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Autore: Tormenta    26/11/2015    7 recensioni
Di ritorno ad Hogwarts dopo la guerra, Draco Malfoy ha cicatrici troppo profonde per essere quello di sempre. A Harry Potter basta poco per accorgersi che non sa accettare la sua assenza nella propria routine. Dal testo:
«Malfoy» chiamò, con voce cristallina e appena tremolante. [...]
«Che c’è, Potter?»
Harry si lasciò sfuggire una microscopica smorfia soddisfatta: per la prima volta da quando erano tornati ad Hogwarts, Malfoy gli aveva parlato. Era un inizio – di cosa, non lo sapeva neanche lui.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fuori fuoco'
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6.
 
Lui, lei e l’altro
 
 
 


        Nuvoloni scuri lasciavano presagire l’arrivo di un temporale, l’aria era pesante e umida e, come se non bastasse, tirava un forte vento tagliente. Malgrado ciò, per discutere, Harry e Ginny si recarono nel cortile.

        «Ho bisogno di aria fresca», aveva detto lei, inquieta.
        Sentiva il cuore battere con forza nel petto, non riusciva a star ferma e le pareva di aver un gran caldo addosso. Rimanere in Sala Comune, in una stanza nei dormitori, o in un qualsiasi altro ambiente chiuso probabilmente l’avrebbe fatta impazzire.
        Una volta fuori, si prese un minuto per respirare a fondo il vento gelido e, stringendosi nelle spalle, ritrovò un briciolo di calma. Intanto, al suo fianco, Harry camminò piano, assecondando la velocità che lei dettava.
        «D’accordo. Che sta succedendo, Ginny?» le chiese coi pugni stretti nelle tasche quando proprio non ne poté più di aspettare.
        Lei cacciò i capelli dal viso, tremando impercettibilmente. «Ho pensato molto a noi due. Ci sono delle cose che mi fanno stare male».
        «Parliamone, allora».
        Si fermarono, sentendo il bisogno di guardarsi negli occhi.
        «Prima di tutto vorrei scusarmi, Harry. È da un po’ che mi comporto male con te, e non te lo meriti, perciò: scusa».
        Lui annuì distrattamente. Era convinto che fosse sincera in quel momento, ma comunque non riuscì a farselo bastare – non poteva perdonarla in un battito di ciglia. Comunque, pensava di poterci passare sopra: dovevano solo chiarire. Il prima possibile.
        «Scuse accettate. Ora, per favore, dimmi che ti prende».
        Ginny inspirò profondamente, facendosi forza; si era preparata a lungo per quella conversazione. «Ricordi quando, un po’ di tempo fa, mi hai chiesto del trasporto
        Come dimenticarlo? A volte ancora si sentiva tormentato. «Certo».
        «Mi hai fatto paura. Ho iniziato a pensare che forse non ti piacevo più, o comunque che non fossi più convinto di voler stare insieme―»
        «Non è così», la corresse titubante. «Ma perché non l’hai detto subito?»
        «Aspetta. Pensavo a quel tipo di cose, ma quello che mi ha fatta veramente uscire di testa è che, in qualche modo, mi sono ritrovata a domandarmi se io avevo trasporto».
        Era ufficiale: il dannato trasporto era un virus mentale. Harry lo maledisse tra sé e sé.
        «Mi sono odiata tanto, sai? Non capivo da dove saltavano fuori certe insicurezze, e per paura di combinare un disastro ho preferito aspettare prima di parlartene – ho pensato che, forse, sarebbero sparite».
        «Non è successo?»
        Lei scosse il capo per dire no, mesta.
        «Quindi il punto è che― insomma, non sei più sicura di voler essere la mia ragazza?»
        Un’ombra di ansia oscurò il volto di Ginny. «È più complicato di così. Sono successe anche altre cose, tutto si è ammucchiato – un vero casino». Tacque un momento, sospirando. «Ho cercato di lasciar perdere quegli stupidi dubbi che mi erano venuti, perché sapevo di volerti molto bene e tra noi non c’erano problemi, ma poi― poi siamo andati a Hogsmeade».
        Potter s’irrigidì al ricordo di quel giorno. «Cos’ho sbagliato?» s’azzardò a domandare.
        «Sbagliato? Niente. Sei stato dolce e carino e― non hai fatto nulla di male, davvero».
        Quelle parole lo rincuorarono, ma non troppo. «Allora cos’è andato storto?»
        Lei si morse un labbro, cacciando nuovamente i capelli dal viso per temporeggiare: era piuttosto evidente che la mettesse a disagio la prospettiva di confidare quel fatto. «È una cosa un po’ strana. Forse anche stupida, non lo so – in quel momento però mi ha destabilizzata».
        «In quale momento, di preciso?»
        Deglutì. «Quando… quando hai detto di amarmi». Lo guardò negli occhi, aspettando che commentasse in qualche modo; tuttavia presto si rese conto che lui non avrebbe proferito una sola parola: forse voleva solo che finisse di esporre il problema. Così, continuò: «Poco prima da Madama Piediburro mi avevi chiesto cosa vedevo nel mio futuro. Ricordi?»
