro biondo, incredula.
Eccola, la parte amara che aspettavo. La domanda tabù.
Il mio petto bruciò, ma dovevo rispondere. Era una domanda più che lecita e non potevo negargli una risposta. Anche perché non ci avrebbero messo nulla a costringermi, sebbene non si mostrassero ostili.
Ma non volevo fare i conti con i ricordi.
“Co... conoscevo una famiglia di vampiri” dissi con voce sofferente, sentendo la voragine riaprirsi “Ma ora... non sono più qui. Si sono trasferiti”
Mi hanno abbandonato.
Un singhiozzo silenzioso mi scosse le spalle mentre chinavo lo sguardo, nascondendo le lacrime che mi riempivano gli occhi.
“Scusa” mormorò mortifico il vampiro che mi aveva posto la domanda
Scossi il capo, ma non alzai il viso.
“Povera piccola, stai tremando” disse la mora avvicinandosi a me e posandomi le mani sulle spalle
“Non è questo il posto per continuare la conversazione” disse poi ai suoi compagni
“Per un essere umano questo clima è duro” concordò il moro “Meglio riportarla a casa”
No!, gridai tra me e me, Vi prego, non lasciatemi sola!
“Già. Meglio continuare questa conversazione al caldo” disse il biondo con i capelli corti avvicinandosi
“Davanti a una buona tazza di cioccolata, eh?” suggerì la mora
“Non dovete...” sussurrai, ma la mia protesta fu sostituita da un mezzo urlo di sorpresa quando la mora mi caricò in spalla
“Ho una macchina” tentai di protestare
“Che macchina è?” chiesi quello con il codino
“Un pick-up Chevy del 1953”
Il  biondo con i capelli corti storse il naso, rivolgendomi un’occhiata di rimprovero.
“Non è precisamente una macchina” disse accigliato “Anche se per questa città va più che bene”
“Io lo adoro” risposi con decisione. A molti poteva non piacere la mia macchina, ma io ci tenevo.
Mi sorrise. “Se è speciale per te, proteggila” disse gentile “Anche se resto dell’idea che come mezzo di trasporto sia obsoleto”
“Miguel è un fanatico di tutto ciò che riguarda macchine, elettronica e cose del genere” disse l’altro biondo strizzandomi l’occhio “È proprio un secchione cervellotico!”
“Non farebbe male neanche a te appassionarti a queste cose” li ribeccò quest’ultimo
“Ti chiami Miguel?” chiesi
“Miguel Orlando Garcìa” si presentò con un sorriso gentile
“Io sono Tullio Esteban Rodrìgez, piacere di conoscerti!” mi salutò l’altro portandosi l’indice e il medio alle tempie e poi usarle per fare il saluto militare.
“Io sono William Cooper, molto piacere” disse il moro
“E io Roxanne Dubois” sorrise la vampira che mi teneva in spalla
“Piacere” risposi a tutti
“Tieniti forte” mi suggerì Will gentilmente “Roxy ha la brutta abitudine di correre velocemente”
“E il mio pick-up?”
“Te lo riporta Tullio stasera” disse Roxanne
“Perché sempre io i lavori pesanti?” si lamentò lui
“Perché te lo ordino io”
Roxanne strinse leggermente la presa sulle mie gambe. Strinsi la presa attorno alla sua vita e al suo collo.
Freddo. Un freddo piacevole. Quasi dimenticato, ma ora tornato prepotentemente reale e piacevole.
Mi ero dimenticata, in quel mio stato di falsa vita, di sonnambulismo ad occhi aperti, di quella bella sensazione.
Eppure, con loro... mi sentii strana, diversa.
Per la prima volta da mesi, mi sentii sveglia.

  
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