        «Sì».
        «Beh, quella storia mi ronzava ancora in testa, quando siamo usciti dalla sala da the».
        «Perché?»
        Gli occhi di lei si fecero umidi e, d’istinto, provò a nasconderli abbassando appena il capo. «Mi chiedevo se, per caso, pensando al futuro mi vedessi lì con te; ho fantasticato un po’. E poi mi sono chiesta: e io lo vedo con me?»
        Il cuore di Harry accelerò: una nebulosa risposta alla domanda che l’altra si era posta gli apparve in mente, e gli trasmise una brutta sensazione. Sentì il forte bisogno di strappare subito il cerotto, senza girarci troppo attorno: «E?» l’incalzò per spingerla a continuare.
        Ma Ginny non parlò.
        «Mi vedi con te?» insistette.
        «Non lo so», riuscì a replicare lei, tesa.
        Lui prese atto della questione senza scomporsi. «Io ti vedevo con me». Non voleva rinfacciarle la cosa; si era semplicemente sentito in dovere d’informarla.
        «Ora non mi vedi più?»
        Fu il suo turno di tacere: neanche si era reso conto di aver usato il verbo al passato, perciò non aveva assolutamente idea di come ribattere.
        Lei preferì non indagare troppo a fondo, colta da una serie di sospiri e mezzi sbuffi. «È una cosa stupida, secondo te? Forse non è necessario pensare ad un domani remoto, quando si sta con qualcuno – ma è normale non farlo? Non so se mi spiego; dovrebbe venire naturale, ecco».
        «Cioè sei preoccupata perché non pensi a me e te insieme nel tuo futuro?»
        «Qualcosa del genere».
        «Beh, non credo sia stupido. Per niente».
        Quella risposta non sembrò aiutarla; anzi, la fece solo agitare di più. «Anche io non credo lo sia. Per questo non sono riuscita a dir niente quando ti sei dichiarato».
        Harry si sforzò di capire il suo punto di vista, di addentrarsi nei dubbi che l’avevano colta, ma alcuni punti gli rimasero oscuri. «Cioè, non hai risposto perché…?»
        «Non potevo dire anche io perché credevo che non sarebbe stato vero». La sua voce tremò, e una lacrima le sfuggì dalle ciglia: con un veloce gesto, l’asciugò col dorso di una mano. «Non immagini quanto mi sono sentita in colpa; so che ci sei rimasto male, e farti soffrire era davvero l’ultima cosa che volevo».
        «Forse, se mi avessi detto subito come stavano le cose, sarei stato un po’ meglio». Si pentì immediatamente di averle rivolto quelle parole accusatorie, ma l’amor proprio gli impedì di rimangiarsele. «Quello che mi ha fatto stare peggio non è che tu non abbia risposto – te l’ho già detto, non serviva dire che ricambiavi. La cosa più brutta è che hai fatto finta di niente dopo».
        Ginny si sentì sprofondare, colpita al cuore da quella dolorosa verità. «Mi dispiace tantissimo, Harry. So di essere stata egoista, ma avevo bisogno di pensarci su per un po’; parlarne con qualcuno avrebbe solo aumentato la confusione».
        «Avrei potuto aiutarti, rassicurarti…!»
        «Lo so, ma dovevo farlo da sola. Altre opinioni non avrebbero avuto una buona influenza».
        Potter prese un respiro profondo, impegnandosi per scacciare l’alone di rabbia che gli stava nascendo nel petto. «Sei giunta ad una conclusione, adesso?»
        Lei esitò, torturando un lembo della sciarpa con le dita. «Credo di sì».
        «Bene. Allora, possiamo considerare le ultime settimane uno sbaglio, e metterci una pietra sopra. L’importante è quello che facciamo adesso, d’accordo?»
        Fissò lo sguardo verso il basso. «D’accordo».
        Per alcuni secondi, aleggiò il silenzio.
        Poi, Harry borbottò: «Qual è il risultato dei tuoi pensieri, quindi?»
        Silenziosamente, Ginny pianse qualche lacrima, mentre lui si preoccupava; non sopportando più quella brutta tensione che c’era tra di loro, si avvicinò di mezzo passo per abbracciarla e tranquillizzarla. Le accarezzò la schiena, mormorandole di stare calma.
        «Scusami, non ci riesco proprio», la sentì pigolare.
        «Rilassati».
        Più lui era comprensivo e gentile, più lei si agitava: ad un certo punto, fu costretta a sciogliere l’abbraccio. Continuò a piangere distrattamente, asciugando una lacrima dopo l’altra.
        Potter si sentì pervaso da un senso di disagio estremo: non sapeva spiegarsi la ragione di quel pianto, e aveva paura di chiedere quale fosse. Sotto sotto, forse, anche se un po’ vagamente, la presagiva, rifiutandosi però di crederci.
        Si fece coraggio. «Perché piangi?»
        «Piango perché mi sento schifosamente in colpa». Quante volte l’aveva già detto? Ormai aveva perso il conto; ma non poteva farci nulla, sentiva il bisogno patologico di ripeterlo. «Sono una cattiva persona», mormorò tra sé e sé.
        Lui non la seguiva. O, meglio, aveva definitivamente intuìto cosa stesse accadendo, ma continuava a non volersi fidare di se stesso – insomma, quella non poteva essere la verità.
        Eppure lo era. E divenne ufficiale non appena Ginny si lasciò scivolare tra le labbra le parole che le avevano corroso il cuore in quegli ultimi giorni.
        «Io ho pensato che dovremmo fare un passo indietro, Harry». Preferì non guardarlo negli occhi. Non perché non ne avesse il coraggio, quanto perché non avrebbe tollerato vedere così da vicino il dolore che – ne era certa – gli stava procurando.
        La reazione di Potter fu assurdamente blanda: batté le palpebre in fretta e schiuse le labbra, incredulo, poi serrò la mascella.
        Lei si sentì in dovere di dare spiegazioni, perciò riprese: «Ti voglio molto bene. Sono affezionata a te e a quello che abbiamo, ma mi sono resa conto che― che provo strani sentimenti». Sospirò, affondando le unghie nella carne morbida dei palmi e continuando a piangere lacrime silenziose. «Ricordo bene come mi sono sentita quando ci siamo baciati per la prima volta, e adesso… non è uguale».
        Harry ascoltava senza fiatare. Per quanto le sue aspettative per quella loro chiacchierata non fossero propriamente rosee, non aveva messo in conto un tale scenario. E viverlo così all’improvviso faceva male.
        «Non so né quando, né come sia successo, ma qualcosa è cambiato. Mi dispiace da morire». La voce le si strozzò sulle ultime sillabe, e coprendosi il volto con le mani si concesse un attimo di tregua. «Vorrei così tanto poterti dire che ti amo anche io; vorrei essere più felice che mai con te, perché sei davvero un ragazzo fantastico. Ma non ci riesco: quello che provo non basta, e non me la sento di illuderti, di far finta. Capisci? È― è per questo che ho pensato che, forse, una pausa è la cosa migliore».
        Per qualche interminabile secondo, Potter credette di essere andato in tilt. Per fortuna, però, trovò il modo di riprendersi e si sforzò di mettere a fuoco la situazione, per processarla per bene. Decise di non lasciarsi abbattere – per quanto possibile, s’intende – e di mantenere la calma. Poi, finalmente, aprì bocca.
        «Beh, non ha senso andare avanti se non proviamo le stesse cose», bisbigliò. Una voce sibillina gli risuonò in testa, ricordandogli che, dopotutto, nemmeno lui era certo di essere innamorato: di conseguenza, perse l’orientamento emotivo e non seppe più bene cosa provare.
        Ginny si asciugò gli occhi per l’ennesima volta. «Diamoci un po’ di tempo. Magari è solo di questo che abbiamo bisogno, e poi andrà bene». Parlando, cercò di convincere prima di tutto se stessa.
        «Spero che tu abbia ragione».
        Lei scoppiò in un lamento soffocato e tirò su col naso. «Non sei arrabbiato?»
        Quel quesito lo fece accigliare. «No. Che senso avrebbe? Non posso prendermela con te perché non mi ami». Si sentì bruciare gli occhi – non avrebbe saputo dire se per la tristezza o a causa del vento.
        «Probabilmente un giorno mi pentirò di questa cosa», confessò di getto la ragazza, toccata dal tono di Harry che, chissà come, le aveva fatto vibrare dolorosamente il petto. «Adesso, però, io― io credo davvero che sia la scelta più giusta. Perdonami».
        Lui non ribatté, impegnato com’era a ripetersi che – guarda un po’ – l’universo gli stava portando via qualcos’altro. Si chiese se e quando avrebbe mai smesso di perdere pezzi.
        «So che non dovrei neanche osare dirlo», mormorò Ginny, attirando nuovamente su di sé l’attenzione del ragazzo, «ma non voglio perderti. Non so cosa succederà tra noi, ma― almeno come amico. Non dico domani, o la settimana prossima― solo, prima o poi. Per noi, per Ron, per gli altri».
        Mesto, Harry annuì. Ancora non aveva metabolizzato appieno la faccenda, ma decisamente non voleva che si creassero strane tensioni: restare in buoni rapporti gli parve un’idea sensata. Si disse di doverci almeno provare.
        Con un silenzio carico di occhiate pesanti e afflitte, rimasero insieme al freddo per un po’. Poi lei, con rosse guance umide sferzate dal vento, cercò un contatto che, se ne resero conto entrambi, aveva tanto il sapore di un ultimo abbraccio.
        «Io― credo di dover rientrare, adesso», soffiò Ginny, prendendo le distanze.
        «Va bene. Io penso che rimarrò fuori ancora un po’».
        Così, si ritrovò da solo sotto quel cielo che minacciava pioggia. Camminò stringendosi nel mantello; il suo cuore batteva più forte del normale, e c’era un nonsoché di doloroso che gli faceva pressione sulle tempie. Scosso dal senso di mancanza, lasciò che il proprio morale colasse a picco.
 
 

        Quando rientrò in Sala Comune, non vi trovò nessuno d’importante. Non avendo alcuna voglia di andare in giro a cercare gli amici, si accomodò in un posticino vicino al caminetto per aspettarli.
        Ron e Hermione fecero la loro comparsa poco prima dell’ora di cena: ridevano e si portavano appresso dei libri – Harry dedusse che dovevano essere stati in biblioteca.
        Non appena videro Potter, e soprattutto la sua espressione mogia, i due compresero che qualcosa non andava.
        «Ehi, Harry. Ehm, dov’è Ginny?» domandò diretto Weasley. «Pensavo che vi avremmo trovati insieme».
        «Non saprei».
        Impensierita, Hermione si sedette accanto all’amico. «Com’è andata tra voi? Avete chiarito?»
        Non aveva voglia di rispondere, ma non poteva sottrarsi. Sospirò, dopodiché riassunse rapidamente ciò che era successo nel cortile, sottolineando che volevano cercare di mantenere rapporti civili e che: «forse è davvero la cosa migliore».
        Ritrovatosi in una posizione un po’ scomoda, Ron non commentò che con qualche parolina spiccia: si limitò infatti a dirsi dispiaciuto per l’accaduto. Poi s’imbronciò, temendo il verificarsi di situazioni imbarazzanti tra la sorella e il migliore amico.
        Hermione si dimostrò più empatica. «Come ti senti?» chiese ad Harry, scoccandogli un’occhiata premurosa.
        «Ho avuto giornate migliori».
        «Vuoi parlarne un po’?»
        «No, non mi va».
        Così la questione, per quella sera, fu dichiarata chiusa. Certo, durante la cena volarono sguardi fastidiosi, e subito dopo Ron si prese qualche minuto per discutere con Ginny, ma nulla più.
 
 
* * *
 
 

        Il pettegolezzo sulla rottura tra Harry e Ginny fece il giro di Hogwarts in pochi giorni. Ovviamente, ai due diretti interessati la cosa non piacque granché, ma non avevano modo di impedire agli altri di parlare.
        Potter non sarebbe stato in grado di dire se il passare del tempo lo stesse facendo stare meglio o meno. Magari giusto un pochino.
        Cercava di distrarsi; principalmente col Quidditch e con le partite a scacchi. Hermione gli aveva anche suggerito un libro, ma l’idea non aveva riscosso molto successo.
        Comunque, era talmente impegnato a non darsi il tempo di pensare che non si era affatto accorto degli occhi grigi che avevano preso a posarglisi addosso di tanto in tanto.
 
 

        Draco Malfoy era consapevole di star passando inosservato, e se ne compiaceva. Circostanze del genere gli davano il tempo di riflettere a piacimento.
        Non gli era ben chiaro quale improbabile sortilegio, in biblioteca, avesse fatto sì che parlare con Potter alleviasse le sue pene. Fatto stava che era successo, e da subito si era sentito in bilico. Era ancora a disagio all’idea di avere a che fare con quel Grifondoro eroe di guerra; tuttavia, essendo umano, tendeva a cercare di non stare male, e quell’insignificante momento di sollievo era stato la medicina più efficace che avesse sperimentato. Perciò, era naturale che ne desiderasse un’altra dose. Si era però persuaso di non poter fare una mossa per procurarsela, perché sarebbe stato inutilmente rischioso – non voleva mostrarsi bisognoso. Di cosa, poi? Non lo sapeva, e tutto sommato non era importante: tanto, non aveva una ragione “di facciata” per interagire con Potter; era bloccato.
        Questo, finché la voce sulla rottura con Ginevra piattola Weasley non era giunta alle sue orecchie.
        La sua prima reazione era stata una mezza risatina. Comportamento molto cattivo, in effetti; e lo sarebbe stato anche di più se solo fosse stato in forma – probabilmente avrebbe riso di gusto, gioendo molto più apertamente per quella piccola disgrazia.
        Ad ogni modo, pareva essere l’occasione perfetta: poteva punzecchiare il Grifondoro come in passato, o almeno fare un tentativo, per scoprire cosa di preciso dell’atto di parlargli avesse giovato al suo umore. Peccato che in lui ci fosse ancora il seme di quell’insicurezza che l’aveva cambiato.
        Così, continuava a sbirciare nella sua direzione senza prendere iniziative. Ponderava.
 
 

        Era mercoledì mattina quando, durante una lezione di Trasfigurazione, un grazioso origami attraversò l’aula battendo le piccole ali di carta per posarsi sul banco di Harry Potter.
        D’istinto, Harry mise su un’espressione a dir poco stralunata. Smise di prendere appunti senza pensarci due volte, e allungò una mano per sfiorare il minuto volatile con le dita – era un cigno? Hm, lo sembrava – e poi afferrarlo. Da subito si fece una chiara idea sull’identità del mittente, e spostò lo sguardo laddove sapeva di poterlo trovare.
        Incrociò una criptica occhiata di Malfoy, che sembrava sogghignare tra sé e sé. Non era uno dei suoi classici sogghigni, però; era un po’ più moderato. Gli occhi, in compenso, gli brillavano di una sinistra luce furba.
        Osservato da Ron, che gli sedeva accanto, Potter si decise a dedicare attenzione al bigliettino ricevuto.
 
Insomma, non riesci a soddisfare neanche una Weasley.
 
        Pura, gratuita malignità. Aveva anche buone ragioni per pensare che il doppio senso fosse più che volontario. Tipico, avrebbe commentato tra sé e sé – peccato che quella vicenda fosse tutt’altro che tipica: era da parecchio che Malfoy non gli dedicava una frecciatina.
        Per un microsecondo, senza neanche accorgersene, sulle sue labbra fiorì una minuscola, apparentemente insensata smorfia soddisfatta.
        Era sbagliato, lo sapeva; lui e Ginny non stavano più insieme da neanche una settimana: ancora soffriva, e il Serpeverde era stato semplicemente un bastardo a rigirare il coltello nella piaga. Ma comunque quella smorfietta era esistita, perché anche se gli avevano portato via Ginny, era come se gli avessero restituito il vecchio Draco Malfoy – come se avesse improvvisamente ritrovato un tassello andato perduto. Credeva di meritarselo, dopotutto.
        Detto ciò, nel suo petto esplose un prevedibile e giustificato incendio di rabbia, orgoglio e afflizione, che lo spinse a rivolgere al Serpeverde uno sguardo a dir poco penetrante. Purtroppo per lui, però, in quel momento Malfoy stava seguendo la lezione e poté scamparla.
        Sbuffò sonoramente, piccato.
        «Harry», lo chiamò Ron sottovoce, in cerca di conferme. «Quello te l’ha scritto Malfoy, vero?»
        «Sì».
        «Cosa dice?»
        «Cattiverie».
        «Posso leggere?» Prese il biglietto che l’amico gli passò con un pizzico di riluttanza, e lesse velocemente le parole che vi erano scritte sopra. «Miseriaccia, mi ero davvero illuso che ci avrebbe lasciati in pace».
        Potter alzò le spalle, omettendo – così come aveva omesso fino a quel momento – di sottolineare che, per certi versi, era stato lui stesso a chiedere al Serpeverde di ricominciare a tormentarlo. «Posso gestirlo», mormorò, mentre Ron gli restituiva il bigliettino. Rilesse per l’ultima volta la provocazione di Malfoy, poi intascò il tutto ripromettendosi di ribattere a tono.
        Di fatto, scribacchiò di getto la risposta su un angolo di pergamena, che piegò, e poi, approfittando di un momento in cui la professoressa McGranitt dava loro le spalle, la incantò perché giungesse a destinazione. Non era molto fiero di ciò che aveva scritto – avrebbe potuto fare di meglio –, ma era difficile condensare l’ira e la frustrazione in poche parole, perciò dovette accontentarsi.
        Quando Draco riuscì a decifrare il messaggio, si concesse un sorrisino compiaciuto.
 
Pensa ai fatti tuoi.
 
        Senza esitare, elaborò la propria risposta e, anche quella volta sotto forma di cigno, la recapitò al destinatario.
        Pansy Parkinson, seduta al suo fianco, lo scrutò attentamente, per poi sussurrare: «Che significa? Credevo non gli rivolgessi più la parola».
        Malfoy le scoccò un’occhiata gelida. «Non è un tuo problema».
        Lei, sospirando con fare teatrale, incrociò le braccia al petto. «Volevo solo sapere perché la tua faida contro Potter e compagni è ripresa all’improvviso».
        «Chi ti dice che sia ripresa?»
        «Non lo è?» Non era stupida; si era accorta degli sguardi che d’un tratto il compagno di Casa aveva iniziato a lanciare ai Grifondoro.
        Draco avrebbe volentieri sfoderato una replica acida, se solo l’insegnante non si fosse accorta del loro chiacchiericcio e li avesse tacitamente ripresi con un cenno.
        Nel frattempo, più in là, Harry leggeva il biglietto appena ricevuto.
 
Sei tu quello che ha detto che gli mancavo.
Te la sei cercata.
 
        Svelto, nascose il foglietto in tasca prima che Ron potesse chiedergli di leggerlo: non era proprio il caso che venisse a sapere certe falsità – era abbastanza sicuro di non aver mai detto a Malfoy “mi manchi”. Non l’aveva fatto, no – non con quelle esatte parole, almeno.
        Ancora arrabbiato, abbozzò una sottospecie d’insulto su un secondo brandello di pergamena, che poi inoltrò con le stesse meccaniche di poco prima.
        Leggendo il messaggio, il Serpeverde inarcò un sopracciglio.
 
Non ho mai detto di voler avere a che fare con uno stronzo.
Credevo che avessi persino dimenticato come si fa ad esserlo.
 
        Decise di non rispondere con l’ennesimo biglietto, soprattutto perché la McGranitt si era chiaramente accorta di quello che stavano combinando e sembrava sul punto di ammonirli.
        Aspettò pazientemente la fine della lezione, e quando finalmente giunse il momento di uscire dall’aula, prima di imboccare la porta trovò la forza di farsi avanti e avvicinare il Grifondoro – ma non troppo.
        «È come andare sulla scopa, Potter. Non si dimentica mai», fece, riferendosi esplicitamente a ciò che l’altro gli aveva scritto. Poi, senza aspettare repliche di sorta, gli diede le spalle e s’incamminò nel corridoio.
        Era fiero di sé: malgrado le insicurezze, prendere in giro Potter si era rivelato facile come lo era sempre stato. Lo trovò sorprendente e rincuorante, e per un po’ si sentì meglio del solito.
 
 
» …



 
Angolo di Tormenta

Dopo dosi massicce di Ginny, io per prima avevo bisogno di tirare in ballo Draco. c': Comunque - mi auguro d'essere riuscita a convincervi a non provare odio puro per la Weasley. Ho messo molto di me stessa in lei, questa volta, e... niente; se vi va, fatemi sapere che ne pensate. 

Mille grazie a tutti coloro che leggono, commentano, e fanno altre cose per supportarmi. Love you all! ♥ :D

Baci baci e alla prossima,
T. ♪ 
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(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)
   
 
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